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1 - Rivelare


Layla

«Ti sento!»

Le parole di Andrius riempiono l'aria che ci circonda, elevandosi leggiadre come il canto più dolce del Paradiso. Non potrebbe esserci nulla di maggiormente prezioso e linfatico per me. La sua voce riesce a farmi sorridere anche nei giorni più bui.

Saltello sul posto, sferzando l'erba con le gomme delle Converse, e poi mi inginocchio alla sua altezza, per essergli il più vicina possibile. Qui, a pochi millimetri dal suo visetto tondo, mentre respiro l'odore di frutti di bosco del bagnoschiuma con cui l'ho lavato stamattina, mi sopisco inebriata.

Cuoricino mio... una creatura più perfetta di te non c'è.

Andrius mi riporta alla realtà, schiamazzando più forte. Stende le manine in avanti, alla ricerca delle bol­le di sapone con le quali lo sto facendo sbellicare da almeno dieci minuti. Le attende impaziente, pregustan­dole intorno a sé.

Potrei rischiare un infarto per quanto la sua risata briosa mi scoppi nel costato. Spesso dico che per suono potrebbe compararsi a quello di un'arpa dorata.

Forse esagero, lo ammetto, ma penso che la sovrastima sia una caratteristica comune a tutte le mamme. Non c'è aspetto di mio figlio che io non ami. Per me è privo di difetti. E adoro ogni singolo dettaglio della vita che condividiamo.

La nostra realtà è, oserei dire, un po' particolare. Inconcepibile, forse, per chi ci osserva dall'esterno. Infatti, quelle rare volte che tor­niamo a Vilnius, i miei conoscenti mi chiamano "la dolce girovaga" o la "piccola senzatetto", con una vena di pietoso dispiacere nel tono di voce. Ma è un epiteto che non mi crea impaccio. Anzi, ne vado fiera, perché mi identifica.

Sì, io mi reputo libera.
Fuori dai rigidi schemi imposti dalla società dei fermi.
Viva proprio per­ché vivo così.

Pochi, al di fuori della nostra cerchia, possono comprendere quanto sia entusiasmante essere fi­glia di una magica realtà errante. Mamma e papà mi hanno concepita su un camper ventitré anni fa e sono cresciuta tra le strutture metalliche dei tendoni che ospitano il Cirque des Fleurs, uno dei circhi più ri­nomati del vecchio continente. Calco la pista da quando ho mosso i primi passi e mi nutro dell'adrenalina che suscita negli spettatori ogni mia esibizione.

Che sballo, non è vero?
Mi pa­gano per stupire.

Il circo francese – che contempla la presenza di numerosi artisti provenienti dalle scuole dell'est – è, a tutti gli effetti, l'unico posto che considero casa. Grazie ai continui spostamenti della tournée, i miei occhi hanno scorto bellezze infinite, posandosi sugli anfratti di mezza Europa.

Quante strade i miei pie­di hanno calpestato. Un viaggio senza fine, ricco di racconti così avventurosi che potrei scriverci un libro corposo quanto la Bibbia.

Ho condiviso ogni emozione ed esperienza lavorativa con il mio ragazzo, Lorenzo, anche se sono ormai persuasa a credere che il nostro legame stia quasi per spezzarsi.
La complicità? Si dà per latitante.
La passione? Quella perdura, ma sembra più un intreccio di istinti primordiali che una calibrata coesione di lussuria e sentimento.

Non mi sta tradendo.
Non ha un'altra.
Ne sono certa.

I problemi che intercorrono tra noi sono di natura diversa. Meglio non pensarci troppo, perché tutto questo mi fa soffrire.

Direziono il bastoncino cerchiato verso la pelle del mio bambino, dopodiché carico le guance d'aria e soffio, deliberandola a poco a poco. Le sfere prendono corpo e i raggi del sole si posano sulla loro superficie, creando delle iridescenze meravigliose.

Ancora bolle.
Bolle tra le spire del vento.
Bolle che danzano ovun­que, anche verso il cielo.

Un po' di sapone invade il nasino e la bocca di Andrius, lui sussulta, e la risatina esplode gorgogliante. Gode il più possibile, conscio che questa liquidità che scoppietta ha vita breve. Deve apprezzarla per il tempo che è concesso a essa di sorprendere.

Mio piccolo Andrius, sei la mia rosa tutta bianca. Puro, felice, innocente.

Divertiti. Scopri. Ama.

Il tuo papà dice che ti abbiamo generato per sbaglio, ma al diavolo! Credo piuttosto che tu sia la mia più grande benedizione.

Lo sei da ben tre anni, da quando, spaventata e inesperta, ti ho messo al mondo.

Scusami se sono così giovane e se commetto tanti errori. E se a volte ti lascio con nonna Elena per concedermi quell'oretta di svago al bowling assieme a quel matto di zio Ollie.

Ma, lo giuro, ti amo più della vita.

Io, la mia vita, te la donerei interamente.

Farò di tutto per proteggerlo, affinché non gli manchi più nulla. Perché mio figlio è già privo di qualcosa di indispensabile e non posso permettere che subisca altre sottrazioni.

Fortunatamente, il tatto, l'udito, il gusto e l'olfatto sopperiscono alla sua cecità congenita e le nostre giornate vanno alla grande, senza grossi intoppi. Cerco di colorargli la vita per mezzo delle sensazioni più disparate. È questa la verità.

Andrius non sa come è fatto il sole, ma avverte e apprezza più di noi il suo calore sulla pelle. «Brucia, *motina, brucia» esclama sem­pre solleticandosi le guance, quelle poche volte che lo porto al mare e lo inzuppo in litri di crema dalla prote­zione 50+.

I fiori non sa neppure dove si collocano o quale forma abbiano, eppure sghignazza quando gli sol­letico il collo con i petali.
«Monelli questi fiorellini, motina» mi dice ogni volta, tutto contento.

E i dolci, beh... di quelli ne va ghiotto. Sforno torte palesemente orrende, che respingerebbe se le vedesse. Per qualche assurda motivazione, mi esplodono nel fornetto e spesso assumono la forma di grossi calcoli renali. E non par­liamo di come distribuisco la panna quando cerco di fare la pasticciera raffinata.

Il salame di cioccolata? Mi viene cubico, giuro.

Picasso, dall'oltretomba, mi riempie di applausi.

La glassa di zucchero? Sempre liquida.

I bignè? Sottili come le ostie eucaristiche dei cattolici.

I miei colleghi sono sempre pronti a bocciare ogni mio manicaretto, quando ne preparo qualcuno per festeggiare i nostri spettacoli più importanti. Eppure, lui è l'unico che li gusta e mi riempie di complimenti. Perché, di fondo, hanno comunque un buon sapore. Questo è uno dei suoi insegnamenti: bisogna sempre badare alla sostanza delle cose, mai all'apparenza. Il mio bam­bino può insegnare a chiunque come si sta al mondo.

«Senti ancora le bolle, Drius?»

«Le sento!» risponde, barcollando per una stretta giravolta che compie nel pieno del divertimento.

Sollevo lo sguardo quasi per caso. Noto Lorenzo a qualche metro da noi, impalato tra alcuni camion parcheg­giati. Un refolo di amarezza mi raggela il cuore. Conoscendolo, si starà chiedendo cos'è che faccia ridere An­drius così tanto. Per lui la vita non è affatto una risata continua. E le bolle di sapone sono cose stupide, in realtà. Vero, amore?

Infila le mani nelle tasche dei pantaloni sportivi, mentre le pupille, contornate da screziature carbone, si man­tengono ferme su di noi. Su suo figlio. Gli è legato dal sangue, ma lo percepisce al pari di un estraneo. Non è tagliato per la paternità. E forse neppure per la fissità di un rapporto sentimentale. Non ci lascia, però. Sup­pongo rimanga per inerzia, legato all'idea che questa è l'unica vita pensata per noi, per lui.

Namira appare alle sue spalle, proviene da chissà dove. Si accosta a lui, nel silenzio, con il suo solito passo felpato.

«Perderai gli occhi a furia di guardarli. Come tuo figlio» esordisce e la sua voce profonda lo fa quasi sobbalzare. Lorenzo si volta e increspa la fronte. Lei, dal canto suo, lo scruta da cima a fondo, come a voler­gli eseguire un'analisi approfondita. «Con l'unica differenza che Andrius possiede un cuore immenso e tu, ormai, neppure quello.»

Brrr, tagliente, la mia migliore amica!

Lorenzo schiocca la lingua sul palato, stanco della sua pungente insolenza. Namira è sua coetanea, hanno compiuto ventotto anni questo inverno con tanto di torta condivisa a forma di tumore benigno – cotta e guar­nita da me, ovvio –, ma la considera una suocera decrepita. Me lo dice frequentemente.

«È chiaro, è il tuo messaggio del giorno. Le fattucchiere come te ne hanno sempre uno» le inveisce contro.

«Una cartomante» lo corregge.

«Bene, occhi sui tuoi tarocchi, allora.»

«E tu occhi sul pericolo.» Namira si stampa sul volto olivastro un'espressione beffarda. «Potrei leggerti le carte, un giorno.»

«Non ci tengo, grazie.» Un risolino sarcastico fuoriesce dalle labbra del mio ragazzo. «Scommetto che conosci già la data della mia dipartita, vero?»

«Non scherzare. Nella morte non c'è magia» lo rimbecca in rapidità. «Buona giornata, Lorenzo.»

Inclina il capo per un finto cenno cordiale e poi avanza verso di me.
Finiranno mai di battibeccare questi due? Mmh, ho i miei dubbi.

Namira ci saluta con affetto. Poi mi stringe le mani e insieme creiamo un aggancio, un punto fermo attorno al quale ruotare all'unisono.

Dio, quanto le voglio bene.

I nostri abiti di cotone ondeggiano al vento, mentre il tendone azzurro del circo si staglia davanti a noi, osservandoci proprio come fa Lorenzo.

Ridiamo, parliamo in lituano e in spagnolo, favorendo le congiunzioni delle nostre differenti culture.

Dopo il girotondo, la mia amica solleva Andrius e, nel farlo, il turbante improvvisato con un foulard a pois si scioglie, scivolando dolcemente a terra. I suoi capelli corvini fluttuano ribelli nell'aria, così folti che un po' li invidio. Namira nutre per mio figlio un amore traboccante, e spesso mi ringrazia per averglielo donato. È una zia perfetta.

La frenesia del nostro incontro viene però smorzata proprio da lei: in breve si scurisce in volto e riporta Andrius con i talloni sull'erba. Que­sta reazione può voler dire solo una cosa.
Il mio cuore fa una capriola nel petto.

«Sta accadendo ancora, non è vero?» le chiedo.

I suoi occhi si posano su ogni angolo dell'accampamento circense, cercando di assimilare quanto sente grazie ai suoi poteri. Si porta una ciocca dietro un orecchio e finalmente si espone. «Figlio della luna.»

«Che vuoi dire?» domando.

«Ho bisogno di leggerti le carte. Accetti?»

Sbatto le ciglia a più riprese. «C-certo. Sì.»

Lorenzo sputa per terra e si allontana verso il tendone.


Entriamo nel camper di Namira, il mio stomaco risulta più attorcigliato che mai. Ed è vero che il mondo dei tarocchi mi affascina da sempre, ma mi agita anche un po'.

La porta cigola leggermente mentre la chiudo die­tro di me. Vengo accolta dal consueto profumo d'incenso, un odore che accompagna ogni pratica della mia amica.

L'interno è sempre un universo a parte, uno scrigno di lamiere lontano dalla caotica vita di tutti i gior­ni: numerosi acchiappasogni pendono dai finestrini e molti cuscini dai colori vivaci e dalle fantasie etniche ­sono sparsi qua e là, perfino sul pavimento, accanto ai tappeti.
Sulle mensole, abbondano cofanetti di pietre benefiche e mazzi di carte.

Come tarocchi potrebbe usare i Rider-Waite, che presentano raffigurazioni più colorate e dettagliate, ma non vuole abbandonare le carte gi­tane, più proprie della sua cultura.

Si siede a una sponda del tavolino, coperto da una tovaglietta di velluto, e sposta il suo gonnellone bordeaux tutto da un lato. Accarezza subito il mazzo di carte e mi invita a sedermi, raccomandandomi di non incrocia­re le braccia. Ricordo la regola per una buona lettura: devo man­tenere il corpo il più sciolto possibile.

«Ora, Andrius, devi rimanere in silenzio, d'accordo? Lo fai per zia?» gli chiede, dopo aver respirato a fondo.

Mio figlio annuisce senza protestare, stringendosi al mio collo.

Namira tamburella leggermente sui tarocchi, poi inizia a mescolarli. Il suono ipnotico delle carte che scivola­no l'una sull'altra amplifica il mio nervosismo. Accidenti, sembra quasi che debba esibirmi in pista con un numero improvvisato!

Mi chiede di tagliare il mazzo, solo per rimescolarlo ancora una volta. «Respira, amica mia» mi suggerisce, con voce posata. «E concentrati.»

Obbedisco, cercando di svuotare la mente e di focalizzarmi al meglio su ciò che sta avvenendo.

Giunge il momento propizio e ripete la formula tradizionale per tre o quattro volte. «Cosa deve aspettarsi Layla Urbonaitė, nata il 14 marzo, dal suo futuro?»

Dispone le carte a ventaglio sul tavolo e mi invita a prenderne cinque. Le scelgo un po' a caso, accantonan­dole poi sul lato destro. Dopo pochi secondi, è lei a raccoglierle e gira la prima davanti ai nostri occhi. Io, in­tanto, mi accorgo di trattenere il respiro. Una goccia di sudore mi scivola sulla fronte. Procede a rivelare le altre. Poi, finalmente, parla.

«Questa è la prima carta.»
Indica la figura rappresentata sopra: una giovane donna che domina una vallata, av­volta nella nebbia. Nella mano sorregge un arnese per la tessitura con un filo cremisi che svolazza.«L'Imperatrice al contrario significa disarmonia di ruolo. Vedo mancanza di cura, difficoltà nel portare avanti i tuoi proget­ti.»

Difficoltà nei miei progetti? Perfetto.

Meglio che rinunci anche quest'anno a vendere su Amazon i miei libri sui Mandala da colorare. Perché vo­glio sperare che sia a questa frivolezza che si sta riferendo.

«Morte al dritto» continua, posando l'indice affusolato sulla seconda carta, che mostra un'illustrazione ag­ghiacciante: su un albero spoglio sono appese delle ossa umane. «Questa, come ben sai, indica la fine di un ciclo e l'inizio di un altro. Devi lasciare andare qualcosa di vecchio per fare spazio a qualcosa di nuovo. È un invito ad accettare il cambiamento, anche se intraprenderlo può sembrare difficile o doloroso all'inizio.»

Ingoio un groppo di saliva grande quanto il Burj Khalifa, anzi, forse anche di più. Questa carta mi ha sempre spaventato. Come si fa a non intendere la Morte in senso letterale? Namira mi dice che spesso ha un signifi­cato positivo, eppure fatico a comprenderlo.

«Torre al rovescio» prosegue, alludendo alla terza carta. Nella parte alta dell'immagine si vede una fucina ro­vente in cui Vulcano, circondato da alcune lingue di fuoco e dai suoi strumenti, scaglia frecce e fulmini. «Qualcosa dall'alto impatto potrebbe accadere. E hai paura. Piangi in un nascondi­glio buio. Sarà il tuo "tutto o niente". Il tuo "da oggi la mia vita non sarà più quella che conoscevo".»

Mi mordo il labbro inferiore.

Si riferisce a Lorenzo? Alla nostra relazione?

L'idea di perderlo fa tre­mare la mia spina dorsale. Non dovrei reagire così, ma non riesco a gestire le risposte emotive del mio corpo.

Namira continua, girando lentamente lo sguardo sulle altre carte. «La Luna. Lei è simbolo di inganno.» La sua voce ora è più decisa. «Non è il momento di restare ferma. Il fuoco dentro di te ha bisogno di essere libe­rato. C'è un viaggio che devi intraprendere, un particolare percorso che ti attende.»

«Mira, me la sto facendo sotto.»

«E per finire, il dieci di spade» ma incalza, nonostante la mia ammissione. «Diamine, quanti ostacoli...»

Ostacoli? Ancora? Altri? Ora sono così agitata che penso stia per venirmi un ictus.

«Mira, possiamo smetterla, per favore?»

«Questa sacra carta si collega alla mente, alla logica, ai conflitti e alle sfide intellettuali» mi spiega, incurante. «Una crisi potrebbe essere in agguato. Raggiungerà un apice, ma terminerà, anche se non si sa come.»

Intuisco cosa questa stesa mi stia bisbigliando: dovrei tagliare via il superfluo e vedere con chiarezza ciò che è veramente importante, prima che sia troppo tardi.

«Layla, compagna della mia anima, i miei presagi trovano conferma: scorgo perdita e dolore, da interpretare come il ponte per la tua fioritura. Al pari della fenice che si eleva dalle sue stesse ceneri, così tu risorgerai nella tua nuova vita.» Rimango in silenzio, sentendo ogni sillaba risuonare come una nenia dentro di me. Na­mira mi guarda con dolcezza, aspettando che io processi queste rivelazioni. «Sii prudente, e abbraccia subito il cambiamento» mi dice infine. «È necessario per essere felice.»

«N-non voglio lasciare Lorenzo» vado dritta al punto, con un sibilo di voce. «Ci sono legata, lo sai. Lui è la mia metà.»

«E se questo sorprendente pianeta fosse abitato da uomini realmente ammirevoli, degni della tua luce?» ri­batte. «Hai mai considerato questa possibilità? Quella di vedere e sentire altro oltre lui? Guardati: hai il sole dentro, ma Lorenzo ti costringe ad appartenere alla pioggia.»

È vero. È così. Lorenzo mi mortifica: concede e poi si riprende tutto, conquista e offende.

Quando litighiam­o, spero sempre di uscirne indenne, perché si infiamma fino a diventare irriconoscibile.

A volte fa an­che di peggio: mi osserva mentre mi dispero, con un barlume di compiacimento negli occhi. Sì. Gode della mia sof­ferenza. Si abbevera nel pozzo delle mie lacrime.

Eppure, malgrado questo, lo amo.

Abbiamo anche un fi­glio, per il quale dobbiamo mantenere equilibrio e serenità. Non è nei miei desideri cambiare vita.

Mi spen­go, angosciata persino all'idea di un futuro diverso da quello che ho sempre immaginato.

In breve, però, la situazione si complica ulteriormente quando gli occhi oscuri e misteriosi della mia amica si posano su mio figlio, che gioca con i miei capelli.

«Lui, Layla, tienitelo stretto. Non si sa mai.»

Un lampo di paura irrompe nelle mie viscere. «Che vuoi dire?»

«Intorno ad Andrius c'è troppa ingerenza, troppo odio. Ricordalo.»

Dio santo.

Stringo il mio bambino il più possibile per sola percezione. Con le braccia poste a difesa, prometto che, se le sciagure vagamente scritte dal destino dovessero abbattersi su di noi, colpiranno solo me.

Andrius... Andrius no.

Se lo vedessi in pericolo e non potessi aiutarlo, soccomberei nella morsa di un dolore acuminato.

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Spazio autrice

*Motina: mamma in lituano.

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