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31 - Soddisfare


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Ragazze mie, rileggete le avvertenze inserite prima del prologo, prima di procedere con la lettura di questo capitolo. Grazie ❤️‍🩹


Lorenzo

Alĕa iacta est. Mi sono ammalato.

Ormai, il pensiero di Scarlett mi accompagna con precisa costanza in tutti gli istanti nei quali sono vigile. Ho imparato gli orari in cui passa dal foyer, aperto sempre più di frequente, così da ritrovarmi seduto al ban­cone ad aspettarla. In genere la osservo con discrezione mentre fa colazione prima di andare a scuola.

An­che oggi il barista mi porge un caffè così corto da fare invidia a uno preparato in Italia. Lo ringrazio, aggiustandomi il colletto della camicia bianca sotto il maglione grigio.

Poi accade: la contemplo arrivare in tutta fretta con lo zaino in spalla, e faccio incetta della sua visione per tutto il tempo che passerò senza incontrarla, ovvero fino allo spettacolo delle nove di stasera.

Ordina, paga, si siede e io nel frattempo porto la tazza alle labbra, con gli occhi incollati sul suo viso di porcellana.

Sola, senza la madre, si inabissa nel suo telefono. Indossa le cuffiette e sorride tra sé, persa in un video.

Un morso al croissant, una risata.

Un'altra risata, un altro morso al croissant.

Sorrido anch'io, catapultandomi in un sogno a occhi aperti: mi immagino al suo fianco, a condividere con lei quel piccolo momento di svago, qualunque sia la causa del suo divertimento. Nel mio viaggio onirico, mi sento libero di compiere qualsiasi gesto, anche quelli moralmente meno accettati. Ma nella realtà, quella che mi ricorda di mantenere un lecito atteggiamento, non oso neanche salutarla.

Questo non mi piace.
Questo, quasi, mi intristisce.


Se solo sollevasse gli occhi mi troverebbe qui, a un passo da lei, e riconoscerebbe l'assurdo e
prematuro le­game che ci unisce.

Come reagiresti alle mie attenzioni, bimbetta?

Solo a immaginare una reazione positiva, un vibrante tumulto si agita in me. Incredibile. Io, che mi sono sempre percepito vuoto, improvvisamente mi riempio di pensieri su di lei e su ciò che potrebbe accadere se ci avvicinassimo.

Ogni suo respiro mi sembra un miracolo, un richiamo linfatico in una dimensione che improvvisamente prende forme nuove e che acquisisce sensi e significati che prima non conoscevo.

Scarlett, con la sua sempli­ce esistenza, ha scosso le mie giornate grigie, portando una scintilla di speranza nella mia monotonia, perciò merita un ringraziamento. Un grazie che sento debba diventare reale, qualcosa di tangibile.

Lo faccio.

Come reagirai alle mie attenzioni, bimbetta?

E mentre mi interrogo, ordino al barista di farle recapitare un tramezzino alle uova, che sarebbe da interpreta­re come un piccolo gesto di cura per il suo intervallo a scuola.

La sua risata si spegne all'improvviso quando il cibo appare sul tavolo. Mette in pausa il video e ascolta le parole del barista. Poi solleva lo sguardo, degnandomi finalmente della sua aurea attenzione. Il mio cuore ini­zia a battere a un ritmo incessante, come non faceva da anni. Anzi, come non ha mai fatto. Trovo il coraggio di salutarla con un gesto accorto della mano.

Lei mi risponde con un sorriso. Simboleggia un "grazie" che mi rimbalza nell'anima. Poi, torna al suo video.

Grazie a te, bimbetta. Solo a te.

Credo che stia cominciando a dipendere dai suoi gesti sottili e dai suoi sguardi eterei. Stanotte, dopo lo spettacolo, da lei vorrei di più.



Infatti, poche ore dopo mi nascondo nell'ombra, appena fuori dal van dei Powell.

Le luci del circo si sono spente da un po', e con esse anche gli applausi entusiasti degli olandesi. La loro festa è finita, ma la mia è appena iniziata. Dalla porta d'ingresso, lasciata semi socchiusa per mia fortuna, riesco a spiarli.

Se mi scoprono, i Powell cominceranno a considerarmi come uno da tenere alla larga. Ma se non mi scoprono, continuerò a godere della mia bimbetta per almeno una sera.

Lancio uno sguardo all'interno: Scarlett, truccata in modo così appariscente da sembrare quasi una donna, ride divertita, correndo verso quello che dovrebbe essere il bagno. «Mi dispiace per te, ma sono stata più ve­loce» dice al fratello, forse felice di aver conquistato la doccia prima di lui.

Bass la guarda con un'espressione esageratamente stanca, mentre si toglie il giubbotto di jeans e lo lascia cadere sul sedile del guidatore. Rimane con quei ridicoli pantaloni laminati, che devono essere tutt'altro che comodi. «N-non mettere la musica, però.» Anche da qui riesco a percepire il suo sospiro rassegnato. «O mi ritroverò a lavarmi alle prime luci dell'alba.»


Scarlett risponde in tono allegro, come se nulla potesse scalfirla. «Solo qualcosa dei Muse, promesso. E sarò pronta in tempo per la tua cena prelibata.» Annusa l'aria, poi alza un sopracciglio. «Ma nel pomeriggio non avevi preparato un pasticcio di carne, chef?»

«Carbonizzato» risponde, mentre apre il frigo. «Mi inventerò qualcos'altro.»

Scarlett sparisce in bagno e appena la porta si chiude dietro di lei, Melinda sembra finalmente lasciarsi andare. Tutto quel sorriso forzato che ha mantenuto in sua presenza si dissolve in un attimo. La sua coda di cavallo è arric­chita dalle consuete ciocche blu, che stonano con il mogano dei suoi capelli.


Si lascia cadere sul divanetto con uno sbuffo, in seguito prende un piccolo specchio da tavolo e inizia a sciogliersi l'acconciatura.

Nel frattempo, Bass è dall'altra parte del van, intento a canticchiare Your Song mentre armeggia con le pa­delle, nonostante sia esausto. La sua voce si diffonde per il vano, ed è leggera, quasi spensierata. Mi fa ricordare una verità inelutta­bile: la cultura, con il suo macigno di verità, talvolta rilascia in noi dotti una malinconia silente, mentre l'ignoranza offre solo e soltanto effimera felicità. Beati loro. Beato lui.

Li osservo e prendo ancora nota di ogni dettaglio. Non sembrano più così perfetti e inarrivabili ai miei occhi. Ma non è questa la mia priorità, perché la perfezione è da un'altra parte.

Mi faccio un giro per tutto il van, accertandomi che non ci sia nessuno nei dintorni a guardarmi. Poi prendo il telefono, accendo la fotocamera e inquadro la finestra del bagno.

Scarlett ha appena sfilato il maglioncino che indossava sopra il micro top di brillantini. I suoi capelli, resi rigidi dalla lacca, iniziano a balzare al rit­mo di un corpo che si prepara a scatenarsi. Ballando, si muove tra il lavandino e il piatto della doccia, con l'aria di chi è sempre e comunque fortunato. Sembra quasi che non possa concepire una realtà diversa da quella di festeggiare e divertirsi senza sosta.

Canta con voce stonata, usando un deodorante per le ascelle come microfono, e io scatto fotografie e continuo a osservarla, immaginandola spo­glia di tutto. Ma ciò non accade. Dopo un po', smette di ballare e sistema una tendina impenetrabile davanti alla finestra.


Resta solo la musica.

Resta solo il telefono.

Resto io, insoddisfatto e frenato, con il sangue che pulsa forte sotto gli strati di indumenti e cute.

«Dannazione» mormoro a denti stretti.

All'improvviso, mi balena in mente l'unica soluzione al mio problema.

Cammino per l'accampamento, il vento non riesce a scompigliarmi i capelli incerati, né il freddo scalfisce la mia pelle rovente. Ho una missione precisa: trovare un camper. Quel camper. Finalmente lo scorgo, parcheg­giato in un angolo un po' più illuminato.


Busso alla porta con violenza, il richiamo imperioso non si fa attendere. «Layla, aprimi subito.»

Passano cinque.
Dieci.
Quindici secondi.

Nelle mie zone erogene scorre lava pura.

Quando spalanca la porta, la ritrovo con il viso già perfettamente deterso e la chioma dorata che profuma di camo­milla.
Sembra una bambolina di porcellana, sì. Anche lei.

Gli occhi si allargano per un accenno di terrore. «Che cazzo vuoi da me?»

Peccato che sia così sboccata. Perde quel fascino ingenuo per cui al momento ammattisco.

«Fare l'amore con te fino a domattina.»

Ride sarcastica prima rispondere. «Qui, bestia, non dovresti venire per nessuna ragione al mondo, né tanto­meno per svuotare le tue palle.»

Fa per richiudere il battente, ma lo blocco con le mani. «lo con te faccio quello che voglio.»

Salgo a bordo e le afferro le mandibole tra i palmi sudati. Sento le sue ossa scricchiolare.

«No! Scendi da qui!» strilla.

«Ti piace. Non aspettavi altro. Lo sappiamo entrambi» dico in tono eccitato.

I nostri volti si avvicinano e Layla non ha il tempo di reagire. In pochi istanti, è sopraffatta dall'impetuosità dei miei baci. Avanzo con lei verso gli interni, chiudendo la porta dietro di noi grazie al piede.

«Non puoi, cazzo! Vattene!» cerca di protestare, spingendomi come può, ma è travolta dal contatto della mia lingua sulla sua, che si muove incessante. Le stringo la vita inesistente, poi scendo e arrivo a conficcare i polpastrelli nei glutei ossuti. La sollevo su di me con una presa rude.

«No!»

«Zitta, ho voglia. E hai voglia anche tu.»

«No, fammi scendere!» urla a occhi chiusi, mentre comincio a deliziarle il collo e l'incavo della clavicola con delle leccate generose, innescandole sicuramente un diluvio di sensazioni piacevoli, anche se il suo mugugno è più un piagnucolio che un gemito.

Più piange, però, più mi eccito.

«Non voglio esserti niente, nemmeno la tua puttana.»

«Non lo sei. Tu sei altro. Tu sei la mia bimbetta, ricordi?» calco il nomignolo, riportandola con i piedi sul pavimen­to.

Le stringo un polso così forte che vorrei che si spezzasse e in seguito la faccio ruotare su se stessa, per poi piegarla e farle riversare il ventre sulla superficie del tavolino.

«No!» grida acuta, soggiogata dal mio completo dominio. Le strappo i pantaloni del pigiama e le mutandine in un colpo solo. Successivamente, abbasso anche i miei indumenti, scoprendomi il membro. Layla, però, getta la mano indietro e mi afferra i capelli con una forza che non conosco.


«Con te ci sono cascata una volta, tanti anni fa. Non capiterà mai più.»

Si volta di scatto tenendomi per la testa. Dopodiché mi infligge un calcio ai testicoli. Il dolore è così forte che mi dilania persino il bassoventre e lo stomaco. Vedo nero per un attimo.

Mugolo, coprendomi la parte attaccata con entrambi i palmi. Ma non contenta, piega il ginocchio e con questo mi colpisce anche un fianco. Barcollo, sentendomi quasi mancare.

«Cazzo, che goduria» dice con il fiatone, a narici dilatate. «E ora mettiti in ginocchio e striscia con la lingua fino alla porta!»

Allento un sorriso asmatico, mentre avverto una serie di aghi conficcarsi ovunque, su tutto il busto. «Non ti facevo così combattiva. Non dopo Düsseldorf; non ora che sei uno scheletro.»

Indica la porta. «Te lo ripeto, bestia: ficca quel cazzo secco nelle mutande e sparisci da qui.»

Tento di farmi in avanti, verso di lei. «Non vuoi neanche provare a vedere che succede se ci amiamo un po'?»

Mi fissa per pochi attimi e in seguito emette un urlo talmente feroce e isterico che potrebbe appena avermi distrutto i timpani. Scappa verso la porta, la spalanca e io mi sistemo l'intimo in fretta.

«Fuori da casa mia!» strilla, battendo i piedi per terra.

Deglutisco un po' della mia preoccupazione non appena protendo il mio sguardo oltre il camper: Bass è fuori dalla porta, con un tegame fumante in mano. Sarà il pasticcio di carne che in verità non ha bruciato.
Un atto di cura imbarazzante e pietoso.

Indurisce le mandibole, prima di far sentire la sua voce. «Q-qui dentro? Che succede? Vi state p-p-preparan­do per i provini del n-nuovo film "Mowgli - Il libro della giungla"? No, perché io s-s-sssaprei chi scritturare per una parte e chi invece strozzare con una liana.»

Ha anche il coraggio di fare battute, il nostro stupido balbuziente. Meglio andarmene, prima che a suon di pugni gli sistemi il linguaggio.


Layla

Ho il cuore in tumulto, le gambe tremanti e l'anima decisamente a pezzi.


In pochi minuti, mi è sembrato di rivivere sette anni di tetri scenari.

Lo ammetto, non lo nego: l'Es mi ha sussurrato di compiere un atto efferato, ma le sue migliori alleate, l'Io e il Super-Io, hanno prevalso.

Meglio così, perché non vale più la pena compromettere la fedina penale per Sa­tana. Non avrei mai nemmeno danzato al ritmo della più brutale delle lussurie con lui. L'inferno, poi, mi si sarebbe appollaiato sui nervi per sempre. Un supplizio senza precedenti.

Adesso vorrei solo sdraiarmi sul letto e rifugiarmi sotto le coperte, ma non posso perché, anche se Lorenzo è sparito nel buio, Bass è ancora qui, a chiedermi se sto bene.

Per fortuna, ho avuto la prontezza di rimettermi a posto i pantaloni prima di aprire la porta.

Accidenti.

La sua indole premurosa non è ciò di cui necessito, ora. Mi è quasi repellente come potrebbe essere la vici­nanza di qualsiasi altro uomo, dopo quello che mi è successo pochi istanti fa.

Solo a ricordare la parte più sudicia di Lorenzo accasarsi senza protezioni nei pressi della mia intimità, mi si rivolta lo stomaco.

Lui e i suoi a bu si: un classico orripilante.

Ma ormai ho imparato la lezione.
Contestarlo non serve a molto. Se parlo, nessuno mi ascolta. E se provo a denunciare la cosa, qualcuno mi ferma prima che riesca ad arrivare in una centrale di polizia.

Domani, però, tenterò comunque di sputtanarlo davanti a una delle persone più autorevoli qui dentro, anche se sono quasi certa della sua reazione, a meno che non accada qualcosa di imprevisto e provvidenziale.

Mi mordo un'unghia del pollice mentre Bass mi chiede se può entrare.

Cosa?
Nel mio camper?

Mi sento quasi oltraggiata dalla sua richiesta e lo guardo storto.


Scusami, capo, ma stasera va così.

In breve, però, chiarisce meglio. «Entrerei solo per assicurarmi che il mio p-pasticcio di carne arrivi sul tuo tavolo. Poi sparirei. Lo g-giuro.»

Allungo le braccia. «Dammi qui. Lo porto dentro io.»

Stringe la presa sul tegame, quasi come se non volesse più lasciarlo. «I-immagino tu non abbia cenato, vero?»

Dio, che palle.
Non ora, Bass.
Non dopo quello che ho vissuto.


Non fare il pesante.
Ti prego, così non mi aiuti.


Gli faccio segno di avvicinarsi alla porta, ma lui resta immobile, a qualche metro di distanza. «Visto che non mi vuoi lì, scendi e vieni a pr-prenderlo tu, no?»

Sbuffo, facendo come dice. Prima concludiamo questo teatrino, prima torna al suo van.

Lo raggiungo in po­che falcate. Lui sposta il tegame verso di me, io allungo le mani sotto. È ancora tiepido e dall'interno divam­pa un odore affumicato niente male. Non discuto sul suo sapore, ma stasera dubito che riuscirò a mettere qualcosa sotto i denti. I miei passi giornalieri sono stati settemila. Non diecimila. Non merito neanche una briciola di cibo.
E non ne voglio nemmeno.

«Grazie, non dovevi disturbarti» dico, cercando di nascondere l'irritazione. Ma lui coglie l'occasione e le sue dita sfiorano le mie sotto il tegame. È un tocco leggero, quasi impercettibile, eppure il mio cuore sembra arrestarsi di colpo, come se ogni battito fosse stato rubato dalla densità dell'atmosfera. Non riesco a muovermi, inchiodata dalla sua espressione seria.

Bass... lasciami andare.
Neanche così mi aiuti.

«Che stava s-s-succedendo lì dentro, mh?» La sua voce appare quieta, ma nella vena che sporge dalla tempia ribolle del nervosismo.

«Niente» rispondo sbrigativa. «Davvero. Non ti immischiare.»

Inclina la testa e i suoi occhi stanchi mi scrutano il viso, come se volesse evincere i segreti che trattengo tra i pori della pelle. «Sei pallida.»

«Recupererò colore, non preoccuparti.»

Non distoglie lo sguardo. La sua espressione diventa più dura, quasi ostinata. «Mi preoccuperò f-fino a che non vedrò quel colore con i miei occhi.»

Il contatto delle sue dita sembra bruciarmi ogni molecola. Presa dal panico, tiro verso di me il tegame, ab­bracciandolo come se fosse il mio scudo.

«Quando le guance saranno rosee, ti scriverò un messaggio. Notte.» Le sillabe sgusciano via rapide, quasi affannate, mentre mi giro per allontanarmi. Desidero solo farmi abbracciare dalla sicurezza del mio camper.


«Layla?»

Il suo appello mi ferma, costringendomi a voltarmi ancora una volta. «Che c'è?»

Mi soffermo sulle mani che ha infilato nelle tasche del giaccone di jeans. Serra le mandibole perfettamente squadrate e i suoi occhi si incupiscono, velandosi di una sottile minaccia. «Scegli tu, ti c-concedo questo onore. Che f-faccio? Gli spacco la faccia? O gli s-stacco il pisello?»

Il mio cuore salta un battito, ma scuoto la testa con forza. «Piantala. Sei fuori strada. Devi solo andare a dormire.»

«Forse non mi s-sono spiegato» controbatte. «Non dor-dormirò finché non la smetterai di tremare di paura.»

La sua insistenza mi logora. «'Fanculo, Bass, vattene» scatto, anche se non vorrei. Non con lui. «Non ho biso­gno di nessuno, né tantomeno di te.»

«N-non lo metto in dubbio» ribatte.

«Mi salvo da sola.»

«Non m-metto in dubbio nemmeno questo. Lo so che sei una guerriera.» Inspira profondamente. «Non sto ri­manendo qui, fermo come un palo della l-luce, perché penso che tu abbia bisogno di me, Layla.» Fa una pau­sa. «Sono qui p-perché io ho bisogno di te.»

Bass...

«Non posso c-c-continuare a vivere la mia vita come se nulla f-fosse se tu crolli e hai le guance senza colore» ammette. «Se hai passato una g-giornata pessima, anche la mia diventa pessima. Voglio al-almeno sapere che qualcosa, anche il più i-i-insignificante dei dettagli, ha funzionato. E se qualcosa non funziona, lascia f-fare a me, l'aggiusto io. Come r-regola i conti Bass Powell, non li regola nessuno.»

Quest'uomo è immenso.
E io sto davvero tremando.
Letteralmente.
Sto tremando come una foglia, dalla testa ai piedi.

Ma non voglio che si intrometta in una faccenda così complessa. Non è lui che deve porre fine a questa gravosa situazione. Ma un'altra persona.

«Domani sarò una dipendente come nuova, pronta a lavorare per te e per il tuo circo. Puoi dormire sereno.»

«Chi se ne frega del circo» ribatte, senza balbettare. «Non è q-questo il punto.»

Sbatto le ciglia. «E qual è?»

Mi fissa intensamente. «C'è stato, oggi, quell'insignificante d-d-dettaglio?»

Sì, e sei tu.
Sei sempre tu.
E mica insignificante.

Ma oggi sei stato spazzato via da un saccheggio condotto da Lorenzo e non possiamo farci un granché.

Né tu, né io.

«Vai, Bass. Tornerai a essere quel dettaglio domani» mi lascio sfuggire.

Tentenna per un attimo, e poi, anziché ascoltarmi e andarsene, si avvicina risoluto alla porta del mio camper. Si appoggia di spalle alla lamiera e scivola verso il basso, sedendosi sull'erba, con le spalle curve. «Allora aspetterò di tornare a e-e-essere quel dettaglio qui, come un cane da guardia, in silen­zio.»

Che. Sta. Facendo.

Le mie gambe perdono di consistenza, ma stavolta non per il terrifico motivo di prima.

Sento una stretta al petto, un'emozione sorda mescolata al senso di colpa che mi obbliga a guardarlo con più attenzione. «Bass...»

«Non vado a l-letto se tremi» ripete. «Farò la ve-veglia su ogni tuo momento difficile, lo giuro sul Bassbosco.»

Sul Bass che?
Meglio non indagare.

Ma ha parlato di "vegliare" e io quasi fatico a credere che questa sia la sua intenzione. Osservo per un attimo il tegame, imbarazzata. È un disagio reale, perché nessuno mi ha mai dato così tanta importanza. Nessuno si è mai incaponito tanto su di me. Nessuno ha mai costruito una dolce fortezza intorno al mio malumore. Solo lui. Sempre lui, da quando l'ho conosciuto.

«E io? Che dovrei fare, secondo te?» Mi avvicino a lui e mi piego sulle ginocchia. «Andarmene a letto o se­dermi accanto a te, con un pasticcio di carne in mezzo, finché non mi addormento?»

Lui scuote la testa e porta la mano sinistra, quella dal palmo fasciato con delle garze, sotto il mio mento. Mi accarezza delicatamente con il dorso dell'indice e io trattengo il respiro. La sua mascolinità dovrebbe disgustarmi, ma ciò non si veri­fica. Anzi, il contrario. Il suo contatto è l'unico che vorrei adesso.

Perché è così gentile?

Perché mi fa quasi apprezzare di essere tra i vivi?

Per quanto è speciale, mi chiedo se il nostro incontro sia tangibile o solo frutto della mia immagina­zione. Ci deve essere una fregatura da qualche parte. Ma dove? Avrà il bottone "pezzo di merda" dietro il collo? O sull'osso sacro?

Mi sorride, osservandomi con cura. «Ho dei p-p-pennarelli al posto delle dita, e sono tutti fucsia fluorescenti. Appena ti tocco, cambi colore. Bene c-così. Adesso non sei più pallida, per fortuna.»

Sarò arrossita, come sempre. È l'effetto inevitabile che ha su di me. La mia pelle sembra attratta da lui più di qualsiasi altra cosa.


«Vai a nanna adesso, e fai la brava» mi ordina, in seguito. «E mangia almeno un boccone di quello c-che ti ho preparato. L'ho tolto dallo stomaco di Melinda, se capisci cosa intendo.»

Scoppio in una breve risata. «E mi prometti che ti alzi e vai a dormire anche tu?»

Annuisce, senza dire nulla di più. Gli auguro una nuova buonanotte e rientro nel camper.

Con la dolce compagnia del silenzio, riesco a raggiungere il mio letto e a infilarmi sotto le coperte, mentre le parole di Bass riecheggiano nei miei ultimi pensieri. Ha ragione: possiede dei pennarelli al posto delle dita. Credo che non mi colori solo il viso, ma la mia intera permanenza al Carovana. Prima effondeva solo il bianco, ora l'intero arcobaleno.

È il cinguettio degli uccelli a svegliarmi il mattino successivo. Ho un lieve mal di testa e fatico a riaprire le palpebre gonfie e incollate. Il ricordo di ciò che ha fatto Lorenzo torna a tormentarmi, spingendomi ad alzarmi dal letto e a dirigermi in bagno con una certa fretta. Mi ripulisco il corpo con un'accuratezza che sfiora la disperazione, consumando una quantità indefinita di bagnoschiuma e creme profumate.
Finisco un intero flacone di collutorio. Dei suoi baci non deve rimanere una sola traccia.

In seguito, indossando anche degli abiti puliti, sgattaiolo fuori dal camper e spalanco la bocca quando vedo Bass disteso sull'erba, nel punto dove gli ho dato la buonanotte ieri. È immerso in un sonno profondo e apparentemente sereno.

Non ci posso credere.

Cocciuto che non è altro.
Lo ha fatto davvero.

È rimasto qui fuori a vegliare sul mio malcontento. Lo avrà fatto soprattutto per proteggermi da Lorenzo. Aveva timore che tornasse. Non lo dirà, ma so che è così.

Mi avvicino e Bass si sveglia di soprassalto, come se fosse stato scosso da un terremoto.
Mi guarda confuso.

«C-chi cazzo sono? Dove sono?» chiede, grattandosi la testa arruffata e sedendosi a metà.

«Tu il cervello l'hai un po' perso, capo» constato in tutta tranquillità. «Ti dico io cosa è successo: hai dormito tutta la notte sull'erba, tra le formichine. Quante ne avrai mangiate mentre russavi? Cento?»

«Questa, come e-esperienza estrema, mi mancava.» Si massaggia la schiena ed emette un verso sofferto. Povero. «Ho bisogno di una d-doccia.»

«Avrai preso molto freddo ieri notte. Perché sei rimasto?»

Il suo viso assonato si contrae per il dolore. «Per essere il primo a s-ss-sapere come stai oggi. Sai che bella esclusi­va?»

Mi piego di nuovo sulle ginocchia, così da parificarmi alla sua altezza. «Be', avanti, chiedimelo.»

«Come... stai?» Viaggia del timore nella sua intonazione.

«Meglio» rispondo. «E sai perché?»

«P-perché?»

«Perché sei tornato a essere il mio dettaglio» affermo.

La voce di Melinda esplode improvvisa dal loro van. «Bastian!»

«Gesù Cristo in croce, s-salvami! Il film di Mowgli o-o-ora si è spostato in un'altra location, quella di casa mia.» Bass sobbalza, poi cerca di alzarsi. Ma si blocca per almeno dieci secondi in ginocchio prima di riuscire a mettersi in piedi. Mi spaventa quando si inceppa così. Sembra trasformarsi in una statua di ghiaccio.

«D-devo andare. Ci v-vediamo dopo, Layla» mi dice quando si sblocca.

Zoppica paurosamente mentre corre, e solo adesso mi accorgo di aver dimenticato di dirgli qualcosa di importante.

Ieri sera, prima di andare a letto, ho assaggiato un po' del suo pasticcio di carne.


Era buonissimo, Bass.

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