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Prologo

Caledvwlch, nella sua mano, era troppo pesante.

Mentre arrancava a fatica nell'erba alta, ignorando le fitte di dolore che gli attraversavano la gamba destra, Bedwyr tentò di convincersi che fosse l'umidità della nebbia a impregnare le sue vesti.

Doveva resistere ancora qualche minuto. Solo il tempo necessario a svolgere l'ultimo comando del suo signore – di suo fratello. Poi avrebbe potuto fermarsi, permettere alla follia che premeva contro gli argini della sua mente di prenderlo, prima che capisse davvero cosa fosse diventato ora il mondo.

Ma il momento non era ancora giunto. Aveva fatto una promessa. L'avrebbe mantenuta, anche se gli fosse costata il suo ultimo respiro.

Sapeva a malapena dove stesse andando. Le lacrime lo stavano accecando e non poteva scacciarle. Con la foschia che lo circondava e il cielo che ancora rifiutava di aprirsi e far tornare la luce, avrebbe potuto credere di essere già nel mondo dei morti. Si fermò, sforzandosi di cogliere ancora il canto delle acque, l'unico indizio che gli restasse.

L'elsa era fredda contro il suo palmo, sebbene coperta di sangue. La sua presa si stava facendo sempre più instabile, come se la spada si stesse ribellando nel non sentire su di sé la mano del suo padrone. Bedwyr non voleva ancora lasciarla andare.

L'avrebbe riportata nel luogo da cui era venuta e sarebbe tornato indietro. Non gli era rimasto molto tempo. Avrebbe stretto la mano di Arthur e ascoltato il suo ultimo respiro. Avrebbe vegliato sul suo corpo fino a quando non fosse arrivato il suo turno di giacere tra i cadaveri. Si sarebbe disteso accanto a Cei, avrebbe tenuto Amren tra le braccia e avrebbe atteso.

Doveva solo raggiungere la riva del lago e abbandonare Caledvwlch all'abbraccio dell'acqua.

Mosse un altro, faticoso passo. Prima di poterne fare un altro, poté percepire un suono, oltre al proprio respiro ancora affannoso, librarsi nel silenzio innaturale.

Passi, per quanto attutiti. Più rapidi dei suoi, meno incerti. Qualcuno si stava avvicinando.

Bedwyr si voltò di scatto, sollevando la spada con un braccio tremante, in tempo per scorgere una figura umana delinearsi nella nebbia. Non poteva essere un alleato – era certo che non ci fossero stati altri sopravvissuti. Ma se uno degli uomini di Medraut, o di Cynric, si fosse salvato, se avesse voluto vendicarsi o portare con sé un trofeo che addolcisse il massacro...

I suoi movimenti erano troppo lenti. Il colpo lo raggiunse prima che potesse rendersene conto. Una punta di ferro gli trafisse il fianco, e quando il sangue iniziò a sgorgare e il dolore a irradiarsi dalla ferita lui stava già cadendo. Non riuscì nemmeno a gridare. Tutto quello che poté fare fu aggrapparsi disperatamente alla spada.

L'uomo si inginocchiò accanto a lui. Bedwyr tentò di colpirlo alla cieca, ma l'altro si limitò a schivare il colpo, troppo debole per costituire una vera minaccia. L'ultima cosa che riuscì a percepire chiaramente furono le dita del suo assalitore che sfioravano le sue, si chiudevano sull'elsa di Caledvwlch e la strappavano alla sua presa. Attraverso i suoi occhi annebbiati, gli parve di scorgere un volto. Per un momento, prima che la vista lo abbandonasse del tutto, ebbe la sensazione di averlo già visto.

Lottò per rialzarsi, per rimanere sveglio. Non poteva morire prima di aver compiuto il proprio ultimo dovere. Non poteva lasciare che tutto ciò che restava di Arthur andasse perso, non in quel modo.

Ma non riusciva più a muoversi, o a respirare. Il suo sangue pareva sempre più freddo. Il suo corpo sarebbe rimasto lì, lontano da tutti gli altri, la sua mano vuota a mostrare il suo fallimento. L'ultimo tributo pagato a Camlann. Non avrebbe nemmeno potuto assicurarsi che il suo aggressore non depredasse i corpi dei caduti.

Avrebbe implorato perdono prima di perdere conoscenza, se solo avesse creduto di esserne degno.

                                                                                                 ...

Il grido di Mairenn squarciò il silenzio come una lancia di luce.

Olwen era quasi riuscita a convincersi che quello non fosse l'ultimo giorno di pace che il fato le avrebbe concesso, nonostante il cielo troppo buio e la consapevolezza del sangue che, non troppo lontano da lei, stava impregnando il terreno. Aveva pregato più di quanto avesse fatto per ogni altra battaglia, il cuore lento e pesante nel suo petto. Nel sentire l'urlo, fu certa che le sue preghiere fossero state vane.

Deglutì, cercando di respirare. Oltre il velo delle lacrime che stavano sbocciando nei suoi occhi, il mondo pareva instabile e informe, come se fosse sul punto di spezzarsi.

Si mise in piedi e cercò di raggiungere l'altra donna, barcollando come una malata. Ogni suono pareva ovattato. Se avesse voluto, avrebbe potuto convincersi che quello fosse solo un sogno, e che quando si fosse svegliata Culhwch sarebbe stato ancora accanto a lei, senza il tradimento e la guerra a portarglielo via.

Si trascinò all'esterno. Le nubi e la nebbia erano troppo fitte, l'aria troppo fredda per maggio. Doveva essere solo un incubo, si ripeté. Camlann non sarebbe stata la fine.

Inginocchiata tra i trifogli bianchi, Mairenn tremava. Il suo viso era solcato dalle lacrime, gli occhi fissi e vuoti. Una visione del presente, comprese Olwen, non del futuro. Era abbastanza vicina da udire le parole, da ascoltarle mentre portavano via le ceneri di tutte le sue speranze.

"Sangue!" gemette la sua compagna. "Il re a pezzi sulla piana, il guerriero a pezzi sulle rive del lago. La spada sacra brandita da una mano blasfema. Il sangue del figlio nel cuore del padre, solo il canto dei corvi per morti che troppo pochi possono piangere! Tutta la gloria divorata dalla tenebra del tradimento." Il suo corpo fu scosso da un brivido più forte degli altri. "Il Drago! Il Drago è caduto!"

Olwen non riuscì a sopportare oltre le sue grida. Con uno sforzo che le parve intollerabile, corse verso di lei e si inginocchiò al suo fianco, stringendola a sé. "Non è successo nulla, Mairenn..." mormorò, mentre le lacrime finalmente abbandonavano i suoi occhi, scorrendo sulle sue guance in gocce calde e salate. "Non è successo nulla..." 












Note dell'autrice:

Caledvwlch: l'equivalente di Excalibur, appare almeno in Geoffrey di Monmouth (con il nome di Caliburn) e probabilmente anche prima. A differenza della sua controparte però non ho trovato, almeno nelle fonti da me consultate, alcun riferimento a una sua provenienza da uno specchio d'acqua. In questo caso ho preferito basarmi su una tradizione esterna e se non altro più nota.

Bedwyr: sir Bedivere è principalmente noto per essere l'unico sopravvissuto della battaglia di Camlann... grazie a Malory. Ma nel Mabinogion non figura tra i superstiti, e anche in una fonte relativamente tarda come l'Historia Regum Britanniae muore prima. Ma, dal momento che nella tradizione gallese Bedwyr e Cei sono i principali tra i compagni di Artù, ritenevo che ci fosse molto più potenziale nel renderlo il protagonista. 

Cynric: Cynric del Wessex è stato un sovrano realmente esistito. Secondo la Cronaca Anglosassone del IX secolo, iniziò a regnare nel 534, e, dal momento che Medraut/Mordred canonicamente si allea con i sassoni nel 537, sembrerebbe plausibile includere la sua versione leggendaria. Difatti suo padre Cerdic è stato spesso identificato, basandosi su Geoffrey, con il capo sassone che combatté contro Artù nella battaglia di Mynydd Badon. Ciò probabilmente non corrisponde alla realtà, ma dal momento che, per l'appunto, questa fanfiction ha poco di storico non mi è sembrato un impedimento particolare.

Mairenn: per il momento, l'unico personaggio completamente inventato da me. 

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