21 - Accompagnare
Layla
Il sibilo di Ollie, nel bel mezzo del suo sonno, disintegra il silenzio e mi fa spalancare gli occhi. Giro la testa verso il finestrino e allungo una mano per sollevare la tendina. Fuori la luna è ormai scomparsa nella luce del mattino, e io dovrò prepararmi a sopravvivere per un altro giorno.
Ci risiamo.
Ricomincia il mio loop infernale.
Per scendere dal mio letto sospeso in alto dovrei superare il mio amico, e mi chiedo come possa farlo senza finire per schiacciarmi addosso a lui. Lo sveglierei. Di solito è lui a dormire dal lato interno, quindi questo problema non si era mai posto prima. Posso evitarlo solo raggiungendo il bordo dove appoggiamo i piedi e scivolare da lì. Tentar non nuoce.
Mi spingo verso il basso con i talloni e i glutei. Poi, con uno scatto di reni, mi lancio giù. Il tonfo delle mie mani e delle ginocchia sul pavimento in teak è così forte che penso di essermi fratturata qualche osso. Eppure, miracolosamente, riesco ad alzarmi e a dirigermi verso il mini-frigo. I capelli crespi mi ricadono sulla faccia ancora tumefatta dal pianto di ieri.
Ho la gola secca, ho bisogno di acqua. Sì, di quell'insipido liquido trasparente che ogni tanto si trova accanto alle mie bottiglie di bollicine nel reparto delle bevande. È l'unica cosa che il mio stomaco potrebbe tollerare in questo momento.
A causa dell'alcol, ricordo poco della notte passata. Solo i vestiti appallottolati sul tavolo mi fanno intuire che devo essermi addormentata di colpo. Probabilmente, è stato Ollie a mettermi il pigiama, facendomi da infermiere.
Ho bisogno di una doccia. Devo anche mettere in ordine il caos che regna nella dinette. Ormai questo camper sembra una polveriera. Servirebbero otto donne delle pulizie per farlo risplendere di nuovo.
Ah, e sarebbe anche il caso di ritirare la biancheria stesa. È fuori da così tanto tempo che le mie mutande saranno ormai dure come il cemento. Sistemare questa faccenda direi che è più urgente di bere e di mettere una gomma da masticare sotto i denti.
La fame che sento oggi è intensa. Mi fa tremare. Mi dico che è normale, però. Sentire lo stomaco brontolare è segno che sto mangiando poco e che, in fondo, sto facendo la cosa giusta.
Apro di colpo la porta e il filo che reggeva la mia biancheria si spezza, facendo cadere tutto per terra.
Perfetto.
Brava la scema.
Dovrò lavare tutto da capo.
Scendo per raccogliere i panni, ma dopo pochi passi sono costretta a fermarmi, bloccata dalla presenza di uno stendibiancheria in ferro e plastica piantato davanti a me.
Un vero stendibiancheria.
Lo osservo meglio: è nuovo di zecca.
Non è mio.
Eh no.
Io non ne ho mai avuto uno.
È strano, però, trovare un foglietto appeso a uno dei fili con una molletta. La curiosità mi spinge ad avvicinarmi per capirne di più.
«Che diavolo è? Uno scontrino?» mormoro, afferrando la molletta. La allargo e solo ora, prendendo in mano il pezzo di carta, mi rendo conto che si tratta di uno di quei foglietti piegati in modo elaborato. Come si chiamano? Ah, sì, origami. A giudicare dalla presenza di due ali, dovrebbe essere un volatile. O forse un aereo. Ma perché è qui? E che nesso c'è tra la biancheria e un origami?
Non ho il tempo di formulare ipotesi sensate. Alzando lo sguardo, il mio pensiero si arresta del tutto e il mio cuore si sfalda.
Bass è qui, a pochi passi dallo stendibiancheria, alto e imponente, come solo un guardiano del cielo potrebbe essere.
Il suo volto è radioso, fresco, conseguenza di una notte di sonno riposante. Indossa la sua solita giacca di jeans con il colletto di pelliccia, e sembra pronto per affrontare la giornata. Solo in questo momento, mentre i suoi occhi smeraldini mi scrutano da capo a piedi, realizzo che io, invece, indosso ancora il mio pigiama intero, decorato con peperoncini rossi e dotato di orecchie da diavoletta sul cappuccio. Merda.
«D-dove vai conciata così? A una p-p-parata di Halloween?»
Lo fisso con un'espressione atomizzata, cercando di assimilare il fatto che il mio capo mi stia... prendendo in giro.
Cambia discorso. «Penso che ora, c-con questo stendibiancheria, n-non dovrai più lavare le cose due volte. Che ne dici?»
Rimango in silenzio, battendo le palpebre incredula.
Quindi, questo è un suo regalo?
Un regalo per me?
«Ti p-p-piace?» chiede poi, indicando l'origami.
«Questo?» Lo sollevo davanti al viso e lo guardo distrattamente da più angolazioni. «Oh, beh... sì, è carino.»
«L'ho fatto io. Io fa-fa-fa-fa-faccio queste cose ogni giorno.»
Il suo "Fa-fa-fa-fa" mi strappa un risolino involontario. Lo so, non dovrei ridere, ma con quell'intonazione allegra sembra quasi che abbia cantato "Deck The Halls", in pieno spirito natalizio. Le mie sinapsi cominciano a connettersi, ma ancora non riesco a trovare un filo logico tra le azioni, la sua presenza e le parole di questa mattina. Parata di Halloween, biancheria, origami e "Fa-la-la-la-la, la-la-la-la": chi può spiegarmi questo rebus? Che cosa sta succedendo?
«Hai letto al-al-al-al-almeno cosa ho scritto sull'ala destra?» cerca ancora di dire.
Il suo "Al-al-al-al" si rifà senza dubbio a una delle canzoni più famose di Kylie Minogue, "Can't Get You Out of My Head". Cazzo, è proprio un dj.
«Ti ho l-lasciato un messaggio sull'ala. Poche parole, quindi è un m-messaggino.»
Forse è in questo messaggino che troverò la risposta a tutte le mie domande. Giro quindi l'origami e mi concentro sull'ala.
«Che uccello è?» gli chiedo, nel frattempo.
«L'uc-uc-uc-uc-uccello che più ti piace.»
"Uc-uc-uc-uc". Mmh. Difficile questa. Forse "Mr.Saxobeat" di Alexandra Stan, ma non ne sono sicura.
«Ti piacciono i f-fringuelli? O preferisci q-qualcosa di più... non so, rapace?»
Sì, è ufficiale: parlando di uccelli, il mio capo ha appena oltrepassato ogni regola di comportamento formale che dovrebbe vigere tra di noi. Tuttavia, non sembra esserci malizia nelle sue parole ambigue. O forse sì, o forse chissà.
«Mah, guardi, preferisco i piccioni. Molti li offendono senza un motivo valido.»
Poi leggo le parole scritte a mano sull'ala dell'origami:
• Posso accompagnarti. Dimmi a che ora. •
Dove dovremmo andare?
Riflettendo, conosco solo un posto che vorrei raggiungere e per cui avrei bisogno di accompagnamento. Mi domando quindi come faccia Bass a sapere della tradizione delle rose bianche.
Mi ammutolisco. I miei dubbi, soffocati nell'intimo, potrebbero riempire una miriade di scatoloni immaginari. Intanto, osservo la carta piegata tra le mani, mentre cerco di mettere insieme i frammenti della serata di ieri, trascorsa con Ollie. Sollevando lo sguardo, vedo Bass raccogliere i miei vestiti caduti. Poi me li porge e io li ricevo tra le braccia.
«Non credo che ci s-siamo presentati come si deve» dice lui. «Io sono Bass, quello fi-fissato con gli s-stendibiancheria, ma lo sai già.»
Il diminutivo, pronunciato dalle sue labbra carnose, inizia forse a piacermi. «Layla. E anche lei lo sa già.»
Mi sorride dolcemente. «Se mi dessi del tu, Layla, giuro che p-potrei toccare il cielo con un dito.»
Un angolo della mia bocca si piega in su, mentre gli occhi rimangono fissi sul suo volto sereno. «D'accordo. Sei un "tu", allora.»
Sarà difficile, ma ci proverò.
Alza un dito e lo porta sopra la testa. «F-f-fantastico. Il cielo è liscio come la seta oggi.»
Dio, quanto sono carine le sue parole, e quanto delicati i suoi gesti.
«Scusami se b-b-b-balbetto. Mai come oggi.»
«No, non preoccupati. Fai con comodo.»
«È che sono, sì... t-ti-ti...» Sfiata in un sorriso teso e si gratta la nuca. Crede di star facendo una pessima figura, e mi dispiace vederlo così in difficoltà. «Sono mo-molto ti-ti-ti-timid... aargh!»
«Tranquillo, ho capito.» Forse un po' di ironia potrebbe alleggerire il suo senso di frustrazione. «Ti intimidisco, lo so. Io intimidisco tutti. Vista da fuori, devo sembrare una stregona.»
«No. Non sei tu. Sono t-tutti.»
«Tutti stregoni.»
Prende un lungo respiro. «Torniamo a n-noi, Layla.» Ehm, da quando abbiamo un "noi"? «Posso accompagnarti dai tuoi b-bambini?»
Sì. Improvvisamente tutte le incertezze smettono di sussistere. Conosco solo un agente segreto che non sa mantenere i segreti, quindi sorrido di circostanza. «Scusami, Bass. Torno subito.»
Faccio un elegante giro sui talloni e mi rifugio dietro la porta, che sbatto sonoramente.
«Puttano, scendi da quel cazzo di letto!» urlo a Ollie, che è già sveglio e sta suonando la mia chitarrina messicana. Canticchia, fischietta, ride, sperando che la sua euforia mitighi la mia brutale reazione. Ma non è così.
«Tu» grido ancora, puntandogli l'indice contro.
«Io, sì! Yu-huuu! Ioooo!» esulta come un pazzo, mentre io mi dirigo verso il letto e percorro la scaletta. Rimango in trazione, a pochi centimetri dal suo viso.
«Perché? Dimmi perché.»
«Ma boh! L'ho fatto senza un por qué!» Ride ancora, cadendo con la schiena sul materasso e suonando con immensa passione. Questa musichetta mi dà ai nervi, perciò gli strappo la chitarrina dalle mani e la getto sul cuscino.
«Mi puoi almeno dire che cosa sa?»
«Nulla. Non sa nulla.» Si risolleva, unendo le mani in segno di preghiera affinché io non lo uccida. «Ieri sera ti ho detto che avrei trovato una soluzione per le rose bianche. Così, siccome io sono tirchio e quei posti mi sono repellenti, ho pensato di coinvolgere il nostro capo-Coniglietto. L'ho raggiunto ieri notte, al suo van, dopo aver recuperato il mio pigiama da furgone. Gli ho chiesto di aiutarci.»
«Sa del cimitero, quindi?»
«Sa solo che ti deve accompagnare in un posto» risponde, mentre mi siedo al suo fianco.
«Ma ha menzionato i bambini.»
A questo punto, mi circonda le spalle con un braccio, stringendomi contro il suo corpo. «Dai, Fragolina, calmati. Lascia che quella statua di marmo ti accompagni a fare le cose tristi. Secondo me, assurdamente, ti divertirai.»
Lo guardo stranita. «Con il proprietario del nostro circo?»
Annuisce.
Ma io non so più nemmeno come ci si diverte sul serio. Mi sembra che l'ultima volta che mi sia concessa al puro diletto sia stato secoli fa. Ormai credo che non accadrà mai più.
«Vacci, su. Poi mi ringrazierai» continua a dirmi lui.
Posso percorrere questa strada imbarazzante solo per un motivo: Bass mi permetterà di sbrigare il mio compito commemorativo. Ecco perché, pochi istanti dopo, riapro la porta del camper e gli dico: «Ci andiamo adesso. Dammi il tempo di vestirmi.»
Non mi divertirò.
Nei cimiteri, lo so bene, non si ride.
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