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Caos

E poi ci fu solo l'esplosione e nient'altro. Un'enorme detonazione da perforare i timpani, una nube spaventosa che saliva su verso il cielo. Un istante prima era tutto tranquillo. Niente faceva presagire la catastrofe che ci fu dopo. Si sentivano urla e grida, gente che chiedeva aiuto. Non mi resi conto subito. Chiusi gli occhi. Sentivo male dappertutto, ogni singolo muscolo era contratto dallo sforzo. Gli occhi bruciavano, erano intrisi di una polverina sottile che li infiammava. Solo buio intorno a me, rumori sì ce ne erano, ma erano attutiti e giungevano in lontananza. Sembrava che tutto si fosse fermato.

Ero io bambina e mi incamminavo verso la mia scuola, intorno a me un paesaggio grigio e desolato. Non c'era anima viva. Entrai dentro quell'edificio che tante volte mi aveva accolto. I banchi erano disposti in file ordinate, ma non c'era nessuno all'interno. La lavagna con il suo gessetto aspettava da tempo immemore di essere usata. Ero sola, a parte qualche ragno che tesseva in silenzio la sua tela lì all'angolo. Alle pareti i disegni colorati dei bambini mi rasserenavano. Uscii indecisa. Non sapevo cosa fare né come avrei dovuto comportarmi.

La pelle mi bruciava, sentivo i raggi del sole che scottavano, le labbra raggrinzite, con un retrogusto amarognolo in bocca. Ricordo che pensai al motivo di tutta quella desolazione intorno a me. Ma la cosa che più mi faceva preoccupare erano le mie impressioni. Una sensazione di estraneità, dovuta anche al fatto che intorno a me non c'era anima viva, anche se riconoscevo in quei luoghi, quelli in cui avevo trascorso la mia infanzia. Mi giungeva alle orecchie il frinire delle cicale, producevano un rumore assordante che mi rimbombava nelle orecchie. Faceva caldo, la campagna intorno era arida, distese sterminate di terra brulla e secca si estendevano intorno a me. L'unico segnale della presenza di flora era rappresentato da alberi sempreverdi che spiccavano sul ciglio della strada, poco prima della scuola.

Questa solitudine mi faceva paura.

Perché non c'era nessuno?, mi domandai.

Sembrava uno di quei villaggi desolati abbandonati di tutta fretta a causa di qualche calamità naturale. Non c'era segno alcuno di catastrofi in atto. Varcare la soglia della scuola mi riportò indietro nel tempo a quando io la scuola la frequentavo e anche con profitto.

Era bello andare in quell'edificio a imparare le cose. Ero curiosa di tutto e mi piaceva tanto leggere.

Mi vidi seduta al primo banco con il grembiulino nero, mentre assorta, seguivo le lezioni della nostra maestra, una signora severa, ma molto brava e distinta che ci faceva imparare le poesie dei grandi poeti a memoria. Ricordai con piacere il tempo trascorso a imparare quelle poesie così belle e profonde che ti toccavano il cuore e i cui versi non dimenticherò mai. Le cose quando sei bambina le vedi sotto un altro aspetto. Tutto appare circondato da un alone di magia che si irradia e si riflette su tutto ciò che ti circonda.

L'amore per i libri nacque proprio lì, in quell'edificio, così caro a me, ma che appariva così desolato adesso. Se chiudevo gli occhi riuscivo a sentire distintamente il vociare allegro dei bambini, le loro risate, mentre giocavano nel cortile durante l'ora di ricreazione.

Perché non c'era nessuno? Dove erano spariti tutti?, mi domandai di nuovo con ansia crescente.

Quella estrema solitudine mi allarmava. Mi sembrava di essere spettatrice di un sogno a occhi aperti. Mi chiedevo quando mi sarei svegliata, perché la situazione cominciava a preoccuparmi. Erano scappati tutti? Ma per andare dove?
Perché non mi avevano portato con loro? I miei genitori dov'erano?

E i miei fratelli?
A un tratto, in mezzo a tutto quel silenzio, interrotto soltanto dal verso delle cicale avvertii distintamente un suono, una melodia. Le mie orecchie si fecero subito attente, per riuscire a carpire meglio quella musica, che proveniva da qualche parte. Cercavo di afferrarne le note, ma non ci riuscivo. Sfuggivano alla mia comprensione, perché troppo lontane per essere riconosciute. Tuttavia le mie orecchie riuscirono a identificarla piano piano, anche se non ne riconobbero la melodia. Chiusi gli occhi e iniziai a muovere i passi in direzione di quella sinfonia. Non importava dove andassi, seguivo l'istinto e quell'armonia di suoni che lentamente si avvicinava e si rendeva più percepibile. Aprivo gli occhi per vedere dove mettevo i piedi ogni tanto, ma la strada era dritta davanti a me e non c'era pericolo di niente, nemmeno che cadessi in un fosso. Nel frattempo la musica si faceva sempre più distinta, adesso riuscivo a riconoscere qualche nota, il suono era più forte. Le note del pianoforte volteggiavano intorno alle mie orecchie attente e si mostrarono a me, facendosi riconoscere.

Una melodia struggente e malinconica, figlia del suo tempo, un brano suggestivo ed evocativo. Attraverso quella composizione di suoni, immagini nitide mi si stamparono davanti agli occhi e adesso vedevo quello che la musica mi stava trasmettendo: distese infinite di acqua con dentro pesci colorati, specchi lagunari di una straordinaria bellezza, praterie verdeggianti e selvagge, boschi incolti, distese di campi di papaveri e girasoli e poi ancora vette altissime con nevi perenni e laghetti di montagna così puri e incontaminati e ancora colline verdeggianti e gialle con i loro vigneti e gli ulivi.

La bellezza dei paesaggi invase la mia mente, i miei occhi, come se io fossi lì a goderne direttamente.

Mi stavo avvicinando sempre di più a quella musica.

Adesso mi sentivo indebolita e stanca, priva di energia, le mie braccia stavano compiendo uno sforzo enorme. Tutti gli arti li sentivo pesanti, come schiacciati dalla forza di gravità.

Soffrivo, sentivo il sudore, che mi scivolava sulla pelle impolverata, ne assaggiai una goccia. Era salato e mi piacque assaporarne un po'. Non potevo asciugarmi, perché per qualche strana ragione le mie mani non obbedivano più ai miei comandi e non avevano più nessuna vita. Avevo solo le gambe che mi trascinavano verso quella magica composizione.

A scuola ricordo che avevo imparato di quanto gli uomini possono essere cattivi nella loro corsa al potere, di quanto a volte, presi da desideri di conquista, dimenticassero molto spesso il rispetto per gli altri esseri umani, fino a soffocare qualsiasi forma di comprensione, fino ad arrivare a compiere atti d'inaudita crudeltà verso i loro simili, pur di raggiungere lo scopo. Le guerre che ci furono e ci sono state e ci sono tuttora ne sono un esempio: di come l'uomo sia fondamentalmente egoista e poco empatico, così disumano da creare armi di distruzione di massa e così intollerabile il fatto che di questo traffico di armi tanti si arricchiscono alle spalle di chi da quelle stesse armi vengono uccisi. Avrei voluto vivere nel mondo evocato da quella musica, un mondo perfetto, ma mi rendevo conto che non esisteva.

Il mio fiato iniziò a farsi corto, respirare mi costava uno sforzo immenso. Il diaframma si alzava e si abbassava con la stessa frequenza di una lumaca che cammina. L'aria era pesante e mi veniva da tossire. Sputavo nebbia, sputavo polvere. I miei capelli ne erano impregnati.

Dove mi trovavo adesso?
La scuola era scomparsa.

Intorno a me soltanto il buio profondo e tenebroso di una notte senza luna.
Provai a gridare, ma dalla bocca non mi uscì alcun suono.

Fu allora che iniziai a preoccuparmi.

Stai calma, mi dicevo dentro di me.

Vedrai che per tutto c'è una spiegazione.

Tentai di recuperare quella musica, di sentirla di nuovo.

Era la mia ancora di salvezza in mezzo a tutto quel caos.

Eccola di nuovo, riuscivo a sentirla distintamente e adesso più forte.

Com'era bella! Era meravigliosa e nel pensare questo mi commossi così tanto, che le lacrime presero a scendermi giù dagli occhi e iniziarono a bruciarmi il viso.

Presto non sarei stata più in grado di respirare. La polvere era aumentata, ero costretta a tenere gli occhi ben chiusi.

A un tratto sentii delle voci:
«Eccola è qui, l'ho trovata». Voci concitate mi ruotavano attorno, mi piovve addosso una cacofonia di rumori che mi invasero le orecchie.

E poi la luce, la luce folgorante, accecante e istantanea invase i miei occhi.

Mi ci volle molto per mettere a fuoco. Davanti a me il viso preoccupato di un ragazzo con tuta ed elmo che mi tirava fuori di lì e poi i suoi occhi azzurri che mi scrutavano attenti.

Il pianoforte adesso aveva smesso di suonare. Davanti a me un'anziana signora aveva appena smesso di sfiorare quei tasti e si era precipitata al mio fianco.

«Nonna?», gridai, ma mi uscì fuori solo un rumore indistinto, simile al lamento di un gattino ferito, delle mie corde vocali allo stremo.

Intorno a me un ammasso di macerie e di fumo.

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