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37 - Ostacolare 🇫🇷


Lubiana, Slovenia
10 anni fa

Cirque des Fleurs

Oliver

Osservavo Layla ammirarsi compiaciuta davanti allo specchietto della trousse, riflettendo su come quel trucco così pesante la facesse sembrare molto più grande della sua età. Una vecchina. Una vecchietta. Una di quelle nonne che va a giocare al bingo nel fine settimana, tanto per fare un esempio.

Anche quella sera stava cercando di rendere il suo sguardo più seducente, tracciandosi una linea in stile egiziano sulle palpebre superiori. In quel periodo la chiamavo Cleopatra-Fragolina, chi se lo scorda. La matita, ben temperata, le avrebbe assicurato un buon risultato, se non fosse stato per Na­mira che, con il suo incessante borbottio, sembrava volerla distrarre a tutti i costi.


«Gli Arcani hanno parlato, le mie premonizioni pure. Cosa c'è di così difficile da capire?» continuava a ripe­tere con un'intonazione esasperata, allargando le braccia al massimo. I suoi bracciali d'argento, i baciamano a doppio giro e gli anelli dai coralli appuntiti producevano una melodia squillante. Quando una delle sua pa­tacche più vistose si staccò dalla catena del bracciale e cadde con un tonfo potente sul pavimento, Layla sobbalzò e le linee del trucco si spostarono dalle palpebre verso le tempie, conferendole un'espressione decisamente farsesca. Esplosi in una risata che mi partì dallo stomaco mentre lei si alzò di scatto, facendo indietreggiare lo sgabello su cui era seduta.

Puntandosi il dito sul viso, sbraitò imbestialita contro Namira. «Ecco, ora sembro Ramses, sei contenta?»

«Esatto!» rispose allarmata, raccogliendo la patacca caduta. «Lorenzo ti mummificherà se non chiuderai su­bito questa storia.» Poi mi lanciò uno sguardo preoccupato. «Stella mia, por favor, diglielo anche tu.»

Feci spallucce. «Boh, su quella carta dei Tarocchi che prima hai mostrato a Cleopatra-Fragolina c'era un fallo grande quanto la ciminiera della centrale termoelettrica di Trbovlje. Suppongo che il rischio – o il piacere – di pren­derselo nel sedere sia molto alto» risposi, scherzando.

All'epoca, neologismi come "pisipisi" e "culettonsis" ancora non esistevano. Avevo la fantasia atrofizzata. Dopotutto, Sbrodolo era nato solo tre mesi prima.

«Era un fagotto appeso a un bastone» mi corresse Namira. «Alla carta del Matto bisogna stare attenti. Lui pe­regrina senza avere in mente una meta precisa.»

«Suvvia, quella carta può significare qualsiasi cosa!» intervenne subito Layla, estraendo una salvietta struc­cante dalla sua pochette glitterata. Tamponò il trucco in eccesso, ma si fermò non appena il riflesso del viso scuro dell'amica non apparve nello specchio.

«Sì, ma cos'è che ti ho sempre detto sul Matto?» la interrogò.

«Che simboleggia un nuovo inizio, il passaggio dal vecchio al nuovo» rispose, piuttosto seccata. «Lorenzo è la mia novità, cosa c'è di sbagliato in questo?»

«Già» mi aggiunsi, allungandomi verso il tavolino per recuperare il tubo delle Pringles. «Non ci hai sempre detto che l'inizio di un nuovo ciclo porta con sé sfide che possono risolversi a nostro favore?»

«È così, ma i nuovi progetti, i viaggi e persino le avventure sentimentali mutano nell'esito se la carta del Matto viene estratta capovolta» chiarì Namira, muovendosi avanti e indietro dal fondo del camper fino ai se­dili di guida. Io, intanto, dopo aver scoperchiato le Pringles, annusai l'odore della paprika e per un attimo mi sembrò di essere di nuovo in uno dei diner di Milwaukee. «E tu, Braskite, stai giocando col fuoco. Il Matto capovolto indica amori sbagliati. Sciagure.»

«Nessuno ha mai detto che con Lorenzo sarà per sempre, Mira» ribatté, alzando la voce.

«Ma tu speri che lo sia!»

«Io voglio solo finire di sistemarmi questi dannati occhi e... passare la notte con lui.» Si girò verso di noi, in­clinando la testa di lato. «Posso vivere? Mi lasci vivere?»

A giudicare dall'espressione corrucciata, Namirella non sembrava affatto convinta. «Cadrai vittima dell'esta­si» decretò, prima di venire a sedersi accanto a me sul divanetto. Senza dire nulla, iniziò ad accarezzarmi la fronte con un gesto che inizialmente sembrava innocuo, quasi automatico, ma che, con il passare dei secondi, divenne sempre più pressante e insistente.

«Scusa, Mira, ma che sono diventato? La tua pallina anti stress?» borbottai, cercando di staccarmi da lei. «Mi fai mangiare le patatine in santa pace?»

Lei non rispose. Era concentrata sulla nostra bambina lituana, che nel frattempo si era avvicinata per dirle: «Starò attenta. Fidati di me e sostienimi».

Layla era un confettino di quindici, sedici anni all'epoca, con due tette giganti e il viso grazioso come quello di una modella di pigiami. Un po' incosciente, di certo spensierata. Si ostinava a volerci far capire che la vita era sua e che poteva gestirla come più riteneva opportuno. Con i nostri consigli si puliva l'orefizio, detto in parole povere. Non c'era nulla che potessimo fare per dissuaderla dal ragazzo sbagliato, e lo compresi solo in quel momento. Anche Namira afferrò lo stesso concetto e manifestò la sua resa con un sospiro. «Amen. E sia.»


«Lorenzo, in fondo, mi vuole bene. Io ci credo.» Layla si inginocchiò, sfiorando delicatamente il dorso della sua mano, che intanto si era radicata nel mio cuoio capelluto, ora eccessivamente torturato dai suoi tocchi.

«Tu ci credi solo perché lo ami, e questo ti renderà avventata e cocciuta.» Fece una pausa e mascherò l'inquietudine dietro un sorriso debole. «Ad ogni modo, dove ti porta questa sera?»


«Lo so io! Lo so io! Lo so io!» strillai, preso dal mio abituale slancio da pettegolo.

Ma Layla fu più rapida a rispondere. «Un conoscente di Lorenzo del Cirkus Fuskabo ci ha lasciato casa libera. Si trova vicino piazza Prešeren. Ha un magnifico balcone dal quale si vede il Triplo Ponte.»

«E a Mantas e Gaja? Cos'hai detto?» chiese Namira, in tono preoccupato.

«Non potevo dirgli che passeremo la notte insieme. Altrimenti ne avrebbero parlato con i Fabbri e...»

«Oh-oh.» Mi ritrassi, rannicchiandomi sul materasso.

«E... ?» continuò Namira, alzandosi in piedi. Si diresse verso la zona adibita al trucco e prese la matita nera. Tornò poi da Layla, invitandola a sollevarsi. Le si mise di fronte, le soffiò sugli occhi e, come una brava so­rella maggiore, iniziò a tracciarle con attenzione le righe egiziane che tanto lei aveva desiderato.


«Sapete come sono i genitori, no? Non sarebbero tanto contenti di saperci a fare del sesso» riprese Layla.

«Oh-oh» esclamai, di nuovo, immaginando che Layla quella volta mi avrebbe fatto a pezzi. Era già tanto che non mi avesse disintegrato in tutte le occasioni nelle quali l'avevo svegliata di soprassalto a causa delle crisi notturne del pavor.

«Hai inventato una scusa, quindi» dedusse Namira e lei annuì.

«Un anno fa ero qui a frequentare la scuola, ricordi? Ho detto loro che sarei andata da Darja. Una sorta di rimpatriata con un pigiama party.»

«Ehm... oh-oh.» A quel punto sogghignai imbarazzato, chiudendo il tubo di patatine. «Ragazze, ho combina­to un casino.»

Le due scattarono a guardarmi con un accenno di terrore nelle espressioni dei volti.
Ahah, quanto erano bel­line. Con gli occhi sgranati sembravano due Gremlins.

«Cosa intendi dire?» mi chiese Layla.

«Qualche ora fa ero con Mantas e Simone a bere una tazza di caffè e... e il mio sembrava corretto con dell'alcol. Forse c'era lo Slivoviz, che ne so, sta di fatto che ho cominciato a fare lo stupido.» Risi a scatti, in­dicandola. «Loro parlavano dell'accoppiamento degli stambecchi e mi siete venuti in mente voi. Ho detto che stavate per accoppiarvi a casa di quel tipo del Cirkus Fuskabo!»

«Cazzo, no! Non puoi avermela fatta anche questa volta!» Sconvolta e delusa, Layla per poco non scoppiò a piangere. «Era un segreto!»

«Okay, quando mi fucilerai?» le domandai. «Così mi preparo già da ora alla fuga per raggiungere Gomorra, dove mi aspetterà il pullman per l'inferno. Trascenderò, saluterò Satana e gli confesserò le mie poche buone azioni, pentendomi. Lui ne sarà felice e balleremo insieme per l'eternità.» Guardai la nostra spagnola del co­razón. «Mira, pensi che al diavolo piaccia il flamenco, eh? Mira? MiraMiraMira?»

E lei rise subito divertita, posando una mano sulla bocca per non mancare di rispetto a Layla, che nel frattem­po si tirava indietro i capelli biondi con le dita tremanti, passeggiando senza meta per la sua dinette. Trabal­lammo tutti, perché il suo passo era marcato e furioso. Sembrava di stare su un trattore a folle velocità. «Quindi, quindi mio padre... mio padre... lo sa?»

«Signorsì» risposi, mimando il saluto militare.

«Perché? Perché dirglielo?»

«Boh, così mi ha detto il cervelletto. Tuo padre ha però consigliato a Simone di comprare un pacco di preser­vativi da dare al figlio. Che vuoi di più?» mi discolpai, distaccando la schiena dal cuscino. «Dovresti ringra­ziarmi.»

«No, che non ti ringrazio. Sei un puttano

Fu la prima occasione in cui Layla mi chiamò così e da allora non ha mai smesso. Usa questo soprannome ogni volta che la faccio arrabbiare, e devo dire che mi piace. Mi dà un hallure da donna dissoluta.

Per fortuna, non avemmo modo di prolungare il nostro dissidio, visto che Lorenzo arrivò a disturbarci al camper. Era venuta a prenderla, bleah. Layla mi diede uno schiaffetto sulla fronte, poi baciò le labbra di Na­mira e, in fretta, si dileguò con lui nel nulla, alla ricerca di quel luogo romantico dove la sua fichetta gentile avrebbe incontrato una proboscide bitorzoluta per la prima volta.

Poco dopo, nel parcheggio delle vetture, la spagnola ed io ci chiedemmo come sarebbe andata tra i due. For­se bene, forse male, ma di una cosa eravamo certi: Layla, un giorno, avrebbe inevitabilmente sofferto, perché con persone anaffettive come Lorenzo non poteva andare diversamente. Due mesi prima, Luigi Casadei gli aveva inflitto il colpo di grazia, e da allora non era stato più lo stesso. Sembrava che una patina di sterilità lo avesse avvolto. Non che prima fosse tutto questo Carnevale di Rio, ma almeno era salvabile.

Appesantito dall'inettitudine, cominciai a prendere una direzione diversa da quella di Namira, quella per tornare alla mia roulotte a prepararmi per la notte. Tuttavia, prima di allontanarmi ulteriormente, mi fermai nel bel mezzo del nulla e mi voltai. «Ehi, Mira.»

Sebbene distante ormai di molti metri e persa nelle sue riflessioni, riuscì a percepire la risonanza del suo nome. Si fermò e mi dedicò uno sguardo profondo.

«Sono con te» affermai. «Ti appoggio, ti sostengo.»

Queste parole sciolsero in lei alcuni nodi. Lo capii dal sorriso che mi dedicò in risposta. Non avevo adoperato la mia bocca larga da lordo infame a causa di un liquore, né per un discorso sugli stambecchi. Avevo solo tentato l'impossibile per salvare la stessa persona per la quale lei ed io eravamo entrambi preoccupati.


«È per questo che hai detto a Mantas della loro scappatella?»

Annuii, infilando le mani nelle tasche del mio jeans da rapper. «Speravo la chiudesse in camper a vita, ma così non è stato.»


«Non importa. Hai comunque fatto la tua parte, e ti ringrazio.» Si strinse il poncho di lana sulle spalle e iniziò a camminare verso di me, accorciando la distanza che ci separava. Da vicino, con il vento che ci scompigliava i capelli, mi sembrò quasi di cogliere la profondità della sua anima riflessa nelle iridi scure.

Anche lei vide qualcosa in me. «Sei un diamante, lo sai?»

«Lo so!» No, non lo sapevo in realtà, ma alzai il pollice e mi stampai in faccia persino un sorriso da spot pubblicitario.

«Il Diamante, durante una tempesta di pioggia, sarà baciato dalla sua anima gemella. Il Diamante, un giorno, non sarà più solo» profetizzò con una sicurezza agghiacciante ed io rabbrividì.

Ancora oggi, a quasi dieci anni di distanza da quella sera, durante ogni perturbazione climatica penso alla sua premonizione slovena.

Nessuno mi ha mai baciato sotto la pioggia.

Forse non riceverò mai quel bacio bagnato, ma non im­porta, perché l'idea che il suo dono abbia fatto cilecca proprio con me mi fa scompisciare.

Dopo la sua premonizione, divenni serio. «Leggimi le mani, Mira, o usa le carte. Scegli tu il metodo, ma svelami altro sul mio futuro.»

Lei assunse un'espressione esterrefatta. «Ora?»

«Ora.»

«Lo vuoi davvero?» riprese.

«Lo voglio.»

Quello che mi raccontò scrutando le linee dei miei palmi, be'... indovinate? Non l'ho ancora capito. Lo capirò mai? Ne dubito. Namira, quando faceva la veggente di Medjugori, era tanto affascinante quanto incomprensibile.

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