Camelia, la driade
Ormai neppure ricordava quando esattamente la Foresta le era stata concessa; forse vi era nata, o forse era stato un dono. O magari, semplicemente, lei ci era sempre stata, insieme alla Foresta, come un meraviglioso, unico essere, perfetto in ogni più piccolo soffio di brezza o goccia di rugiada. In questa ultima ipotesi desiderava credervi ciecamente, per quanto dubitasse della sua veridicità. Eppure era così; prima di allora, lei non sapeva e non credeva niente. Non vi erano ricordi -belli o brutti-. E tutto quel terribile senso di non appartenenza non l'aveva mai davvero spaventata. A lei era sempre bastata la quiete paradisiaca e l'onirica confusione della propria Foresta. Le piaceva la dolce soddisfazione che la invadeva nell'abbassare le palpebre, mentre la pelle bruno-grigia prendeva a fessurarsi ed irrigidirsi, e le foglie peduncolate e lunghe che contraddistinguevano i capelli si facevano più lunghe, sino al terreno umido e freddo. Le piaceva che, una volta addormentatasi e diventata un vero tutt'uno con la Foresta, il mondo si quietasse in modo splendido ed appagante. E mentre lei mutava in quel sottile salice apparentemente di poco conto, nascosto nel centro di quel fitto bosco lussureggiante, l'universo pareva fermarsi. Gli anni sarebbero potuti passare, ma lei era certa che nulla l'avrebbe fermata. L'apocalisse li avrebbe potuti prendere, ma sarebbe stato giusto. Avrebbero vissuto quanto era loro dovuto in pace, lei e la Foresta.
Quando, però, in un giorno d'autunno, le radici presero a piangere, la vita perse di consistenza. L'infinito divenne finito, e qualcosa la ferì più profondamente di una spada appuntita e lucida nata unicamente per dilaniarle il corpo. Fu un dolore che le avvampò lo spirito, facendola gridare e piangere senza controllo.
Impiegò solo che pochi secondi a tramutare il proprio corpo di albero in umanoide, e da salice divenne driade in un battito di ciglia. Ma era troppo tardi.
Avvertiva fitte su fitte affliggerla. Era l'Inferno ed era ovunque. Il dolore di ogni albero era in lei; le entrava dentro e la disidratava. La faceva gridare e piangere, mentre la pelle si faceva, da bruna, nero carbone.
Vedeva -sentiva- la sua stessa chioma cadere lentamente -le sue così belle foglie, dorate d'autunno-, abbandonandola spoglia e dolorante. Vedeva le foglie accartocciarsi ferite, e le fiamme sempre più alte, fameliche quanto il Demonio. E la sua casa, la sua vita e lei morire. Stavano morendo tutti.
Lei e la Foresta, insieme come erano nati.
Come erano esistiti.
E morivano lentamente, come erano vissuti. Soffrendo di ogni, dannato spasmo, incapaci di fuggire da quella prigione di fiamme.
Un incendio.
Dopo tutte le fatiche sopportate per la propria amata Foresta, dopo averla difesa a spada tratta in ogni modo possibile, sarebbero morti per un semplice incendio. Era patetico ed imbarazzante. Ed il dolore la accecava. Ma era tardi. Era finita.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, delineate da dita lunghe, affusolate e belle. La corteccia era totalmente annerita, ed ora stava diventando brace. Presto sarebbero cadute una ad una, tutte le sue dita, poi le mani, infine le braccia, e sarebbe morta. Sorrise mestamente. Non aveva mai pensato, in tutta la propria lunga esistenza, ad una morte del genere. Così poco piena di onore, ma così empia di disgustosa pena.
La Foresta se ne sarebbe andata con lei. Tutto ciò che aveva amato e difeso. Tutto ciò per cui aveva ucciso e combattuto. Tutto.
Si guardò attorno; vide gli alberi prendere lentamente fuoco, i rami cedere e cadere, sollevando ampie nubi di fuliggine e cenere. Sentì l'aria farsi opprimente, e capì che presto respirare le sarebbe divenuto impossibile e che, forse, sarebbe morta per asfissia invece che per quel malevolo rogo. Non seppe se sentirsi fortunata.
Chi è stato?, si domandò.
Umani, si rispose, assassini.
Lanciò un'ultima occhiata alle proprie dita; ne mancavano alcune, e nei punti in cui si erano staccate vi era ora un rivolo rossastro e brillante di brace accesa. La stava consumando. Ed il dolore continuava a propagarsi, arrivandole dentro attraverso fitte potenti ed inarrestabili. E sentiva le grida della Foresta nella mente, che piangeva e la pregava; Fa qualcosa! Ti prego...
Mai più. Non voglio mai più soffrire così.
E, come se qualcuno, in un indefinito lassù, avesse udito quel suo pensiero straziato, la morte la assalì, vorace e spietata, rendendola cenere sparsa nel vento.
Fine.
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