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Epilogo

Amori miei, eccoci alla fine. 🤧🖤❤️

Su Instagram potete trovarmi come mf.autrice. Vi consiglio di seguirmi lì per non perdere il mio esaurimento nervoso costante (😂) e anche tutte le novità future sulla nostra dolce Carovana.
Vi aspetto.

Stelline e commenti sono graditissimi. Ricevere il vostro supporto è ciò che mi muove, da sempre. 🥹

Grazie di tutto, di ogni cosa.
Vi voglio bene.

- Manu 🎪


Layla

C'è sempre qualcosa che mi inquieta di Mosca, soprattutto quando le sue periferie raggelano e assumono un aspetto che il cuore pulsante della città non conosce.

Mi trovo in uno di quei quartieri, invaso da palazzoni di cemento grigio risalenti all'epoca sovietica. Le facciate sono segnate dall'intonaco scrostato e da graffiti, mentre le finestre – alcune senza vetri, altre rischiarate persino da luci viola – sembrano loculi vuoti di un qualunque cimitero. Il vento solleva polvere e brandelli di carta, facendoli vorticare nell'aria prima di lasciarli ricadere sulle strade.

L'artica foschia di oggi è così fitta che sembra mordermi la pelle del viso. Tutto risulta cupo, come se fosse già sera, anche se non è giunto neppure il mezzogiorno. I russi lo chiamano zima, un termine che racchiude più del concetto stesso di inverno: è una vera e propria filosofia temeraria. Quando la temperatura scende fin troppo sotto lo zero, la vita non si ferma. I bambini, avvolti in strati di tessuti termici, vanno a scuola, gli adulti si recano al lavoro, si cena nei ristoranti, si passeggia con calma e si gioca nei parchi. Attività che in climi più miti sarebbero impensabili a queste condizioni. In fondo, li capisco. Noi lituani non siamo poi così diversi da chi popola queste terre.

Bass cammina al mio fianco, le mani affondate nelle tasche del giubbotto di jeans, sempre troppo leggero per queste temperature. Stranamente è in silenzio, non dice una parola. Solo il suo respiro si unisce al mio, trasformandosi in nuvolette bianche che svaniscono subito.

C'è da dire che prima di lasciare l'hotel mi era sembrato più aperto, se con "apertura" s'intende il gesto di offrirmi un vassoio di éclair preparati con le sue mani.

Il mio stomaco avrebbe voluto ingurgitarne due o tre, ma la mia mente ha fatto resistenza. Ne ho mangiato uno, poi ho preso un morso da quello che Bass stava già assaporando. Assaggiarli non mi fa così tanta paura, forse perché li ho provati per la prima volta durante la nostra colazione a Lione e ora li associo a un ricordo piacevole. È come se lui lo avesse intuito.

Le scale della palazzina ci attendono oltre un ingresso buio e umido, appesantito da un acre odore di muffa. I nostri passi rimbombano nel vano scala, dove aleggia un silenzio sinistro. Brr. Sembra uno scenario distopico. Ma non possiamo andarcene. Dobbiamo recuperare dell'attrezzatura circense utile per lo spettacolo di Capodanno, che un parente di Ernest ci ha lasciato a questo indirizzo.

«Ti dirò, comincio un po' a farmela sotto. Tu no?» gli confido e sistemo al meglio la sciarpa sulla testa così come facciamo noi, donne dell'est, annodandola sotto il mento per cercare di scaldarmi un po'. Lui, però, non risponde. Dalla sua figura alta e sovrastante sbuca solo un sorriso impercettibile.

Ma che gli prende?
Perché non mi delizia con le sue consuete battutine?

Non c'è ascensore, per cui cominciamo a salire le scale. I gradini sono ripidi, coperti da una patina di sporco e ghiaccio portato dal vento. Il corrimano è freddo, scheggiato, tanto che non ho il coraggio di toccarlo.

È al secondo piano che i miei polmoni si chiudono e il fiato comincia a mancarmi. Accidenti. Boccheggio, come un pesce a pelo d'acqua.

Di che mi stupisco?
Sono ancora un po' debole, e le fitte allo stomaco, seppur lievi, persistono nonostante le cure. Dopotutto, fino a tre giorni fa ero in una stanza d'ospedale mezza morta.

Mi fermo, piegandomi in avanti. Vorrei tentare di celare il disagio, ma non ci riesco, perché Bass si volta e mi fissa, preoccupandosi all'istante. Forse non sarei dovuta venire. Mi sento un po' stupida per essermi ostinata ad accompagnarlo.

«Sto bene, tranquillo. Ce la faccio» mento per evitare di risultare una seccatura.

Ma lui scende in pochi passi e si avvicina.

«Bass, davvero, posso riuscirci» ripeto quando lui torreggia su di me e protende le braccia.

«No, che credi? Non lo faccio m-mica per te. È che all'improvviso mi è venuta voglia di fare s-sollevamento pesi tra i fantasmi di questo posto lugubre. Sai che s-sono un pazzo in culo.»

Passa un braccio sotto le mie ginocchia e l'altro lungo le spalle. Sono costretta aggrapparmi al suo giaccone nel momento in cui mi solleva senza alcuna titubanza. In un attimo, riprende a salire.

I suoi bicipiti, forti e sicuri, costruiscono per me fondamenta di carne. E per quanto cerchi di negarmelo, è qui che voglio stare. Mi stringo a lui, anche se, man mano che i piani aumentano, percepisco il suo fiatone da sforzo e mi sento in colpa. Persino in imbarazzo.

Arriviamo al settimo piano e mi posa sul pavimento del pianerottolo prima che abbia un enfisema, grazie a Dio. Il corridoio davanti a noi è lungo e stretto. Le porte degli appartamenti sono tutte uguali, logore, dipinte appena di un verde opaco. Come può la gente vivere in posti del genere? Un camper degli anni Ottanta è molto più ospitale.

Bass cerca una chiave nel mazzo che tiene in tasca, la trova e la infila nella serratura. Il clic della porta che si apre risuona con uno stridio spaventoso.

Dentro è peggio di quanto immaginassi. Il salotto sembra uscito da un incubo. Le pareti sono imbrattate da anni di incuria e il pavimento è una amalgama perfetta di linoleum e polvere. Un vecchio termosifone sul muro risulta inutilizzabile. Al centro della stanza c'è un letto, se così si può chiamare. Il materasso, infatti, pare sfondato, con molle arrugginite che spuntano qua e là. Una macchia scura, ormai secca, lo attraversa per tutta la sua lunghezza. Chissà di che si tratta. Sangue?

«Bene, d-diamoci da f-fare.»

Bass si dirige verso un angolo della stanza, dove una pila di attrezzature circensi è ammassata alla rinfusa: corde, ganci, un piccolo sassofono e una valigia che sembra pronta a cedere sotto il peso di ciò che contiene. Lo osservo mentre recupera alcuni scatoloni. Poi si china, raccoglie degli oggetti e li esamina con il respiro affannoso.

Mi stringo nel cappotto e mi sottraggo per un attimo all'attività, affacciandomi alla finestra. Scorgo l'ennesimo palazzo fatiscente che si erge di fronte a me e, su un balcone, un uomo calvo che fuma una sigaretta con uno sguardo furioso già fisso su di me. Sobbalzo, il cuore che accelera. In un attimo tiro la tenda bucata, coprendo la visuale.

Quando mi volto, non posso fare a meno di emettere un sospiro di sollievo. È vero che con una ginocchiata nei testicoli potrei stendere chiunque, ma oggi, in caso di pericolo, forse non dovrei nemmeno sforzarmi di difendermi: ci penserebbe lui a me.

Sì, mi salvo da sola.
È quello che gli ho anche detto.

Eppure, avere Bass che vigila senza sosta sulla mia incolumità è una rassicurante garanzia in più. E quasi comincio a pensare che, in fondo, oggi non stia andando poi così male, nonostante lui sia meno pimpante del solito.

Guardo il letto. Se solo tra noi non ci fossero le solite complicazioni, sistemerei il mio cappotto sul materasso e lo inviterei a stendersi accanto a me, per coccolarci un po'.

Il pensiero di ricadere nei caldi abissi del suo affetto mi fa vibrare il petto.

Dal pianerottolo arrivano rumori molesti di porte sbattute e le note di una leggera musica popolare russa, che per fortuna mi destano dagli slanci della mia immaginazione.

Bass continua a sistemare gli oggetti, evitando il mio sguardo.

«Che programmi hai per questa settimana di pausa?» gli chiedo, così da riempire il silenzio.

«Riporterò i miei p-piedini a Liverpool» risponde dopo qualche istante, senza smettere di lavorare.

«E... i tuoi piedini che fanno in genere a Liverpool?»

«T-tutte quelle cose che fanno q-quando tornano a casa. E poi p-partiranno. Andranno a sciare.»

«Wow. Forte.» Annuisco, vispa. «Io non so sciare. E non so fare un milione di altre cose.»

Mi avvicino a lui e mi abbasso sulle ginocchia. Bass si ferma per un attimo, con la fronte ancora imperlata di sudore per lo sforzo delle scale. Percependosi osservato, le sue iridi smeraldine scivolano nelle mie, ma quando gli accenno un sorriso si discosta e riprende a sistemare gli oggetti. Dannazione. Non riesco a capire cosa stia succedendo. Ho fatto qualcosa di sbagliato?

Dopo un po' si schiarisce la voce, la fronte aggrottata. «E t-tu? Che f-farai?»

«Andrò a Parigi con Ollie, nel suo monolocale bistrattato al puzzo di rum e sigari, a fare il rewatch di Squid Game per prepararci alla seconda stagione.»

Afferra alcuni strumenti a percussione e li infila dritti in un cartone. «Me lo hai p-promesso, ricorda.»

«Cosa?» chiedo. «Che non berrò?»

«E che n-non fumerai.»

Mi acciglio. «Non è vero. Questo non te l'ho promesso.»

«Me lo stai p-promettendo ora» replica, risoluto, e io reagisco con un verso esterrefatto, non tanto per il modo in cui cerca di impormi un divieto, ma perché mi è appena balenato in mente di non fumare più solo per accontentarlo. Sto impazzendo. «Fai la b-brava, piccolina. Okay?»

Piccolina.
Chissà come sarà non sentire questo nomignolo per sette giorni.

Inizio ad aiutarlo con l'attrezzatura, ma uno strano spiffero di corrente mi fa tremare. Lui lo nota e lentamente si sbottona il giaccone, adagiandolo poi sulle mie spalle.

«Forse avresti fatto meglio a non v-venire. Mi sparo se ti prendi un m-malanno.»

«Lo prenderei volentieri, invece» rispondo, con un sorriso furbo. «Una bella polmonite questa volta, così finisco in ospedale e affronto un'altra notte come quella, al fianco di un infermierino speciale.»

Bass sorride stringato, ma non smette di sistemare le attrezzature nello scatolone. I suoi movimenti precisi, accompagnati dall'impegno che ci mette, iniziano a ipnotizzarmi. Senza pensarci troppo, sfioro la sua mano. La risalgo con un lieve solletico, finché il polsino della sua camicia tartan non finisce sotto le mie dita. Lo sento deglutire, segno che il mio gesto ha avuto il suo effetto.

Ma che sto facendo?
Non dovevo starmene nel mio?

Sono stanca di queste mie controversie quotidiane. Ma credo sia semplicemente quello che succede quando si è divisi tra ciò che si desidera e ciò che non si può avere.

«Sto rivalutando questo posto» sussurro, il respiro che si fa più profondo. «Quando mi ricapiterà di stare da sola con te, in un appartamento così grande tutto per noi?»

Ma che cavolo ho appena detto...

Lui non risponde subito, ma la sua mano si arresta per un attimo sulla scatola. Lo scruto, cercando di leggere nei suoi occhi ciò che non dice, ma è quasi impossibile decifrare il suo pensiero. E io ho bisogno di capire, di sentire.

Allora spingo il mio corpo verso il suo, appoggiando la testa sulla sua spalla. Non dovrei insistere, lo so bene. Non dovrei neppure anelare a un suo contatto, eppure... eppure allungo persino un braccio intorno al suo busto per ancorarmi a lui.

Non sono in grado di contare quanti secondi passiamo così accovacciati, mentre lui continua a sistemare roba negli scatoloni. Forse un minuto. O poco più. Il tempo necessario per capire che questa settimana, sì, mi mancherà come non dovrebbe mancarmi.

«Vedrai d-d-ddddei rrr-r-ragazzi a... a... Parigi?» mi chiede poi.

Non mi aspettavo una domanda del genere.

«Che ti importa?» lo provoco.

«Giusto per s-sapere se Oliver ha degli a-amici.»

«Sì, ce li ha.»

«E hanno la t-tua età? O la mia?»

Ahah. Che ficcanaso.
«La mia, più o meno.»

«E sono...» continua.

«Non tutti, Bass» lo interrompo. «Alcuni sono bisessuali, altri anche etero.»

Tira su con il naso e quando giro gli occhi, lo vedo estrarre il suo telefono dalla tasca del giaccone e aprire la schermata delle note. «Come si chiamano quelli b-b-bisessuali ed etero?»

Sollevo la testa e sbatto le ciglia a più riprese. «Come, scusa?» Vuole segnarseli?

«Se qualcuno di loro d-dovesse farti piangere come ho fatto io, a-almeno sarò in grado di riconoscerlo nella mischia pronunciando solo il suo nome.»

Sorrido contro la mia volontà. «Verresti a Parigi per linciarlo?»

«Verrei volando.»

Non resisto.
Non ce la faccio.
Ci provo, ma non ci riesco.

Gli impulsi hanno la meglio sull'assennatezza e mi inclino per premere le mie labbra sulle sue. Dio, quanto sono bollenti. Lo bacio subito a un'intensità che attesta il mescolio di nostalgia e desiderio che si esagita in me, e lui si lascia contagiare a poco a poco, baciandomi in quel modo avvolgente così suo, unico.

Introduce il telefono in tasca. Dopodiché le sue mani mi lambiscono i fianchi. «I nomi, piccolina.»

Gli getto le braccia al collo, intrecciando le dita sulla nuca. «Marc.»

«Marc... ?»

«Lemoine.» Riprendo a baciarlo, domandandomi come potrò separarmi da questa chimica che si accende tra le nostri pelli non solo per questa settimana, ma per l'interezza della mia vita.

«Poi?»

«François Duran.»

«Poi?» insiste, imperterrito.

«Julien... Fournier.»

Mi mordicchia il contorno di un labbro con dolcezza. «Poi?»

«Éric...» Gemo nella sua bocca. «Eric Boucher.»

«Poi?»

«Quattro non ti bastano?»

«Mi b-basteranno solo quando finiranno.» Si stacca lentamente. «Stai tremando. Alzati, prima che c-congeli. Questo p-pavimento è più freddo di un freezer.»

Si solleva in piedi e mi porge una mano per aiutarmi. Quando mi ritrovo diritta non perdo l'occasione di allacciarmi di nuovo intorno al colletto della sua camicia e di baciarlo ancora.

«Che ti sei m-messa in testa, mh?» mormora, cingendomi le mandibole tra i palmi. Sono così grandi che il mio viso si perde come una perla nella sua conchiglia.

«Tu che dici?» sussurro in tono suadente e lo bacio in schiocchi rapidi. Lo bacio sempre. «Leggimi, in questa testa.»

«Mi sta implorando.» Intervalla le parole roche alle sferzate della sua lingua contro la mia. «Vuole che ti faccia dimenticare di Marc, e di François, e di Julien, e di chi cazzo si r-ricorda di come si chiama l'ultimo. E io vorrei farlo fino in fondo, ma non posso.»

Vuole, ma non può.

Eppure nel mio bassoventre si addensa un'eccitazione dirompente.

Ansimo quando mi prende dal girovita e mi solleva tra le sue braccia senza alcuna difficoltà. Avvolgo le gambe intorno al suo bacino mentre ci dirigiamo verso il lavandino arrugginito nel cucinino a vista. È secco, senza acqua, ma almeno mi permette di sedermi. Rimango con le gambe divaricate, mentre Bass si schiaccia in piedi contro di me. Mi risistema la sciarpa sulla testa con cura e io torno a baciarlo, mossa dalla mia smania disperata.

«Ti sei vaccinata contro il t-tetano e la difterite?» mi chiede, il suo sguardo che segue i miei occhi. «No, perché se ti p-prendi una cosa del genere da questo lavandino di merda, mi sparo.»

Non riesco a trattenere una risata, anche se la situazione è tutt'altro che comica. «Perché ti spari se mi ammalo?»

«Perché v-vederti star male di nuovo mi farebbe soffrire più di una p-pallottola nell'aorta. E lo sai.»

Marc, François, Julien ed Éric non potrebbero mai farmi sentire come mi fa sentire Bass. Ho la netta impressione che quest'uomo non riuscirò mai a dimenticarlo, anche se, in un'altra vita, finissi tra le braccia di un altro. E anche se in quella che già vivo lui non dovesse mai amarmi.

Ma questo non è il tempo di una vita secondaria, né uno sprazzo d'esistenza in cui dar luce ai nostri sentimenti. È un attimo fugace, nel quale torniamo a vestire i panni di quei due incoscienti che siamo quando, a guardarci, non c'è nessun altro.

Disincastro i bottoni della sua camicia e la faccio scivolare lentamente fino ai gomiti. Il bicipite tatuato con un acrobata appena stilizzato, ora alla mercé dei miei occhi, è un'apoteosi di perfezione.

«Ti voglio nudo. Tutto nudo. Qui, con il rischio che possa arrivare qualcuno» ansimo sulle sue labbra in fiamme.

«Layla... no.»

Gli guido le mani sui miei giacconi. «Spogliami. Fallo anche tu. Non c'è altro che desidero. Tu? Anche se non puoi, non desideri appropriarti adesso della tua cascata di oro colato con striature rosso fuoco?»

«Io non merito di desiderare u-un cazzo.»

Il suo corpo si irrigidisce contro di me e un tremito mi percorre la schiena. Vedo le sue palpebre chiudersi, come se cercasse di nascondere una verità. La sua bocca si fa dura, le mascelle tese. Qualcosa lo sta lacerando dentro.

«Bass?»

Le sue mani restano su di me, a impedirmi di fuggire. Alla fine, dopo quella che mi sembra un'eternità, apre gli occhi e si lascia andare a una confessione. «Oggi... oggi per m-me non è una bella giornata, scusami.»

Schiudo la bocca per quel senso di puro timore che monta nei solchi del mio cervello. «Che succede?»

«Qualcosa che ti p-porterà a r-rinunciare a me.» Si stacca e si rimette la camicia sulle spalle. «E io dovrò lasciarti a-andare.»

Piego la testa su un lato, le braccia diventano leggere e insensibili. «Bass?»
Mio dolce Bass...

Il mento gli trema. «La mia vita p-potrebbe c-c-c-cccambiare tra qualche mese.»

«In che modo?»

«V-vorrei non dirtelo.»

Il palpito del mio cuore incalza così forte che quasi non riesco a respirare. «Dimmelo, ti supplico.»

Deglutisce a vuoto prima di esternarsi. «La m-m-mia ex c-ccc-co-compagna aspetta un...»

No.

«Cosa?»

No, Dio. Ti prego.

«U-u-un b-b-b-bambino, credo» balbetta furiosamente. «E se... se d-dovesse essere così, la prossima estate d-d-diventerò p-p-ppp. P... p-p.» Fa spallucce. «Non riesco a d-dirlo.»

Un capogiro mi coglie di sorpresa e sono costretta ad ancorarmi alla superficie arrugginita del lavandino per non perdere l'equilibrio.

È finita.

«Un... un bambino» riesco a sussurrare.

È finita, questa volta per sempre.

«È accaduto prima che ci c-conoscessimo.» La sua faccia assume un'espressione scura, mentre riprende a sistemarmi altri ciuffi sfuggiti dai bordi della sciarpa. «Voglio che tu sappia questo: da quando ci s-siamo avvicinati, io non ho più fatto l'amore con lei. E sai perché? Perché n-non volevo tradire te. E poi, non c'era nessun'altra che potessi d-desiderare, se non potevo avere Layla U., la sua b-bocca che sfiorava la mia, la sua anima c-che si intrecciava alla mia... Ogni cosa di lei con ogni cosa di me.»

Ma è finita, dannazione.
Definitivamente.
E io ho perso ho perso tutto.
Ancora una volta.

Una scossa elettrica mi trafigge la spina dorsale al ricordo dei mesi trascorsi insieme. Mi ha fatto dimenticare ogni paura, anche se solo per un misero istante. Mi ha fatto credere nei miracoli dell'ultimo minuto, nelle rivalse, nei cambi di programma, nelle risate che trasformano un'intera giornata. Nella semplicità di un fiore, nella bontà di un pasticcino. Nella bellezza di un arcobaleno. E nella potenza sanante di un ballo a due. Nella carta, quella che non serve per scrivere o conoscere il destino, ma per plasmare ali capaci di spiccare il volo.

Mi ha ricordato com'è vivere.
Semplicemente... vivere.

Nulla brucia come la speranza che esplode tra le macerie del cuore. Peccato che ora non resti che fuliggine.

«Da quando è nato il Carovana, non c'è stato un giorno in cui non a-abbia benedetto questa fusione lavorativa per a-a-avermi fatto incontrare te.»

A queste parole, non riesco a fermare le lacrime che minacciano di gocciolare oltre le mie ciglia.

«Sembra... sembra una maledizione» mi lascio sfuggire, con voce tremante. «La vita ci chiede sempre di seguire strade diverse. O lontani e sofferenti, o niente. O forse non è una maledizione. È solo questione di tempismo. Semplice tempismo. Ci siamo incontrati troppo tardi.»

Si bagna le labbra con la lingua, soggiogato da un evidente impaccio misto a nervosismo. «Mi dispiace.»

La consapevolezza che non possa far nulla per impedire che una famiglia si formi mi paralizza. Ma al tempo stesso, non voglio finire in tutto questo. Posso solo incassare, accettare e lasciar perdere, prima che le cose si facciano più intense e mi innamori perdutamente di lui.

Meglio adesso.
Meglio così.

Non mi permetterò più di lottare per me, per noi. Non con un figlio di mezzo. Questo è un giuramento solenne.

«In ogni caso, congratulazioni. Sono molto felice per te» mugugno cercando di forzare un sorriso, mentre una lacrima precipita in picchiata sul pendio della mia guancia. «Sarai... sarai un padre meraviglioso in futuro, su questo non ho dubbi.»

«Mi sarebbe p-piaciuto essere altro in quel futuro.» Usa i dorsi dei suoi indici per asciugare il mio pianto. «Ma non s-smetterò, Layla.»

«Di fare cosa?»

«Di assicurarmi che tu s-stia bene, ogni mattina» mormora, posando la fronte sulla mia. «E se un giorno a-avessi bisogno di un nuovo cuore per sopravvivere, ti basterà chiamarmi. Strapperei il mio dal petto se s-solo sapessi che p-potrebbe essere la tua ultima occasione di rinascita e felicità.»

Mio dolce Bass...
Quanto ti credo.
So che lo faresti, a mani nude.

Questa sarà l'ultima volta che lo avrò così vicino a me. Un'ultima volta che sentirò il suo respiro contro il mio, un'ultima volta che potrò toccarlo, immergermi in lui. Sentire la sua purezza umana fino al sudicio buio delle mie vertebre. 

Mi svuoto, poco a poco, assorbendo la consapevolezza che non riuscirò a riempire i suoi spazi con altro.

Come potrò continuare a condividere la pista e l'accampamento circense, sapendo che lui sta andando avanti con una vita che non si annoderà mai alla mia?

Potrei persino farmi spettatrice di lui che cresce i loro bambini tra i camper, di lui che coinvolge la sua compagna al circo, di lui che porta una fede al dito, di lui che ama una donna come avrei voluto essere amata io.

Dio mio.

Forse dovrei smetterla di lavorare qui.
Forse è arrivato il momento di andare via.
Di fermarmi. Di tornare a casa per sempre.
O andarmene da un'altra parte.

È il caso di parlare del mio licenziamento con Melinda. Certamente, non si opporrà.

FINE PRIMA PARTE

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