26 - Ereditare
Lorenzo
Ripongo le clave nella loro apposita scatola, seguendo un ordine che oserei definire meticoloso: due di esse devono essere sistemate con la punta del manico sulla base del cartone, mentre le altre due, contro le prime, devono avere l'estremità del corpo rivolta verso l'alto.
Accanto si trovano alcune bolas, i kiwido e le palle iridescenti, organizzate per colore e rigorosamente lucidate questa mattina. Li reputo utensili sacri, soprattutto le clave. Quelle che ho appena sistemato, in particolare, sono le mie preferite. Hanno un manico sottile e bilanciato, impreziosito da un filo dorato che corre lungo il collo fino alla testa. Crea un contrasto raffinato con il bianco lucido del corpo. Non sono state un acquisto economico, pertanto le adopero solo alle prime di ogni spettacolo.
Lo so, me ne rendo conto. C'è un paradosso nel fondo della mia psiche: non mi affeziono facilmente agli esseri umani, ma agli oggetti sì, e in modo smisurato.
Mi piace raccoglierli, accatastarli e conservarli.
Non so quanti modellini di motociclette d'epoca avrò lasciato a casa dei miei, a Bologna. E poi ci sono gli yo-yo: luminosi, di legno, in plastica colorata. Quelli sono tutti qui, in uno dei miei cassetti, e ogni tanto li riguardo con attenzione. Per non parlare di quanti scatoloni di trottole conservi dietro il letto. I giocattoli mi hanno sempre affascinato, il che non è affatto strano per un giocoliere.
Adesso, dopo ore di prove solitarie, mi solletica l'intenzione di tornare al camper e risistemare le 149 bamboline sul tavolo per vedere in che condizioni sono.
È da un po' che non le tiro fuori. Alcune hanno perso degli arti, ma non mi sono mai preoccupato di riparare i loro singoli difetti. Anzi. Vorrei averne di più così. Mi piace pensare che quelle più usate abbiano maggiore valore, più vita. In fondo, c'è stata una bambina che ha giocato con loro e che ha creato chissà quale tipo di narrazione.
Il silenzio che aleggia nel tendone viene improvvisamente infranto da Dubois, che entra zoppicando nella sua solita maniera goffa. Mi rileva e agita la mano, prima di avvicinarsi alla pista.
Gli auguro subito un buongiorno sintetico e lui risponde con un sorriso denso di paternità, posando l'unica mano libera sulla mia spalla. «Ragazzo mio, sei una delle mie poche speranze.»
Assottiglio le palpebre, perdendomi nella crescente numerologia delle sue rughe. «Che intende?»
«Essere detentore di un tesoro è ciò che mi consente di svegliarmi entusiasta al mattino, ma sarebbe più bello se potessi condividerlo con qualcuno» mi spiega, con la voce che risulta un rimbombo tra le mura della struttura. «Chi gode con me della lucentezza accecante che produce?»
«Non ha tutti i torti. Si dice per giunta che chi trattiene per sé i propri beni ne diventa schiavo. Chi invece li condivide è libero, poiché non è più posseduto dalle cose» dichiaro anche se credo poco in questa massima. Osservo l'arrivo di Ernest, giunto perché a breve inizieranno le prove dei trapezisti e, in generale, di tutti gli acrobati. Infatti, fanno il loro ingresso anche le gemelle contorsioniste, accompagnate dalla nostra bambola gonfiabile, Melinda.
E la ragazzina? Dov'è?
Forse a scuola?
«Non ho figli né eredi, e sono anziano» riprende Dubois. «Lascerò il circo a uno di voi.»
A uno di noi?
Ingoio a fatica qualche goccia di saliva, travolto dalla rivelazione. Il modo in cui l'ha comunicato, senza alcun preambolo, mi lascia disarmato. Incredibile. Io, che in genere non mi faccio cogliere alla sprovvista da niente e da nessuno. Eppure, fino a oggi, non avevo mai contemplato un'idea del genere sul futuro del circo. Gli esseri umani sono ancora in grado di sconvolgermi in positivo. Buono a sapersi. Così come è buono sapere che il mio capo voglia affidare la sua attività a un membro del Fleurs. Se ne sta parlando con me, dev'esserci una ragione profonda.
«E ha idea su chi orientarsi?» chiedo.
Scuote la testa per abbozzare un sì. «Su Lorenzo Fabbri o Layla Urbonaitė.»
Io.
Io o la mia ex.
Indubbiamente, quello che possiede capacità dirigenziali sono io. Mi stupisco persino che voglia mettermi in competizione con una persona che non ha né la mia stessa stoffa, né la mia stessa tempra. Con Ernest avrei potuto giocare una lotta non alla pari, ma quasi. E invece no. Invece vuole noi due.
Fa scivolare i suoi occhi brillanti di determinazione nei miei e, mentre mi dà una pacca sulla spalla, mi sussurra quello che di certo diventerà la mia carica sospingente da oggi in poi: «Tutto questo, un giorno, potrebbe essere tuo. Tuo e di Melinda e Sebastian Powell».
Qui c'è in ballo qualcosa di molto grande.
Qui mi gioco un'ingente eredità, e sarei un ipocrita a non ammettere che mi faccia gola. Credo che una stilla di sudore stia colando lungo la mia schiena. Il collo è rigido per la tensione.
Osservo tutto quello che la tensostruttura contiene. Non vedo più Ernest, o Alizée e Claudine: loro sembrano appena essere diventati i miei sottomessi. La brama di diventare un futuro proprietario inizia a dimenarsi nelle mie fantasie. Questo è un punto di svolta, una circostanza che potrebbe mutare il mio destino.
Deve scegliere me. Solo ed esclusivamente me. Anche se ciò significherà manipolare la mente di Layla fino a farle credere di non essere idonea per il ruolo. Devo convincerla, anche con i modi più subdoli, a farle chiedere a Dubois di escluderla dalla selezione.
Sono io il suo matematico, il cavallo vincente. La mia precisione in pista è la stessa che applico in ogni altro aspetto della mia vita e che si trasformerebbe in scrupolosità se solo avessi il potere. Impossibile etichettarmi come pigro o inconcludente. O distratto. Mi reputo un astuto stacanovista, specialmente quando si tratta di usare il cervello. Il Carovana, nelle mie mani, prospererebbe nella gloria.
Un'ora dopo, mi ritrovo ancora a pensare a come convincere Dubois a includere il mio nome in un eventuale testamento. Questa novità ha monopolizzato tutta la mia giornata, tanto che non riesco a contare le bamboline come si deve. Sono 148 sul mio tavolino, non 149.
Mi strofino il viso con le mani, sentendo il bisogno di una pausa dal sovraccarico dei miei pensieri. Mi alzo e mi dirigo verso la finestra, attirato dal rumore di una palla che rimbalza sulla ghiaia. Una scossa di piacere formicola nelle mie membra.
Eccola, la bimbetta.
È tornata all'accampamento.
Scarlett gioca a pallavolo con le contorsioniste francesi, con cui sembra stia stringendo amicizia. Alizée e Claudine le passano il pallone tramite battute eccezionali, e lei si sforza di recuperarlo con dei bagher, sperando di non colpire qualche collega seduto in altre aree del parcheggio.
Non è la prima volta che mi cristallizzo davanti alla sua presenza. Ieri, nascosto dietro questo stesso finestrino, ho usato un binocolo per spiarla fino a quando il cielo non si è tinto di rosso con un bel tramonto. Leggeva, fuori dal suo van. Non sembrava un libro scelto per rilassarsi, dato che il suo volto si contraeva in un'espressione spesso annoiata. Forse stava studiando. Ma nulla, nemmeno la noia, può alterare il suo fascino e quei tratti innocenti che sembrano dipinti.
Quella mattina, al foyer, Scarlett mi ha detto che sono qualcuno da ricordare. Ma da quel momento in poi, però, è diventato impossibile per me dimenticare lei.
Anche se piangesse, sarebbe comunque splendida.
Lo sarebbe anche se fosse arrabbiata, se impazzisse o se si comportasse in modo infantile.
Quasi sicuramente n*n è maggiorenne: avrà forse quattordic1 o quindic1 4nni. Tuttavia, in questo unico caso sto cercando di evadere dalle leggi e dai rigori matematici. Sono piuttosto in cerca di un'approssimazione che banalizzi il crescente interesse che provo. Lo troverò?
Sono consapevole che questo sia sbagliato, ma finché rimarrà imprigionato negli antri della mia mente e tra le fibre del mio corpo, nessuno potrà accusarmi di chissà quale reato.
Oggi utilizzo il telefonino per attivare la fotocamera e ammirare meglio la lunghissima chioma che ondeggia sulla sua piccola schiena.
Allargo lo zoom e quasi trasalisco quando mi appare la perfetta rotondità dei suoi glutei, strizzati in un jeans color panna.
Non dovrei scattare una foto da poter riguardare quando ne sento la necessità. Ma il dovere si arcua al piacere e il barlume di un istintivo desiderio mi spinge ora a premere il pulsante.
È fatta.
Fisso la foto e il mio respiro si sovraccarica. Ha un corpicino davvero attraente. La immagino qui, vicino a me, aperta, disinvolta e... svestita.
Il sangue mi schizza ovunque, andando a sobillare il mio membro. Rapidamente, mi dirigo in bagno. Convulsamente, si sbottono i pantaloni.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro