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Catherine - Now

Dondoli sconfortata sulla rovinata sedia di pelle nera che desiderasti tanto, al tempo.

Il palmo alla base del mento, i capelli lunghi e mossi che scendono indisturbati lungo le tue spalle e che dovresti lavare, la gonnellina a fiori coprente metà coscia e i tuoi stivaletti marroni consumati.

Le dita dell'altra mano, le usi per smaltire l'ansia e comprare un po' di silenzio con i gesti ed il tumulto che risiede dentro di te. Guardi al di fuori della finestra, è quasi buio e la camera cadrà nella gentile omertà che ogni volta la notte trascina dietro di sé.

Giochi con le penne colorate con le quali ami sottolineare i concetti fondamentali --- e qualcuno in più. Ancora non ti è chiaro ciò che possa definirsi fondamentale.

Ti accoccoli al suono della tua amata musica, una canzone, altre, il ritmo consolante degli artisti ti dona umanità calzante. I tuoi occhi risiedono nel nulla, piuttosto, nel vuoto. E non provi a spiegartelo, non proferisci affermazione, né ti chiedi (o fingi di non farlo) il movente di tale non genuino accasciarti.

«Catherine! È pronto,» sai già che è una bugia, misero e consono stratagemma per assicurarsi tu apparecchierai la tavola, ma tutto -- oggettivamente tutto, è migliore rispetto alla battaglia generante odio per te stessa che ha luogo nella tua psiche per il ruolo neutro che le pareti lilla della tua stanza occupano.

Pertanto, ti alzi e sposti lo zaino dello stesso colore degli stivali a sinistra e aggiusti il leggero disordine creatosi che ti infastidisce più di quanto dovrebbe.

Un'occhiata ai poster delle boyband che adori e un sospiro di manchevolezza, ti muovi rumorosa per le tante scale di casa tua ed indossi il sorriso più realistico che possiedi, legando la capigliatura ondulata frettolosamente.

Donna affascinante, tua madre. Intenta a lavorare ed assicurarvi futuro ed affetto, neppure si accorge della tempesta di sensi di colpa che non demorde nella sua secondogenita.

«Apparecchieresti, tesoro?» non ti guarda, si sposta con frenesia da un angolo ad un altro della cucina dal mobilio bianco e quasi nuovo, senza badarsi. Parla tra sé e sé e ti accorgi che dovrai sistemare le sue scartoffie dell'ufficio che ha lasciato da sbadata sul tavolo di vetro graffiato.

Lecchi le labbra, le unghie al braccio destro pallido e tiri un respiro profondo, dandoti, un attimo dopo, una mossa. Non ti curi, non ci pensi, stai nel tuo sostrato denominato dalle incertezze, dalle incongruenza e dalle (soprattutto) spiegazioni non ricevute.

Afferri i bicchieri con le manine e li sistemi sul tavolo alle posizioni che spettano ad ognuno, già ti autoconvinci che ti resta poco prima di poter tornare ad avvilirti in camera, quando «Hai studiato, oggi, Catherine?»

«Abbastanza, sì,» scrolli le spalle, mentendo, prima che la donna dai capelli scuri e portati in un dolce taglio a caschetto che le risalta la sottigliezza del volto, si giri e si appoggi con una mano alla credenza dietro di sé. Vi osservate, ti blocchi per un attimo. Mordi l'interno guancia --- percepisci l'angosci e la mascheri da perfetta interprete.

«Cosa succede, Catherine?» la voce che le perfora la gola non è regolare, piuttosto sconsolata e preoccupata, leggermente strigliante. La camicetta bianca che le copre il petto è di tuo gradimento -- tutto lo è, rispetto ai sensi di colpa.

«Cosa vuoi che succeda, mamma? Sono stanca.» emuli una voce scocciata, impassibile. Ma lei è tua madre e ti conosce: tu non sei impredicabile.

«Ha a che fare con quella ragazza? Com'è che si chiama? --»

«Non ha a che fare con --»

«Carolina Porter.»

«Non dire il suo nome.» la ammonisci, la rabbia penetra i tuoi sentimenti, corrompe le sensazioni e sei associata a quest'ira meschina; cerchi sollievo in un mio riguardo, io ti spingo in altri confini. Consapevolezza, devozione alla superficialità che tanto ti appartiene e straziante noia.

«Ti manca, Cath?» prende lo straccio bagnato per asciugarsi le mani e fa qualche passo verso di me, cinge le braccia al busto e cerca di trovare uno spiraglio adeguato.

Abbassi il capo, scuotendolo ed emettendo suoni con le labbra piene. «Oramai era come se ci conoscessimo soltanto di vista, ma non mi piace sentirne parlare.»

«Tu ne sei certa?» sa che menti, prova a farti uscire allo scoperto e ti porge pietà, compassione. Non le afferri, non ti interessa.

Un po', gesticoli e le spieghi che ti infastidiscono gli insalubri comportamenti dei tuoi coetanei. È morta, ripeti, e ognuno finge gli stia fregato qualcosa.

«È l'umanità, Catherine. Le persone si accorgono di mancarne, soltanto quando c'è qualcosa di tanto tragico a portarli lì.» è come quando le chiedevi di raccontarti la storia della cicogna o le domandavi il motivo di tanti morti.

«Sì, ma--»

«Cath, le persone non sono coerenti. Non ti sentire disturbata se tentano di dimostrare adesso l'affetto.»

«Mamma,» ti tocchi la fronte con le mani, lei si era già voltata ed ora ti sta fissando di nuovo. Cerchi di spiccicare parola, vuoi liberarti del magone nel petto e «Non ho fame stasera.»

«Come le altre, d'altronde.» è spigliata, non c'è che dire. La ignori, cammini lontano dalle menzogne che libere si muovono nella cucina ed eviti i tuoi tre fratelli che corrono sfrenati per le scale.

«Cath,» è Zack, ti volgi e lo interroghi con lo sguardo. I suoi capelli castani donano vigore al visino pallido che solitamente lo caratterizza.

«Neanche stasera?»

«Sono stanca.» e ti immetti nel piano di sopra, chiudendo dietro di te la porta di legno e prendendo fra le mani il cellulare dalla cover rosa.

Non c'eri alla commemorazione. Tutto bene? Mancavate in pochi.

Christina non cede nei suoi quesiti di insufficiente importanza e digiti in fretta un Ho mal di testa, sarà per la prossima.

Ti spogli, poi, velocemente e senza dettagli, infilandoti sotto le coperte e dimenticando la scevra conoscenza che hai di te.

Le lacrime scappano dal tuo organismo, il peso nello stomaco non si dissolve e questo piangere non ti libera -- non libera un cazzo. È lì l'incedente fattezza, è lì e vorresti non ricordartene.

Arriva un altro messaggio, gola più secca, ma questa volta non rispondi.

So che mancavi anche tu.

Piuttosto, ti alzi e ti avvii alla scrivania.

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