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1 - Colpire


Mie care lettrici, bentornate! Come state?
Mi siete mancate come l'aria.

Siete pronte per un nuovo capitolo? 🖤❤️

Rivediamo insieme i luoghi che il circo di Bass, Layla, Oliver, Lorenzo, Scarlett e Melinda ha visitato finora per lavoro:

1. Sono partiti a settembre da Lione, in Francia. 🇫🇷
2. A fine ottobre sono arrivati ad Amsterdam, nei Paesi Bassi. 🇳🇱
3. A novembre hanno fatto tappa ad Amburgo, in Germania. 🇩🇪
4. Durante tutto il mese di dicembre sono stati a Mosca, in Russia (e mi sa che ce lo ricordiamo bene 🥲). 🇷🇺

Poi si sono fermati per la pausa invernale.

E ora che è gennaio?
Dove si troveranno?
Siete pronte a scoprirlo?

Vi ricordo di cliccare sulla stellina, è davvero importante. E, se vi va, potete anche lasciare un commento. Mi farebbe tanto piacere sentire la vostra opinione.

Mi trovate anche su Instagram e TikTok come @mf.autrice. Vi aspetto!

Vi amo.
Manu 🎪 💘


Londra, Regno Unito
Gennaio

Lorenzo

Friedrich Wilhelm Nietzsche, con il suo consueto acume filosofico, affermava: "Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili, le rarità ai rari."

In sostanza, a ciascuno ciò che gli spetta. Amen. Non vi è verità più sublime.
Pertanto, è naturale dedurre che a me siano destinate le cose grandi, e posso affermare con certezza di averne appena ottenuta una.

«Ora lanciati, d-d-dai!» urla Bass, avvolto nei tessuti aerei. L'ipertrofia dorsale si flette in un movimento mai stato così fluido, permettendo all'interezza del suo corpo di librarsi nell'atmosfera con una grazia raffinata. La mano si allunga verso Feccia americana – Oliver, ovvio – che lo fissa con occhi pieni di terrore. Le vertigini che affliggono quest'ultimo sono sempre lì, in agguato. Anche oggi gli impediscono di staccarsi da quelle sete che lo trattengono in una goffa condizione tra il soffitto del tendone e il pavimento.

Che misera seccatura. Che intralcio.
Biden non ha ancora preso provvedimenti per il suo rimpatrio? Forse sarà Trump a occuparsene, quando, inevitabilmente, risalirà al potere.

«S-ssstaccati!» lo incita ancora il balbuziente, mentre, a quote simili, Ernest e altri otto circensi si esibiscono in una serie di figure che, con la loro perfezione, sembrano sfidare ogni legge di gravità. Sono impareggiabili. Persino quella banconota falsa di Adrian – il cui sorriso è davvero un insieme di faccette dentarie impiantate a Tirana da chissà quale fantomatico medico – mantiene l'equilibrio sulle funi, lanciando tre sfere in aria con una destrezza che trasforma l'atto stesso in arte inenarrabile.

Trapezi, tessuti, cerchi, corde. Il risultato caotico è il frutto di un'illuminante idea concepita in una sola notte dal nuovo direttore artistico del Carovana: io, un creativo che ama la coralità nelle esibizioni. È stato il balbuziente a passarmi il testimone, poco prima della settimana di ferie per la pausa invernale, forse intuendo chi, tra le plastiche e le ruote, merita di comandare. La notizia non mi ha sorpreso. Sapevo che, prima o poi, avrei sostituito Melinda.

Ecco, caro Nietzsche, quell'oca giuliva gonfia di silicone e mantra buddisti merita gli abissi. La profondità che le manca gliel'abboniamo in un pacchetto premio, purché se ne vada al diavolo.

«La fai facile tu, che sei un coniglietto saltellante!» bofonchia Feccia, trattenendo il fiato. Sicuramente mi starà maledicendo, perché l'idea di appenderlo al soffitto pur conoscendo i suoi timori è stata mia. Non gli ho concesso alcun diritto di replica. Com'è che si dice? Ah, già: al circo tutto è possibile e quindi si convincerà a superare i suoi limiti, in nome del mio approccio visionario allo spettacolo.

«Comincia dal s-sedere, forza! Slanciati!Sembra c-che su quel nastro tu stia facendo la lap dance!» Ma la sollecitazione di Bass non serve a nulla: Oliver è paralizzato e io sto perdendo la pazienza. «Dammi i-i-il c-culo, d-dannazione!»

«OH MY CRUSCHELLA!» esclama sconvolto, strofinando la guancia alla riga di tessuto. «Dove te lo devo dare il mio culo? Su una sedia, Bass? O intorno a un palo?»

Stiamo trascendendo.

«Stop, no. Qui non ci siamo. Fermate la musica» prorompo, battendo nervosamente tra le mani una decina di fogli arrotolati su loro stessi. «Ma che combinate voi due? Pettegolezzi e manicure?»

«'Fanculo, idiota!» sbotta Oliver, gettandomi addosso un'occhiata furente. «Ora scendo e ti spacco la faccia!»

«Se scendi ti caccio, parola mia» ribatto.

«Se scendi non ti l-l-licenzio, p-parola di chi ha una buona p-percentuale del Carovana in eredità, ma se v-v-voli è meglio» interviene Gesù Cristo incarnato, cercando di smorzare le tensioni prima che la situazione degeneri.

«Fallo, Ollie!» grida Ernest dalla scaletta dei trapezisti.

«Lanciati! Che ti costa?» lo stimola anche quel falso di Adrian. «Tanto Bass ti prende!»

Il coro da stadio diventa assordante e, da come vorrebbe piangere, quasi percepisco che si stia preparando al distacco.

Tre, due, uno.

«BOOM, SCIATATAC!» Come volevasi dimostrare: un grugnito selvaggio esplode nel tendone e, al pari di un peso morto, vola verso Bass. Quest'ultimo riesce a catturarlo stringendogli il torso in un abbraccio incerto, per poi proseguire con un'inversione che cerca di ingentilire il più possibile.

«Dio, g-grazie» rantola Bass, a denti stretti. «Ce l'abbiamo f-fatta. Ora potrò a-andare a fare merenda. Ho preparato un p-panino con il p-prosciutto niente male. E i po-pomodorini a parte. Mi piacciono i pomodorini.»

Mi chiedo se interessi a qualcuno.

Finalmente Oliver riapre gli occhi, incitato dal caldo applauso che si diffonde subito dopo, ad opera di tutti gli acrobati. Ci mette un po' a capire dove si trova e come si trova: orizzontale nel vuoto, con le braccia oltre la testa e le parti intime sotto il gomito del nostro capo. Dal modo in cui contrae il petto, sta cercando di regolarizzare la respirazione. Appena ci riesce, batte delicatamente le ciglia e strizza le guance del balbuziente. «Mi sa che comincio a starci bene qui. Guardaci, Coniglietto mangia-pomodorini: sembriamo la Pietà di Michelangelo.»

Rozzo, imperfetto, poco professionale: continuo a scrutarlo, schioccando di tanto in tanto la lingua sul palato. Lo spettacolo che ho in mente si chiama "Meravigliosa" e celebrerà le sette meraviglie del mondo moderno. Ho convinto ogni singolo finanziatore, pontificato sul lavoro degli scenografi, discusso con i coreografi per ottenere la resa finale migliore, e non posso permettere che un clown rovini tutto. Da sempre, Oliver ha una predilezione per distruggere ciò in cui eccello. Ma non mi piegherò alla sua macchinazione, se è questo che cerca. L'idea di toglierlo dal numero degli acrobati e relegarlo alle zone più confortevoli del suo solito cabaret non la prendo nemmeno in considerazione. Gli farò sputare il sangue, se sarà necessario. E se solo proverà a deturpare il numero di Petra davanti al pubblico chiederò un colloquio immediato con Dubois e vedremo poi a chi darà ragione.

«Lorenzo, posso parlarti?» Scarlett appare d'improvviso, mangiucchiandosi l'interno di una guancia con i denti. I capelli biondo vaniglia sono ancora più lunghi, fluenti. Una visione salvifica, perché mi invita ad accantonare per un attimo le effimere brutture della mia vita per godere di uno dei pochi piaceri che mi restano, nonostante la dolorosa restituzione di quella collana a Mosca.

«Certo, dimmi.»

«Sai quanto adori Alizée e Claudine, sono mie amiche. Con il contorsionismo me la cavo e Machu Picchu è, per me, la meraviglia al di sopra di tutte le altre meraviglie, ma...» Le sue dita minuscole, parzialmente nascoste dalle maniche del felpone con gli unicorni, tracciano figure geometriche che si intrecciano e sciolgono senza sosta.

Sembra turbata e una dose di preoccupazione si insinua anche in me, al punto che nulla sembra più importarmi, nemmeno la fine del numero degli acrobati e lo scivolone di Bass a un centinaio di metri da noi. Tutti, spaventati, accorrono in suo aiuto, mentre Oliver si tuffa su di lui per irriderlo, credo.

«Ma...? Che c'è? Non ti piace la natura dell'esibizione? Guarda che puoi dirlo, non mi offendo.» In genere mi offenderei, ma con la bimbetta è diverso. Lei può permettersi tutto con me.

«No, non fraintendermi.» La sua mano sfiora il mio avambraccio, scatenando un fugace tocco dermico che riaccende quell'appetito che credevo mitigato. «Sei davvero un portento, ma... preferirei fare altro. Il contorsionismo non mi ispira. E poi, be', in quel numero c'è mia madre e io, con lei, meno condivido e... e meglio è.»

«Capisco, sì.» Mi assale il desiderio di rivedere subito la scaletta cartacea, ma una paura altrettanto intensa mi blocca: il timore che compiere un gesto del genere possa spezzare il contatto che Scarlett ha cercato. Questo del braccio, per me, è un legame troppo prezioso. «Potrei inserirti in Petra, nel numero ai tessuti con tuo fratello. Che ne dici? Ti sentiresti più sicura?»

Per lei, ogni cosa può essere discussa, rimescolata, reinventata, venduta, comprata.
Deve capirlo.

«Ehm, in realtà...» Ritrae la mano, schiacciandosi il mento con i polpastrelli, in evidente difficoltà. Ma che le succede? «Vorrei non fare acrobazie per... per un po'.»

«Non stai bene?»

«Cos'è che potresti farmi fare?» Mi sovrasta immediatamente, allargando gli occhi con un entusiasmo forzato.

Chino lo sguardo sui fogli che stringo nel palmo. «Posso inventarmi qualcosa, sì.»

«Grazie.» Sorride vispa. «Sei la mia salvezza.»

«E tu? Tu l'hai capito?»

«Cosa?»

«Che questo spettacolo porta il tuo nome?» Le congiuntive ribollono per il mio azzardo e le pupille si inchiodano sul suo sguardo che diventa via via sorpreso.

Si passa una mano tra i boccoli, i quali si muovono in una ballata allegra. «Ma io non sono così tanto... Meravigliosa

«Io dico che lo saresti per otto miliardi di persone, se solo tutte ti conoscessero» la contraddico. «Questo spettacolo è un mio regalo. Per te.»

Annuisce, facendosi un po' più serena. «È gradito, più di un collana.»

E al melodioso suono della sua risposta, mi giunge l'invenzione del secolo, la soluzione prodigiosa che risolve ogni enigma. «L'ottava, Scarlett. Farò di te l'unica.»

«Cioè?»

«Un minimo di danza e tanta giocoleria. Userai i kiwido» spiego, estraendo la penna dalla tasca dei pantaloni. Mi metto a scrivere un rapido appunto sui fogli. «Creerò per te un'esibizione aggiuntiva. Un assolo che lascerà tutti di stucco.»

«D'accordo. Sono nelle tue mani.»
Aperta, remissiva, pronta a fidarsi: è così che la vorrei oggi e sempre.

Layla

Entro nel tendone con il mio solito, colossale ritardo, il telefono in mano e la schermata delle notifiche sempre aperta. Una musica anni Novanta risuona per la tribuna, mentre vedo Scarlett parlare con – una breve pausa per manifestare la sua brutale morte sotto un treno in corsa – il nostro nuovo direttore artistico: Lorenzo.

Seduto in prima fila, Bob gioca al solletico tra le braccia di Corinna e non posso fare a meno di notare quanto si amino profondamente, come solo una mamma e un figlio potrebbero. Per un attimo mi perdo a osservarli, finché non scorgo l'innominabile disteso per terra, al centro della pista, a pancia in su. Sarà scivolato. Gli acrobati lo circondano e non fanno che ridere. Non solo loro: anche le contorsioniste, i ballerini, i prestigiatori. Sono finita in una bolgia. C'è un caos infernale.

Ollie, riverso sull'innominabile, si improvvisa a fargli massaggi cardiaci. Sghignazza come un matto, rosso in viso. Credo che anche l'innominabile stia ridendo. Boh. Non lo so. E, sinceramente, non me ne frega un cazzo.

A dire che io dal Carovana volevo andarmene, più di una settimana fa. Non so cosa mi abbia trattenuto. Forse Ollie che mi ha minacciato di tagliarsi la lingua con una forbicina per le unghie. O il mio innato proposito di non darla vinta a nessuno. O il pensiero che nella mia vita abbia affrontato di peggio. O le troppe canne che ho fumato a Parigi. La quarta ipotesi è la più plausibile.

Con il senno di poi, credo di aver fatto bene a non chiedere un colloquio a Melinda. Del resto, il circo è la mia unica certezza. Posso davvero rinunciarvi per un ragazzo? No.

In compenso, sto adottando un atteggiamento straordinario: fare finta che Sebastian Edgar Powell non esista affatto. Ecco perché non lo nomino nemmeno. È fuori dai miei radar. Completamente. E devo dire che non provo più nulla, giuro. Sto da Dio, olè, fresca come una rosa.

Gli uomini sono solo una rogna, non finirò mai di dirlo. Senza, si vive meglio.

A Mosca ho commesso l'errore di cadere in un tranello di vulnerabilità e romanticismo davvero patetico. Ora che mi sono riappropriata della mia vera essenza, quella intelligentemente algida come un iceberg nell'oceano, nulla potrà più scalfirmi. Si dice che noi ragazze dell'est siamo in grado di dimenticare gli amori perduti con una sorprendente rapidità. Spoiler: è vero.

Non mi definisco più quella pseudo dodicenne con le guance un po' più rosa che lo fissa senza poterne fare a meno. Non più quella che ha intrapreso una strada sentimentale labirintica, senza svincoli d'uscita nell'orizzonte del suo presente. Ho imparato a fare i conti con l'assenza del suo «Come sta oggi lo stomaco più sexy del mondo?», con la mancanza di quei baci che mi decimavano il fiato, oltre che con le verbose chiacchierate sul campionato inglese e sui Masai in cui perdevamo la cognizione dei secondi, dei minuti, delle ore, dei giorni. Che cretina. Avevo persino imparato a memoria tutti i nomi dei giocatori del Liverpool solo per farlo contento.

La marijuana mi ha aiutata, sì, ma ha fatto altri "pasticci" nei giorni passati, precisamente sabato. Dopo un'orrenda schimicata a base di pane caldo e croccante, ricoperto da chili e chili di raclette fusa, mi sono iscritta a OnlyFans, con Ollie che non la finiva più di ridere e di bisbigliare che un branco di ippopotami dai culetti a stelline rose e blu ci avrebbe salvato dalla fine del mondo.

L'idea è nata da un pensiero fugace, uno di quelli che passano senza che tu te ne accorga. Ma quando il sito si è aperto davanti a me, ho iniziato a compilare il profilo spinta da una determinazione insolita, come se fosse un passo inevitabile, qualcosa che forse necessitavo di fare per allontanarmi ancora di più da tutto ciò che mi stava deteriorando in quei giorni. Non solo l'innominabile, ma anche le troppe chilocalorie ingurgitate un po' per noia.

Quando ho premuto "invia", per un istante ho ipotizzato cosa avrebbero detto mio padre e mia madre se avessero scoperto una cosa del genere. E i miei cugini. E gli zii. Ho una famiglia infinita in Lituania, che si allarga sempre di più. È un po' vivace, un po' ficcanaso. Ma i timori sono svaniti ieri mattina, dopo che ho caricato un contenuto innocente ed è arrivato il primo cliente. Mi son detta: perché no? Cos'ho da perdere? Al massimo, posso solo guadagnarci. Scaricherò TikTok. Pubblicherò più reel su Instagram.

È un tipo che si fa chiamare Rudeboy67. Mi ha chiesto un contenuto specifico: una foto della mia schiena nuda fino al coccige. Gliel'ho mandata senza farmi troppo problemi. All'incirca trenta dollari facili facili, seguiti da un "Mi piace quello che fai, LadyFlame" e dalla promessa di tornare a chiedermi altro. Una situazione ridicola, ma mentirei se dicessi che ho provato solo disgusto. Mi sono anche divertita e forse eccitata in un modo che non saprei spiegare. In pochi mesi, tra lo stipendio e questo extra, potrò comprarmi un camper nuovo di zecca e vivere come una regina.

Ieri pomeriggio è arrivato un nuovo cliente. Un certo SilentObserver_. Devo inviargli dei contenuti entro stasera, con me che leggo il mio libro preferito del periodo. Qualche piccola trasparenza sul seno, nulla di più. Ha detto che è così che vuole cominciare, lentamente.

E poi ho ufficialmente un terzo cliente da stamattina. Un tizio arabo, ci scommetto tutto. EpoAlSukun_B.

Carinissimo.
Gentile.

Mi pagherà per delle foto con uno dei miei body in vernice senza bretelle. Pretende le labbra rosse e una cinta di pelle e borchie sui fianchi. La recupererò più tardi dai costumi di scena del circo.

Quanto è bello dipendere solo da se stessi.
Non esiste sensazione migliore.

Oggi ho una tale energia che non mi pesa neppure tenere uno spettacolo un po' più recitato a tema Disney per i bambini dell'orfanotrofio St. James di Londra, che verranno a vederci nel primo pomeriggio.

È stato organizzato alla perfezione da Adrian e Corinna e io interpreterò Aurora, della Bella Addormentata nel Bosco. Infatti, indosso già l'abito rosa sotto il cappotto. Oliver sarà la Bestia, Melinda – rido – la sua Belle. Scarlett indosserà una parrucca rossa da Ariel, e credo che Lorenzo sarà il principe della povera e sfortunata Cenerentola Claudine. Dell'innominabile non so nulla e non voglio sapere nulla. Ma ora che lo vedo parlare con Alizée, è altamente probabile che sarà il suo Aladino.

«Ma se sei una principessa, come fai a essere anche un drago che sputa il fuoco?» Una vocina giunge alle mie orecchie, destandomi dalle mie mille congetture. È Bob, accidenti. Chiudo subito la pagina di OnlyFans.

Bella principessa che sono. Una che potrebbe perfino offrire i propri piedi per guadagnarsi un bel gruzzoletto.

Il ragazzino balza qui tra i sedili. Gli occhi neri e vividi si spalancano ed esaminano il mio volto. Non posso fare a meno di pensare che non mi relaziono così vicino a un bambino da... da tanto tempo.

«E chi lo dice che io sia realmente una principessa? Non ti far ingannare dalla gonna rosa. Sotto, indosso jeans strappati e dottor Martins.»

«Lo dico io, perché sei bella come loro. Questo lo dice sempre anche zio Bass.»

Zio Innominabile, ragazzino.
Si chiama zio Innominabile.

Allungo la mano con titubanza, sfiorando le rasta che gli incorniciano il capo. Per fortuna, Bob non si scansa, non ha paura di me. Dopo pochi istanti, basta un suo sorriso per far sciogliere il mio cuore. In esso scorgo ingenuità, gioia e quella dolcezza tipica dei bambini che mi cattura da sempre.

Rilascio nell'aria un sospiro vuoto.
Chissà come sarebbe stato lui a dieci anni...

Melinda fa il suo ingresso sotto lo chapiteau, fasciata in un tailleur con la pelliccia sul colletto. Una vera matrigna, altroché Belle. Su un avambraccio sorregge il suo tipico abito fiabesco, quello giallo, e la osservo mentre mima dei gesti al figliastro, che però non vengono presi in considerazione. Poi, scrollando la messa in piega, si gira sui tacchi e se ne va.

Eh no, mia cara direttrice.

È vero che non mi sono licenziata, ma questo non significa che non farò sentire la mia voce.  Layla Urbonaitė esige un solo piacere dagli altri: il cazzo di rispetto.

Voglio iniziare l'anno con il piede giusto, senza lasciare in sospeso quanto è accaduto a Mosca tra noi. Così mi alzo in piedi, dico a Bob di aspettarmi qui e, senza indugi, prendo la via del portone d'uscita.

Il cielo, ovattato dalle nubi, è a prova di acquazzone e stinge i contorni della periferia londinese. Accelero il passo nella foschia, ma non riesco a raggiungerla come vorrei. «Melinda, aspetta! Devo parlarti!»

Si ferma e io mi paro davanti a lei nel preciso istante in cui uno sbuffo esce dalla sua bocca. Lo sguardo arcigno non lascia presagire nulla di buono. Sembra quasi volermi scaraventare per terra, ma questo non mi dissuade dal parlarle.

«Probabilmente desideri ancora che la mia arte, qui al Carovana, non ci fosse. Da Lione non te ne sei mai fatta una ragione. Posso capirlo, se ripenso ai trascorsi del Powell Circus. Eppure mi chiedo se esista un modo per sistemare le cose una volta per tutte.» Faccio una breve pausa per riprendere fiato. «Un modo che mi permetta di mantenere integro lo stomaco, senza compromettere la tua tranquillità. È possibile? Possiamo trovarlo?»

«Perché mi associ alla tua gastrite?» domanda con una calibrazione impeccabile della voce, da perfetta attrice.

Rispondo con un ghigno ancor più teatrale. «Dai, non prendiamoci in giro. Sappiamo entrambe come sono andate le vicende.»

Sbatte le ciglia folte a più riprese, come a volermi far credere che stia cascando dalle nuvole. «E come sarebbero andate?»

«Così: volevi indebolirmi. E ci sei riuscita, applausi.» Sollevo i palmi e li batto tra loro due volte per renderle omaggio. «Ma solo fisicamente, perché mentalmente mi reputo una creatura mitologica dalle trecento vite auto-rigeneranti. Mi dispiace per te.»

Non risponde.
Piuttosto, dirotta lo sguardo verso le sue Jimmy Choo a punta.

«Quindi? Come procederemo? La smetteremo con gli aperitivi mortali?» La perlustro con disprezzo, dall'alto in basso. «Per quanto riguarda la pelliccia che simboleggia la tua falsa amicizia, invece, ci ho già pensato da sola. L'ho scagliata per terra poco fa, fuori dal tuo lussuoso van. Spero che a breve piova e finisca per imbrattarsi nel fango, così che ti costringa a spendere una fortuna in lavanderia.»

«Ho esagerato, lo ammetto.» Torna a guardarmi fisso negli occhi, dopo alcuni secondi di silenzio meditativo. «Volevo aggredirti e ti assicuro che sono già stata punita da mio figlio. Ora mi sono calmata, ma è giusto che tu sappia che c'è una cosa davanti alla quale non piegherò mai la schiena.»

«Il mio fuoco non vuole la tua prostrazione.»

Emette un sospiro seccato. «Riesci a capire che il problema non riguarda più la tua arte?»

Serro le mandibole, leggendo tra le parole non dette un chiaro accenno d'odio. Dio, è tutto chiaro. Il problema sono io. Solo io. «Perché ti sono così ostile?»

«Mancanza di alchimia, innanzitutto. La chimica.» Fa un passo verso di me, mi sfiora la spalla e, vicino al mio orecchio, mi confida: «Non mi piaci. Non mi piaci affatto».

Increspo le labbra in una smorfia nervosa, mentre nella mia mente riaffiorano come spettri i dettagli della nostra frequentazione.

«Vodka, birre e vini come attentati per un po' di incompatibilità» puntualizzo tagliente, rimanendole a un fiato dal viso. «Mi sembra un accanimento eccessivo, cara direttrice.»

«È anche difesa» rimbalza, incontrollata. «Non voglio impiastri tra i piedi, tantomeno nella mia famiglia. Attacco per proteggere.»

Al richiamo di un nucleo da tutelare, il quadro delle vicende diventa improvvisamente cristallino. «Pensi che sia un brutto esempio per Scarlett?»

«Un pensiero è solo un pensiero, non ha consistenza, né attinenza. È ciò che vedo a preoccuparmi: mangia meno e sembra cagionevole, proprio come te. Se dovesse cominciare a bere, be', sarebbe solo una triste conferma, non credi?»

In effetti, su questo non ha tutti i torti. Il pensiero riguardo a sua figlia è un assillo che martella la mia mente già da Mosca. Non vorrei che emergessero le evidenti conseguenze delle miei ossessioni, o il mio discutibile modo di vivere la vita o di percepire il cibo.

Chiudo gli occhi per un attimo e ne strofino uno con le punte delle dita. «Scarlett è più coscienziosa di me.»

«È la mia bambina, e quindi, anche se lo fosse, mi preoccuperei comunque per lei. Lo stesso vale per Bastian. Stai lontana dai deboli.» È la stoccata finale, un imperativo scandito.

Riapro le palpebre. «È un debole? E da quando?»

«Da sempre.»

Da madre a madre, snocciolo la questione con calma mentre lei si volta e se ne va: e se sapesse di tutti i miei vecchi tentativi di sedurlo?

Forse Melinda conosce bene la sua ragazza incinta – nonché nuora, possiamo dire – e non vede di buon occhio i miei avvicinamenti all'innominabile. Diamine, sì. Perché non ci ho pensato prima?

Ha sicuramente pensato che la mia presenza potesse influenzarlo, spingerlo a tradire la compagna e a intraprendere chissà quale strada pericolosa. Un desiderio materno di proteggere la rettitudine del figliastro, che supera persino il desiderio di mantenere la fedina penale pulita, visto che ha ammesso di avermi voluto morta per una gastrite. Ecco perché mi odia. Assurdo. Sono intrappolata in una gabbia di pazzi.

A questo punto, credo che per Melinda sia del tutto inconcepibile comprendere come certi eventi nascano da un gioco di forze reciproche. Nulla che non sia espressione di un desiderio mutuo, alimentato da entrambi. L'innominabile ed io siamo il risultato di un'equazione casuale, il frutto di un incontro tra una ragazza consumata dal dolore per la perdita del suo bambino e un ragazzo disposto a colorare le sue giornate di bianca allegria, rosso passione e tutti i colori possibili di un arcobaleno emotivo. Tutto qui. Un perfetto cinquanta e cinquanta di meriti e colpe.

D'un tratto, avverto la gonna del mio costume tirare e questo basta a risvegliarmi dal torpore delle mie teorie. Chino lo sguardo: un paio di mani, cosparse di graffi cicatrizzati, si posano dietro di me e manovrano gli orli del raso.

Dio, no.
È lui.

Si rialza, porgendomi un lembo della gonna. «Tieni il b-bordo in alto, così. Altrimenti a-a-allo spettacolo arriverai con il costume sporco di terra.»

Le sue parole mi colpiscono sulla guancia come un soffio gelido di tramontana. Deglutisco e afferro il tessuto con forza. «Grazie, non dovevi disturbati. Ciao. Tante cose belle. Ci vediamo in giro.»

Inizio a camminare per l'accampamento con i muscoli tesi, dirigendomi verso il tendone. Ma dopo pochi attimi un pensiero terribile mi travolge. Spalanco la bocca e un flebile verso spaventato sfugge dalla mia gola.

Cerco di ricordare come l'innominabile era conciato poco fa. Dovrebbe avere il petto nudo, coperto dal solito giaccone di jeans. Da un braccio credo spuntino vari oggetti: una bustina con un panino avvolto nella carta stagnola, una vaschetta di pomodorini, un pacco di fazzoletti e... un costume di scena appallottolato. Un costume che non è quello di Aladino.

«Un momento.» Mi volto e lui è ancora lì dove l'ho lasciato. Nel suo viso dalla pelle dorata si legge un'espressione decisa, quasi ovvia, come se sapesse che sarei tornata indietro.

Cammino in sua direzione ad ampie falcate e punto il dito verso quei dannati indumenti che porta con sé. «Cos'hai lì?»

Un angolo della sua bocca carnosa si solleva in un sorriso. «Il mio c-costume, perché?»

«Non facevi coppia con Alizée?»

Ci riflette per qualche secondo. «Prima, sì.»

«E ora? Perché il tuo costume è fatto di una tunica azzurra con le maniche a sbuffo rosse?» Afferro i vestiti e li scruto con meticolosità. Il cuore batte forte nel petto. Sto per avere un infarto. «Perché ha il colletto alto con i ricami dorati?» O un burn out mortale. «Perché ci sono questi pantaloni stretti?» O un'embolia polmonare. «La cintura in vita? Il mantello di raso?»

«Perché sono d-diventato il tuo Filippo, poco fa.» Fa spallucce. «Calmati. Respira. Non c'è nulla di male. Voglio r-ricordarti che è solo l-lavoro, Layla. O...» Le sue iridi smeraldine scivolano su ogni centimetro del mio viso in fiamme. «Dovrei chiamarti Aurora?»

«Non devi chiamarmi affatto, forse non ti è chiaro» ribatto, categorica. «Da quel giorno a Mosca ho preso una decisione, signor capo. Una decisione che mi porta distante da te per sempre. E tu... tu, avvicinandoti, risulti davvero indelicato, egoista e... e...»

Assottiglia le palpebre. «E c-che altro?»

«E viscido, e...»

«Sentiamo, che a-altro.»

«E... e...» Non mi vengono altre offese da comunicargli. Oggi ho poca fantasia. «Dovevi rimanere Aladino. Punto. Non ti voglio con me, nella stessa esibizione. Ci sarà il bacio del vero amore, capisci?»

«Ho solo s-sostituito Gavin, okay?» sbotta. «Non so se lo sai, ma ha contratto la mononucleosi. E ora d-dimmi, lo vuoi ancora il  suo bacio del vero amore?»

Oh, Gavin.
Più tardi andrò a trovarlo.
Ciò non toglie che il tutto mi risulta una barzelletta. L'ennesima.

«E, per inciso, su quel fottuto l-letto non ti bacerò davvero. Sta' tranquilla» prosegue, visibilmente infastidito. «Mi spingerò non oltre il m-mento. È pur sempre uno spettacolo per b-bambini al di sotto dei dieci anni. O no?»

Gli restituisco i vestiti e incrocio le braccia sotto il seno. «Neanche il mento. Non devi sfiorarmi per nessuna ragione al mondo. Ficcatelo, in quella cazzo di testa.»

«D'accordo, niente m-mento. Niente di niente, non preoccuparti» risponde di getto. «Ho tutta l'intenzione di r-rispettare il fatto che ora non ci frequentiamo più e che siamo d-d-due estranei. E anche la più dura imposizione che ti sia m-mai data nella vita.»

Aggrotto la fronte. «Quale imposizione?»

«Quella di odiarmi.»

Sì, bravo, esatto. Bella idea. Ti odio, dai.
Pensala in questo modo, chissà che tu non te ne vada a 'fanculo sul serio.

«Se ti è tutto chiaro, allora perché mi hai raggiunto fuori dal tendone?» gli chiedo, sciogliendo la postura. «Sai com'è, la scusa di non farmi sporcare la gonna da principessina non regge.»

«Perché volevo p-parlarti di una q-questione importante. Parlarti in qualità di capo di questo maledetto tendone, che ti ha portato a fare la mia m-maledetta conoscenza.»

Una... questione importante?
Di che si tratta?

Mi mordo un labbro, conscia di non potermi sottrarre alla sua richiesta. Dopotutto, è questa la difficoltà maggiore di un rapporto nato sul posto di lavoro: agire ricordandosi che ci sono dei limiti. Perché rimango la dipendente di qualcuno. E, in questo caso, la sua.

Un ciuffo color miele gli finisce sull'occhio. Lo sposta via con un soffio, mentre indica qualcosa alle mie spalle. «Puoi s-seguirmi in roulotte 5, per favore?»

Nego con il capo. «Con te non mi chiudo da nessuna parte.»

«D'accordo, cazzo, okay» mormora. «Allora p-possiamo parlare sotto q-questo cielo? Magari nello s-spazio tra due camper? Lo adibiamo a fottutissimo ufficio, anche se sta per p-piovere.»

«Mmh... non lo so. Ci devo pensare.»

«Layla» mi richiama con voce ferma, in linea l'occhiataccia fissa e profonda che mi lancia. «Non voglio m-metterti le mani addosso. Voglio solo parlarti.»

Ma io so benissimo che la coerenza non è di casa Powell. Sbaglio o a Mosca era partito con gli stessi presupposti puri e ingenui, salvo poi alzarmi un maglione fino alle tonsille?

«Va bene, ma per due minuti. Non di più» gli do comunque un contentino.

Mi fa segno di seguirlo, ma, temendo di perdermi dietro le sue spalle, mi chiede di aggrapparmi almeno ai suoi pomodorini. Acconsento. Così, camminiamo alla ricerca di un parcheggio più appartato con lui che mi trascina grazie a una... vaschetta di plastica piena di palline rosse che rimbalzano.

Sono certa che qualcuno stia ridendo di noi. Forse le persone che abitano il Paradiso e ci osservano a tutte le ore del giorno e della notte. Non siamo normali. Anzi. Siamo l'esempio più lampante del termine "stranezza".

Ci fermiamo tra il furgone camperizzato di Ollie e uno dei camion più grandi degli inglesi. Mi invita ad appoggiarmi alle lamiere esterne di una delle due vetture. Scelgo quella del mio migliore amico, convinta erroneamente che sia un posto neutrale.

L'innominabile posa tutto sul cofano: panino, pomodorini, fazzoletti, il costume di Filippo. Poi mi raggiunge, si ferma davanti a me e mi osserva delicato per interminabili secondi. Se i suoi occhi fossero mine di matita, non lascerebbero tracce sulla tela del mio viso.

Un tuono rimbomba in lontananza, io mi zittisco, lui si avvicina. I nostri corpi non conservano più spazi per far passare l'aria, la luce o l'estraneità. I suoi pettorali, visibili dal giaccone aperto, si gonfiano ritmicamente per un accenno di affanno. Se solo li spostasse più avanti, si adagerebbero sui miei seni, questi ultimi ora più sensibili a causa del... freddo?

«Prevedo che non v-vorrai intrattenere un lungo dialogo c-con me, quindi ho p-p-pensato a come potrai rispondere alle mie domande.» Solleva le mani all'altezza del suo addome, le chiude a pugno e mi suggerisce di guardarle. «Batterai sulla mia mano destra per d-dire di sì, sulla sinistra per dire di no. Quando sarai indecisa, ti b-basterà schiaffeggiarmi la f-faccia a profusione. È chiaro il g-gioco dei pulsanti?»

Mi scappa un piccolo fragore nasale. Accidenti. Spero non lo interpreti come un segno di ammorbidimento. Perché non lo è. È solo una reazione insignificante alle "Sebastianate".

Non devo ridere.
Non devo ridere.
Non. Devo. Ridere.

«Hai passato delle b-buone vacanze?» comincia il quiz show e io batto sulla mano destra senza indugi.

Sto per scoppiare in una sbellicata colossale, davvero. Aiuto.

«E... hai m-mangiato?»

Mano destra. Un colpo secco che risuona nell'aria all'odore di pioggia.

Ma non doveva parlarmi di lavoro? Quest'uomo sa sempre come fregarmi. E anche come farmi divertire. Maledetto.

«Bene, sono c-contento» risponde con un sorriso tirato. «E... hai comprato qualcosa di b-bello? Che so, un pigiama nuovo, un o-ombretto scintillante, un p-paio di scarpe comode. Insomma, hai fatto shopping?»

Batto sulla mano sinistra.

«E perché non hai fatto s-shopping? Non eri in vena?»

Batto sulla mano sinistra.

«O... non avevi soldi

Batto sulla mano sinistra.

Ormai, sembra di essere a un concerto di strumenti a percussione. Bonghi africani, per la precisione.

«Sicura?»

Mano destra.

«Sicura-sicura?»

Mano destra.

«Sicura-sicura-sicura?»

Si sarà rotto il pulsante.

Sgrano gli occhi come per fucilarlo e batto tre dannate volte sul pugno della mano destra per intensificare il mio sì.

I soldi per dei semplici acquisti non mi mancano. Perché si ostina a farmi ammettere il contrario?

«Pensi che il Carovana ti p-p-paghi abbastanza?»

Lungi da me lamentarmi. Se lo sapesse Melinda, finirei sui giornali.

Mano destra.

«E pensi che io c-creda di pagarti abbastanza per quello che fai a-al circo?»

Che ne so di cosa pensa lui.
Ma che domanda è?

Alzo la mano e la scaglio con forza contro una sua guancia. Poi contro l'altra. «Oh! P-Piano!» Poi colpisco fronte, petto e collo. «Che c-cazzo, Rambo, sei tornata!» Aveva detto a profusione, no? «Ahia, ahah, sei p-pazza!» esclama ancora, ridendo sconvolto. «Non me lo a-aspettavo.»

«Ragazzi, tutto bene?» ci chiede Adrian in lontananza, asciugandosi il sudore dalla fronte con un asciugamano. Una smorfia sbigottita gli contorce il viso.

«S-sì, amico mio, certo! Eheh. Stiamo solo giocando a picchiaduro!» lo rassicura con un sorriso impacciato, mentre gli colpisco la mano sinistra come se Adrian potesse capire che sto rispondendo con un no continuativo. Quando il funambolo sparisce dalla nostra visuale, riprende a focalizzarsi su di me. «Ascoltami, Layla. C-credo sia arrivato il m-momento di parlare del tuo contratto e rivedere alcuni dettagli. Avrei preferito farlo in un luogo più a-appartato, ma tu non hai voluto. Come ben sai, sei la nostra artista di punta. Il pubblico non a-aspetta altro che i tuoi numeri, tanto che nelle campagne pubblicitarie del circo il fuoco è sempre in p-primo piano.»

Piego la testa su un lato. «Di quali dettagli parli?»

«Ora sceglila, una mia m-mano: destra o sinistra?»

Ennesimo schiaffo sulla sinistra.

Sogghigna. «Sapevo sin dal p-principio che ti saresti affezionata al pulsante "no".» Quando la schiude, ritrovo sul suo palmo un piccolo origami che non ho mai visto. Deve averlo portato alla luce da poco.

«Guardalo, è la testa di una g-giraffa. L'ho costruito in due giorni e due n-notti.» Ammica a delle protuberanze. «Queste sono le orecchie. E questa... la bocca. Sembra che sorrida, vero? Mi piacciono gli a-animali felici.»

«A me sembra la testa di una volpe, capo.»

«E se ci vedi una v-volpe, sarà una volpe» replica. «Prendila e leggi c-cosa ho scritto a penna sulla sua nuca.»

Inarco un sopracciglio in segno di scetticismo, ma alla fine, pur di tornamene presto al tendone, faccio come mi dice.

"Tadaaan! Che ne diresti se valutassimo un aumento del tuo stipendio? :D"

Sì, è così che vanno le cose in questo circo di matti. Il capo scrive sulle teste degli animali che ti darà qualche soldo in più con tanto di faccina che ride. Tralasciando le modalità sbigottenti, devo ammettere che è un periodo fortunato per me. Non voglio sapere se ha avuto questa idea perché si sente in colpa per quanto accaduto a Mosca. I soldi sono soldi, e fanno sempre comodo.

«Dubois è d'accordo?»

«Sì, o-ovvio.»

«Va bene, allora. Grazie. Se iniziamo già dalla busta paga di questo mese, direi che sarebbe fantastico» dico sbrigativa, strisciando un piede perso l'esterno. «Ora vado.»

Gli rilascio l'origami sul palmo, ma lui preme affinché lo riprenda. «Tienilo. Te lo r-r-regalo. Almeno, così, potresti dare un f-fidanzatino a Èclair. Trovagli un nome.»

Un tempo questo dono mi avrebbe rallegrata perché li ho sempre reputati frammenti della sua anima preziosa. Ma ora non più. «Sì chiamerà OrigamiDiBass, perché non verrà a casa con me. Io da te non voglio più niente.»

Mi divincolo dal suo corpo e mi allontano il più possibile, senza neppure salutarlo.

Ma lui non si arrende e mi richiama perentorio.
«Layla.»

Non posso far altro che bloccarmi sul posto, girando gli occhi scocciata. Mi volto appena, senza dire una parola.

«Puoi anche t-trattarmi di merda, pestarmi sotto i tuoi t-talloni, far finta che sia morto. Ma voglio ricordarti che viviamo a s-stretto contatto e che sarai sempre una mia responsabilità. Comincia a-ad abituarti al fatto che, l-lavorativamente parlando, sarò il tuo tormento.»

«Lo accetto, purché quel "lavorativamente parlando" non trascenda mai più. Pensa al tuo bel futuro, capo. Io penserò al mio» controbatto, prima di andarmene sul serio.

Oliver

Berna, Svizzera
9 anni fa

🇫🇷 Cirque des Fleurs 🇫🇷

«E tu? L'hai capito, Fragolina-Fragolona-Fragoletta?» Il mio volto, segnato dall'acne, si modellò per assumere un'espressione timida e commossa, mentre la voce, incerta, pronunciava menzogne che si mescolavano con la speranza che riuscissi a sembrare credibile. «L'hai capito che sei tutto ciò che ho? E che vedo te nel mio bel futuro?»

Avevo disposto quindici orsetti di peluche uno accanto all'altro, creando una composizione che ricordava un cuore. Se ne stavano lì, poggiati sull'asfalto, sopra una solida base di polistirolo rosso glitterato, davanti al camper della famiglia Urbonas/Urbonienė/Urbonaitė. Che nessuno mi chieda come funzionino le desinenze nei cognomi lituani, perché non ne ho la minima idea. Dal finestrino, Gaja esaminava i peluche, forse tentando di capire se il mio corteggiamento fosse sincero.

In effetti, era comprensibile che le perplessità avessero trovato posto nella mente dei genitori di Layla. Mai avevo inviato segnali tali da smentire la mia omosessualità. Non potevo biasimarli se restavano sconvolti dalle lettere da otto pagine che le scrivevo, dai lecca-lecca giganti che le regalavo, ma anche dai quadri incorniciati degli One Direction e dalle stecche di cioccolato di ogni marca e tipologia che riempivano l'aria di quella casa su ruote. In quell'aprile, Mantas aveva confessato a Ernest che non sapevano più dove mettere tutti i miei doni. A pensarci adesso rido. Ero proprio un cazzoncello.

La situazione sembrava ingestibile.
Soprattutto per Laylina.

«E mi hai! Ma come amica...» Imbarazzata, si portò indietro una delle treccine bionde che aveva composto sulla sua testolina intelligente.

«E se volessi anche altro, amore?» azzardai, spingendo una mano contro il mio petto. Lo accarezzai come se non riuscissi a placare i battiti del cuore, cercando di mettere a frutto i miei studi di recitazione.

«Am... amore?» Le sue palpebre batterono a più riprese. Di certo, faticava a credere alla rapidità con cui la nostra amicizia era cambiata. Inoltre, si trovava in una condizione precarina-precarietta, perché i suoi sentimenti erano ancora – purtroppo – rivolti a Lorenzo. Conoscendola, pensava che rifiutarmi avrebbe potuto causarmi una sofferenza significativa e compromettere il nostro legame per sempre.

«Amore, sì, perché credevo di essere un imbuto, ma ci credevo davvero, Layla. E invece, sono anche un liquido da travaso. Non si sa mai chi si è veramente, se non si sperimenta. Con te ho sperimentato.» La fissai con un'occhiata da macho che non ammetteva esitazioni. «Sono variopinto, e non solo per i tutini da pagliaccio che mi cuciono addosso. Sono variopinto dentro.»

«Cavolo» annaspò lei, scandendo ogni sillaba per assimilare il concetto. «Quindi, ti piaccio sul serio.»

Feci un respiro profondo. «Non solo. Ti amo, Laylina. Ti amo!»

Sbiancò, sull'orlo di un collasso. AHAHAH. «Ti amo anch'io, Ollie, ma in quell'altro senso, quello che mi fa dire: sei il miglior amico che io abbia mai avuto in tutta la mia vita.»

Il primo friendzone non si scorda mai.
E direi che io, il mio, non l'ho mai dimenticato.

«E se mi impegnassi a diventare il tuo peggior amico, ma anche il miglior ragazzo che avrai mai?» Oltrepassai il cuore di peluche e le cinsi il girovita con un braccio. Imprecai contro me stesso quando, con l'altra mano, le sollevai il mento avvicinandolo al mio viso con fare un po' abusante. Quanto era liscio, il suo mento. Abituato alla pelle degli uomini, quell'esperienza tattile mi sembrò così... strana.

Layla sussultò di repulsione e, per istinto, cercò di indietreggiare. Non gradiva quell'avvicinamento né la presunzione che incendiava le mie iridi cervine. Probabilmente, cominciò a pensare di non conoscere affatto il ragazzo che aveva davanti a sé e che avesse sbagliato a offrirmi un tipo di amicizia così intima da essere travisata.

Spinsi ancora un po' il suo viso contro il mio e posai le labbra su una delle sue mandibole contratte. «Posso darti tutto, Fragolina» mormorai roco. «Posso darti quello che Lorenzo non ti darà mai: l'amore vero.»

Effettuai allora il gesto supremo, quello che avevo premeditato da settimane. Un suo strillo vibrato fu bloccato dall'incontro delle nostre bocche, impedendone la risonanza.

Mentre la baciavo, alzai gli occhi e incontrai ancora Gaja oltre il finestrino. Si schiacciava una mano davanti alle palpebre per non vedere lo scempio.

Chissà a cosa stava pensando, invece, Namira. Doveva essere nel suo camper, pronta a far partire Ashes di zia Celine Dion proprio durante il bacio. La canzone si diffuse nell'accampamento circense in ritardo, solo quando Layla riuscì finalmente a liberarsi da quel groviglio di braccia e denti. Mi urlò di starle lontano per sempre, poi si precipitò verso la porta del suo camper.

«Mamma, aprimi!»

Gaja la spalancò subito e insieme scomparvero dietro le lamiere.

«Fragolina, scusami! Mi dispiace!» dissi con un lamento rauco, sopraffatto da un timore crescente: con quel bacio l'avevo solo spaventata, e questo non avrebbe fatto altro che allontanarla da me, più che da Lorenzo.

Meritavo il carcere, nonostante le buone intenzioni. Io avevo ancora diciannove anni, ma Layla era pur sempre minorenne. Allora mi chinai sui peluche, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Un senso di sopraffazione mi travolse, accompagnato dal luccichio dei miei occhi che minacciavano di lacrimare. Alzai lo sguardo verso il camper di Namira e la trovai a osservarmi dalla porta, con un'espressione rassegnata.

«Una scena rabbrividente, non c'è che dire. Anche se... l'interpretazione è stata più che esemplare. Per un momento, ho quasi pensato che la stessi baciando con una naturalezza quasi innata» mi giudicò quando ci chiudemmo nella sua dinette pervasa dall'odore di incenso ed esoterismo.

Mi accasciai sul divano, stanco come se avessi appena corso la maratona di New York. Mi sentivo sporco. Un essere immondo.

«Ti è sembrato eccessivo, vero?» Sbuffai, deluso. «Ma tanto, che importa? Non ho ottenuto quello che speravo: Layla non si innamorerà mai di me.»

«Sapevo fin dall'inizio che con lei non avresti avuto alcuna speranza, ricordi? Ma non preoccuparti, ci sarò io a consolarla e sono certa che in pochi giorni appianerete ogni divergenza.» Si sedette sulle mie gambe con un guizzo deciso e mi baciò sulla fronte. «Però, devo aggiungere che con questa scenetta non hai fatto altro che confermare ciò che pensavo su di te.»

«Ovvero?»

Lentamente, si sfilò il foulard esotico dalla testa con un sorriso stretto. I suoi capelli corvini ricaddero fluenti sulle spalle. «Che potresti amare qualcuno con quella che in spagnolo definiamo pasión

Sorrisi anch'io, a un passo dalla sua bocca. Adoravo sentirla parlare nella sua lingua. «Come hai detto? Pasión

Lo ripeté, scandendola con una risata vivace. «Pasión

«Una pasión che fa scappare tutti e tutte, però.»

Si fece piccola nelle spalle e mi guardò furba. «Tutte? Sei sicuro?» Poi si avvicinò al mio orecchio. «Un giorno, il mio diamante colpirà.»

Inarcai un sopracciglio. «Cosa, Madonnina? Cosa colpirò?»

«E chi lo sa.»

Non indagai ulteriormente. Con le sue vaghe premonizioni era meglio non farlo. Ma nell'immediato, sapevo come era giusto agire. Appesi al chiodo ogni iniziativa e piano volti a proteggere Layla. Impossibile era trarre in salvo un cuore inciso dalle spine dell'amore, giusto o sbagliato che fosse. Layla per quel diavolo ne provava a dismisura. Nonostante i graffi. Nonostante il sangue. Nonostante da lui non ricevesse lo stesso tipo di sentimento.

Il mattino successivo, Lorenzo si fece trovare fuori dalla roulotte che condividevo con Arsené. Mi afferrò per il colletto della Lacoste con la brutale ferocia di un brigante e mi trascinò dietro il tendone. Con le mani mi circondò il collo e strinse i palmi intorno alla gola. Mi disse che era stata Gaja a raccontargli che avevo baciato la sua ragazza.

«Cos'è? Stai per caso rivendicando Layla come rivendicheresti un oggetto?» rantolai con gli ultimi fiati rimasti. La laringe era occlusa e provavo ad agganciare le dita alle sue per impedirgli di soffocarmi del tutto. «Dov'è che Fragolina ha il marchio-Fabbri, sentiamo? Tra le tette?»

«Tra le tette, esatto! Quelle sporgenze che appartengono solo ai corpi femminili. Corpi che tu non conosci! Fai in modo di non cambiare preferenze, altrimenti ti uccido sul serio» ringhiò, allentando la morsa. Tuttavia, in preda all'ira, mi calciò con vigore il centro di una delle rotule e urlai di dolore.

La tossa asmatica, assieme alla fitta avvertita, non mi fermò dalla voglia di ricambiare, perciò avanzai barcollando e lo colpì con un pugno raffazzonato in pieno viso.

Lorenzo si palpò la guancia e rise sarcastico. «Non sai neppure fare a botte, nullità!»

«Non ti piacerà scontrarti con me quando sarò al massimo della forma» proferii, allontanandomi dal terreno di battaglia senza perdere il contatto visivo. «Fallo, distruggi Layla, e ti giuro che un giorno ti ucciderò io, Lorenzo.»

«Sì, e come lo farai? Con i tuoi bei pugni?»

«Diventeranno brutti» lo minacciai ancora, falciando l'erba con il mio passo zoppicante.

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