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52 - Dovere


Questo è un po'... illecito ✨🔴❤️‍🔥🔞😎
Vi ricordo di cliccare sulla stellina.
Significa tanto per me.
Grazie amori miei. 🥹

Layla


Grandioso.
Anche questo Natale sembra destinato a essere identico agli altri, visto che sto trascorrendo la mattina della vigilia su un lettino d'ospedale, distesa e rassegnata. Un dottore dai capelli brizzolati mi palpa di nuovo l'addome, e il passaggio delle sue mani esperte sui punti nevralgici del dolore apre la strada a una domanda precisa: perché mi sto curando se negli ultimi tempi non ho fatto altro che trascurarmi con cognizione di causa?

Un mistero.

Quando sono arrivata al pronto soccorso, rantolante e aggrappata con le unghie ai capelli celesti di Ollie, il dottore mi ha chiesto se abusassi di antinfiammatori. Ha ipotizzato persino che fossi vittima degli effetti del tabagismo, ma sono stata io, spontaneamente, a rivelare il mio distruttivo amore per l'alcol.

Un prelievo di sangue e un breath test hanno confermato la presenza di una gastrite erosiva acuta, e mi sono stati prescritti ulteriori esami per valutare l'entità del danno alla mucosa gastrica. Mi hanno dato antiacidi e protettori, rimedi che dovrebbero alleviare i sintomi e attenuare gli spasmi già nelle prossime ore.

Sembra che tutto si sia risolto, vero?
E invece no.

«Signorina, lei è disidratata»mi ha detto il medico in russo poco fa, suggerendomi ciò che non avrei mai voluto sentirmi dire: preferirebbe ricoverarmi, così da reidratarmi con delle flebo di elettroliti – che sicuramente mi faranno ingrassare – e proseguire con degli specifici accertamenti per valutare il mio complessivo stato di salute. Se tutto andrà bene, domani a pranzo potrò essere dimessa.

Che diamine. Come è possibile? Ero venuta qui per lo stomaco, e ora questi vogliono controllarmi anche i mignoli dei piedi.

Quando finalmente rivedo Ollie, è lui stesso a insistere perché accetti, nonostante gli dica che non voglio perdere lo spettacolo di stasera e che, forse, mi riprenderei più in fretta stando nella mia stanza d'hotel.

«Arcibuffa d'un minotauro!» impreca a suo modo, prendendomi le mani. «Se non ti ricoveri, mi spoglio e mi butto da un balcone del pronto soccorso! Fallo per me almeno, e per l'incolumità del mio deliziosissimerrimo pisipisi.»

Va bene. Lo faccio.
Ma solo per il suo deliziosissimerrimo pisipisi.

Una volta trasferita in camera, fortunatamente singola, l'infermiera cerca di individuare la vena e osservo il processo con fervido interesse. Sembra non riuscire a trovarla e, poco dopo, mi chiede se mangio a sufficienza. La mia risposta affermativa, pronunciata con voce incerta, suscita in lei un certo scetticismo, tanto che passa i successivi dieci minuti a spiegarmi cosa siano i disturbi alimentari.

Ehi, mi sentite?
Non soffro di anoressia nervosa.

Evitare il cibo, nel mio caso, non è una malattia, ma il percorso che ho scelto per adempiere alla mia missione. Non mi spreco neppure a illustrarla. Nessuno potrà mai comprendere davvero l'importanza di una magliettina. Di quella sua magliettina.

Ad ogni modo li sconvolgerò, dimostrando loro che non ho problemi a consumare la minestrina grassa che mi propineranno più tardi. Magari in seguito mi indurrò il vomito per espellerla, non so, ma sarebbe un'azione che compierei volentieri se potesse servire a farli stare zitti finché non sarò dimessa.


Dire che sono irritata è dire poco.

Nel frattempo, continuo a prendere le medicine che mi passano, incarnando così una contraddizione costante: avvolta nel lenzuolo bianco, mi dico che morire è un'azione fin troppo coraggiosa per una pavida e codarda come me, e che vivere, forse, è quasi più facile.

Che tristezza.

Non sono fatta per la malattia, per questi spasmi così acuti che sembrano appiccare roghi nelle viscere. Voglio solo che spariscano per sempre. Considerando il mio basso grado di temerarietà, mi chiedo quindi se potrei mai armarmi di qualcosa, puntarmelo alla gola e finirmi come avevo deciso. O soffocarmi con qualcosa. O fare qualsiasi cosa per non essere più qualcuno.

Gli intrecci delle mie supposizioni più nefaste vengono subito sciolti dalla voce squillante di Ollie, che, seduto al mio capezzale, solleva di colpo la testa dallo schermo del suo telefono.

«Allora, stando a ciò che dice internet, sembra che tu abbia lo stomaco perforato.» Il dubbio galoppa nella sua espressione corrucciata. «Ma questa non è l'ulcera? Che c'entra con la gastrite?»

«Non lo so. All'esame di gastroenterologia sono stata rimandata due volte» borbotto con la faccia affondata nel cuscino, mentre il liquido della flebo mi ghiaccia la vena della mano. Alla fine è qui che l'infermiera ha trovato qualcosa.

«Sai, non è una cosa grave se la curi adeguatamente. Si può risolvere. Se mangi tanto ed eviti l'alcol, ancora meglio» dice in un soffio quasi impercettibile. Mette il telefono nella tasca della felpa a righe gialle e si sporge dalla sedia. Non riuscendo a vedere bene il mio volto, abbassa la coperta. «Che ne pensi, Fragolina? Ti andrebbe di risolverla? Continuerai a prendere le medicine come una brava bambina con la varicella?»

«Devo» rispondo, mettendomi supina. «La verità è che sono troppo debole per la morte.»

Le iridi color cervone di Ollie si illuminano, assumendo una sfumatura quasi ambrata. «O forse sei troppo forte per lei. Perché non provi a vederla in questo modo?» Mi sfiora la fronte. «Sei calda, amica mia, e questo significa che la bara non fa ancora per te. Lì ci finiscono le persone fredde, quelle che non possono più combattere. E tu, giorno dopo giorno, sai invece a cosa cominci ad assomigliare?»

«A cosa?»

«A una leonessa che ruggisce, fiera e indomita nel suo bel regno animale.»

Leggo sul suo volto tutti gli sforzi che sta facendo per convincermi a risorgere. Povero Ollie, quanto sarà stanco di me. Continuo a essere la causa di ogni sua fatica e un perenne contrattempo.

«Perdonami, ti sto rovinando il Natale.»

«Ma chi se ne frega. E poi, il mio momento di festa deve ancora arrivare. Dopo la cena di stasera e quella sciocchezza del Babbo Natale segreto del Powell Circus, dovrò andare a depilarmi lì.» Mi stropiccia le guance, le strizza buffamente per un breve istante e io mugolo per il lieve fastidio. «Esco con Alioscia, il tipo che ho conosciuto su quel sito di incontri, e sai, non vorrei atterrirlo con le mie associazioni di piante arboree. Hai presente la Foresta Nera? Immaginala a ricciolini e sistemala sui miei sbiroloncioli.»

Dalla mia bocca sgorga un ridacchio e lui si piega per darmi un bacio schioccante e bavoso sulla tempia. «Non perirai, Layla. Ci siamo intesi?»

Namira.
La sua ultima premonizione.

«Ma tu ti stai prendendo cura di me» rispondo.

«Lo faccio proprio per preservarti. E continuerò a farlo affinché tu viva a lungo, anche più di me.» Rimango in silenzio per qualche attimo, poi faccio spallucce. «Che c'è?» mi chiede.

«A volte desidero così tanto soffrire e andarmene sotto terra, ma altre volte...» Estinguo le parole sul palato, chiudendo le labbra quasi con disagio.

«Non ce la fai a dirlo, vero? Lo dico io?»

«Dillo tu.»

«Desideri stare meglio sotto ogni punto di vista.»

Annuisco.

«E invece è solo questo che devi desidere, arcibuffa!» ribatte immediatamente. «Sai chi dovrebbe passare ore sul cesso per una dissenteria epocale? Quella pazza assassina della nostra direttrice. Il pensiero che abbia architettato un piano per spappolarti l'apparato digerente mi invoglia a farla giustiziare dalle tartarughe Ninja. È una criminale a piede libero!»

Sì, perché lui ed io siamo giunti all'astrusa conclusione che Melinda non abbia mai realmente accettato il mio fuoco e che, per questo, vuole vedermi tirare le cuoia.

«Ti ricordo che possiedo il raziocinio: avrei potuto rifiutare le sue offerte alcoliche o, al massimo, moderarmi. Ma non l'ho fatto» replico.

«Permettimi di dissentire» interviene con un tono tornato cortese, utile ad alleggerire la sua opinione. «È da un po' di anni che hai perso il signor "Raziocinio".»

Sprazzi di memorie lontane e vicine affiorano in questa stanza, ricordandomi ogni singolo episodio in cui ho agito senza coscienza. Ollie non ha tutti i torti. Ho sbagliato con Lorenzo, tempo fa, scegliendolo pur sapendo che mi avrebbe resa infelice; ci ho fatto un figlio, nonostante lui e Namira abbiano giocato ogni carta, anche la più meschina, per salvare il mio futuro e allontanarmi da una inconoscibile tragedia.

Ho sbagliato con Melinda, fidandomi di lei e pensando che avesse superato l'allergia provocata dalla mia arte.

E sto sbagliando ancora adesso con Bass, perché, nonostante i nostri rapporti si siano raffreddati, non alberga in me l'assennata convinzione che sia giusto che lui si faccia da parte. Piuttosto, nutro il desiderio che lui appaia dietro la porta e corra ad abbracciarmi. Sì, mi piacerebbe che fosse qui, magari seduto accanto a Ollie, vicino alle ecchimosi della mia anima che saprebbe schiarire.

Perciò, lo confermo senza remore: «È così, ho perso il lume della ragione». Mi sollevo leggermente, appoggiando i gomiti sul cuscino. «E il bacio di quella notte lo attesta.»

«Bacio? Quale bacio? Che? Cosacosacosa? È per questo che stavi male?» farfuglia l'impossibile, portando un pugno chiuso fino ai molari per mordicchiarsi le nocche.

Assento con la testa e poi faccio una puntualizzazione sarcastica e pomposa. «I miei personalissimi e affettuosissimi auguri di buon compleanno al nostro impresario circense.»

Per impedirgli di divorarsi la mano, gli afferro il polso e lo dirotto verso il basso.

«E Bass? Quella sera nel backstage mi hai detto che devi starci lontana, perciò... o è un pessimo baciatore, o...»

«Mi ha detto che è fidanzato» taglio corto. «E lo ha detto dopo aver ispezionato per bene la mia cavità orale con la lingua. Roba folle, invasiva, lesiva, devi credermi. Mi ha baciato come nessuno sa baciare in questo mondo. E poi ha fatto altre cose. Cose che mi intrigano più di quanto dovrebbero.»

«Oh, my rotella! Cosa?»

«Niente.»

Le sue dita che scivolano dal mio mento sino al collo...

«È meglio non parlarne.»

Quel palmo premuto tra i miei seni...

«Lasciamo perdere, Ollie.»

Quell'irruenza adottata per spogliarmi, girarmi e farmi sentire che era eccitato, affamato di me...

Un niente da lasciar perdere, ma che in realtà è fin troppo vivido per non essere ancora percepito come marchiante riverbero su ogni mio centimetro di epidermide.

Io, le sue mani, le avverto ancora addosso.
Io, la sua bocca, la sento su tutte le mie cellule.

«È comunque un due di picche! Anzi, un due di picche senza picche. Un due di cuori» blatera. «Ha approfittato delle tue labbra e poi ti ha dato il benservito. Ma che uomo è?»

«Ho metabolizzato, non preoccuparti. Non ho nulla da recriminargli. In più, da persone adulte quali siamo, abbiamo chiuso.» Torna a mordicchiarsi le nocche della mano e io perdo la calma. «E finiscila di fare l'Hannibal Lecter della situazione!»

«Vai a cagare! Lasciami appalesare il mio sdegno come voglio!» sbraita, sollevandosi in piedi e cominciando a camminare in tondo per la stanza con nervosismo. «Ho fisicamente bisogno di gonfiarlo di botte.»

«Fallo e ti brucio il guardaroba.»

«Ma ti ha toccato la fichetta?»

«No!» urlo.

«Ti ha sbattuto il pisipisi in faccia?»

«Piantala!»

Sbarra gli occhi, guardandomi sconvolto. «Non hai detto di no!»

Chino il viso sulle mani intrecciate. «Be', non l'ha appoggiato proprio-proprio-proprio in faccia, ecco.»

«E dove? Sull'orecchio?»

La mia smorfia interdetta che mima un "sei assurdo" risponde per me.

«Sull'ombelico, allora?»

«Più... giù.»

«Sul pube?»


«Dietro.»

«Oh madre santa! Vuole pure incularti. Che inglese scostumato!» Si esprime in un verso aspro. «E chi è la sua ragazza? La conosciamo?»

Non faccio in tempo a formulare delle supposizioni che l'infermiera e il medico entrano nella stanza. Informano il mio amico che l'orario delle visite è terminato e che deve andarsene. Aggiungono anche che c'è una persona fuori che vorrebbe entrare da me, ma l'hanno rimandata indietro.


«Layla santa, Layla forte, Layla immortale, abbi pietà di me e del mondo intero.» Ollie nel frattempo congiunge le mani in segno di preghiera e zampetta sino al letto. «Lo giuro, se avessi saputo delle vostre slinguazzate, non avrei risposto alla sua telefonata. Ma lui voleva sapere, voleva esserci.»


Inarco un sopracciglio. «Che vuoi dire?»

La risposta non mi arriva dalla sua voce, ma dall'eco di un'altra che si espande in lontananza. «F-f-fatemi passare, lì d-dentro c'è mia moglie e devo capire come c-cc-cazzo sta.»

Dio mio.
Quel balbettio.

I palpiti del mio cuore incalzano e lo stomaco brucia più forte.

In breve, mentre Ollie ride nervoso, Bass compare trafelato tra gli stipiti della porta. La sua apprensione irrompe dagli occhi in giù, dagli orli della bocca schiusa, dai ciuffi scomposti dei suoi capelli dorati. Deve aver corso.

«Mi dispiace, ma non può entrare. L'orario delle visite è finito» gli dice subito l'infermiera, parlando in inglese.

«Sì, ho capito. Me lo a-avete detto in trenta persone. Ci m-m-manca solo che suoni una fottuta sirena da coprifuoco. Un secondo e me ne vado.»

Il bollore di questa immensa sorpresa mi infiamma le guance mentre lui si avvicina. Stringo tra i palmi il lenzuolo sgualcito che mi copre e il mio respiro si spezza. Arrivato al bordo del letto, si china e mi osserva con occhi lucidi, pregni di nostalgia. È come se avesse avuto paura di perdermi, come se, in qualche modo, gli fossi mancata.

E io, nel frattempo, con un sorriso appena accennato, mi chiedo perché desideri così tanto un suo bacio. Forse non c'è un vero perché. Forse c'è soltanto un adesso per farlo, se solo non ci fosse nessuno qui.

Nel corridoio, per riuscire a passare, ha detto alle infermiere che sono sua moglie, ma lui non sa che, da quando ho incrociato il suo primo sguardo, lui è diventato il mio maritino platonico.


«Non eri tenuto a venire» bisbiglio anche se sto annaspando.

«Ma lo volevo.»

Mi sfiora il mento con l'indice e solleva il viso per inclinarlo verso il suo. Mi sento come un sole che sorge all'alba, riflesso nelle acque verdeggianti del lago che si increspa nei suoi occhi.

Ollie però rovina tutto, perché continua a sbellicarsi con una mano davanti alla bocca senza alcun motivo valido. O forse un motivo c'è: Bass, l'unico che ultimamente lo fa divertire anche solo respirando.

Ammettiamolo, tutto ciò che fa ha un non so che di comico. Dopotutto, se non fosse così, non lo chiamerei Banano. Alla base c'è un motivo fondato, molto semplice: era il frutto preferito di mio figlio, una merenda che non mancava mai. La sua consistenza morbida e la forma curva lo rendevano facile da tenere in mano. Ogni morso, per lui, era un piccolo piacere. Rideva sempre quando la schiacciava con le dita. E in questi mesi, insieme a Bass, di risate ne ho fatte tante, anche se... be', non l'ho propriamente schiacciato tra le dita.

«Lo farò, Layla, la smetterò. Mi o-occuperò del mio antagonista. Ma tu? Tu non sei tanto diversa da me. Quando la s-smetterai di essere l'antagonista di te stessa?»

Ha appena ripreso le parole che gli ho sussurrato quella mattina al circo.

«Non so se ci riuscirò, ma tu fallo e sarai ribelle e leggero.»

Il cuore mi trema, mentre l'infermiera sbuffa, gettando uno sguardo al suo orologio da polso.

«Ripasso nel p-pomeriggio, okay?» mi sussurra e io annuisco. Poi si volta, alzando la voce per farsi sentire anche da lei. «All'orario di visite, c-chiaramente.»

Solo quando vedo Ollie e Bass allontanarsi a braccetto mi chiedo come farà a venire se a quell'ora ci sarà lo spettacolo.

Alla fine Bass non si è presentato, e se c'è una cosa che detesto è quando qualcuno ti promette castelli e poi ti rifila un monolocale nel sottoscala.

Ha avuto un contrattempo allo spettacolo?
È caduto e si è spezzato l'osso sacro?
'Fanculo, avrebbe potuto avvisarmi.


A causa della rabbia mista a frustrazione che provo, ho ingurgitato tutta la zuppa di patate e vitello – quest'ultimo pieno di venature di grasso – senza neanche rendermene conto. Non l'ho ancora vomitata e non so se lo farò, visto che, con le gambe ancora un po' deboli, avrei bisogno dell'aiuto dell'infermiera per andare in bagno. Eviterei volentieri il fastidio di sentirmi dire che sono anche bulimica.

Che Natale.
L'ennesimo orripilante.

Il Carovana starà per festeggiare intorno a una tavola imbandita e io sto per urlare da pazza isterica, con lo stomaco mai stato così pieno, sola come un cane.

La luce della mia camera è spenta, segno che dovrei essere già a dormire, ma credo che per addormentarmi mi servirebbe un potente sonnifero, uno di quelli che stenderebbe un cavallo.

Mi giro e rigiro nel letto, con l'unico desiderio di staccarmi la canula della flebo e ficcarmela in un occhio. Cerco allora di distrarmi accendendo il televisore, ma non si accende. Convinta che sia un problema di batterie, sbatto il telecomando contro il comodino più volte, ma alla fine mi arrendo, sconfitta.


Un'ora dopo, fisso il contatto di mia madre sul telefono. So che vorrebbe sapere cosa mi è successo, ma desidero non farla preoccuparla inutilmente. I miei genitori hanno già sofferto tanto, sia per me che per quello che è successo al loro nipotino, così mi sono ripromessa di non essere più una fonte di preoccupazione per loro. Li chiamerò domani, come se nulla fosse, solo per augurargli un buon Natale.


Nel silenzio opprimente che aleggia per la corsia, sento improvvisamente dei passi stridenti avvicinarsi, forse lo sfregare delle pantofole di un'infermiera contro il pavimento. Ma quando una figura imponente emerge dalla luce, proiettando un alone oscuro che si allunga nella stanza, il cuore mi balza in gola. Un piccolo strillo, quasi involontario, sfugge dalle mie labbra.

«Shh! Che cazzo urli, mh?» gracida l'omaccione nero, incattivito.

Ma chi è? Un ladro?
Gli va male, perché non ho neanche il portafoglio con me. Potrei corromperlo con un vasetto di frutta grattugiata, ma non sono sicura che lo renderebbe felice.

A tentoni afferro il telecomando e lo punto nel vuoto, verso la sua sagoma. «Fermo lì! Non ti avvicinare, o ti sparo!»

«Non ci r-riusciresti mai. Perché, anche se ti sforzi a respingermi, in realtà non s-sapresti vivere neppure un giorno senza la mia c-c-coglionaggine.»

No... non può essere.

Bass?
Che ci fa qui, a quest'ora?

Il vortice dei miei dubbi non arresta la mia risatina, che scoppia più forte mentre agito il telecomando fingendo di premere il grilletto. «Bang! Bang! Bang! Uh-uh! Muori!»

«B-b-bang! B-ba-ba-ba-bang!» ribatte lui, puntandomi una mano contro, con un balbettio bisbigliato che sembra più un belato. Avanza verso di me grazie a una temeraria giravolta, poi chiude un occhio e finge di premere il grilletto, mimando lo sparo con un innato movimento da attore. «Ti sparo anch'io con un s-super fu-fu-fucile a doppia canna! Uh-uh!»

La mia sbellicata incalza, tanto che due lacrime sgorgano dagli occhi. Lo stomaco torna a bruciarmi per la gastrite ma, lo giuro, non ho mai riso così intensamente.


Fa un'esagerata smorfia di dolore, inarcando la schiena all'indietro. «Aaah!» Poi si curva, massaggiandosi il petto. «Mi hai c-colpito! Proprio qui, dritto al cuore.»


Estrae qualcosa dalla tasca del giaccone e con uno schiaffo sonoro se lo appiccica sulla fronte. La mia risata prorompe di nuovo, così squillante che potrebbe rompere il vetro della finestra.

«Cos'è quella? Una foglia di broccolo?» chiedo, soffocando.

Lui barcolla ostentato, poi si avvicina, avventandosi su di me. Mi sballotta, mi risucchia in un abbraccio caldo, e io non posso far altro che rimanere intrappolata nella prigionia del suo sguardo serio.

«Vischio, piccolina. Che aspetti a b-baciarmi? Naso, g-guancia, mento. Scegli tu il punto.»

«Oh, Bass...» mugolo, su di giri. «Scelgo la gola, con la mia lingua.»

Guidata da un istinto primigenio, mi aggrappo al suo collo e lo tiro verso di me, schiacciando le mie labbra contro le sue. Il vischio cade sul letto. La mia lingua saggia la sua bocca con indecenza e la sua risponde all'istante, mentre i nostri respiri si annodano in uno solo.

Non sento più tristezza, o rabbia, o solitudine. Nelle coordinate di ogni suo bacio individuo la strada del mio sollievo.

Potrebbero definirci sbagliati, condannabili per etica, ma siamo uniti negli aneliti più autentici, nei brividi su pelli ormai tese. Ci siamo cascati ancora. In un modo peggiore. Entrambi. Insieme.


«Come hai fatto a entrare?» gli chiedo in un attimo di pausa, le fronti incollate nel loro centro, gli occhi che piombano in sincronia sulle rispettive labbra semiaperte, lustrate delle nostre rispettive salive.

«Ho p-pregato nonna Elín. Le ho chiesto di far andare tutto l-liscio.»

«E la cena di Natale?»

Cerca di nuovo le mie labbra, strappandomi un altro bacio profondo che mi toglie il fiato. «Che Natale è s-senza di te?»

«Te ne sei andato?»

«Non mi sono neppure p-presentato.»

Sentiamo qualcuno muoversi. Potrebbe essere un'infermiera e Bass trasalisce all'istante. Senza pensarci due volte, apro le coperte e lo invito a salire sul mio letto.

«Ma ho le scarpe. I m-microbi non ti faranno più guarire» esclama in un sussurro strozzato.

Lo afferro per la manica del giaccone e lo sospingo verso di me. «Porca pecora, Bass! Dammeli, i tuoi microbi, dal primo all'ultimo. Ancora non l'hai capito che voglio tutto di te in questo momento?»

Si acciglia. «La pecora... che? Ti d-devo mettere in quella posizione?»

«Sali!»

Si infila a letto e subito lo copro per bene fino alla testa, come fosse un neonato appena dimesso dal reparto di neonatologia. Da qui riesco a vedere solo i suoi occhi affusolati e inquieti, mentre, di sbieco, noto un dottore passare oltre la porta senza fermarsi.

Per fortuna ci proteggi tu, santa nonna Elín di Reykjavík.

«Dici che con q-q-questa coperta addosso mi mimetizzo bene?»

«No» rispondo secca. «A meno che, entrando, non credano che mi sia cresciuta all'improvviso un'ernia di oltre novanta chili sulla pancia.»

Gli angoli della sua bocca si piegano in giù. «S-stai dicendo che somiglio a un'ernia?»

Soffoco in uno sghignazzo. «Mai un'ernia è stata così tanto desiderata da una donna.» Mi copro anch'io e mi fiondo tra le sue braccia, che non perdono tempo ad avvolgermi interamente. «Ecco, bravo. Stringimi di più. Più mi stringi, più l'ernia sembrerà piccola.»

Mi agguanta meglio nella sua morsa possente. «Così? L'abbiamo r-resa mini-mini?»

«Mmh, potresti fare di meglio.»

La sua risatina, complice e maliziosa, vibra come una brezza sinfonica sulla mia guancia, mentre preme il mio corpo con più forza contro il suo. «Così?»

Io, nell'umile letto di un ospedale in Russia, spalmata sugli addominali di Sebastian Edgar Powell: mi sembra di vivere un'esperienza surreale.

«Ora è davvero mini-mini-mini. Complimenti, capo.»

In fondo, sappiamo entrambi che presto lo scopriranno, lo sgrideranno e lo sbatteranno fuori di qui a calci in culo, ma non rinunciamo a vivere questo momento di fugace entusiasmo: ci stuzzichiamo, ridiamo a crepapelle e ci auguriamo buon Natale in continuazione, come se dirlo una sola volta non bastasse.


Questa è appena diventata per me una notte speciale. Ora sì che è festa.

Si scusa per non essere venuto prima, ma a quanto pare lo spettacolo della vigilia lo ha trattenuto più del dovuto. Ha persino perso il telefono, un classico della sua indole svampita.

Ha però contato le ore, i minuti e i secondi per potermi rivedere. E io gli credo, anche se la nostra frequentazione non possa definirsi normale. Anche se lui potrebbe essere ancora fidanzato e trattare me come una perfetta amante.

«Melinda si è r-resa ridicola. Ti prometto che riceverai le sue scuse. Non doveva riempirti di tutti quei r-rrr-regali alcolici» sussurra poco dopo, entrambi sdraiati su un fianco, l'uno di fronte all'altra.

Sotto le coperte fa talmente caldo che vorrei spogliarmi tutta o quantomeno liberarmi della maglietta. C'è da dire che quest'ultima è di Ollie e ha un'illustrazione oscena sul seno. È la prima cosa che ha trovato, e me l'ha consegnata oggi pomeriggio, insieme ad altra strana roba per il ricovero.

«Non mi sopporta, vero?» chiedo.

Sbuffa.

«Immagino per il fuoco.»

«Non riesce ancora ad accettarlo, è c-c-così che mi dice. Ma il fuoco non lo p-perderai mai, così come ho g-giurato a Lione, perché anch'io sono un Powell.»

Il tono da bel fusto arrogante con cui ha pronunciato il suo cognome mi fa sorridere. «Già. Sei un "Pooowell"» ripeto enfaticamente. «Com'è che l'hai detto? "Pooowell".»

Gli do un lieve colpetto sul braccio con la mano da cui spunta la canula, ma lui non ride. Piuttosto, posa un palmo sulla parte alta del mio addome. «Ti fa ancora m-male lo stomaco?»

«Un po'.»

«Qui al c-centro?»

Non sto più deglutendo. «Un po più su, a... a sinistra.»

Il palmo si sposta in quella direzione e il profilo del suo pollice scorre indisturbato sotto la linea del mio seno. Accidenti.

«Mi farei carico del tuo d-dolore per non vederti più soffrire. Credimi. Ne sarei felice.»

Le sue parole arrochite mi emozionano, facendomi sentire come se valessi la pena per qualcuno.

«Non devi soffrire al posto mio. E poi, sei anche astemio. Non sarebbe giusto» gli faccio notare.

«Giusto o no, berrei dieci birre tutte in un s-sorso se questo potesse toglierle a te.» Si illumina. «Proviamo?»

«Bass...» Scuoto la testa.

Il suo sorriso si fa vispo nell'oscurità. «Dimmi che ci stai.»

«Non le reggeresti. Ti sentiresti male.»

«Ma tu a-a-avresti lo stomaco bellissimo. Non che tu non ce l'abbia, cioè, è già b-b-bello. Molto sexy... però... lo sarebbe di più, ecco.»

Inarco un sopracciglio. «Il tuo vuole essere un complimento?»

«È un buon c-complimento, a parer mio.»

Prendo la sua mano e la porto vicino al mio viso bollente. Bacio le punte dei polpastrelli e quasi mi assopisco immaginando queste dita intente a sondare le mie profondità. Una lieve scossa elettrica ridesta il mio sesso.

«Che c'è, mh? Vuoi essere a-accarezzata?» mormora con un tono ancora più gutturale, leggendomi nel pensiero. Io annuisco. «E dove, piccola?»

Mi indico una guancia e lui, con lo sguardo fisso nel mio, arriva a sfiorarmi la mandibola, su cui inizia a dispensare una carezza delicata.
Scivola sul mento con le nocche e poi si allunga fino all'incavo del collo, provocandomi un piacevole solletico. Le mie gambe si intrecciano con le sue, mentre i sostegni del letto cigolano. Chiudo gli occhi, respiro profondamente. È la mia estasi.

«Vuoi ancora a-andartene al Gran circo di Mosca?» mi chiede.

«Ti sembra che ora voglia andarmene, Bass?»

«Forse no.» Mi sposta alcune ciocche di capelli che ricadono vicino a una narice e si sofferma a tastare l'arco di Cupido con un polpastrello. «D'altronde, dove te ne v-vai con il culo di Barth Simpson stampato sulla maglia del pigiama?»

Quando schiudo le palpebre, Bass è a una paradisiaca distanza di pericolo. Mi contempla amorevole, con immensa attenzione.

«Ricordi cosa mi d-dicesti ad Amsterdam, la notte delle s-sigarette?» Il suo fiato mi lambisce le labbra.

«Di cose te ne ho dette tante» rispondo.

«C-che volevi volare sui t-tessuti, con me.» Si prende qualche secondo prima di continuare. «So che ti senti debole, eppure io ti i-immagino già forte. Più di tutti, più di tutto. Curati, r-ristabilisciti e ti giuro che, un giorno, ti porto sui soffitti del tendone con me. Voglio farti vedere quanto è bello il m-mondo ammirato con gli occhi degli angeli.»

Somiglia alla più dolce delle promesse, un sodalizio che ridimensiona la mia noncuranza verso il futuro, e in me sorge, caparbio, un sentimento che non riesco più a trattenere: «Bass, io... io credo di volerti bene. Dovrei odiarti, ma sento che a volte mi fai stare bene. Sei il mio bene, a modo tuo».

Fregandomene della flebo, mi avvinghio ancora al suo collo, stringendolo in un abbraccio che cancella ogni distanza, visibile e invisibile. Le sue mani, in risposta, risalgono sulle sporgenze ossute della mia colonna vertebrale. Le sue labbra raccolgono le mie, si modellano per un nuovo bacio e le lingue si rincorrono per unirsi.

«Cazzo Layla, anche un idiota capirebbe che ho p-perso la testa. Mi chiedo dove sia finito il mio autocontrollo» biascica, affaticato da una pioggia di ansimi.

Mi trascino sul suo lobo, lo mordicchio voluttuosa e faccio rivolare nel suo udito una confessione che voglio lo raggiunga nel magma dell'anima: «Starà su una spiaggia assolata di Santo Domingo con il mio, perché io, con te, l'autocontrollo l'ho perso da un pezzo».


«Ti p-piaccio sul serio, quindi?» Pesca conferme.

E io abbocco. «Mi piaci. Sul serio.»

«Cosa ti piace?»

«Tutto quello che mi hai mostrato.»

«Quanto ti p-piaccio?»

«Da morire, Bass. Mi piaci da morire.»

Riprende a baciarmi con una voracità ipnotica, a cui non so reagire se non con un bacio altrettanto affamato. «Ridimmelo, piccola.»

«Mi piaci da morire. Non sai che ti farei.»

Geme. «Che mi faresti?»

«Quello che voglio, quello mi chiedi, anche se dovesse essere estremo.»

Allungo una gamba per portarla oltre i suoi quadricipiti e mi do uno slancio. Mi ritrovo su di lui, distesa a cavalcioni, con il sesso umido sulla patta dei suoi pantaloni.

Avverto un dolore alla mano, ma non oso guardare come si sia spostata la flebo, perché ora, faccia a faccia, bocca su bocca, ho ben altro a cui pensare.

Le mani di Bass crollano con malizia sul mio fondoschiena, passando al di sotto dei pantaloni del pigiama. Le dita sfiorano la pelle nuda dei glutei, e il clitoride inizia a pulsare a un'intensità atroce, espandendo un formicolio che mi attraversa tutto il corpo. Mi esprimo in un gemito che vale come un grido a non fermarsi, a non lasciarmi più. Mai più.

Mi stringe le natiche, le schiaccia contro di sé e io, in risposta, piego il bacino e artiglio con prepotenza il colletto della sua giacca di jeans. Alcuni fili di pelliccia si staccano dalla stoffa, finendo sotto le mie unghie.

Siamo i figuranti di un'isteria lussuriosa e ci mescoliamo nell'ennesima sessione di baci furtivi, a un ritmo che non conosce coordinazione. A questo punto, un senso di vertigine si propaga in lui e arretra con la nuca, chiamando il mio nome con un ringhio rauco.

Lo intendo come una vera capitolazione.

Allora mi avventuro all'attacco, baciandogli la mandibola fino a scendere sotto il mento pruriginoso. Vivo abitata da un senso di sfrenatezza che prima non conoscevo. Gli lecco il profilo del collo e l'amarezza del suo profumo speziato si annida sulla lingua. Il groviglio dei suoi respiri asmatici è l'unico suono che assorda i miei timpani.

«Layla...»

Strofino la mia intimità contro la cerniera dei suoi jeans, sul punto di smagliarsi a causa di un'erezione che via via avverto sempre più bollente e incontenibile.

«Layla, così... così vengo, cazzo.»

Ah sì, Bass? Anch'io.
E farti godere si è trasformato in un obiettivo di vita.

I fianchi scattano ancor più sinuosi avanti e indietro, sospinti dalla mia potente eccitazione.

Fuori, però, si diffonde un vociare e cresce il rumore di passi che risuonano con una moltitudine di tacchettii.

«Layla...» mi intima afono, con le mani a risalire sino alla schiena, ma io non faccio che accelerare l'inferno della mia movenza, ansimando e gemendo come se lo stessi scopando.

«Se entrano, ci s-sparano. Bang b-b-bang, piccola» sillaba contro i miei denti dopo un breve ringhio di piacere. «Smettila.»

«Hai ragione, ma... non ci riesco. Fermami tu.»

Si avvolge i miei capelli intorno alla mano e li strattona, per riportarmi sull'attenti. Siamo ora occhi negli occhi. «Basta.»

«Ma mi vuoi, vero?» chiedo, senza respiro. So che è così, ma sentirmelo dire è sempre bellissimo.

Annuisce. «Se avessi c-continuato in questo modo, ti avrei messa sotto di me e per te non sarebbe stata una passeggiata. Poi, avrei dovuto far crollare l'i-intero ospedale, perché non potrei lasciare in vita chi si permette anche solo di ascoltare il s-suono dei tuoi orgasmi.»

La tenerezza con cui sussurra tali efferatezze mi infuoca, mi disarma, mi uccide.

Nel frattempo, tra noi cresce il silenzio.

Se ci penso, in effetti, questo potrebbe essere considerato un atto osceno in un luogo pubblico o sbaglio?

Non lo so, ma non nego che fare del sesso a queste condizioni di rischio mi alletta oltre l'indicibile.

Ho ormai smesso di muovermi, pur guardando con brama le sue labbra gonfie ed erose sotto i peletti della barba. Non accenno però a scostare l'inguine dalla durezza della sua eccitazione, perché non so quando mi ricapiterà di averlo così vicino a me. Come si può cristallizzare nei frammenti di tempo un vissuto in cui ad arrogarsi il diritto al respiro siamo solo noi due?

«Io mi m-maledirei se...»

«Se?»

«Se per colpa mia...» incespica, divergendo lo sguardo da me. «Se per c-colpa mia tu non potessi... Tu sei... fragile e io s-sono...»

«Incasinato con la tua ragazza, giustamente.»

«Incasinato, sì, ma c-con una ex.»

Tra loro è finita.
Ma... è una ex che si è arresa?

Sospiro, consapevole che, nonostante tutto, la bellezza di questa illusione stia fuggendo altrove.

«Facciamo q-q-qualcos'altro, per favore.»

Discendo dal suo corpo e mi volto, dandogli le spalle. Sento il mio petto stringersi all'idea che lui sia il protagonista di una storia così complicata. E questo pregiudica tutto per ora. Non possiamo essere una coppia, se i fantasmi del passato non si annientano. Deve risolversi, deve risolvere, e io dovrò aspettare, anche se di mio sono diventata una persona poco paziente.

Non mi scioglierò tanto presto nel piacere ad ogni ora di quei giorni e di quelle notti che per anni ho reputato insignificanti. Non potrò sconvolgergli quei capelli ben acconciati solo per dichiarare che ogni suo atomo mi appartiene.

E se ci fosse un ritorno di fiamma?

A quel punto, non potrò mai più sentire che armonia vitale produce quest'uomo placido come il mare in un clima di siccità, eppure turbinoso nelle azioni meno pensate. Una sbalordente rarità nel mio universo sempre banale.

Bass mi sfiora un braccio per tutta la sua lunghezza e questo basta a farmi tremare. Gli accarezzo il dorso della mano, facendogli capire che questo suo contatto è comunque gradito. Ho una guerra in testa. Una sommossa tra due acerrimi combattenti: il dovere da una parte e il volere dall'altra.

«Scusami» mormora, quando si accovaccia dietro di me.

«E di cosa? Non preoccuparti.»

«Mi p-preoccupo, invece.» Un palmo si inoltra ancora a massaggiarmi la parte sinistra dello stomaco e i miei occhi, per questo gesto premuroso, si gonfiano di lacrime.

Domani, Bass tornerà a non essere mio.
Domani, di tutto questo non esisterà più nulla. Lo ometteremo, forse. E sarà uno schifo.

«Ancora non mi capacito quanto sia fantastico e allo stesso tempo doloroso stare con te» scoppio, con il tono oscillante. «In questo momento vorrei urlare di gioia e poi piangere per lo strazio. Vorrei dirti di rimanere e poi di andare via per concentrarti su di te. Solo e unicamente su di te. E vorrei morire sotto il tuo tocco, ma anche supplicarti di startene per conto tuo, a riflettere. Mi sento tremendamente confusa, ma mi vibra l'anima. Stai pensando al mio stomaco, poi, e questo mi guarisce più di una medicina.»

«Ti fidi se q-questo stronzo pieno di colpe ti dice che anche lui ti vuole bene

Una lacrima rilascia le mie ciglia per precipitare sulla federa del cuscino. «Sì, altrimenti non saresti la mia medicina.»

«Ti voglio bene, Layla» bisbiglia con un soffio sulla nuca. «Te ne voglio davvero, al di là di tutto q-quello che ci circonda.»

Emetto un respiro poderoso e, disarmata, mi volto ancora per affondare nel suo torace. «Stai ancora un po' qui? Ci stai anche se piango e sorrido?»

«Tutto il tempo che v-vuoi, anche se piangi e sorridi. Almeno finché non mi arrestano.»

«Bass...» guaisco, perdendomi nel suo abbraccio.

«Ci sono, Layla.»

«Bass...»

«Ci sono.»

«Mio Dio...»

«Ci s-sono.»

«Non voglio dipendere dal tuo affetto, dal tuo corpo, dai miei desideri impossibili. Ho già vissuto tutto questo. Non voglio.»

«Non accadrà, te lo p-prometto» risponde, scoccandomi un bacio delicato sul capo. «Mi impegnerò a s-sistemare questa situazione in bilico, a costo di r-rimetterci tutto, anche me stesso.»

Ingoio il sale di altre lacrime cadute e chiudo gli occhi. Quando li riapro è già mattino, e di lui non rimane che il rametto di vischio lasciato sulla sua parte di cuscino. Una solitudine improvvisa mi ghiaccia il cuore e un brivido sopraggiunge al pensiero che sia dovuto fuggire per evitare che lo scoprissero. O forse l'hanno costretto ad andare via e io non me ne sono accorta.

«Piccolina?»

Sbarro le palpebre, guardandomi da una parte all'altra. La camera è vuota. «Banano?»

«Stanno per portarti la c-colazione e io mi sono nascosto qui» sussurra.

A fatica risollevo la schiena. «Qui dove?»

«Affacciati e g-guarda giù.»

Molti hanno i mostri sotto al letto.
Io ho il mio angelo: Bass.


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