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49 - Esaudire 🇫🇷

Vienna, Austria
9 anni fa

Cirque des Fleurs

Oliver

Era all'incirca mezzanotte e ci trovavamo nel cuore mondano della città, il Bermuda Triangle, tra le vie acciottolate di Rabensteig. I braü attorno a noi erano ancora animati, pieni di gente che sembrava fatta di eroina. Dalle porte socchiuse giungevano risate contagiose, musiche strane e il tintinnio festoso di grossi boccali di birra. Il clima ideale per festeggiare il ventunesimo compleanno di Namira, dopo aver fatto serata. Che darei per tornare a quei tempi.

Sul marciapiede, con le luci dei lampioni che illuminavano il suo consueto sorriso benevolente, si im­pegnava a spegnere le candeline infilate nei krapfen multi gusto che avevamo preso da Café Aida nel pome­riggio, noto per i suoi dolci deliziosi. Mandava baci nell'aria diretti a me, a Layla e persino a qualche pas­sante infreddolito che si fermava per farle gli auguri. Solo io battevo le mani, perché Fragolina reggeva il vassoio.

«La mia festa siete voi due, stelle mie» disse, riservandoci un occhiolino affettuoso.

«Avrei voluto prepararti una torta, magari qualcosa di speciale come un brownie a forma di corvo, ma la co­struzione della bici Favolosa mi ha preso tutto il tempo. Arsené mi chiama mastro Brunelleschi. Sostiene che sia autoportante» mi giustificai, staccando subito le candeline fumanti dai krapfen per impedire che la cera co­lasse sulla glassa. In seguito, ne addentai uno al marzapane, che esplose di crema dai buchi della pasta fritta, mentre con lo sguardo da ingordo puntavo già quello successivo alla crema di nocciole.

Layla, accanto a me, ne alzò uno con la glassa fucsia. «Questo? A che gusto è?»

«Al colorante E121» risposi con nonchalance.

«Ovvero?»

«Cocciniglia. In pratica insetti maciullati, Fragolina.»

«Ah. Tutte proteine, allora.» E lo portò alla bocca, contenta.

«Suona male» intervenne Namira, sorvolando sul nostro gioco di battute. Giocherellava con le candeline, ora seduta per terra, disponendole in cerchio sui ciottoli ghiacciati. «Non mi fa impazzire.»

«Cosa?» biascicò Layla.

«Si riferisce a me, dato che parla di pazzia» mi insinuai. «È così, madonna Mira?»

«Favolosa, mmh...» confermò la mia intuizione, con il broncio. «Ci vor­rebbe qualcosa di più fantasioso. È pur sempre una bicicletta che volerà. E se tu, a differenza sua, ti librerai in ritardo, non dovrai condannarti per il tempo perduto, ma lodare comunque il tuo impegno, Ol­lie.»

«Queste parole me le hai già dette» replicai, accennando un sorriso.

Layla, sempre con qualcosa da masticare tra le fauci, intervenne. «Ti sei fatto leggere le carte, per caso?»

«Qualche giorno fa» risposi. «Da quel che ho capito, diventerò milionario fabbricando pistole ad acqua.» Mi pavoneggiai per un istante, poi tornai serio e mi abbassai sulle ginocchia, vicino a Namira. «Se hai un nome più originale da proporre, ti ascolto.»

Smise di giocare con le candeline e posò i suoi occhi neri su di me. «Gli intrecci saranno rapidi e nervosi, ma la fabula lineare, piena di attrazioni giostraie che non avranno bisogno di biglietti. Si accenderanno davanti ai tuoi occhi» sembrò profetizzare con quella sua solita aria enigmatica. «Bici Fabulosa. Devi chiamarla così. E ti dirò di più: da questa notte in poi, creare neologismi dovrà diventare la tua unica preoccupazione.»

Layla sorrise e alzò il pollice. «Mi piace.»

Piaceva anche a me? Tantissimo, così come l'idea di dover costruire parole nuove da inserire in un vocabolario tutto mio. La prima che inventai fu "pipipisi". Mi apparve nella mente l'indomani mattina, mentre pisciavo e mi guardavo il pene.

Lorenzo si unì a noi, portando tre bicchieri fumanti tra le mani. Ce li passò, senza prestare attenzione a dove metteva i piedi. Purtroppo schiacciò la grande "o" che Namira aveva pazientemente costruito con le candeline ancora tiepide.

«Cioccolata calda per tutti. I soldi me li darete più tar­di, perché non ho intenzione di offrirvela» ci disse, quel tirchio orripilante.

Namira gli lanciò uno sguardo irritato e, probabilmente, anche il malocchio per quel suo involontario atto vandalico. «Ci hai messo un bel po' a tornare.»

Layla, appoggiata al muro, annuì. «Mira ha già spento le candele.»

«Davanti al chiosco delle bevande calde mi sono distratto a osservare qualcosa di sensazionale» Indicò un punto con il dito. Mi rialzai e seguii la direzione, cercando di capire cosa lo avesse trattenuto, ma vidi il nulla più assoluto.

«Hai incontrato Arnold Schwarzenegger, per caso?» chiesi, dubbioso.

Layla arricciò il naso. «Ma lui non sta in California?»

«Sì, ma è nato da queste parti» ribattei.

«E quindi?» riprese lei. «Che vuol dire?»

«Uno ci torna dove ha emesso il suo primo vagito, ogni tanto.»

«C'era un tipo con una Porsche cabriolet parcheggiata proprio lì, di fronte. Bianca come il latte, lucida» ci spiegò Lorenzo.

Namira sorseggiò un po' di cioccolata, prima di tornare a parlare. «E ti piaceva, giusto?»

«Come fa il lusso a non affascinare? Più qualcosa è fuori dalla propria portata, più...»

«La si desidera» concluse la spagnola, annuendo. «L'hai desiderata?»

Lorenzo corrugò la fronte, colpito dall'incalzare delle sue domande. «Ma stai ancora parlando della Por­sche?»

«Di che altro, sennò?»

Diedi un colpetto al fianco di Layla con il gomito, cercando di far confluire la sua attenzione sul dialogo che si stava sviluppando. Sapevo che sarebbe sfociato in qualcosa di ben più grande, un meccanismo che Namira proponeva ormai con una frequenza sempre maggiore.

«Allora, Lorenzo, l'hai desiderata?» richiese, con un tono provocatorio.

«Sì, l'ho desiderata. Avrei voluto salirci su quella vettura, okay?» rispose, visibilmente infastidito.

«E sia, dunque. Ti tocca» proclamò, allargando le braccia in un gesto di inevitabilità. I bracciali tintinnarono mentre pronunciò il suo vocabolo preferito: «Il contrappasso».

«Il... ?»

«Eh» mi feci sentire.

«Ma dove siamo finiti? Nella Divina Commedia?» Lorenzo ghignò con disprezzo, guardando prima Layla e poi me, come se cercasse la nostra complicità nel ritenere che Namira fosse un'invasata. Ma il mio sostegno non lo avrebbe mai avuto.

«Quasi. Dante Alighieri condito con un po' di assiomi biblici: mai desiderare la roba d'altri, amico mio» in­tervenni, con un sorriso divertito.

Layla, d'altro canto, quella notte non sembrò voler far parte della squadra. «Non credi che ora sia inopportu­no, Mira? È notte, è il tuo compleanno e...»

«Il tempo è propizio» tuonò lei.

Abbassando le spalle, Layla capì che era inutile cercare di fermar­la. D'altronde, secondo Namira il contrappasso serviva a incivilire l'uomo, ed era sempre il momento giusto per praticarlo. Le punizioni che infliggeva erano sempre proporzionate al peccato o all'errore commesso. Agiva per antitesi o per analogia, e lasciavano il segno.

Spiegai a Lorenzo a cosa si stava per sottoporre e, solo al termine delle mie dettagliate indicazioni, Namira rivelò il suo castigo: «Hai desiderato qualcosa, per la precisione una macchina non tua, allo­ra ora dovrei soddisfare un mio desiderio».

«Mi sembra un'idiozia» esclamò Lorenzo, passandosi una mano tra i capelli morbidi.

Cercò ancora il sostegno di Layla, che nel frattempo si era ritirata in silenzio, con le spalle curve e l'indole remissiva.

«Desidero contemplare le tue mani» continuò Namira, senza farsi intimidire.

«Dagliele» mi aggiunsi, perentorio.

Arcibuffa, quanto mi gasavo nei momenti in cui la nostra diva circense riusciva a far cagare sotto gli altri a suon di mirabolanti coercizioni.

«Fallo, amore, è per il tuo bene» sussurrò Layla, consapevole che solo l'attuazione del contrappasso avrebbe posto fine al disagio.

«E che farai? Ci vedrai il mio futuro?» chiese Lorenzo, esterrefatto.

«Voglio solo che tu me le dia» rispose.

«Te le do solo se mi giuri che le guarderai da Namira Serrano Garcìa e non da fattucchiera spara-bugie» insistette lui, e lei annuì. Quando stese le mani, le sfiorò delicatamente, fissandole in un rituale mutismo.

«E mentre la nostra donna divina realizza il suo desiderio, ora esaudisci anche il mio: mandami un bacio nell'aria» ordinai entusiasta, sperando di distrarre Lorenzo dalla lettura delle mani che in realtà Namira stava effettuando.

«Neanche se mi ammazzi.»

«Allora esaudisci quello di Fragolina, visto che è la tua ragazza» ovviai. Con le dita percorsi la linea della schie­na della mia amica, incoraggiandola. «Che desiderio vorresti che Lorenzo realizzasse per te?»


«Io, be'...» Layla esitò.

Malgrado il suo tentennamento, sapevo che c'era un sogno che ardeva in lei. Durante quei mesi di relazione, avevano trascorso molto tempo insieme e non erano mancati i battibecchi, molti dei quali eccessivi. Tuttavia, Layla amava condividere la sua vita con lui. Dubois li avvicinava ulteriormente nell'attività della spesa mensile e, in vista delle successive tappe austriache del Fleurs, stavano pensando di esibirsi in una performance condivisa che avrebbe messo in mostra le loro abilità all'unisono: le clave di fuo­co. Layla vedeva in quella idea una sorta di suggello che li avrebbe uniti per sempre.


L'eternità di un sentimento indissolubile: era questo il sogno segreto della mia amica.

Credeva nella favola dei legami durevoli, nonostante sapesse che con Lorenzo i presupposti non fossero ideali. Lui si rifiutava di amare e glielo ricordava ogni volta che gli dichiarava ciò che provava. Ne ero testimone: in risposta ai suoi «Ti amo», riceveva solo silenzio o, al massimo, un sorriso: miseri premi di consolazione in una gara persa in partenza.

Così, intimidita, quella notte azzardò: «Desidero il tuo amore».

Lorenzo chiuse le mani in pugni stretti. «Mai.»

Namira ed io ci scambiammo uno sguardo di velata complici­tà mentre la nostra ragazzina ingoiò un groppo di amarezza e iniziò a fissare l'orlo del suo bicchiere.

«Non puoi chiedermi di amarti, Layla. Ne abbiamo già parlato» continuò lui.

«Non te lo sto chiedendo. Lo sto solo desiderando» rimarcò.

«Non desiderare, allora.»

Quell'obbligo fu troppo difficile da digerire e scatenò in lei l'impeto di allontanarsi da tutti di alcuni metri. Lorenzo la seguì immediatamente. Lo fece per opportunismo, a mio avviso. Sebbene amare fosse difficile, fare affidamento su Layla in ogni circostanza gli faceva comodo, specie sotto le lenzuola. Non voleva perdere la sua fichetta, insomma.

Assicurandomi che fossero lontani e non potessero sentirci, smisi di fingere ed esplosi in un verso demonia­co. «Ci siamo, Mira. Interpretazione da dieci e lode. Gli abbiamo fatti litigare ancora. Il contrappasso funzio­na sempre.»

«Ne sei sicuro?» mi chiese con una smorfia scettica, mentre mi sedetti per terra al suo fianco.

«In caso contrario, niente panico: se Layla non dovesse lasciarlo ora, vorrà dire che attaccheremo ancora. E io ho un tremendo piano B.»

Sgranò le palpebre e sul suo viso comparve un alone di terrore. «Vuoi provare a ucciderlo?»

Ahah. Non l'avevo mai vista così spaventata, la mia madonnina. Sentiva già il peso di quell'azione criminosa sulle spalle, anche se non era stata ancora compiuta né annunciata. Le vennero di certo in mente le sbarre carcerarie, i processi, gli avvocati.

Io, invece, stavo godendo nel tenerla sulle spine. Mi presi persino un mo­mento prima di risponderle, affondando il mignolo in uno degli ultimi krapfen rimasti nel vassoio poggiato sulle sue gambe, dopo che Layla se ne era andata.

«Non voglio ucciderlo, no» biascicai e leccai un po' di crema al limone dal polpastrello.

Namira sospirò sollevata. «Per un attimo ho creduto che facessi sul serio.»

«Possiamo eliminare qualcuno senza eliminarlo davvero, se ci pensi» dissi, mentre mi venne in testa di farle uno scherzo: subito le macchiai una guancia olivastra con il mio dito sporco di saliva e zucchero. Ri­cambiò lo sgarbo con uno schiaffetto sullo zigomo e poi riprese a parlare come se nulla fosse.

«E, tecnica­mente, come si elimina qualcuno senza eliminarlo davvero?»

«La regina delle risposte che si fa schiava delle domande: è bizzarro, non trovi?» Le mie labbra si schiusero in una serie di risolini soddisfatti.

«A volte mi metti in difficoltà, lo ammetto. Ed è anche per questo che ti reputo importante.»

«E certo, santona! Ti sbatto in faccia i tuoi limiti!» replicai, divertito.

La conversazione stava prendendo una piega stimolante, che cominciai ad adorare. Macchinare la fine del giocoliere non poteva competere con il nostro modo di punzecchiarci e di creare allusioni dal significato am­biguo. In generale, era sempre piacevole parlare con lei, anche quando si finiva per discutere di sciocchezze. Persino un granello di sabbia poteva dare origine a lunghe digressioni. Le nostre estreme loquacità, mescola­te a una miriade di massime filosofiche e ai racconti delle nostre esperienze passate, erano diventati gli ingre­dienti principali della nostra amicizia.

«Sono importante, dunque» ripresi, inarcando un sopracciglio. «O... essenziale

Mi toccò un braccio e mi spintonò leggermente. «Non allargarti, uomo yankee. Rimani nei tuoi spazi.»

«Ho capito, è proprio così. Sono essenziale per te. Ma ci sta, voglio dire. Dopotutto, dove lo trovi un altro come me?»

«Oh-ooh. Ma quanto ego abbiamo qui?» fece dell'ironia.

«Quel tanto che basta per far esondare il Danubio, credo.» Mi atteggiai con un occhiolino seducente, inumidendo il labbro superiore con la lingua.

Lei si bloccò per un attimo a fissarmi la bocca e poi accennò un lieve sorri­so. Solo in quel momento mi resi conto che i nostri volti non erano mai stati così vicini.

Prima di allora non mi ero mai accorto di quanto fossero, ehm, carine le donne. Io avevo sempre e solo guardato gli uomini. Ma devo dire che Namira aveva un viso catturante, pieno di quelle caratteristiche iberiche rare da tro­vare altrove: occhi penetranti e naso lungo, con il ponte dritto e la punta rivolta verso il basso.


«Donami la tua arguzia, piuttosto, e usala per raccontarmi la tua idea geniale» mi distolse dalla strana con­templazione di lei in cui mi ero immerso e tornai a concentrarmi su quelle due grosse complicazioni umane: Fragolina e Belzebù.

«Il tuo dolcissimo, bellissimo e intelligentissimo diamante essenziale può liberarsi del matematico in un solo modo.»

«Quale?»

«Devo fingere di essermi innamorato di Layla.»

Un suo urlo si diffuse per la via, seguito da una risata esplosiva. «Ma è follia pura!»

«Lasciami fare, matta! Fidati, no?» Scoppiai a ridere anch'io.

Era tipica di noi quell'ilarità sintonica che ci pervadeva ovunque ci trovassimo. Trasformavamo tutto in un carnevale. Sembrava che Rio de Janeiro si muovesse tra i nostri addomi contratti, come se una miriade di ballerine brasiliane in perizoma danzasse sui nostri denti bianchi.


«Non funzionerà mai. Lo so io, lo sa Layla, lo sa anche Lorenzo» sentenziò. «E sai perché?»

«Perché?»

«Perché ogni giorno sbavi dietro a un uomo diverso. Non sei credibile» annaspò, massaggiandosi lo stomaco indolenzito dalle troppe risate.

«E invece lo sarò. Posso dirle che non so cosa io sia davvero nell'intimo del mio orientamento sessuale. A quel punto, la corteggerò fino a che non cadrà ai miei piedi. Peluche, cioccolatini, violini e serenate. Chiamo anche zia Celine Dion. My heart with go on e "Ciao ciao, matematico! Adios!"»

«È zia da parte di madre o di padre?» domandò.

«Madre, assolutamente» replicai, ridendo della mia stessa bazzecola.

Per asciugare le lacrime che il ridere le aveva strappato, Namira agitò una mano vicino agli occhi, le cui pal­pebre brillavano per via dell'ombretto ricco di pagliuzze dorate.

«Non pensi che sia un piano diabolico? Se ci fosse anche solo una minima possibilità di successo, Layla si innamorerebbe di te e tu non la ricambieresti davvero.»

«È un'ipotesi, sì» confermai, fissando la vista oltre il chiosco delle bevande calde, posto dove la coppietta dei drammi sembrava essersi riappacificata con un bacio. «Ma se per eliminare Lorenzo lei deve odiarmi, allora lo accetto.»

Namira seguì il mio sguardo, puntandolo verso di loro. «Il piano non mi piace, ti parlo sinceramente.»

«E a me non piace la premonizione che hai espresso a Rimini, l'anno scorso: c'è il rischio che Layla ci rimet­ta molto di più, ricordi?» Indicai la luna piena. «Quella là pretende di esserci, e qualcosa vorrà pur dire, Mira. Qualcosa che non possiamo comprendere, ma che ci terrorizza da mesi.»

«Vuoi davvero duellare apertamente contro il destino?»

«Sì.»

«Potresti perdere» dichiarò. «Noi stessi, stasera, abbiamo fallito con il contrappasso, visto che si stanno ba­ciando.»

«Non importa. Devo almeno provarci» dissi, deciso. «Hai letto le mani di Lorenzo poco fa. Che ci hai visto?»

«Una chiara difficoltà nell'affrontare le situazioni emotive, ma ho anche percepito qualcos'altro. O meglio, "visto".» Riportò lo sguardo sui miei capelli biondo rame, che cominciò ad accarezzare. Quella notte, a differenza di quanto accaduto in Slovenia, il suo tocco non mi diede fastidio. «Ho visto qualcosa che gira, ma in modo malevolo.»

Corrugai la fronte. «Che gira?»

«Una sorta di ruota.»

«La ruota di una macchina? Di un camper?»

«Sì, credo.»

«Bene, sono contento. Ma prima che Lorenzo schiatti in un incidente stradale, che facciamo? Continuiamo a proteggere la nostra Fragolina dai suoi pesticidi?»

Tentennò prima di acconsentire. «Tu innamorato di una donna: mi sa che dovrò comprare chili e chili di pop corn.»

Da quel momento, diedi il via a qualcosa che avrebbe completamente stravolto la mia intera vita.

All'epoca non potevo saperlo, e nemmeno Namira.

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