16 - Ardere
Layla
Inspiro profondamente prima di battere le nocche sulla porta dell'ufficio di Melinda. Diamine. Da minuti interminabili imploro Namira di tessere a mio favore le sue trame invisibili, come faceva in passato, quando, al mio fianco, mi difendeva contro chiunque.
C'è da dire che mi ci vorrebbe un grosso miracolo per risollevare la giornata, visto com'è iniziata. È stato orribile svegliarmi con Ollie che, a cavalcioni su di me e con un guizzo assassino negli occhi, stava per farmi una ceretta ustionante al baffo. Sì, alle otto del mattino.
Almeno una volta al mese si dedica a questa pratica invasiva e improvvisa, dato che non sempre glielo permetto. Per lui i peli sono inaccettabili e ci tiene moltissimo a vedermi in ordine. Sostiene che, nonostante il baffo sia biondo, mi faccia sembrare una fredda sceriffa del Texas.
Peccato che Ollie abbia strappato la striscia depilatoria proprio nel momento in cui Dubois ha bussato alla porta del mio camper. Al dolore lancinante, come se mi avesse estirpato anche un pezzo di carne, si è aggiunto il presagio di qualcosa di spiacevole. Il nostro caro padrone, infatti, non valica mai le intimità casalinghe dei suoi dipendenti. Quando lo fa significa che ci sono problemi più o meno gravi da risolvere.
Ho aperto la porta con la cera bollente nelle narici e il cuore in gola, che è salito fino alla testa quando ho scorto la sua espressione preoccupata. Il ticchettio del gommino del suo bastone sul pavimento, accompagnato dal rumore delle suole dei suoi mocassini lucidi, ha solo peggiorato la mia ansia.
Strofinandosi le candide basette, ci ha ricordato l'assioma che esiste tra i due circhi: cedere, sacrificare, venirsi incontro, rinunciando a quelle certezze tanto care a noi ma considerate scomode dall'altro, per ottenere benefici comuni, come la coesione e la serenità. Tuttavia, nel caso specifico di oggi, Melinda gli chiesto qualcosa di immenso, che lo ha fatto andare su tutte le furie. Il prezzo da pagare per soddisfarla è alto, sproporzionato rispetto a quanto ci viene offerto. Secondo lui, solo io posso cambiare la situazione.
Già, io: la morta vivente.
Sembra che la direttrice sia un mastino che abbiamo sottovalutato. Se qualcosa non le va a genio, lo smantella senza alcuna pietà.
Cos'è successo?
Ecco qui: ha confessato a Dubois che i numeri con la manipolazione del fuoco non la entusiasmano, e che per questo stava pensando di rivedere il mio ruolo all'interno del Carovana.
Per un attimo ho temuto di essere licenziata, ma il mio capo mi ha assicurato che ciò non accadrà mai finché lui sarà al comando.
Ma è necessario che parli direttamente con lei, anche perché mi ha richiesto un colloquio.
Dubois mi ha pregato di mantenere la lucidità e di stare in guardia con la signora Powell. Cercherà di piegarmi al suo volere.
Ollie, per lo strazio di vedermi smettere di usare le fiaccole, ha immerso un mignolo nella cera bollente, implorandomi tra le lacrime di fare Melinda a pezzi.
Ma non deve temere: questo accadrà, perché il fuoco è la mia magia.
«Avanti.» La voce della direttrice si espande ovattata oltre la porta della roulotte. Conto fino a cinque prima di entrare, ma non appena salgo il gradino e alzo lo sguardo verso l'interno, mi basta un istante per capire che questo non sarà un colloquio a due, ma a tre.
Santo cielo.
Rimango immobile tra gli stipiti della porta, con un piede che sporge all'esterno e il cuore che precipita nello stomaco.
C'è Bass.
È in piedi, con le braccia incrociate, appoggiato al finestrino. Indossa una giacca di jeans slavata con la pelliccia sul colletto, adatta al clima frizzante di oggi. L'aria silenziosa che lo circonda, però, sembra portare con sé un fardello di riflessioni, forse dieci per ogni ciocca della sua chioma biondo miele.
Credo di non essere morta, ma non sto neanche vivendo.
Affronto questo momento nella confusione tipica di chi riceve una sorpresa inimmaginabile il giorno di Natale. Metto il piede dentro, ma l'instabilità delle mie ginocchia mi fa capire che, forse, oggi non riuscirò a dimostrare il mio valore come avevo promesso a Dubois e a Ollie.
Melinda mi saluta con un sorriso benevolente, dandomi il benvenuto.
«Bu-buongiorno» è il miagolio con cui riesco a rispondere, chiudendo la porta dietro di me.
Bass ricambia con un «Buongiorno» sbrigativo, mentre si schiaccia il labbro superiore tra le dita.
Corruccio la fronte e mi chiedo che cavolo ci faccia lui qui. Ah, certo. Sono proprio una cogliona: è il proprietario del Carovana, il mio capocapocapo. È normale che ci sia. È normale tutto. Quella anormale sono io con le mie reazioni da quindicenne.
«Sono lieta di notare che, questa volta, a separarci ci sia solo una Coca-Cola senza zucchero» dice Melinda, alludendo chiaramente alle sei bottiglie di alcolici dell'altro giorno. Si alza dal divanetto accanto alla scrivania del potere e, sistemandosi i lembi del cardigan con bottoncini perlinati che indossa, mi offre un sorriso di circostanza. «Immagino che Dubois ti abbia già informato del motivo del richiamo.»
«Sì, direttrice. Nutre dei dubbi sulla mia arte, è così?» chiedo con un tono di voce instabile che tradisce la pressione che avverto: Bass, di lato, mi studia attentamente, centimetro per centimetro. L'espressione che vedo di sbieco è neutra e incomprensibile.
Un piccolo slancio di coraggio mi spinge a voltarmi meglio verso di lui. Lo faccio e... accidenti. Ora devo procurarmi un abito nuziale, perché ho detto che lo avrei sposato se avesse avuto due pietre verdi al posto degli occhi. Per intensità ricordano il colore del mare dei Caraibi, una meta che desidererei raggiungere per sfuggire all'elettricità della tensione che sento librarsi nell'aria.
Ci scrutiamo ancora a vicenda, facendo trasparire un vuoto siderale, finché lui non inclina la testa verso destra e mi fa cenno di respirare.
Sbarro le palpebre.
Il suo invito sta avendo l'effetto opposto: sono appena andata in apnea.
Forse se ne accorge, perché ora mi offre persino un sorriso delicato. Gli occhi si arricciano e si formano delle piccole zampe di gallina sopra gli zigomi.
Mio. Santissimo. Dio.
Defibrillatore, grazie.
Avvampo e getto lo sguardo sulle fibbie delle mie orrende Birkenstock, alla ricerca di una via di fuga oltre gli alluci smaltati di nero, oltre le suole, oltre il pavimento.
«Layla, giusto?» interviene Melinda mantenendo un tono lieto. Io per poco non scoppio in aria. Alla conferma del mio nome, va subito al punto. «Al Carovana il fuoco non ci sarà, Layla. Con le fiaccole sei poco utile. Preferiamo che tu ti unisca al corpo di ballo. Le danze sono meno pericolose, non trovi?»
"Poco utile."
Che brutto aggettivo.
Talmente brutto che mi sembra che la roulotte tremi sotto i miei talloni.
Negli spiragli della mia mente si affolla ora il vasto quantitativo di performance che ho eseguito nel corso della mia vita circense. Negli anni ho perso me stessa, accumulando sulle vertebre un'infinità di delusioni variegate, dolori, sconfitte e mancanze mai colmate, che spesso hanno generato urla impetuose e suppliche disattese. Ma nella linea del tempo è sempre esistita una costante che mi ha spinto e che mi spinge tuttora a non impazzire, mentre cerco il coraggio di finirmi e lasciare la terra: il fuoco.
Non permetto a nessuno di metterlo in discussione.
Io sono l'artista che arde e, questo mattino, di fronte a quello che considero un affronto personale, mi viene chiesto di ardere anche fuori dalla pista.
Fallo, Layla, riaccenditi per un momento.
Fallo per te.
Solo e unicamente per te.
Rialzo la testa con estrema sicurezza. «Mi dispiace, ma io non ballerò.»
Melinda allarga gli occhi, sorpresa dalla mia risposta. I muscoli del suo volto si tendono. Poi sbatte le palpebre e respira profondamente. «D'accordo, voglio essere sincera con te, zuccherino. Accomodati qui, sul divanetto.»
«No, grazie. Non ho voglia di sedermi.»
«Allora mi siederò io» risponde, e si accomoda.
Bass non interviene nemmeno nei pochi secondi di silenzio che seguono.
«Monica fu un fallimento» riprende la direttrice. «Era la nostra mangiafuoco. Fui io a sceglierla, e sai una cosa, zuccherino? Sbagliai perché non era preparata. Nessuno come Kenna. E così quella pazza mandò a monte lo spettacolo, fumo ovunque, spettatori spaventati. Un incidente che provocò un rogo e un dispendio economico ingente. Perdemmo tre animali.»
«Mi dispiace. Per gli animali» dico, accentuando l'ultima parola.
«Il giorno dopo eravamo su tutti i giornali e da allora iniziò il declino» continua, per poi decantare tristemente: «"Le Requiem del Powell Circus". Questo era il titolo sull'Echo. Ne eri a conoscenza?»
«Capisco il timore, ma non è detto che debba succedere di nuovo.»
«Sarò io a impedire che accada ancora. La fusione è stata causata da quell'incidente» chiarisce Melinda. Poi guarda Bass e lo indica con una mano aperta. «Lui è per me come un figlio. Promisi a suo padre – nonché il mio defunto marito – che mi sarei presa cura di lui. Bastian è la prova lampante che serve per farti capire quanto sia poco congeniale scherzare con il fuoco.»
Affusolo le palpebre, arsa dalla sete di sapere. «Cosa le è successo?»
In tutta sincerità, non so come rivolgermi a Bass. Nel dubbio, gli do del "lei", che stabilisce la distanza rispettosa tra capo e dipendente.
È Melinda a frapporsi tra noi, ancor prima che lui possa rispondere. «È orfano. Anche sua madre maneggiava le torce ed era molto abile, forse anche troppo. Abbiamo pianto per lei, proprio come voi avete fatto per Namira Serrano García.»
Bass sbuffa e fissa lo sguardo su qualsiasi cosa tranne che su di me. Lo incolla infine sull'argento della lattina, senza dire una parola.
Forse è il caso che intervenga riguardo alla morte. D'altronde, sono l'esperta in materia. «Non solo comprendo il timore, ma anche il dolore di una perdita e mi rendo conto che rischiare, dopo una tragedia, non è mai facile. Ma...»
«Ballerai?» taglia corto Melinda, alzando un sopracciglio con un velo di irritazione sul viso un po' rifatto.
«Faccio di meglio: me ne prendo la responsabilità» affermo, avanzando di qualche passo fino a sfiorare il tavolino con le cosce. «Mio padre era un mangiafuoco, così come mio nonno e molti altri membri della mia famiglia. Mi hanno ammaestrato, insegnato e rivelato gli arcani e le insidie che si celano dietro l'elemento che mi permette di sopravvivere. Il fuoco è mansueto, al contrario di quanto si pensa, e so come domarlo. Non ho paura. Chiedo a voi di non averne.»
«Cazzo! Ahia! Il l-la-labbro!» impreca Bass, sobbalzando inquieto. Melinda ed io si focalizziamo su di lui. «Scu-scusate, si è staccata una pellicina. L'ho stuzzicata troppo.»
Stabilita l'assenza di una situazione da Pronto Soccorso, Melinda riprende a controbattere. «Comprendi il timore e la perdita, ma sembri restia a cogliere il punto centrale della questione: con il fuoco abbiamo chiuso.»
Okay. Parlare con lei è come parlare con qualcuno dalle scarse capacità uditive. Non posso fare leva su questa persona, ma sul suo figliastro, forse, sì.
Mi volto verso di lui, intrecciando le mani sull'addome. «Non posso riportarle indietro sua madre, ma posso ridarle il fuoco sotto forma di spettacolo, con la speranza che lei possa riappropriarsene, signor Powell.»
Ci fissiamo per attimi che sembrano eterni, mentre lui si tampona il labbro ferito.
Guarda Melinda in seguito.
Fa passare altri infiniti secondi.
«Io dico che possiamo l-lasciarla fare.»
Sì! Evvai!
«No, Bastian!» esplode lei, recriminante. «Avevamo detto di...»
«Fidarsi: non era quello che suggerivamo poche ore fa, in a-a-aperta campagna?» la interrompe lui, sciogliendo i muscoli del corpo per raggiungere il tavolo. Da così vicino mi dedica un nuovo sorriso stretto e accondiscendente, mentre si impadronisce della lattina dalla quale solleva la linguetta. Un suono frizzante si diffonde nella roulotte e il mio cuore pompa forte contro il torace. «Ti diamo f-fiducia, Layla.»
Mio Dio.
Non posso credere che lo abbia detto davvero.
Bass ha accettato il mio fuoco.
Ha permesso che nessuno lo affievolisca.
Congiungo le mani in segno di riconoscenza e ricambio il sorriso con la lieta curvatura della mie labbra. «Grazie. Non la deluderò.»
«No, non funziona in questo modo!» blatera ancora la direttrice. «A decidere devo essere io! E...»
«Signora Powell.» Rifuggendo dalle iridi tropicali di Sebastian, a cui attribuisco un voto sopra i 100 miliardi, e mi concentro su quelle allarmate della sua matrigna. «Quando mi esibisco ardo interamente. Quel calore sprigionato mi permette di raccontare quanto avverto da circa una vita. È un grido che non urta le orecchie, ma illumina l'anima, non solo la mia, ma anche quelle di chi mi guarda. Il pubblico mi sente. Percepisce tutto quello che mi rimane e che posso donare. È un briciolo di magia che dura un istante, più che un rischio. Mi sente perché si affida. E, nell'affidarsi, si eleva e mi applaude. Io, al circo, funziono sempre.»
«V-vediamo se riusciremo a s-sentirti anche noi» risponde Bass, quasi rapito dal discorso. «È la tua occasione.»
Vedrai che ti combino, capocapocapo.
All'opportunità che mi ha concesso, risponderò con il mio sacro impeto.
Congedatami dall'ufficio, mi dirigo a passo spedito verso i miei colleghi, impegnati a provare sotto il tendone. Vedo subito chi stavo cercando: i ballerini, ormai informati della mia implementazione nel loro gruppo. Una delle ragazze si avvicina per porgermi le scarpette da danza, ma le rifiuto chiaramente. Con imperiosità, richiamo Ollie, che è occupato a litigare con i nuovi clown, mentre alcuni membri della compagnia francese, curiosi e impazienti, mi circondano per sapere se ce l'ho fatta.
«Ho voglia di sfidare il vento» esclamo entusiasta, al centro di questo magnifico cerchio umano. «Portatemi le mie amate fiaccole, per favore.»
«Ce l'ha fatta! Fragolina ce l'ha fatta, yuhuu!» urla Ollie, mentre Ernest dà il via a un applauso che coinvolge tutti. Lorenzo, per un prodigio inspiegabile, mi consegna le fiaccole.
L'euforia del gruppo cresce sempre di più.
Loro sanno che non ho solo preservato le fiamme.
Ho conservato anche quel poco che resta di me stessa.
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