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domenica 29 dicembre 2002

Sera

Lucia mi aveva chiesto di uscire insieme.

Altro che bella notizia. Era un sogno, il premio di tutte le mie rattate fatte su di lei.

Non potevo sprecare un'occasione del genere. Dovevo fare bella figura.

Pensavo di portarla in un bel posto. In pizzeria non se ne parlava proprio, perché tutta la settimana tenevo cornicioni e stoviglie davanti agli occhi. Però mi piaceva l'idea di andare in vineria, atteggiarmi a intenditore e sperare che il mio portafoglio e la mia dignità ne uscivano sani e salvi: era il prezzo da pagare per posteggiarla.

Svegliai Michele dalla cuntrora per farmi acconciare i capelli, ma era ancora inzallanuto dal vino paesano e mi riempì la testa di buchi. Per non farlo prendere collera, comunque, non dissi niente: aumma aumma mi sarei messo un cappello per apparare. Ma però mi accorsi che non potevo presentarmi in tuta, e gli chiesi di prestarmi un vestito.

Michele disse che tirava fuori un pezzone appositamente per me. A quel punto lo aspettai sul divano, contento, curioso, e pure un po' spaventato. Dopo una mezz'oretta, si presentò con una tovaglia nera appesa a una stampella.

Lo vedevo tutto contento, e io sorridevo per finta. In verità non avevo ancora capito che era, fin quando non se lo mise addosso.

Alzò un quintale di polvere, e vidi questo frac ammuffito che scendeva fino a terra.

Ovviamente non mi piaceva. Capii che dovevo per forza uscire in tuta, ma a pensare che Michele si era messo a disposizione per accontentarmi, cambiai idea.

Proprio mentre lo provavo, stretto stretto che non potevo muovere le braccia sennò si stracciava, mi acchiappò un crampo alla pancia.

Lanciai il frac a terra e feci una corsa in bagno per scaricare una bella cacata liberatoria. Ma non fu liberatoria, perché mi storzellavo e non usciva niente.

Che significava? Fino a quel momento non mi era mai successa una cosa del genere. Potevo capire di tutto. Lo potevo capire uno stronzo mollo, la potevo capire una sciorda, e potevo capire pure le palline toste, come quelle che fanno le pecorelle. Ma il tappo a culo, precisamente, che mi voleva dire? Era una speranza o un allarme? Poteva succedere di tutto.

Mi presi paura, perché il futuro non era mai stato così confuso.

Quando uscii dal bagno, Michele mi chiese se stavo bene. Gli dissi che dovevo riposare un po', e aumma aumma presi sonno sul divano.

Dopo qualche oretta, squillò il telefono.

Saltai dal sonno.

Non sapevo che giorno era, se era mattino, se era sera. Mi ero addormentato col sole e mi ero svegliato allo scuro. Stavo tutto sudato, tenevo la bocca asciutta e sentivo una puzza di muffa: prima di andare a lavoro, Michele mi aveva coperto con il frac per non prendere freddo.

Intanto, però, dovevo rispondere al telefono. Anche se non mi aspettavo niente di buono, mi buttai a terra e feci una capriola per arrivarci.

Era Lucia.

Disse che doveva dirmi una cosa importante. Parlava, girava, faceva, diceva. Ma io in fondo già avevo capito che voleva appendermi, e quando mi disse che non ci vedevamo più rimasi zitto. Lei invece si cominciò a giustificare. Scuse, inciuci, trabocchetti, cofecchie. Ma a chi voleva sfottere? Già stavo piangendo a terra e le chiusi il telefono in faccia.

Mi sentii una tarantella in testa.

Finalmente stava per succedere una cosa buona, ma poi mi trovai ancora più inguaiato di prima. Perché a uno che sta sempre nella munezza non cambia niente se ci rimane. È tutto normale. Ma invece uno che esce dalla munnezza per pulirsi e poi tornare di nuovo nella munnezza, cambia. Cambia assai.

Sentivo che gli altri, sia i buoni che i malamente, avevano trovato il loro posto nella vita, e io ero rimasto in piedi. In tutto: nelle amicizie, nell'amore, nel lavoro. Nessuna persona, nessun sacrificio, e nessuna bella notizia poteva cambiarlo. Perché vota e gira, stavo fermo come un tric trac che bruciava senza scoppiare.

Quella tappo a culo andava apparato, sennò perdevo la testa. Tra una lacrima e l'altra strafogai una vrancata di yogurt, mezzo boccaccio di Nutella, mele, pere e purtualli.

Nel frattempo, mi misi a perdere un po' di tempo davanti alla televisione. Girai tutti i canali, come faceva Michele per sfogarsi, e mi uscì un film in bianco e nero. Ladri di biciclette. All'inizio non mi disse proprio niente, perché i film antichi non mi piacevano ancora. Ma a pensarci un attimo, mi venne l'idea di telefonare l'unica persona che in quel momento mi poteva aiutare.

Era un esperto navigato, uno che un posto nella vita non l'avrebbe trovato nemmanco tra cent'anni, uno che la miccia non l'aveva mai messa in funzione, uno che nella munnezza si era fatto un nome perché ci stava dentro da sempre: Giorgio.

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