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Capitolo due

Non era la sua prima battaglia, ma le sensazioni erano le stesse – la stretta nauseante alla bocca dello stomaco e il bisogno ardente di sferrare colpi prima che fosse troppo tardi.

Bedwyr cercò di non guardare mentre estraeva la lancia dalle viscere di un nemico. Il suono del sangue che gocciolava a terra parve sovrastare anche le urla, ma non poteva concedersi di pensarci. Non se voleva restare in vita.

Si voltò in tempo per intercettare un fendente diretto contro di lui, urlando per soffocare ogni esitazione. Aveva già visto uomini più esperti di lui morire nella polvere, e ragazzi al loro primo scontro restare paralizzati dalla paura, in attesa del colpo che li avrebbe uccisi. Non aveva intenzione di unirsi a loro, non ancora.

Aveva perso di vista suo padre, ma per quanti guerrieri tentasse di abbattere, non riusciva a trovare un varco per ricongiungersi a lui. Tutto ciò che poteva fare era sollevare lo scudo e affondare la lancia, pregando di non trovarsi tra coloro che erano destinati a morire. La fortuna era già stata troppo generosa nel farlo sopravvivere fino a quel giorno.

Ai suoi piedi, un guerriero, con l'impennaggio di una freccia che sporgeva dal fianco, sollevò su di lui un paio di occhi supplichevoli – in quel momento non avrebbe saputo dire se amici o nemici. Bedwyr strinse i denti e lo ignorò. La prima volta, le urla dei feriti e dei morenti lo avevano quasi spinto a voltarsi e a fuggire. Ora, anche mentre le udiva, la sua mente le riconosceva a stento. Ci sarebbe stato tempo per pensarci quando la sua vita non fosse più stata in pericolo.

Almeno non pioveva. Aveva già dovuto provare una volta a sfondare un muro di scudi, accecato dall'acqua e quasi bloccato dal fango. Il sole che splendeva sopra di loro quel giorno, incurante della battaglia, non avrebbe garantito la vittoria, ma avrebbe reso più facile la fuga, se fosse stata necessaria.

Si impose di continuare a respirare a fondo, anche se a ogni boccata d'aria l'odore ferroso del sangue sembrava farsi più forte. Doveva restare concentrato, mantenere le forze e continuare a muoversi. Esitare anche solo per un istante avrebbe potuto ucciderlo. Lo aveva visto accadere ad altri già troppe volte.

Qualcuno stava gridando in una lingua sconosciuta – forse ordini. Dalla sua posizione non riusciva a vedere se il suo schieramento stesse vincendo o perdendo. Ovunque volgesse lo sguardo, c'erano solo il baluginio del metallo e del sangue, splendenti alla luce del giorno.

Poi lo udì, più vicino di quanto avesse creduto. Il grido di suo padre.

Bedwyr sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma si guardò freneticamente intorno, nel tentativo di individuare il punto da cui era provenuto il suono. All'improvviso, il sangue aveva smesso di scorrere rovente nelle sue vene, e le sue membra si erano fatte fredde e pesanti.

Come se avesse percepito la spada che emergeva dal corpo di Pedrawt trafiggergli le viscere.

Il cadavere crollò senza rumore, confondendosi con gli altri che lo circondavano, il pugno ancora chiuso intorno alla lancia insanguinata. Per un momento, Bedwyr non poté fare altro che guardare. Una voce nella sua mente, gentile e rassicurante, gli ripeté che non stava accadendo veramente.

La consapevolezza della realtà gli calò addosso in un'ondata rovente, e lui gridò, ricominciando a colpire – non per sopravvivere, non per vincere, soltanto per uccidere. Sperò che il sangue caldo che gli pioveva addosso bastasse a estinguere il rogo che lo stava divorando, che giungesse al corpo di suo padre e gli ridesse la vita.

Attraverso le lacrime, tutto ciò che vedeva erano gli occhi degli uomini che stava abbattendo. Il modo in cui fiammeggiavano prima di spegnersi, come avevano fatto quelli di Pedrawt. Avrebbero sofferto e sarebbero spirati allo stesso modo, ma non avrebbero riportato indietro suo padre.

E lui non si sarebbe fermato finché non lo avessero fatto.

Il cuore era tornato a battere troppo forte, e nel fragore non udì il sibilo della freccia diretta contro di lui fino a quando non fu troppo tardi.

La punta affilata gli affondò nel dorso della mano sinistra, strappandogli un grido e costringendolo a lasciar cadere lo scudo. Bedwyr barcollò, mentre la sua vista si offuscava per un istante e un'altra ondata di nausea ancora più forte lo travolgeva al dondolio dell'asta conficcata nella sua pelle. Riuscì a riacquistare l'equilibrio e a tenersi aggrappato alla lancia. La sensazione del duro legno sotto il suo palmo contrastò il dolore per il tempo necessario a permettergli di respirare di nuovo.

Stava perdendo il senso dell'orientamento. Dalla mano le fitte si estesero al braccio con una pulsazione intollerabile. Una spada si mosse nella sua direzione, così affilata che era quasi possibile udirne il sibilo nell'aria, e lui non riuscì a muoversi. Non era certo di volerlo fare, se avesse significato abbandonare lì suo padre.

Una lama, rapida e leggera, spiccò la testa del suo assalitore prima che il colpo andasse a segno.

Il corpo decapitato rimase in piedi ancora per un istante, prima di accasciarsi nella polvere. La spada che teneva in mano ricadde con un clangore contro uno scudo spezzato. Ansimando, Bedwyr voltò la testa in cerca del suo salvatore, ma scorse solo due occhi, grigi e brillanti, che si posarono su di lui per un istante prima che proseguisse nella carica.

La figura passò come una visione e lui piombò nuovamente nella realtà. Si sentiva a malapena in grado di rimanere in piedi. Il sangue gli scorreva tra le dita, e il battito troppo violento del suo cuore pareva essersi trasferito alla sua testa. Poteva restare lì e aspettare di morire, o tentare di allontanarsi.

La sua mente avrebbe scelto la prima opzione. Pedrawt era morto con onore, e lui l'avrebbe imitato.

Ma l'istinto ebbe il sopravvento, e quasi senza accorgersene si trovò a cercare una via che lo portasse lontano da quell'incubo. Forse, una volta che se ne fosse andato da lì, tutto sarebbe tornato normale. Le sue ferite sarebbero guarite e suo padre sarebbe riapparso, illeso e pronto a tornare a casa con lui.

Sapeva già che così non sarebbe stato, ma non si fermò. Doveva andarsene, lasciarsi alle spalle il sangue e tornare a casa, anche se non aveva più nulla ad attenderlo...

                                                                                         ...

Per quanto Bedwyr volesse sperare nel contrario, faceva troppo caldo perché quello fosse l'aldilà. Il tepore lo cullava, tentando di trascinarlo di nuovo nel sonno. Desiderò cedere. Forse, finché avesse dormito, non avrebbe visto ciò che era avvenuto nella realtà. Forse sarebbe scivolato nella morte senza accorgersene, e non avrebbe più provato nulla.

Ma una voce che conosceva stava chiamando il suo nome, tenendo la sua anima ancorata alla vita, e la stretta intorno alla sua mano era dolce e calda, diversa da quella di colui che aveva sottratto Caledvwlch.

Il ricordo di quell'istante – troppo vivido per essere un semplice incubo – lo svegliò del tutto.

La luce lo abbagliò, costringendolo a richiudere subito gli occhi. Ricordava vagamente di aver ripreso conoscenza per pochi, insignificanti istanti e di avere percepito lo stesso sole che si era rifugiato oltre le nubi a Camlann, come a piangere ciò che stava per accadere. Aveva sperato di non doverlo affrontare di nuovo.

Quando riuscì a riacquistare la vista, la prima cosa che notò furono le mani bianche che ancora stringevano la sua. La seconda gli occhi fissi su di lui. Non si era aspettato di vivere abbastanza a lungo da rivederli. "Mairenn..."

La donna, inginocchiata al suo fianco, gli sorrise, ma il suo volto era rigato di lacrime e segnato dalla stanchezza, e i capelli neri le piovevano scomposti sulle spalle. "Temevo che non ti saresti più svegliato."

Lui tacque, limitandosi a guardarsi intorno. Riconobbe subito il giaciglio sotto la sua schiena, la stanza in cui si trovavano, piccola e disadorna, fin troppo silenziosa. Aveva passato anni a dividere le proprie notti tra Celliwig e quella singola camera. Per Olwen e Mairenn doveva essere stato uno sforzo portarlo nella loro casa, sebbene Camlann non fosse lontana.

Un tremito iniziò a percorrerlo al pensiero. Così vicino a lui, la terra conservava il ricordo di coloro che erano caduti, imbevuta del loro sangue. Ma lui non era tra loro.

I suoni della battaglia stavano ancora riecheggiando, come se, alzandosi e percorrendo la distanza che lo separava dal punto in cui si era svolta, lui potesse assistervi di nuovo. Le grida di dolore e disperazione, il gemito di Cei mentre veniva colpito a morte, il respiro di Arthur ridotto a un rantolo mentre tentava di parlargli, il rumore emesso dal metallo mentre colpiva altro metallo e poi la carne...

"Amren."

Non aveva parlato per chiedere sue notizie. Ricordava con troppa chiarezza gli ultimi momenti di suo figlio. Il modo in cui il mondo si era fermato ed era andato in pezzi.

Ma l'espressione di Mairenn, il modo in cui aveva abbassato lo sguardo, non fecero altro che confermargli la verità.

Chiuse gli occhi, sperando che bastasse a scacciare le immagini che stavano assalendo la sua mente. Non funzionò. Per molti anni aveva creduto che nessun momento potesse eguagliare quello in cui aveva assistito impotente alla fine di Pedrawt, ma si era sbagliato.

Amren gli era stato portato via, e lui non aveva fatto nulla per impedirlo.

Era stata una fortuna che Cei fosse morto prima di Garanwyn. Era stata una fortuna che Arthur avesse raggiunto Llacheu quasi subito, prima di affrontare ancora una volta una simile tortura.

Era una fortuna che se ne fossero andati tutti, e a ogni odioso, tremante respiro Bedwyr sentiva l'invidia farsi più lacerante.

"Manderò a chiamare Culhwch." Il tono conciliante di Mairenn non nascondeva il modo in cui la sua voce si stava incrinando. "Sarà felice di sapere che ti stai riprendendo." Bedwyr riaprì gli occhi di scatto, allungando una mano per afferrare il braccio della donna prima che potesse allontanarsi. "Culhwch? È... è sopravvissuto?"

Non bastò ad annullare la morsa che lo stava soffocando, ma se c'era stato almeno un superstite, oltre a lui, forse ce n'erano stati altri. Forse ci sarebbe stato ancora un futuro, anche se non per lui.

"E pensavo di essere l'unico." La figura alta di Culhwch si stagliò contro la soglia, costringendo Bedwyr ad alzare lo sguardo. Aveva una benda pulita avvolta intorno al polso sinistro e il taglio sulla sua guancia sembrava lasciato da un rasoio, più che da una spada o una freccia. Ma pareva essere improvvisamente invecchiato rispetto a quando lo aveva visto prima della battaglia. Il suo incarnato era di un pallore malsano, i capelli un intrico di nodi, e rughe sottili circondavano i suoi occhi.

Per un momento, tra loro ci fu solo il silenzio. Culhwch lo infranse per primo. "Mi dispiace per Amren. Come... come stai?" Passò la mano sana sulla nuca, abbassando lo sguardo come se già conoscesse la risposta.

Bedwyr passò la lingua sulle labbra secche, chiedendosi fino a che punto essere sincero. "Sarei dovuto morire insieme agli altri" ammise alla fine.

Forse Mairenn avrebbe sentito la sua mancanza, forse sarebbe rimasta ferita dalle sue parole. Ma dubitava che chiunque altro potesse farlo – non dopo tutti i modi in cui aveva fallito. Come guerriero, come padre, e come amico.

Culhwch parve sussultare, così fugacemente che Bedwyr si convinse di averlo solo immaginato. Un sorriso senza vita si aprì come una ferita sul suo volto. "È un bene che tu non l'abbia fatto. Mairenn e Olwen hanno faticato per tenerti in vita."

Avrebbero fatto meglio a non sprecare le forze. Il guerriero più anziano prese fiato per parlare, ma incrociò gli occhi di Mairenn, pensò al modo in cui lo aveva tenuto per mano, attendendo che si riprendesse, e tacque.

"Sono giunte notizie da Celliwig?" chiese invece. Forse, se avesse continuato a parlare, sarebbe riuscito a distrarsi dalle immagini che si ripeteva della sua mente. "E qualcuno si è... occupato dei corpi?"

Non voleva credere che fossero rimasti tutti preda dei corvi e dei cani. Non voleva credere che non fosse più rimasto nessuno. Ora che Medraut era stato battuto, Celliwig almeno doveva essere libera dal suo dominio. Forse coloro che non avevano partecipato alla battaglia, i vecchi e le donne e i servi, si erano salvati.

Eneuawc, almeno, sarebbe stata al sicuro, ora. Non poteva aver condiviso la sorte di Gwenhwyfar.

Culhwch e Mairenn si scambiarono uno sguardo che lui non seppe come decifrare. "Per quanto riguarda le tombe... vedrai tu stesso, quando sarai di nuovo in forze" cominciò la donna. Non gli sfuggì l'esitazione nella sua voce. "Ma da Celliwig..."

"Andrò a vedere di persona" la interruppe Culhwch seccamente. "Quando starai meglio. Con Medraut morto e Cynric sconfitto, il pericolo deve essere passato..." Bedwyr lo vide deglutire e tormentarsi le mani. "E bisognerà trovare un nuovo re, ora che anche Llacheu è morto."

Non ci aveva pensato. Un tempo aveva creduto che Amr sarebbe succeduto al padre, un giorno – e poi si era convinto che sarebbe stato Llacheu a prendere il posto di Arthur, e che i suoi discendenti avrebbero protetto la Britannia fino alla fine dei tempi. Ciò che restava dell'uomo che aveva giurato di seguire, il futuro che sarebbe potuto essere, si era dissolto nel sangue versato a Camlann.

Persino la spada dei re era andata dispersa, stretta tra le mani di un vile bandito...

"Avete ritrovato Caledvwlch?" Odiò la nota di speranza che nonostante tutto si era insinuata nella sua voce. Rese solo più insostenibile il momento in cui Culhwch scosse la testa. "Mairenn mi ha detto cosa è successo, ma non è riuscita a vedere chi sia stato." Lo guardò interrogativo. "E neanche tu, suppongo..."

Doveva avere notato l'espressione del compagno, perché, quando riprese, la sua voce si era addolcita. "Non importa più. In fondo, era solo una spada. Abbiamo subito perdite più importanti."

"Era la sua spada" mormorò Bedwyr. Arthur li aveva guidati per tutti quegli anni stringendola in pugno. Le ultime parole che gli aveva rivolto erano state per Caledvwlch.

L'aveva lasciata andare, come aveva fatto con tutti gli altri.

Raddrizzò la schiena, chiedendosi se le gambe fossero in grado di reggerlo. La fitta che gli attraversò il fianco fu sufficiente a costringerlo a fermarsi. Se le sue ferite non lo avevano ancora ucciso, era improbabile che lo facessero ora. Aveva abbastanza esperienza da riconoscere l'odore delle infezioni e delle malattie, e in quel momento non ce n'era traccia.

"Fermo." Mairenn gli poggiò una mano sulla spalla. Il suo tocco, per quanto delicato, bastò a farlo sussultare. "Ti stai ancora riprendendo." Continuava a sorridergli, ma i suoi occhi rimasero spenti.

"Voglio solo rivedere mia figlia e ritrovare Caledvwlch" la interruppe lui. Avrebbe voluto urlare, ma la sua voce rimase poco più di un bisbiglio roco. "Il resto non mi riguarda."

Non più. Non ora che era tutto finito.

"E lo farai." Lei gli accarezzò i capelli, come aveva già fatto tante volte in passato. Il tremito della sua mano era quasi impercettibile. "Ma solo una volta che starai meglio."

Sapevano entrambi che non sarebbe successo, ma di fronte allo sguardo smarrito di Culhwch, a quello implorante di Mairenn, Bedwyr non ebbe il coraggio di rispondere.





Note dell'autrice:

Pedrawt: in nessuna delle fonti che sto usando è scritto come (e se) muoia Pedrawt/Corneus, quindi questa parte è completamente inventata.

Cei, Amren, Garanwyn e Llacheu: come sopra. In Culhwch e Olwen viene detto che Cei viene ucciso da Gwyddawg, ma non in che occasione (probabilmente non Camlann). Ci sono svariate (e frammentarie) versioni della morte di Llacheu, che comunque, di nuovo, probabilmente non si riferiscono a Camlann. Ma li ho comunque fatti morire tutti a Camlann per comodità.

Celliwig: la fortezza di Artù in Cornovaglia in Culhwch e Olwen e altrove.

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