2 - Piangere
Mie amate e splendenti lettrici! Eccoci qui.
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Io sì! 🙋🏼♀️
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Grazie di cuore.
Mi trovate anche su Instagram e TikTok come @mf.autrice. Vi aspetto!
Vi amo.
Manu 🎪 💘
Oliver
Mai come stasera il cielo di Londra appare simile a un quadro impressionista, punteggiato di sfumature che toccano i blu più scuri che esistano. Le luci della città si riflettono sul Tamigi, cospargendo il suo flusso d'acqua di quarzi danzanti. Le crociere scivolano lente sulle proiezioni del Big Ben e del London Eye, distorcendone le forme per un attimo fugace, finché, con pazienza, queste non trovano il modo di ridisegnarsi in superficie.
Dall'interno di una capsula della ruota panoramica, anche la mia Fragolina stupenda osserva le architetture che brillano, avendo cura di tenere per sé, dietro un'ordinata frangetta, un'espressione intrisa di malinconia.
Sta perdendo molti capelli.
Oggi era sull'orlo delle lacrime, così, per cercare di risolvere la situazione, l'ho accompagnata in un salone. La parrucchiera le ha consigliato un taglio lungo e pari, di coprire la fronte e di applicare delle fiale ricostituenti sul cuoio capelluto. Spero possano esserle d'aiuto.
Ma se solo mangiasse...
Devo ammettere, però, che preferisco guardare lei piuttosto che continuare a fissare le prospettive esterne. Per quanto possano essere splendide, mi provocano brividini incessanti lungo la schiena. Quando la capsula subisce uno scossone, lo stomaco mi si rivolta del tutto e, d'istinto, do le spalle al vetro, afferrando il corrimano come se temessi di precipitare da un momento all'altro. Cerco di sedare la nausea osservando alcuni bambini che, più coraggiosi di me, appiccicano i nasi ai finestrini, incantati dalla bellezza dell'orologio che illumina la torre.
Va bene, bellissimo e sensuale Oliver, respira.
Dopotutto, lo stai facendo per Layla. Ha passato una giornata di merda e voleva tanto salire qui su. Pochi minuti e questa giostra del pisipisi non la vedrai mai più.
I miei rantoli catturano l'attenzione di un bambino dal visetto tondo. Mi scruta per un po', dubbioso, finché non decido di trasformarmi in Sbrodolo per regalargli la mia smorfia di punta: pollice e indice a tirare uno dei lobi, lingua fuori dalla bocca e un ghigno simpatico. Il piccolo esplode in una risata gioiosa, indicandomi ripetutamente. Poi, con naturalezza, riprende a chiacchierare con i suoi fratellini, senza più degnarmi di uno sguardo.
Lo spettacolo è finito, gentili spettatori. Sbrodolo torna a vestire i rovinosi panni di Oliver: mi passo una mano sul viso e mi sporgo verso la mia amichetta del cuore. «Tutto bello qui, ma credo che non ci salirò mai più. Sto per vomitare quello che ho mangiato nella Pasqua nel quarantatré dopo Cristo: agnello ed erbe amare.»
«Girati, dai. Superata la fobia, scoprirai cose straordinarie. E guarda il cielo, non c'è neppure la luna» risponde Layla di getto, recuperando il cappello di lana da uno scomparto della sua borsa a bauletto, che si adagia su un fianco grazie a una lunga tracolla. Lo infila in testa, tanto che la frangetta scende a coprirle gli zigomi, creando un buffo siparietto sugli occhi. «E quindi, qualunque cosa lui stia facendo, può farla senza doversi nascondere.»
Eh?
«Lui chi, scusa? Chi è che non deve nascondersi?»
«Oddio.» Si porta una mano sulla bocca. «Non volevo dirlo. Non dovevo neppure pensarci. È stato automatico. Lascia perdere.»
«Ma ti riferisci al Coniglietto?»
«Banano» mi corregge. «Perché per me rimarrà sempre un cazzo di banano. Anche se non lo chiamerò mai più così.»
Faccio mente locale del nostro passato e subito colgo una meravigliosa connessione. «Lo definivi Banano perché piacevano tanto al nostro piccolo lui, per caso?»
Sogghigna. «Non c'e nomignolo più appropriato, non trovi?»
Dopo pochi attimi di silenzio, necessari per interiorizzare le parole appena ascoltate, scoppio in una risata incontrollabile, scuotendo la testa. La mia voce travolge le orecchie dei presenti, come il rumore di un jet in decollo. Tutti mi fissano inquieti. Pazienza. La gente non potrebbe mai comprendere il motivo della mia improvvisa felicità: per la prima volta in due anni, ho fatto un riferimento ad Andrius senza ricevere da Layla una risposta aggressiva. Anzi, ha persino sorriso. Ed è rimasta serena. Serenissima. Incredibile.
«A pensare che sarebbe potuto diventare il mio banano tutto giallo...» scherza ancora e io mi meraviglio sempre di più.
«Ah, 'fanculo. Uno ne perdi e cento ne trovi!» urlo. «Lascia che sia il banano di un'altra. Tu meriti un uomo libero, arcibuffa. Totalmente libero.»
«Shh!» Layla si guarda intorno, con un accenno di vergogna nelle labbra increspate. «Abbassa la voce!»
«E come posso contenermi? Finalmente cominci a capire che sei una figa stratosferica che non si deve accontentare! Bisogna festeggiare, piuttosto!» grido più di prima. «È merito di quei pervertiti che si masturbano per te su OnlyFans? Quanti ne hai adesso?»
È in questo momento che mi tira una gomitata spietata al fianco. Mentre il dolore si diffonde in tutto il torso, realizzo di aver esagerato e in un lampo mi scuso per aver rivelato al mondo che è diventata una sottospecie di sex worker.
«Quattro» mi rivela dopo essersi calmata. «Il quarto si è aggiunto stamattina. Un altro tipo che proviene dalle terre arabe, credo. Un certo MohammedSega e qualcosa...»Anche lei volta le spalle alla città e insieme ci perdiamo a osservare il pavimento che vibra sotto i nostri piedi. «E posso esserti sincera? Tutto questo comincia a entusiasmarmi.»
«Mi sa che devo intraprendere questa strada anch'io, allora...»
Mi dà una spinta con il braccio, ma non mi muovo di un centimetro. «Guai se mi freghi i clienti.»
«Paura eh.»
«Certo che sì, saresti un competitor con i controfiocchi.»
«Dipenderebbe comunque dai gusti dei clienti, Fragolina» le faccio notare. «Lo farei per il mio solito esibizionismo e perché vedo degli effetti positivi in te. Chissà, magari mi aiuterà a scacciare un po' di noia. Ultimamente, le giornate al circo sono tutte uguali. Con Lorenzo come direttore artistico, poi...»
«A me ha fatto dimenticare l'innominabile, infatti. E lo sai che mi piaceva da matti» mi sussurra, con un sorriso un po' vuoto. «A Mosca, sì. A Mosca ero davvero impazzita per lui. Avrei voluto corteggiarlo in quel modo d'altri tempi, con fiori, serenate sotto un cielo trapunto di stelle e poesie scritte su fogli ingialliti. Sarei stata il soldato che compone rime d'amore alla sua bella, capisci?»
«Eccome.»
«Che schifo. Mi pento. Come mi pento di aver desiderato di portarmelo a letto e di morire sotto il peso del suo corpo.»
«Oh, mamma...» Il naso produce il fragore di un'ennesima risata. «Ma che cavolo ti era successo? Sembravi un'assatanata.»
«L'innominabile era il "cavolo che mi era successo". Puoi biasimarmi? Prima di scoprire gli orrendi dettagli della sua vita privata, sapeva come rendersi immenso, affascinante. Sesso puro. Ma era anche gentile. Ingenuo. Diceva un mucchio di stronzate adorabili. E la dolcezza...» Scioglie la postura come se le articolazioni fossero diventate un budino. «Quant'era dolce? Quanto? E quando ansimava... Porca pecora!»
Come siamo finiti a eccitarci su Sebastian Powell all'interno di una cabina del London Eye? Non saprei.
Layla, però, mi appare una contraddizione in carne e ossa: prova a farmi credere che lui non valga più come un tempo, eppure non fa che parlarne elencando tutte le sue qualità.
«Sai che geme?» mi fa notare spavalda, ma con le guance che, pian piano, cominciarono ad arrossire. «Non è il classico uomo che affronta l'eccitazione nel mutismo più assoluto. Lui si fa sentire e, wow, ci dà dentro.»
Mmh. A mio avviso le manca molto, anche se cerca di convincersi del contrario. Che situazione triste.
«Layla, ma...»
Mi ignora. «Ho già detto che era immenso? Affascinante? Sesso puro? Accidenti a lui!»
«Ma è fidanzato, sta per diventare padre e sono così felice che tu abbia interrotto la vostra brutta frequentazione. Posso dirti per esperienza che era un amore impossibile. E con gli amori impossibili ti ficchi in un vespaio.» Solo questa mia risposta articolata riesce a fermare la sua valanga di complimenti. «Il passato, Layla. Ricordi cosa successe con Lorenzo a Berna? Per poco non finivo come Giorgio Siculo, il monaco strangolato ai tempi dell'Inquisizione. Melinda non mi sembra meno feroce, ti ha già minacciata. Faresti bene a non toccarle più il figliastro, la nuora e il nipotino.»
«Oh sì, ricordo bene le vecchie vicende.» Annuisce con alcuni cenni del capo. «Ma c'è una grossa differenza: io non ho mai costruito un piano come quello che tu avevi costruito con Namira. Non volevo rubarlo a nessuna donna.»
«E la notte di Natale in ospedale allora?» le rinfresco la memoria, risoluto. «Ti sei strusciata su di lui e gli hai fatto le fusa sulla bocca. Vi immagino come due gatti persiani su quel letto, circondati da medicine e flebo. Volevi farlo tuo e questo potrebbe essere un piano di sottrazione, anche se involontario. Se non hai capito, ti faccio anche lo spelling.»
Layla si volta di nuovo. A contatto con il Tamigi, vive istanti di silenzio introspettivo.
«Ollie...»
«Eh.»
«Pensi davvero che riuscirò a trovare un'altra persona che mi faccia stare bene come riusciva a fare lui?» mi chiede, con un po' di titubanza. «Non sono coerente, lo so. Fino a pochi giorni fa pensavo che gli uomini fossero solo delle rogne, ma ora, in questo preciso istante, credo di volerne uno. Boh, forse tra qualche minuto mi passerà. Forse, dopo che scenderò da qui, non ci penserò più.»
«Ovvio, Fragolina. Ce ne sono miliardi di uomini migliori di lui. Il pensiero che le labbra che ti hanno sfiorata siano le stesse che baciavano la fichetta di un'altra donna, dovrebbe bastare per farti capire che il suo standard è facilmente superabile.»
«Non si è più avvicinato a lei da quando... da quando ci siamo conosciuti. Me lo ha quasi giurato.»
Inarco un sopracciglio. «E ci credi?»
«A Mosca ci credevo, sì. Ma ora che mi ci fai riflettere, non so.»
«Puoi davvero credere a uno che tradisce la sua compagna?» la incalzo.
«Diamine, no.» Sbuffa. «Grazie. Mi fai sempre capire che faccio bene a stargli lontano.»
«Quando credi di vacillare, pensa sempre a questo: e se un domani facesse lo stesso con te? E se ti tradisse per un'altra? Potrebbe decidere di chiudere l'intera parentesi di punto in bianco. E tu? Tu come staresti senza giri di bachata, origami e gemiti? Con il lavoro che facciamo e la convivenza forzata, di cacca, te lo assicuro. La gente delude. Lo sai.» Riagguanto il corrimano dietro la schiena ed emetto un sospiro profondo. «La gente, spesso, fa piangere.»
«Tranne tu» replica sommessa, abbozzandomi un sorriso. Posiziona una mano sulla mia e calca i polpastrelli sull'anello in argento che porto al pollice, temporeggiando prima di parlare ancora. «Quel piano, quello di Berna di nove anni fa. Mi dicesti che non eri solo un imbuto e che mi amavi. Tutta una farsa...»
Mi stringo nelle spalle. «Hai pianto per giorni, quindi non escludermi dalla schiera dei peccatori.»
«Ma quel piano lo riguardo adesso, e sai una cosa?» Cerca le mie pupille e mi mostra un volto da cui non traspare alcuna recriminazione. «Volevi salvarmi da Lorenzo e in quelle bugie vedo tutta la tua amicizia. Per il mio bene saresti disposto a tutto, anche ad andare contro la tua integrità morale. Noi non ci separeremo mai, vero?»
«Perché dovremmo?» replico in un falsetto veemente. «Un solo cordone ombelicale: avremo i culettonsis attaccati l'uno all'altro per sempre, babbea, anche se mi fai dannare.»
«Viva noi, Ollie.»
«Sì... viva noi.»
E viva tutte le bugie e omissioni fuori amicizia che serbo tra le vertebre. Avrò mai il coraggio di raccontarle a Layla?
Layla
Questo pomeriggio Ollie è stato davvero carino. Non solo per la questione del parrucchiere, ma anche perché è salito sulla ruota panoramica nonostante le vertigini. Lo ha fatto per me. Solo per me.
Chi altro compirebbe un gesto simile?
Nessuno.
Inoltre, notandomi con lo sguardo fisso sulla vetrina di La Maritxu, si è offerto insistentemente di comprarmi una fetta della sua tipica cheesecake da portar via.
Mi ha detto di assaggiarla almeno, giusto per renderlo felice. E voglio farlo questa sera. Giuro che ci proverò.
Il dolcetto è qui con me mentre rientro al camper, adagiato su un piatto di plastica e coperto da un tovagliolo. Posso finalmente recuperare il mio telefono, che, in preda al panico per i capelli persi, avevo dimenticato qui. Mi sono accorta della sua assenza quando ero già in metro, diretta verso il centro.
Senza nemmeno togliermi il parka, poso il piatto al tavolino e mi precipito verso il sedile del conducente. Mi piego sul bracciolo e prendo il telefono per vedere quali notifiche ho ricevuto. Molte provengono da OF, altre da Instagram, dove, nel primo pomeriggio, ho caricato un reel niente male. I commenti sono numerosi e sospetto che abbia aumentato il traffico sul link nella mia bio.
Non perdo tempo a caricare nelle stories una foto di me sul London Eye, scattata da Ollie con il suo telefono e inviatami su WhatsApp. In poco tempo, ricevo molte visualizzazioni e cuoricini da persone diverse. Incoraggiata a caricare altro, scopro la cheesecake e le scatto una foto da pubblicare sempre nelle stories. Dopodiché mi spoglio, mi faccio una doccia veloce e mi metto comoda.
Quando torno a sedermi al tavolino, almeno mezz'ora dopo, noto che la foto della cheesecake non ha ottenuto lo stesso successo di quella in cui compaio io.
Ha un solo apprezzamento.
Quello di Bass.
Indietreggio fino allo schienale, con gli occhi fissi su quel semplice e silenzioso cuoricino. Da quando ha cominciato a seguirmi, ha sempre visto tutto ciò che pubblicavo, ma non ha mai interagito con un mio contenuto. Per questo mi sento su di giri, come dopo una grossa sbronza. Mi sembra quasi che abbia voluto dirmi un implicito: "So che devo starti lontano, ma non posso non farti capire che sono così fiero di vederti con quella cheesecake".
In queste settimane mi sono imposta di non seguirlo e di non guardare ciò che pubblica. Eppure, il cerchio arancione intorno alla sua foto profilo in montagna solletica la mia curiosità, spingendomi a cliccarci sopra per vedere che tipo di stories è solito caricare.
Ce n'è solo una.
E un po'... parla di noi.
«Dio santo.»
Nella foto siamo ritratti nei panni di Filippo e Aurora, mentre, dalla pista, ci inchiniamo al termine dell'esibizione, accolti dagli applausi dei bambini dell'orfanotrofio seduti intorno a noi all'indiana. In sottofondo, ha inserito "Once Upon a Dream" dal film Maleficent, con una scritta che promuove l'iniziativa e il tag al nostro circo, per il quale è stato recentemente aperto il profilo ufficiale.
Decido di seguirlo. Potrei essere ancora presente nei suoi sfondi e, sinceramente, quando capita vorrei saperlo.
Avverto un languore allo stomaco che mi spinge a concentrarmi sulla fetta di cheesecake, il cui profumo di vaniglia è irresistibile. Mi piacerebbe assaggiarne un piccolo boccone, ma temo di perdere il controllo e finirla tutta. Forse sarebbe meglio riempire lo stomaco con un po' d'acqua prima, così da evitare di mangiarla con troppa foga.
Mi alzo, quindi, e prendo una bottiglia già aperta. La scolo il più possibile, cercando di ricordare che l'acqua non ha calorie, anche se il suo effetto di pienezza mi fa sentire quasi in colpa.
Ci metto poco a capire, però, che la mente non si lascia ingannare come lo stomaco: desidero ancora con smania quella cheesecake. Così prendo una forchetta e tento di conficcarla nella crosta bruciata. Ma è dopo pochi istanti che una forza invisibile mi blocca, come un macigno di pietra che si posa sul braccio e lo schiaccia.
Il mio è puro terrore.
Terrore di trovarla troppo buona.
Di ingurgitarla senza neanche masticarla.
Di leccare persino le briciole.
E di piangere poi, rendendomi conto che tutto quello zucchero nel mio corpo non era affatto necessario.
Un tempo amavo le cheesecake semplici, proprio come questa. Ma ora la vedo come un mostro pieno di aculei mortiferi, pronto a mettermi alla prova.
Forse dovrei buttarla tutta, senza rimorsi. Ma poi penso a Ollie che ha speso un capitale per questa fetta e mi sento soffocare. Non so più cosa fare, sono persa, incapace di decidere. E alla fine scoppio a piangere, sopraffatta da un tremore convulsivo che mi tramortisce. Sposto il piatto e poso i gomiti al tavolo, singhiozzando nelle mani. Devo toglierla dalla mia vista. Solo così potrò calmarmi, evitando di assumere quelle calorie che potrebbero rimpolpare braccia e pancia.
«Perdonami, Ollie. Scusami... non sono io» mugugno, come se potesse sentirmi.
Recupero il piatto e mi alzo, ma è solo quando mi dirigo verso la pattumiera che ricordo il momento in cui, tutto felice, ha pagato la torta alla cassa.
Non posso deluderlo.
Non voglio.
Una forchettata, allora. Una forchettata solo per noi, per l'affetto che prova per me, e per l'affetto che io provo per lui.
Una, Layla.
Soltanto una.
Una.
Non tutta.
Una.
Ma da sola non posso farcela.
Ho bisogno di aiuto.
E forse... so come farmi aiutare.
Mi catapulto sul telefono e cerco quella conversazione rimasta muta per tanto tempo.
LAYLA:
non ci riesco.
Qualcosa mi impedisce di lottare.
E non so cosa.
Ho paura.
Sono sul punto di cancellare ogni singola parola, ma la risposta arriva più rapida della mia azione.
BASS:
guardala. Osservala attentamente.
Non è più grande del palmo della tua mano.
Può una cosa così piccola vincere contro la donna maestosa che sei? 🤗
Ricomincio a piangere disperata, le mani che si muovono frenetiche sullo schermo appannato dalle lacrime.
LAYLA:
Oh, Bass...
Nel messaggio aggiungerei che in questo istante mi manca così tanto che rischio di soccombere. Che vorrei abbracciarlo. Che vorrei piangere sul suo petto. Ma non posso scrivergli nulla di tutto questo. Noi ci siamo detti addio.
BASS:
saranno solo 4 bocconi di puro piacere.
Vedila così: ti darà un po' di
energia per odiarmi meglio domani. 😜
Ti basta come motivazione per gustartela fino in fondo?
No, perché non vorrei mai odiarlo.
Lui non è biologicamente fatto per essere detestato da qualcuno.
LAYLA:
quante kcal potrebbe
avere questa fetta di torta?
BASS:
al tuo bellissimo corpo non interessa la matematica. Vuole solo essere felice. ❤️
LAYLA:
🖤
BASS:
🖤❤️
La mano suda mentre si allunga per riprendere la forchetta.
BASS:
chiamami. Anzi, facciamo una videochiamata. Quella cheesecake la affrontiamo insieme.
Non parlerò. Non parleremo.
Ma ti assicuro che puoi farcela.
Tu ce l'hai già fatta.
In un battito di ciglia, clicco sul tasto per avviare la chiamata e subito vedo Bass seduto nella sua cucina. Il van è così ordinato e pulito che ci si potrebbe specchiare su qualsiasi superficie. I suoi capelli sono bagnati e l'acqua scivola tra le ciocche più scure del solito, ma anche lungo le mandibole perfettamente squadrate e il collo. Deve essere uscito dalla doccia da poco e quasi mi dispiace di averlo disturbato. Mi osserva come se stesse cercando di leggere il mio stato d'animo oltre lo schermo, per afferrarlo e migliorarlo. Poi sospira, ma in un modo così naturale che non sembra forzato. Mi mostra una busta di pane a fette, con un vasetto di Nutella accanto. Il suo sorriso si allarga mentre comincia a prepararsi un panino.
Mangerà con me.
Qualcosa di dolce.
Qualcosa di molto calorico.
La fa sembrare un'azione così facile e... mi dà tanta forza.
Non parlo, non dico niente, ma gli occhi gli fanno capire che lo sto seguendo con trasporto. Avvicino il piatto e inizio a mangiare la cheesecake, a piccoli pezzi. Il primo morso è un viaggio di sapori che si fondono nella mia bocca. La crosta, leggermente croccante, si dissolve quasi subito, lasciando spazio alla cremosità vellutata del formaggio. È dolce, ma non troppo, con quel tocco acido che rinfresca senza sovrastare. Il suo boccone non deve essere da meno, visto che agita la solita mano nell'aria.
Non facciamo che guardarci, persi l'uno negli occhi dell'altra. I suoi che si arricciano per i fieri sorrisi che continua a donarmi, i miei che si fanno ancora culla per le lacrime perse.
Accidenti a lui...
Sembra sempre essere l'unico a sapere come trattare ogni mia singola difficoltà, l'unico a sentire sulla sua pelle il martirio che vivo ogni giorno.
Riprende il cucchiaio, lo intinge nella Nutella e, con un gesto lento, lo porta alla bocca. Faccio lo stesso, prendendo il boccone più grande della mia cheesecake.
Ci metto un quarto d'ora a finire la mia porzione. Gli occhi sono finalmente asciutti, lo stomaco pieno, sì, ma anche soddisfatto. Non so come mi sentirò più tardi, quando quel buio oscuro mi pervaderà, ma so come mi sento adesso: grata. Grata di avere Bass, che, nonostante tutto, mi ha permesso di godere di questo dolce proprio come aveva fatto con gli éclair a Lione e a Mosca.
Prima di chiudere, infatti, lo ringrazio a voce. Lui annuisce e, con entrambe le mani, indica il suo van, come per dirmi che so dove trovarlo, perché è sempre lì, a un passo da me.
Un'ora dopo, mi sorprendo di me stessa. Non sto pensando a come smaltire le calorie in eccesso, ma mi giro e rigiro nel letto, eludendo le evidenze e sentendo Bass più mio di chiunque altro. Domani tornerò a essere quella solita ragazza algida, priva di cuore e sentimenti, ma adesso voglio lasciarmi cullare da quei sogni irrealizzabili che prendono vita di notte, quando le voci della coscienza finalmente riposano.
Forse, un giorno, smetterò di alimentare questi piccoli aneliti transitori. Forse, un giorno, quando lo vedrò con un neonato tra le braccia, dimenticherò completamente questa parentesi, senza più raccontarmi bugie. Ma ora voglio solo stringere il cuscino al petto e fingere di ricevere affetto dall'unico uomo che, malgrado i suoi errori e difetti, continua a farmi sentire un guizzo residuale di vita nelle vene.
All'improvviso il telefono squilla, portando con sé un messaggio di Telegram. Con tutte le applicazioni che ho scaricato negli ultimi giorni, rischierò di impazzire.
Devo dire che sono piena di messaggi. Recupererò prima quelli di lavoro, ricevuti oggi pomeriggio.
EPOALSUKUN_B:
non credo di aver mai visto donne più attraenti di te. Avrei ulteriori richieste da avanzare, naturalmente solo se sarai disposta ad accoglierle. 🙏🏻
E poi...
RUDEBOY67:
sei sempre nei miei pensieri, LadyFlame.
Ma ora a scrivermi è stato SilentObserver_, un altro dei clienti con cui ho deciso di sentirmi più spesso fuori OnlyFans. Mi paga abbastanza per quei pochi contenuti che mi chiede ed è sempre molto discreto, quasi quanto Rudeboy67, che spesso si limita a mandarmi semplici gif con i koala.
SILENTOBSERVER_:
buonasera, disturbo?
Rispondo prima agli altri.
Poi mi concentro su di lui.
LADYFLAME:
no, affatto.
SILENTOBSERVER_:
deduco che potresti concedermi
qualche minuto, allora.
LADYFLAME:
desideri ricevere qualche nuovo
contenuto non previsto?
Mi prendi in un buon
momento, perché potrei fartelo avere subito.
SILENTOBSERVER_:
no.
Nessun contenuto.
Volevo solo parlare un po' con te.
Se ti va.
LADYFLAME:
d'accordo. Di cosa?
SILENTOBSERVER_:
di quello ti piace, magari.
E delle tue origini.
LADYFLAME:
non divulgo informazioni private, mi dispiace.
Quelle non ci sono neanche su Instagram.
SILENTOBSERVER_:
100 dollari per sapere almeno un dettaglio sulla tua provenienza.
Mmh. Vediamo se posso approfittarne.
LADYFLAME:
250 euro, e forse potrei pronunciarmi in maniera molto vaga.
SILENTOBSERVER_:
il tuo venale modo di contrattare comincia a farmelo venire duro, sappilo.
Eccoci qui, arrivati al tipico linguaggio croccante di ogni uomo. Una scontatezza ineccepibile. È proprio per questo che Bass, all'inizio, mi aveva colpita: non cadeva mai nelle solite e prevedibili allusioni. Lui era quello dello stendibiancheria e degli origami a forma di colombine, tanto per intenderci.
So che il cliente pagherà, quindi gli svelo ciò che vuole sapere.
LADYFLAME:
est Europa.
SILENTOBSERVER_:
puoi essere baltica, se parli in euro. Non citi altre monete e ti dimentichi spesso che su OF si contratta in dollari.
Ops.
Ma si può essere più sbadate di me?
SILENTOBSERVER_:
Lettonia, Estonia o Lituania?
LADYFLAME:
un'aggiunta di 50 e potrei risponderti.
SILENTOBSERVER_:
affare fatto, mia dea.
Ho una mano sui boxer umidi, ti dispiace?
LADYFLAME:
no. Con il tuo cazzo puoi fare ciò che ti pare.
E comunque, provengo da uno
dei due paesi con la L. 🙃
SILENTOBSERVER_:
mi hai fregato.
Sghignazzo tra le coperte, mettendomi supina.
LADYFLAME:
no. Semplicemente,
sono una grande amante della suspance.
SILENTOBSERVER_:
ma... se volessi offrirti una cena?
Dovrei acquistare un biglietto aereo per Riga o per Vilnius?
LADYFLAME:
cena? Con me?
Caschi male, bellezza.
Non mangio.
SILENTOBSERVER_:
e come riempi quel bel culetto visibile
oltre le mutandine di pizzo che indossi
nei tuoi preziosi video?
LADYFLAME:
opera dello Spirito Santo.
SILENTOBSERVER_:
allora, con il benestare di Dio, setaccerò entrambe le capitali per incontrarti. E se non ti troverò, le brucerò interamente.
In un'altra vita lo chiamavano imperatore del Sacro Romano Impero, ci scommetto ogni cosa.
Sospetto che non abbia visto le mie ultime stories, perché altrimenti saprebbe che sono a Londra. Chissà, magari su quel social non mi segue con molta attenzione.
LADYFLAME:
tu, piuttosto?
Come ti chiami?
Quanti anni hai?
Di dove sei?
Informazioni utili per denunciare il mio stalker, un domani.
SILENTOBSERVER_:
Damian.
29.
Galway, Irlanda.
LADYFLAME:
il tuo lavoro, Damian?
SILENTOBSERVER_:
uno di quelli da stipendio stellare, alcol e puttane.
Il mio respiro si appesantisce. Non credo che questa conversazione pericolosa mi stia dispiacendo così tanto.
LADYFLAME:
wow, non c'è che dire.
Sei un tipo affidabile.
Il cocco di ogni madre.
SILENTOBSERVER_:
puoi ben dirlo...
Ma con te al mio fianco potrei cambiare registro. Un giorno ci incontreremo, dea.
E ti porterò all'altare.
LADYFLAME:
sto facendo i salti di gioia, guarda.
Questo è fuori di testa.
SILENTOBSERVER_:
la prossima settimana ti chiederò contenuti più forti. Obbedirai a ogni mia richiesta?
LADYFLAME
purché non debba compiere un omicidio o hackerare qualche sistema informatico. 😄
SILENTOBSERVER_:
riposa bene, dea.
A domani.
Bass
Arrotolo il bacon attorno alle cosce di pollo e le dispongo tra le patate e i funghi, già sistemati in una teglia antiaderente. Mi asciugo le mani sul grembiule da cucina, poi inserisco tutto nel forno e giro le manopole per impostare il mio solito e infallibile metodo di cottura: centottanta gradi per cinquanta minuti.
Sbuffo.
Di solito preparare la cena mi rilassa, ma da quando ieri ho avuto quella videochiamata con Layla, neppure la cucina sembra riuscire a distogliermi dalla nervosa montagna russa su cui mi trovo.
Su e giù, avanti e indietro, a tratti vivo e coinvolto, a tratti tormentato e consumato dal dolore che provo.
Sì, perché soffro. Enormemente.
Dieci giorni fa, a Mosca, mi sembrava che Layla stesse meglio. Ora è dimagrita. Troppo. Al punto che il suo viso non potrebbe essere più spigoloso di così. Le ossa dei gomiti sono più larghe del diametro degli avambracci, così come le rotule rispetto alle cosce. Una situazione che, ora dopo ora, diventa sempre più preoccupante.
Se lei non mangia perché cazzo devo mangiare io?
Stasera non cenerò.
Ho deciso.
Non posso, se lei non lo fa.
Mi affaccio al finestrino per capire se Scarlett stia per arrivare a casa, ma non solo. I miei occhi si posano sul suo camper, a pochi metri dal mio van. Le luci interne sono accese e spero con tutto il cuore che stia mangiando qualcosa, anche solo un frutto che le dia energia. Che strana e pruriginosa voglia di sapere tutto di lei, anche il più insignificante dettaglio delle sue giornate. Prego affinché si stia mantenendo lontana dall'alcol e da tutto ciò che potrebbe esserle dannoso.
Non voglio vederla con un sondino nel naso, la bradicardia, la pelle delle mani che tende all'arancio e i muscoli completamente prosciugati. Non voglio che perda la forza di respirare. Desidero aiutarla nel concreto prima che sia troppo tardi, perché riempirmi di Nutella davanti allo schermo di un telefono non basta. Forse dovrei chiamare i suoi genitori, parlarne con loro e dirgli che sto per impazzire visto che mi sento così fottutamente impotente.
Quanto peserà adesso?
Meno di quando l'ho conosciuta a Lione. E a Lione era già sottile come un filo d'erba. Non sono uno che piange ma, dannazione, le lacrime ora scendono da sole.
Oggi ho dovuto esercitare una notevole autodisciplina per non scriverle un milione di messaggi. È meglio non essere troppo insistente con lei, considerando le difficoltà che pesano sul nostro rapporto. Ma ho paura. Paura che possa svenire da un momento all'altro e che qualcuno venga a dirmi che ha raggiunto il Paradiso.
Improvvisamente, le dita della mano sinistra si intorpidiscono, distogliendomi dalla vista verso l'esterno. Mi avvicino al lavandino e apro l'acqua, godendo della sua temperatura tiepida, mentre Melinda fa capolino nel vano principale. Ha i capelli umidi al profumo di... boh, non so se profumano. Le occhiaie, profonde e scure, appesantiscono il suo sguardo. Si affanna a sfoderarmi un sorriso, che si allarga sulle labbra volumizzate dal filler appena iniettato.
«Te lo ricordi, vero?» esordisce con un filo di voce, affiancandomi accanto al piano cottura. «Ti ricordi di lasciarmi due cosce? La madre di tuo figlio ha tanta fame stasera.»
«Due cosce s-senza pancetta, lo so.»
«Sai tutto, tu. Sai tutto di me» osserva in tono consolatorio, benché sul mio volto non ci sia nulla di consolante. «Ma stai piangendo, per caso?»
Tiro su con il naso. «Lasciami in p-p-pace, per favore. Sono a pezzi.»
«Serbi ancora del rancore, lo capisco» afferma. «Per te, ormai, è uno sforzo sovrumano anche solo starmi accanto, anche quando Scarlett è assente.»
Ma chi se ne frega del rancore.
Potrei mai piangere per questo?
Arresto il vaporoso flusso d'acqua e sgocciolo le mani nel lavello.
In seguito, Melinda preleva lo strofinaccio posato sulla maniglia del fornello e me lo porge. «Quand'è che mi concederai un ritorno alla vita?»
«Se p-per "ritorno alla vita" intendi quello che avviene in pista, penso c-che lascerò fare ancora al Fleurs.» Accetto l'offerta e inizio a tamponarmi gli incavi delle dita, uno ad uno. «Lo vedi anche tu. Lorenzo ci ha s-stravolti.»
«È evanescente, sì, ma non intendevo questo. Mi riferivo a ciò che avviene qui, tra di noi.»
Capo chino, come un corrotto, e il solo pensiero di tornare a far coppia con lei mi scombussola le viscere.
«Guardami.» Non seguo l'imposizione, così lei interviene, tirandomi su il mento. Lo stringe tra le sue unghie affilate e il dolore che ne deriva mi costringe a fare ciò che vuole: la guardo, questa pazza violenta, ma con uno sguardo sterile, gelido come un fiordo del nord. «Fino a poche settimane fa fantasticavamo su come sarebbe stato se ci fossimo svelati. Camminavi al mio fianco, sulle strade che abbiamo sempre percorso insieme. Tu mi ami, come io amo te. E l'arrivo di questo bambino lo testimonia.»
«La pancia d-dovrebbe vedersi un po', no?» mi insinuo. «Perché, invece, sei p-p-piatta come una tavola da surf?»
«Non cambiare discorso. Piuttosto dimmi perché sei così tanto cambiato nei miei confronti, Bastian. E non usare la scusa della gastrite di quella lì.»
«Ho conosciuto la t-tua cattiveria, ho visto come questa ti manovra e mi s-spaventa, mi allontana. Punto, Mel. Troppe dolore. Ho chiuso con tutto q-questo. Fai male.»
Mi lascia il mento. «A chi faccio del male?»
«A me.» Appallottolo lo strofinaccio tra i palmi, senza quasi accorgermene.
«A te o alla principessa dell'est?»
«A me!»
Mi confisca lo strofinaccio per scagliarmelo in faccia. «Debole! Ecco cosa sei! Tuo padre aveva ragione!»
Lo afferro e, in una mossa allucinata, lo lancio verso il tavolo dove consumiamo i pasti. «Lo sono! Lo s-s-sssono da tutta la vita e mai mi è stato riconosciuto a-altro. A furia di sentirvi, ormai ci c-credo anch'io! Non ce l'ho la spina dorsale, chiedo s-sss-scusa a tutti!» Spalanco le braccia. «Dove si compra? C'è un cazzo di m-mercato che smercia una cazzo di spina dorsale?»
Mi punta l'indice tremante contro. «Sai qual è il nocciolo della questione?»
«I noccioli si buttano!»
«La Urbonaitė ha capito che sei ipersensibile e sta peggiorando il tuo quadro già compromesso. Sfrutta il suo dolore per esercitare su di te un potere malato!» Le iridi grigie luccicano assieme all'interezza dei suoi occhi.
«Ah, sì?» Schiocco la lingua sul palato. «E che t-t-tipo di potere malato sarebbe?»
«Ti istiga a provare pietà per farsi scopare!»
Mi sfugge una risata breve e nervosa. «Ti sei giocata il c-cervello.»
«Scopala, Bastian, e giuro che ti ammazzo.»
«Non ne p-posso più! Ne ho l-le palle piene!» grido, con gli occhi fuori dalle orbite. «Come posso a-amare chi minaccia di distruggermi la vita? Sono deluso, amareggiato p-per aver creduto a lungo in un rapporto pieno di difetti, che scricchiolava a-anche per il n-niente. Una relazione che, ogni volta che tu p-provocavi uno squarcio, c-cercavo di riparare con ago, filo e pazienza. Ma stasera non ci sto. Da stasera dico basta. Minacciami a-ancora di uccidermi e ti caccio fuori, te e il nostro b-b-bambino finto. Ma poi, che farai quando n-nascerà? Ti presenterai a me con una bambola Reborn tr-tra le braccia?»
«Che oltraggio! Ti credi forte perché hai la vagina di quella puttanella sempre a disposizione, vero? Perché tu senza scopare in quei tuoi modi rudi e perversi non sai stare» urla, sull'orlo delle lacrime. «Sei solo mosso dall'entusiasmo. Da quant'è che la conosci? Quattro mesi? E cosa sai di lei? Quel tanto che basta per capire che è una tossica!»
«Layla non c'entra n-nulla.» Le do le spalle e mi sciolgo il fiocco del grembiule annodato dietro la schiena. «E ora basta p-parlarne. Ho già sprecato f-fin troppo fiato per te.»
«Ora sei tu a farmi del male!» Si mette davanti a me, pettinandosi i capelli all'indietro. «Vuoi distruggermi proprio come hai fatto con Kenna!»
Kenna.
È il colpo lancinante, quello terminale, come una palla di cannone che mi spappola le ossa. Il battito del cuore accelera e la saliva scompare, seccando la mia bocca. Abbandonare questo covo soffocante mi sembra l'unica cosa giusta da fare. Così, senza nemmeno preoccuparmi di mettermi le scarpe, getto il grembiule sul pavimento e spalanco la porta fino alla massima apertura. Esco e per chiuderla la sbatto così forte che l'intero van oscilla.
Mi ritrovo sotto un cielo di nuvole senza luna, ansimante. Al solo pensiero di Roma e della morte di mia madre, le lacrime ricominciano a scorrere sulle mie guance, bagnandomi gli angoli delle labbra. Sono un debole, lo so, ma Melinda è diabolica. Sa sempre come girare il coltello nelle ferite aperte. Perché le mie, no, non sono ancora cicatrici. Neanche dopo tredici anni.
«Mamma, o-o-ovunque sei, perdonami. E se puoi, s-salva Layla.»
Scarlett
Il mio stomaco brontola, incapace di dimenticare che è ora di cena. Credo che Bass abbia preparato il pollo nel mio modo preferito, ma non ho il coraggio di entrare nel van e comportarmi come se nulla fosse. Preferisco rimanere qui, sotto il tendone, seduta al centro della pista, ripiegata su me stessa con le cosce contro il petto. La testa si incastra tra le ginocchia, unico appiglio per non sbatterla volontariamente contro il pavimento pieno di stelle e brillantini.
Il telefono non fa che suonare. Chiamate su chiamate in arrivo, messaggi su messaggi.
Apro un solo occhio per constatare chi mi stia reclamando con tanta insistenza: è lui, Terence.
Non voglio rispondergli.
Sono lontana dal mio ragazzo in tutti i sensi possibili. Desidero solo l'accartocciamento del tempo per ritornare ad Amburgo, assecondare l'iperprotettività di mio fratello e dirgli di no a qualsiasi proposta sessuale. Ma a nessuno è concesso di arretrare tra le fila del passato e allora posso solo incedere tra le inquietudini e inventarmi delle soluzioni.
Ma quali?
Cosa posso mai fare io, da sola?
Incollo le rime cigliari tra loro, anche se gli occhi bruciano fino a crederli pieni di lava vulcanica.
Mamma, avrei tanto bisogno di te...
Mi lascio sfuggire un lamento, per poi interromperlo bruscamente. Papà mi ha insegnato a non piangere sul latte versato. Negli ultimi anni diceva che le lacrime, anche se rare, erano per i deboli di mente come Bass e non voleva che io fossi una sua copia. Eppure, più Terence insiste con le chiamate, più sento di voler abbracciare quella forma di debolezza. Prego che papà, da lassù, non mi stia giudicando.
«Smettila di chiamarmi...» mugugno.
Percepisco dei passi attraversare l'ingresso del tendone e sollevo appena lo sguardo in quella direzione: Lorenzo sorregge il telefono nell'incavo tra il collo e la spalla, impegnato in una conversazione animata. Credo stia cercando di risolvere un problema che affligge il circo da giorni, riguardante i fari di scena. Lavora tanto, anche di notte. Lo fa per il debutto di Meravigliosa, a cui tiene molto.
Stringe una torcia accesa nel palmo e con essa illumina il suo cammino verso alcuni fari rotti. Ma quando il fascio abbagliante mi colpisce, si ferma di colpo. L'altro braccio perde di forza e il telefono gli scivola fino alla mandibola. «Ti richiamo, Donald. Buonanotte. A domani.»
Ecco. Ora verrà da me.
E che gli dico?
Cammina a passo lento, con l'espressione preoccupata. Si piega sulle ginocchia, a pochi centimetri da me, abbassando la torcia per generare una luce soffusa, evitando così di gettare ombre troppo dure sui nostri volti.
«Che ci fai qui? È successo qualcosa?»
«No, niente. Va tutto bene» mento, tornando a nascondere la fronte tra le gambe.
«E dov'è il tuo sorriso?» continua a chiedere con gentilezza. «Quello che spesso fa sorridere anche me?»
«Non voglio sorridere, non stasera.»
«Sì. Si vede che c'è qualcosa che non va.» La sua mano si adagia leggera su un mio ginocchio e io mi irrigidisco all'istante. «È per i kiwido?»
Non rispondo.
«La giocoleria è una disciplina che richiede precisione e allenamento costante. Ti guiderò passo dopo passo fino a quando non acquisirai il controllo della forza centrifuga. Non devi preoccuparti. Con la pratica, diventerà un movimento naturale.»
Quanto vorrei che il mio fosse un problema legato al patinato mondo circense. Il labbro mi trema mentre gli occhi si inumidiscono.
«Dimmi come posso risollevarti. Come posso tirarti fuori dal buio fumoso in cui sei confluita» mi sussurra. «Apriti. Ci siamo solo noi.»
«Sto male, Lorenzo» trovo il coraggio di ammettere, con la voce che vibra. «E non per i kiwido.» L'ennesimo squillo frantuma il mio respiro e urlo d'istinto: «Rifiuta la chiamata, non voglio sentirlo! Fallo per me».
Lo stridio delle scarpe mi rivela che sta scivolando verso il telefono. «È Oliver. Che vuole a quest'ora da te?»
Oh, no. Lui...
Una mano invisibile mi stritola il petto al pensiero che, forse, anche il mio tenero pagliaccio si stia preoccupando per me.
Alzo la fronte e incrocio lo sguardo di Lorenzo, intento a rifiutare la chiamata. «Posso piangere per un po'?» gli chiedo.
«Sì. Certo che puoi.»
Mi avvicino a lui, poso la fronte su un suo braccio e, senza vergogna, mi lascio travolgere da un'infinita sequenza di singhiozzi carichi di desolazione. Lorenzo mi accarezza la testa, come se volesse ritemprarmi così, con un po' d'affetto.
Sono una debole per papà, è vero, ma sotto le sue mani discrete mi sento quasi come una figlia che finalmente viene compresa.
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