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35 - Creare


Bass

Gli spettatori, seduti sulle gradinate, si uniscono con entusiasmo al canto di Namira, battendo le mani per seguirne la melodia. Nel frattempo, gli artisti del Fleurs si avvicinano alla pista e si inchinano per i saluti. Anche Layla, con un body strizza-culo – e che culo – partecipa alla festa, roteando le fiaccole ardenti dietro la mimatrice.

Al termine dell'ultimo ritornello, le clave di Lorenzo si infiammano con il suo fuoco e i due si guardano... in­namorati? Un po' drogati? Mmh, non saprei.

Molti coriandoli cadono dal soffitto, alcune ballerine piroettano ai lati e l'allegria diventa contagiosa. Lo spettacolo finisce, la vita continua. Ma dopo aver visto il circo, ci si sente forse un po' più liberi, pervasi dalla convinzione che molte difficoltà possano essere superate con un pizzico di coraggio e un sorriso un po' più ostentato.


Wow-wow.
Che massima filosofica ho appena tirato dal cilindro?

In fondo, è proprio così. La vita è un continuo fluire, anche se ora mi trovo sospeso nei ricordi di un passato mai vissuto, con il computer davanti agli occhi e YouTube in riproduzione.

Ho saputo da Corinna di una can­zone famosa con cui il Fleurs chiudeva i numeri e del motivo per cui è stata tolta dal loro repertorio: con la malattia della spagnola, anche quella musica ha perso di forza.

Essendo il re dei curiosoni, ho voluto ascoltarla. È bellissima e Dubois ha ragione: il suo circo non è stato solo un circo, ma arte estrema, e quella massima espressione si manifestava in Namira, la diva con un microfono ad archetto sulla guancia che un tempo cantava il giubilo.

«Una p-p-p-ppperdita enorme» bisbiglio e subito impreco contro me stesso. Che parlo a fare se sono solo al van? È uno spreco di fiato visto che balbetto come un pinguino, ammesso che loro balbettino come il sottoscritto.

Tornando alle cose serie, penso che anche al Carovana Namira avrebbe fatto la differenza.

Sarebbe possibile ripristinare il suo carisma? O, almeno, recuperare una parte della magia speciale che ho percepito con dei bri­vidi sulla pelle ascoltando il brano da YouTube?

Non ho più tempo per riflettere. Un trillo mi avvisa dell'arrivo di un messaggio. Così lascio il mouse, prendo il telefono dal tavolo e digito il codice per sbloccarlo: 110907.


LAYLA:
buongiorno, ladro di sigarette.

BASS:
mi piace.
Potrebbe diventare il mio nuovo lavoro. 😛

LAYLA:
che altro sai rubare, ladro?

BASS:
tutto quello che mi diverte rubare.

LAYLA:
ladro.

Ahia. Ripete questa parola un po' troppo spesso. Per esperienza posso dire che quando le donne insistono su un dettaglio che tratti con leggerezza, è perché ti ci devi soffermare. Mi gratto un sopracciglio, poi torno a scrivere.

BASS:
ma sei ancora arrabbiata? 😨

LAYLA:
certo!!!!
Ti ricordo che ho speso dei soldi per comprarle. Soldi attinti dal MIO stipendio!!!!

Sì, è chiaro. La mocciosetta oggi ha voglia di prendermi a calci in culo.

BASS:
fai finta di avermi fatto un regalo.

LAYLA:
mi ridai le Camel?

BASS:
no. 😍

LAYLA:
permettimi di dirti una cosa allora, anche se sei il mio capo.

BASS:
che come ti tormento io, nessuno? 🔥

LAYLA:
che sei un banano.

Banano?

I miei occhi saettano sul cestino della frutta, posizionato vicino ai fornelli. Eccone una, lunga, gialla e stupi­da, sopra una quantità infinita di pere.

BASS:
no, ti prego. Mi offendo. 😢

LAYLA:
ridammi le sigarette e ti chiedo scusa. Forse.

BASS:
okay. Ci penso.
Ci sto pensando.
No. 😍

Passano alcuni secondi durante i quali mi convinco che, in fondo, le banane diventano deliziose quando sono mature. Si abbinano praticamente a tutto. Io lo stesso, vero?

Passa poi un minuto. Le banane mi piacciono sempre, ma di Layla nessuna traccia.

BASS:
ehi?

Niente. Non risponde.

BASS:
oh!

LAYLA:
che c'è?

BASS:
mi hai bloccato?

LAYLA:
ma se ti sto parlando!

Madre santa, è vero. Ecco la mia figura di merda del giorno. Non ne avevo ancora collezionata una. Mi sven­tolo una mano davanti al viso, perché sto sudando fino all'osso sacro. Devo tergiversare. Parlare di qualsiasi cosa che non mi faccia sembrare un rincoglionito.

BASS:
sai che faccio ora?
Creo un origami a forma di sigaretta e te lo regalo. Potrai fumare quello, per finta. 😀

Pessimo modo di tergiversare. Ora le mando un cazzo di fiore. Dove si collocano i fiori sulla qwerty? Scorro la carrellata delle emoticon.
C'è una pecora bianca e non c'è un fiore?
Va bene, le mando due file di pecore. Sono carine, in fondo.

BASS:
🐑 🐑🐑🐑🐑🐑🐑
🐑🐑🐑🐑🐑🐑🐑

Ho appena trovato i fiori... dannazione.

BASS:
🌹 🌻 🌼 🌸 💐 🌺 🌷

Passa un minuto.

BASS:
hai visto che bella giornata fuori? ☺️

Passa un altro minuto.

BASS:
ci sarai alle prove degli acrobati più tardi? ☺️

Altri trenta secondi.

BASS:
ehi? Sei sparita.

Altri venti.

BASS:
e comunque, buongiorno anche a te da parte di un... banano. 😢

Basta. Getto la spugna.

Mi ritrovo a scorrere indietro la nostra conversazione e... le ho davvero mandato un quantitativo industriale di pecore e fiori?

Quanti passi verso una confidenza più stretta abbiamo fatto dal sequestro delle sigarette di quella notte, dalla condivisione di una saracinesca e da un abbraccio? Parecchi. O forse non possono definirsi nemmeno passi, ma corse rapide verso chissà quale traguardo.

Que­sti pensieri mi rosicchiano la mente come bruchi nell'insalata, mentre aspetto la sua risposta, che tarda ad ar­rivare. Non dovrei stare qui a fissare il telefono con le dita pronte a digitare ancora; non dovrebbe neppure scalfire la mia tranquillità una cosa che, in realtà, non merita reazioni: Layla non è più online, cazzo.

Si sarà indispettita in maniera irreversibile? L'avrò annoiata?

Preferisco pensare che abbia problemi di connessione, così esco dall'applicazione e rientro, sperando di tro­varla a scrivere. Tutto sembra funzionare. Ma Layla non torna.
Esco dall'applicazione e rientro.

«Gesù Cristo, ferma questa cosa. Non p-posso interessarmi così.»

Voglio solo che si riconnetta.

«Gesù Cristo.»

E forse che si rimangi quel banano a suon di altri scontri e battute.

E se adesso fosse impegnata a litigare con qualcuno che non ha neanche la parvenza di un banano come... Lorenzo?

Esco dall'applicazione e rientro.

Esco dall'applicazione e rientro.

Esco dall'applicazione e rientro.

«Gesù Cristo» sussurro debolmente e nel frattempo apro la sua foto profilo a tutto schermo. È un selfie scat­tato con Oliver al mare. Faccio scivolare le dita sul viso di Layla e lo ingrandisco, concentrandomi sui punti­ni color caramello che macchiano persino il contorno del suo labbro superiore. Non avevo mai visto tante lentiggini tutte insieme e le ho zoomate così esageratamente che la sua bocca sembra essere a grandezza na­turale. Per poco non mi ritrovo a trattenere il fiato. Il quarto "Gesù Cristo" lo esprimo semplicemente battendo un pugno sul tavolo. E non sono neanche credente.

La porta del camper si spalanca con un rumore secco e vedo Scarlett entrare di corsa. Si dirige qui, verso il tavo­lo, dove afferra il borsellino delle penne che aveva dimenticato. Dopo aver bloccato lo schermo, posiziono il telefono accanto al computer, mentre un pensiero mi assale e mi fa corrugare la fronte. «N-non dovevi essere già a scuola?»

«Entrerò più tardi» risponde, con il respiro ancora afflitto dalla corsa. «Ti prego, non dirlo alla mamma.»

«D-d-dove sei stata?» insisto.

«Sono rimasta al foyer» spiega, abbassando lo sguardo.

«E...» Osservo l'orario sul desktop. «Hai passato più di un'ora e m-mezza a fare colazione?»


«Ho perso la cognizione del tempo» ammette, facendo spallucce. «Ho guardato alcuni video, poi è passata Claudine e poi... poi sono arrivati altri. Giuro che domani mi iscrivo al club dell'asocialità, così non farò più ritardo.»

«Sarebbe d-decisamente una scelta saggia.»

Scarlett si avvicina e mi scocca un bacio leggero sulla tempia, come se volesse compensare così la sua man­canza. Poi si volta verso il monitor e legge ad alta voce il titolo che appare: «Jubilé - Cirque des Fleurs».

«"E cantalo, canta il giubilo. E urlala, urla la felicità. E gridala, grida l'allegria": m-mi è entrata nel cervello. E lei, c-concentrati su di lei.» Pigio un polpastrello sul quindici pollici, tanto da formare un alone luminoso in­torno al viso di Namira. «È wow!»

«Si tratta della mimatrice morta di leucemia?»

Annuisco. «La voglio qui, a-al Carovana.»

Scarlett mi lancia uno sguardo scettico, sollevando un sopracciglio. «E da quando hai il potere di resuscitare i morti?»

«Non ho quel potere, ma u-ultimamente ho b-b-buona inventiva» ribatto. «Lo sapevi che i loro spettacoli ter­minavano sempre con questa canzone?»

«Sì, lo sapevo» risponde. «Cosa intendi fare?»

«C-comincia a studiartela, sorellina. Se riesci, imp-imparala a memoria.»

Si zittisce improvvisamente e noto il suo viso diventare pensieroso. Con uno sguardo più attento, scopro una piccola imperfezione. «Hai la g-guancia sporca di cioccolato.»

«Io?» Si rivitalizza, sorridendo imbarazzata.
Subito si allontana per prendere un fazzoletto da uno dei cassetti. «Com'è che fa?» mi domanda, dopo essersi ripulita a dovere. «"E cantalo, canta il giubilo. E urlala, urla la felicità. E gridala, grida l'allegria"» canta sottovoce. «La imparerò, te lo prometto.»



Layla

Sotto il grande tendone l'aria vibra di energia creativa. Le luci calde del tardo mattino irrompono attraverso gli spiragli del tessuto, soffermandosi sui volti concentrati di noi del Fleurs, intenti a perfezionare i nostri nume­ri.

Si respira la consueta atmosfera, pregna di quella profonda dedizione che sfiora ogni evoluzione, ogni gio­co di prestigio, ogni singolo gesto. Eppure, in mezzo a questo melodico fervore, c'è qualcosa che stona: Ol­lie.

Non si impegna, non collabora come fa di solito, e io so bene perché. Dopotutto, siamo a fine novembre, giusto?

«Odio il giovedì, odio questo giovedì. Avete idea di che giorno del pisipisi sia?» sbraita, passandosi nervosa­mente una clava di Lorenzo da una mano all'altra.

Ora, purtroppo, non ho né il tempo né il modo di rasserenarlo. Mi è venuta in mente l'idea di aggiungere un po' di funambolismo al mio numero, perché sì, a volte sono una pazza spericolata. Mi sto esercitando dura­mente, e per imparare le tecniche ho chiesto aiuto al caro Ernest, che, nonostante sia specializzato in un'altra disciplina acrobatica, ha deciso di affiancarmi in questa mia ennesima impresa avventata.

Mi ritrovo già in piedi su una barra di legno, montata su due sostegni al centro della pista. Sorreggo una fiac­cola spenta in una mano, mentre con l'altra mi aggrappo alle dita che Lorenzo mi offre dal basso come sup­porto. La bestia vomitevole ha preso momentaneamente il posto del trapezista francese, richiamato da Dubois per risol­vere alcuni problemi con delle pertiche scomparse proprio poco fa.

Sento il legno scricchiolare sotto di me mentre mi muovo lentamente. Il mio equilibrio è precario, ma mi concentro sul mantenere la postura corretta. Con un gesto de­ciso, sposto la fiaccola e la lascio scivolare lungo la barra, simulando un'abile acrobazia. Ahimè, calibro male il mio peso e per poco non precipito a terra.

«Fai schifo. Sei incerta, disturbata. Devi andarci piano. Non puoi guardare continuamente in basso» mor­mora Lorenzo, con la sua solita vena di sufficienza.

«Dicendomi che sono disturbata non mi aiuti!» ribatto dall'alto, trattenendo il respiro per non perdere l'equili­brio che a fatica ho ritrovato, mentre compio altri passi sulla barra.

«Non mi piace tenerti la mano.»

Vedessi a me, bestia.
Per poco non mi viene l'orticaria.


Per tutta risposta, gli stringo il palmo con maggiore fermezza. «Ancora un giro. Stai qui.»

Ollie, infastidito, esplode: «Arcibuffa d'un minotauro! Ma mi state ascoltando?»

Si gira su se stesso, facendo ondeggiare la parrucca verde che gli ingrossa la testa. Un ricciolo crespo si spo­sta dalla palpebra, esponendo completamente l'occhio nero. Accidenti. Fa paura.

Lorenzo, richiamato dalla sua protesta, lo osserva e nota subito quel piccolo dettaglio inedito sul suo volto. «Che hai fatto lì?»

Ollie lascia la clava e si copre la parte cerchiata dai lividi con una mano. «Nel cuore della notte ho avuto un incontro di kick boxing con me stesso. Ti dà fastidio, Belzebù?»

«Ci stiamo aggravando, Oliver» commenta Lorenzo, in tranquillità. «Sai che per sconfiggere l'autolesioni­smo c'è bisogno di uno strizzacervelli?»

«Non avrà visto uno sportello aperto mentre aveva uno dei suoi attacchi» lo difendo. «Non inveire. Sei tu che stai aggravando la situazione.»

Ollie soffre di pavor nocturnus, un disturbo del sonno che provoca episodi di intensa paura o terrore durante la notte. Non è solo un problema infantile; può persistere anche in età adulta. Durante le crisi si sveglia di soprassalto, con il cuore che batte forte e una sensazione di sconvolgimento che spesso non ricorda al risve­glio. È quello che è successo ieri.

«Quest'occhio fa un male cane, ma sapete che c'è? Fa più male pensare che oggi sia il giorno del Ringrazia­mento. Fa più male immaginare quel fariseo di mio padre seduto a tavola a riempirsi la pancia di tacchino.» Il mio amico si inginocchia, poggia i gomiti sulle cosce e chiude il viso sofferente tra i palmi. Che disdetta. Il passato tor­na sempre a bussare inesorabile alle porte del nostro presente. Lo fa con me, lo fa con lui, e ogni volta ria­pre ferite che sembravano chiuse.

«Tuo padre ne farà indigestione. E non se la passerà bene quando si siederà sul cesso, vedrai» dico, cercando di strappargli un sorriso. Ma proprio in questo momento, mi sbilancio più del dovuto e mi ritrovo a barcollare. Lorenzo non fa neanche lo sforzo di trattenermi, e sono costretta a piegarmi anch'io sulle ginocchia, ab­bracciando immediatamente il legno sotto i miei talloni per non cadere. La fiaccola rotola giù in pista, e io ri­mango qui, accovacciata, con il respiro accorciato dallo spavento.

«Ma non festeggiavate il Ringraziamento anche voi, anni fa, con una cena a base di Pringles e malocchi "na­miriani"?» interviene Lorenzo, con un sorrisetto che palesa scherno.


«Preferirei che non ne parlassi, grazie» lo ammonisce Ollie. «Oggi è già abbastanza difficile. E senza Mira, lo è ancora di più.»


«Voi eravate completamente dipendenti da lei, e ora siete spacciati» ribatte la bestia, rincarando – con evi­dente piacere – la dose. «Mai appoggiarsi agli altri, lo dico sempre. Da soli è meglio. Bisogna farcela con le proprie forze.»

Ollie, irritato, richiama la mia attenzione. «Le senti anche tu queste scosse telluriche, Fragolina? Sono terremoti genera­ti dalla rara e odiosa loquacità di Belzebù, per caso?»

Ma Lorenzo non si placa. Non si ferma. Si sfila la felpa azzurra, rimanendo in una maglietta leggera che ade­risce al suo petto asciutto prima di tornare a esporre le sue tesi. «Avevate consegnato la vostra vita nelle mani di una ciarlatana. Vi nutrivate dei suoi oracoli e, quando infrangevate le regole, accettavate persino le sue punizioni. Ebeti! Invertebrati! Senza di lei non sapevate nemmeno camminare. Prima i tarocchi e i tali­smani, poi tutto il resto. È sbagliato.»

«Sì, forse c'era un po' di dipendenza» ammetto, cercando di mantenere la calma. «Ma oltre questo, tra di noi circolava il bene.»

«Giusto, parliamo di dipendenze e tossicità» esplode Ollie in un falsetto tagliente. «Perché voi due siete tor­nati a sorseggiare il caffè insieme?»

Eh?

Queste parole mi colpiscono come una stilettata, e l'istinto mi spinge a lanciare a Lorenzo una serie di oc­chiate mefistofeliche. Lui si avvicina a me con un sorriso soddisfatto, sedendosi agilmente sulla barra.

«Caf­fè? Quale caffè?» pretendo di sapere, sentendo il sangue ribollire. «Che gli hai detto?»

«Niente» risponde sarcastico, alzando le mani in segno di finta innocenza. «È stata Namira a parlare, dal re­gno dei morti.»

Che barbaro che è. Sulla sua morte fa pure ironia. Deve ringraziare Bass se non lo strozzo, perché il suo arri­vo al tendone mi distrae completamente.

E che arrivo, porca pecora.

È a petto nudo, con un tappeto di addominali così scolpiti da far invidia a qualsiasi surfista in cerca di onde. I suoi pettorali sono ben definiti, ma non eccessivi, e i bicipiti venati in pump, con quei due tatuaggi stilizzati che mi mandano in tilt. La bandana è sempre sui suoi capelli fluenti. I pantaloni ginnici e sgualciti indicano che deve aver finito di allenarsi con i pesi da poco. Vorrei urlare come una fan davanti al suo attore preferito, ma mi trattengo.

Si inoltra all'interno salutando tutti i dipendenti che incontra e poi fa capolino vicino all'asta, dove siamo noi. Ollie lo osserva con ostilità, Lorenzo lo saluta tramite un cenno del mento, e io mi tiro su, desiderando di passare il resto della mia giornata con lui.

Universo, ascolta: può essere questo colosso di quasi due metri a darmi ripetizioni di funambolismo, anato­mia genitale, paso doble e di qualsiasi altra disparata disciplina di cui abbia una minima conoscenza?

Manifesto.
Manifesto.
Manifesto.

Al diavolo persino le sigarette! Le ricomprerò. Il mio personale ladruncolo biondo non merita di essere dete­stato. Io sono debole, lui è di una bellezza illegale e questo lo salva da ogni accusa. Prima, per messaggi, avevo smesso di rispondergli, ma ora me ne pento.


«Vi d-disturbo, bimbi belli?» chiede con un sorriso.

«Parlavamo di merda, ti vuoi unire?» borbotta Ollie, coprendosi la palpebra malandata con i capelli finti.

«Io, in realtà, ero qui che ti aspettavo» mi invento, sperando di deviare la conversazione. Lorenzo, all'udire le mie parole, schiocca la lingua sul palato. «Vorrei rendere la mia esibizione ancora più adrenalinica. Non so se Melinda te lo abbia riferito. Hai dei consigli sul funambolismo da darmi?»

Bass annuisce e viene sotto di me. «Hai mai c-c-camminato sospesa?»

«No, mai. Ernest mi stava dando delle lezioni, ma non sembro troppo capace.»

«Possiamo parlare di merda adesso?» strepita Ollie.

Dio santo, ma che vuole?
Qualcuno gli ficchi una patata in bocca, per cortesia!

Qui sto per scopare platonicamente con il mio capocapocapo. Non so se mi spiego.

«Le f-funi, come anche gli altri oggetti di e-equilibrismo, non sono così diversi dai tessuti. Devi a-allineare i sensi, pensarti invincibile e...» Bass chiede a Lorenzo di spostarsi e poi tende un braccio verso di me per of­frirmi supporto. «D-devi credere nell'impossibile.»

Stendo la mia mano, lui la afferra. Dio, la sua è così calda e carnosa che mi fa desiderare di restare a viverci, tra i suoi palmi. La sua presa si mantiene forte, sicura. Mi fa comprendere che posso fidarmi di lui perché non mi la­scerà andare tanto facilmente. A dire il vero, ora vorrei perdere l'equilibrio solo per cadergli addosso. Magari sui famosi genitali. Ma questo è un altro discorso.

Inebriata dalla sua determinazione, faccio qualche piccolo passo in avanti, cercando di non oscillare. Prima un piede, poi l'altro, e poi tutto di nuovo. Il sostegno che mi garantisce, arricchito dai suoi incitamenti a voce, è di gran lunga migliore rispetto a quello di Ernest e di Lorenzo messi insieme. Potrei scalare anche la montagna più ostica al suo fianco.

«Ci sei, ora?» mi chiede.

Cazzo se ci sono, Bass.

«Credo di sì» rispondo, ricambiando l'occhiolino di soddisfazione che mi ha appena lanciato. Mi sembra quasi di aver creato io stessa quella montagna da scala­re: ho studiato la sua ripidezza, scelto persino a quale altitudine posizionare la cima. È forse questo l'impossi­bile in cui poter credere?

Ho preso una decisione ufficiale: mi esibirò sulle funi non solo per offrire qualcosa di speciale al pubblico, ma anche per chiedergli di diventare il mio maestro di equilibrio. In questo modo, avrò una valida motivazio­ne per continuare a vederlo assiduamente e sbavare sui suoi muscoli, concedendomi comunque l'opportunità di affinare al meglio la mia arte. Mio Dio, sono un genio.

«D-dopo vorrei parlarti di una cosina» mi sussurra d'improvviso, prima che, con il cuore in gola, io stessa scompaia seguendo Ollie, visibilmente in preda a una crisi di nervi.

Nulla da fare. Il mio migliore amico ha bisogno del mio aiuto e io devo concentrarmi su di lui.

«Fermati, per favore!» grido, rincorrendolo tra i camper parcheggiati. Si toglie la parrucca da pagliaccio e la lascia cadere sull'erba. In seguito, continua a trottare sempre più veloce, ignorando i saluti dei colleghi del Powell Circus che lo circondano.

«Dove trovo i tacchini del Ringraziamento? Dove?» urla, ansimando. «Non gliene farò trovare nemmeno uno!»

«Non c'è, va bene? Tuo padre non c'è! È assente da dieci lunghissimi anni e non tornerà. Ma io ci sono, sono con te.»

Riesco ad afferrarlo saldamente dalla felpa in camouflage, che è completamente aperta sul torace. Con una presa decisa sul cappuccio, lo sospingo indietro e comincio a strattonarlo con forza, cercando di co­stringerlo a riflettere sulla situazione. Si lascia manovrare senza opporre resistenza. I suoi movimenti appaio­no rassegnati, privi di vigore.

«Cosa diceva Namira?» gli ricordo. «Un tempo, i diamanti non erano apprezzati per la loro bellezza. Poi qualcuno ne comprese il valore e gli uomini cominciarono a credere che fossero le lacrime degli dei, fino a diventare dei simboli d'amore. Noi eravamo le sue stelle, ma tu, solo tu, eri il suo diamante. Lo eri anche a Milwaukee, solo che lì non tutti hanno saputo cogliere i tuoi carati. Noi sì, lei sì, io sì!»

«Il diamante non riesce a calmarsi.» Le sue mani tremanti si allungano per trattenere il mio volto, mentre le lacrime iniziano a riempire i suoi occhi. Sussulta, batte i denti, ma le mie carezze sulle sue guance, come un tranquillante, iniziano a ridurre la furia del vulcano che ribolle dentro di lui.

«Ce la farai, Ollie. Ce la farai anche questa volta» dico poi, mentre mi slancio verso di lui e lo avvolgo in un abbraccio. Lo stringo con tutta la forza che ho. «Tu ce la fai sempre.»

«Ma non voglio soffrire così, Fragolina. Non voglio più» mi confida con voce rotta.

«E io farei di tutto per non vederti più piangere per Jonathan» rispondo. «Tutto.»

«Dimmi qualcosa che mi risollevi. Una leggerezza. Una bella notizia. Ora ne ho davvero bisogno, ti suppli­co.»

Mi distacco un attimo e rifletto. «Be'...»

Mordicchio l'interno della guancia mentre lo osservo: mi sta fissando con uno sguardo lucido e speranzoso, convinto che stia per rivelargli una grande notizia. E in effetti, potrebbe essere così.

«Ricordi quando a Lione mi sorprendesti a spalmarmi sulla porta del camper?»

Annuisce.

Ingoio a vuoto, avvertendo un fremito di vita ridestare i miei sensi. Entusiasmarmi non è esattamente ciò che avrei desiderato per me, ma in qualche modo questa sensazione mi fa sentire meglio in certi momenti della giornata. Mi fa quasi credere – e ho paura a dirlo – che con la nascita del Carovana anche io stia ricomincian­do dall'inizio, che sia in atto una mia nuova e flebile Creazione momentanea.

«Era Bass. Stavo già scappando da lui.»

Ollie sobbalza, stupito. «Uh! Arcibuffa.»

«Ma quanto è carino?» sbotto con un miagolio tenero, dondolando sui miei piedi. Sono così sollevata dal po­ter fangirlare con lui. «E la faccia? Hai visto com'è la faccia?»


«Sì, da Bugs Bunny, l'ho vista.» Un barlume di contentezza illumina ora le sue iridi cervone. «E dimmi...» Mi accarezza il capo con dolcezza e mi dà un bacio morbido sulla fronte. «Cos'è successo con le sigarette? L'altra sera, a cena, sembravi arrabbiata con lui dopo essere tornata dal distributore. Quello che ha ricevuto Melinda non era l'ultimo pacchetto rimasto, vero?»

Nego con brevi movenze della testa. «Le nostre sigarette me le ha confiscate per... per divertirsi.»

«O forse per consigliarti delicatamente di smettere di fumare?»

Il mio cuore salta un battito. «Non lo so.»

«Okay, devi sapere una cosa: io, il Coniglietto, l'ho squadrato per bene. Non è uno da una notte e via» sbotta dopo alcuni secondi di silenzio riflessivo. «È il tipo da romantiche promesse nuziali e luna di miele a Zanzi­bar; uno che si sacrifica e trasporta per te la pesantissima borsa di Primark; uno che ricorda gli anniversari e soprattutto i mesiversari, e che parcheggia la station wagon vicino al giardino annaffiato con cura.» Mentre descrive l'identikit, sento le mie guance riscaldarsi. «Io lo sposerei subito, ma tu, Layla, tu no. Non ti inva­ghisci in due mesi di qualcuno, né cerchi promesse nuziali o un giardino pieno di ciclamini. Non dopo Lo­renzo.»

«No, infatti» confermo.

«Eppure ti stai lanciando su un manzo potenzialmente impegnativo. Il tuo contrario. Perché?»

«Lui mi sente» rispondo, alzando le spalle fino al collo, come a voler mostrare quanto mi senta sopraffatta da qualcosa di irrimediabile e impossibile da frenare. «E quando sorride, mi soffermo a guardare la luce che scaturisce dalle sue labbra e la trovo quasi cosmica. È come una stella che mi porta nel paradiso delle emozioni.»

L'inconfutabile scatto metallico di una porta che si chiude ci distoglie dalla mia riflessione profonda. Alzo la testa e mi rendo conto che proviene dal van dei Powell, parcheggiato poco più in là.

Scarlett è a scuola, Bass al tendone.

E se Melinda avesse origliato la nostra conversazione?

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