Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Ti perdono

Dalla finestra della soffitta, circondata dalle sue statue, Nerdanel guardava il mare di Elfi che procedevano spediti lungo il fianco della collina.

Dopo ore, le sue parole le risuonavano ancora nella mente, non l'avevano lasciata per un solo istante.

Poteva ancora sentire la sua voce piena di irruenza che le feriva il viso e i suoi occhi grigi iniettati di rabbia che la trapassavano da parte a parte.

Hai tentato di strapparmi i miei figli minori, di convincerli a restare con te e privarli di quest'impresa!

Era rimasta profondamente esterrefatta da quell'affermazione, come se non stesse parlando sul serio, come se non fosse veramente lui a parlare. Non poteva essere diventato così irrimediabilmente cieco senza che lei se ne accorgesse.

Sei tu che mi stai togliendo tutto, Fëanáro, sei tu!, gli aveva gridato di rimando.

E dopo minuti, forse ore, di litigi, di parole feroci, di frasi che tagliavano e ferivano più di una lama, lei glielo aveva detto.

Ti sto lasciando, ecco che cosa sto facendo. Vattene.

E così era stato, lui se n'era andato, sbattendo la porta e senza farselo ripetere.

Sia dannato il giorno in cui ti ho sposata, era stata la sua ultima frase, prima di lasciarla lì, da sola, a consumarsi nella sua sofferenza.

Rinnárë, la sua unica femmina, la sua figlia minore, poco più di una bambina, era passata da lei prima di andarsene, prima di condividere con i suoi sette fratelli il destino che li legava al padre.

Aveva fatto scivolare nella mano della madre una busta bianca e le aveva sussurrato di leggerla.

Ti voglio bene, amil. L'aveva abbracciata, l'aveva stretta a sé per un lungo attimo. Tornerò da te, lo giuro.

L'elfa aveva annuito con forza nell'incavo del suo collo, perché voleva crederci, voleva crederci con tutta se stessa.

E ora, la città immersa nel silenzio guardava i Noldor partire. Il vento le sollevò dolcemente le ciocche di capelli rossi.

Nerdanel si voltò e si premette una mano sulla bocca. Le gambe tremanti, intorpidite dalla stanchezza, crollarono.

Strisciò la schiena sul muro sotto la finestra fino a che non si ritrovò sul pavimento; e per qualche attimo rimase lì, immobile, a fissare la parete che le stava di fronte.

Solo allora si rese conto che nella mano stringeva ancora la busta: bianca, stropicciata, dannata.

La aprì e fece scivolare il foglio di carta fuori da essa. Le bastò una breve occhiata per capire a chi appartenesse quella calligrafia.

Poi cominciò a leggere.

Cara Nerdanel,

Affido i miei sentimenti a questa lettera prima di andarmene per sempre.

Molte volte, ogni anno da quando ti ho conosciuta, avrei voluto scrivertene una, per ricordarti dei tempi in cui eravamo solo io e te, niente bambini urlanti che scorrazzano per la casa, niente pianti, o capricci, o risate d'infanti.

Ricordarti di quel giorno in cui ti ho vista per la prima volta, in cui hai completamente stravolto la mia vita soltanto con uno sguardo fugace.

È ancora tutto davanti a me, così nitido e reale.

Tuo padre era appena uscito. Disse che le sue scorte di ferro erano straordinariamente finite; ridendo aggiunse che l'insegnarmi il mestiere di fabbro gli costava una fortuna.

E fu in quel momento che la udii. Una voce, melodiosa e limpida, la più angelica che si fosse mai incastrata nelle mie orecchie.

«I ngîl cennin erthiel ne menel aduial, ha glingant be vîr síliel moe».

Avevi sentito la porta chiudersi e probabilmente credevi di essere rimasta da sola, nella tua polverosa soffitta.

Il tuo canto mi era entrato dentro, placava il mio spirito arroventato, le mie membra sempre infervorite da quel groviglio di risentimenti che mi premevano nel petto.

«I ngîl cennin firiel ne menel aduial».

Senza nemmeno rendermene conto avevo salito le scricchiolanti scale di legno a chiocciola. La porta era socchiusa, le tue parole riempivano il silenzio.

«And-dúr naun i fuin a galad firn naegriel moe» cantavi mentre varcavo la soglia.

Fu solo allora che dei colpetti, degli scalpicii concisi e sordi, decisi e brevi, tintinnarono nell'aria.

Eri seduta su uno sgabello e scolpivi nel marmo bianco, i tuoi capelli rossi come fiamme che danzavano sulla tua schiena.

«An i natha, an i naun ului a chuil, ann-cuiannen am meleth, perónen», fu l'ultima frase che cantasti prima di accorgerti della mia presenza e voltarti.

I tuoi occhi. Un cielo di un azzurro vivido e splendente, un oceano dalle acque calme e cristalline in cui ci si può solamente sprofondare dentro; quelle iridi che mi hanno fatto innamorare fin dal primo istante, che mi hanno fatto desiderare che il tempo si fermasse.

«Credevo che mio padre e il suo apprendista fossero usciti».

Per la prima volta mi avevi parlato, i tuoi occhi piantati nei miei; mi sono sentito come se fossi potuto rimanere lì a guardarti per sempre.

«Solo vostro padre, l'apprendista è rimasto».

Nessuna risposta. Ti girasti di nuovo tormentandoti le mani.

«Non rimanete lì impalato, vi prego, prendete uno sgabello e mettetevi qui accanto a me».

La sicurezza con cui parlavi mi stordiva. Feci come mi avevi detto e quando fui vicino a te percepii qualcosa che non avevo mai provato prima, come se, all'improvviso, avessi trovato quello che avevo sempre sperato di trovare, qualcosa che riuscisse a colmare il mio vuoto, quei pezzi di me stesso che mancavano da sempre.

«Queste statue sono meravigliose» mormorai osservando il volto della dama rappresentata, tua madre. «Sono realizzate con una maestria tale che pare ci sia uno spiraglio di vita in esse».

«Vi ringrazio moltissimo».

I tuoi occhi esploravano i miei come se in qualche modo, senza nemmeno conoscermi, potessi leggermi dentro e comprendermi.

Era la seconda volta che ti vedevo. La prima era stata solo qualche secondo fugace, mentre salivi a nasconderti nel tuo rifugio, come lo definì tuo padre. Non nego che mi avesse incuriosito parecchio.

E in quel momento compresi pienamente a cosa si riferisse.

Aperta sulla strada c'era la sua bottega, poi veniva l'appartamento dove abitavi con tuo padre.

All'epoca la stanza non copriva tutto, era solamente una piccola camera al piano superiore che nessuno usava, con il pavimento in assi di legno, una grande finestra in vetro che la rendeva luminosissima, i minuscoli granelli di polvere che fluttuavano al riflesso della luce bianca e le tue statue, addossate alle pareti, che ti facevano compagnia per tutta la giornata.

«Sono Fëanáro Curufinwë».

Un sorriso si dipinse sul tuo volto.

«Il mio nome è Nerdanel».

E da quell'attimo qualcosa dentro di me si è mosso.

Mi hai trascinato fuori dal freddo che emanava la mia anima. Hai incendiato la mia pelle intrappolata dai brividi. Hai scaldato il mio cuore stritolato dal gelo.

Le tue labbra posate sulle mie per la prima volta erano una delle sensazioni più belle che avessi mai provato in tutta la mia vita.

Eravamo così giovani quando ci siamo sposati, quando ci siamo uniti per quella che credevamo sarebbe stata nient'altro che l'eternità, Nerdanel. L'eternità.

Non mi sarei mai stancato di te, ne ero sicuro, e ne sono sicuro anche adesso, ora più che mai.

Sei sempre stata quel tutto che riesce a riempirmi, a completarmi. Hai salvato il mio cuore torturato dalla sofferenza. Quando stavi con me non avevo bisogno d'altro, eravamo solo noi al mondo, ai miei occhi esistevi solo tu.

Ma le cose cambiano, con il passare del tempo, anche se ti prometti il contrario.

Ed è successo.

Ho delle responsabilità, Nerdanel, e speravo che tu, l'unica che mi importava veramente di avere al mio fianco verso la Terra di Mezzo, l'unica che ha la capacità di calmarmi solo sfiorandomi, l'unica che amerò per sempre, avesse compreso.

Ma non lo hai fatto.

Amo i nostri meravigliosi figli tanto quanto te, ed è per questo che ho accettato che mi seguissero. Si sono offerti volontari, non ho forzato nessuno di loro, e lo sai perfettamente.
La vita del loro nonno, di mio padre, di Finwë, è stata spezzata dal Male.

Morgoth mi ha strappato qualcuno che amavo e qualcosa di cui andavo fiero. Neanche tu avresti potuto fermarmi in questo.

La vendetta avverrà per mano mia e dei miei figli, e non dimenticherò nessuno dei torti che ho subito fino al mio ultimo respiro.

Mi dispiace per quello che ti ho detto, Nerdanel, me ne sono pentito amaramente, ma nonostante tu mi abbia reso migliore, non potrai mai cambiare chi sono.

L'ora è giunta. Scrivo queste ultime parole con dolore e partirò con il desiderio di ricevere il tuo perdono.

Addio. Spero che un giorno potremo essere di nuovo la splendida famiglia che eravamo.

Tuo per sempre,

Fëanáro

Le lacrime rigavano le sue guance e alcune gocce bagnarono le parole, sfuocando l'inchiostro nero.

Si portò la lettera al cuore e si alzò lentamente in piedi. Gli ultimi vessilli stavano sparendo all'orizzonte. Fece un profondo respiro e chiuse gli occhi.

«Ti perdono». Sussurrò come se stesse affidando le sue parole al vento. Come se esso potesse in qualche modo portarle a Fëanáro.

E poi Nerdanel intonò un brano, triste e incrinato dal pianto, lo stesso che cantava quel giorno in cui l'apprendista di suo padre si era intrufolato nella soffitta in cui stava scolpendo.

E si ritrovò a pensare che in quel canto, inconsapevolmente, era racchiusa la loro storia.

«Ho visto una stella sorgere alta nel cielo della sera, appesa come un gioiello, brillare dolcemente.
Ho visto una stella scomparire nel cielo della sera, l'oscurità era troppo profonda e così la luce morì, soffrendo dolcemente.
Per quello che avrebbe potuto essere, per quello che non è mai stato.
Per una vita lungamente vissuta, per un amore donato a metà».

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro