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Capitolo ventitré

Strinse le lenzuola del letto, nel posto accanto a sé, e si accorse che lei non c'era. Quando se n'era andata? Si era svegliata prima di lui? O aveva dormito da un'altra parte?

Eduar si mise a sedere e sospirò. Le immagini della notte precedente si susseguirono nella sua testa e gli ricordarono quanto fosse stato impulsivo. Il suo corpo si era mosso da solo. Era rimasto lì con lei, era stato sincero, l'aveva consolata e l'aveva stretta a sé perché per la prima volta gli era sembrato di capirla un po' di più. Eppure ora si trovava da solo in quella camera, in preda ai dubbi e ai ripensamenti. Da quanto tempo sentiva il desiderio di avvicinarsi a lei? Da quando lo aveva salvato dall'incantesimo di Lycoris? Da quando aveva infranto il tabù al posto suo? O ancor prima, quando le aveva sentito dire di voler fuggire da La Gabbia, rinchiusa in quella cella di Siderous? Non aveva mai notato questa sensazione che, latente, si era trasformata in rifiuto e a causa di Somnium stava salendo in superficie.

Nel suo modo di allontanarsi dagli altri, di reprimere i propri sentimenti, di mentire su come fosse davvero, probabilmente Eduar rivedeva sé stesso e per questo motivo credeva di non sopportarla. Aveva da subito intuito che lei portasse una maschera, perciò ebbe paura di essere scoperto a sua volta: chi si nasconde capisce se qualcun altro si nasconde.

Tuttavia, una parte di sé credeva di aver fatto la cosa giusta, di aver finalmente visto qualcosa oltre quella maschera da "sono forte, non ho bisogno di niente e so benissimo ciò che devo fare". Allora perché se n'era andata? Non si era forse aperta con lui, piangendo sul suo petto? Se n'era pentita?

Si alzò e, tornato in camera sua, si cambiò, indossando la divisa da Guardiano. Poi si diresse al piano di sopra, da cui provenivano dei rumori. Dovevano essere tutti svegli.

Shyla e Lilah lavavano delle stoviglie; lo salutarono. Discorrevano delle provviste che erano rimaste ai tre viaggiatori. Lilah si offrì di fare la spesa per loro, affinché avessero lo zaino pieno prima di lasciare Somnium tra qualche giorno.

Monia aiutava Vik a preparare la cartella per la scuola. Curiosa, sfogliava i libri di testo e poi li passava al ragazzino. Quando notò la presenza di Eduar, si irrigidì. I loro sguardi si incontrarono per pochi secondi, ma Monia scostò il suo immediatamente. A Eduar quella parve una risposta molto chiara che scioglieva i dubbi che lo avevano accompagnato al risveglio: Monia non voleva avvicinarsi. Forse ciò che era accaduto quella notte era dovuto all'effetto di Somnium, nulla di più. Entrambi avevano vissuto un momento di fragilità e bisognava lasciarselo alle spalle, dimenticarlo. Questo era ciò che voleva fargli capire?

Quindi tu mi odi ancora?

Ma certo. Credo davvero che qualcuno voglia avvicinarsi a me, dopo tutti gli errori che ho commesso? Quanto mi sono indebolito per illudermi così?

«Sei pronto?». La voce di Shyla lo destò dai suoi pensieri. Aveva terminato di dare una mano a Lilah e adesso, di fronte a lui, lo fissava con leggero disagio. Annuì e la seguì all'ingresso.

«Aspettate» esclamò Monia. «Dove andate? Portatemi con voi».

Shyla sistemò la lancia, nella sua forma base di coltellino, sulla cinghia alla caviglia. Proprio come Eduar, indossava la sua vecchia divisa da Guardiana. «È meglio di no. Lilah tornerà subito dopo aver accompagnato Vik e noi non appena saremo riusciti a procuraci una nave. Devi difendere Lilah qualora qualcuno ci scoprisse e venisse qui». Le diede il pugnale. Lo stesso con cui Monia aveva ucciso Clara. «Tieni. Per precauzione».

Monia guardò prima l'arma, poi Eduar. Lui si sentì trafiggere per il dolore che contenevano quegli occhi.

«Come avete intenzione di procurarvi la nave?» chiese l'umana.

«Ieri ho inviato una lettera a una persona che ci aiuterà» rispose Shyla. «Non devi preoccuparti, ci pensiamo noi».

Eduar caricò la pistola e la mise dentro la cintola. Provava emozioni così contrastanti che non riuscì a dire nulla a Monia. Non avrebbe voluto lasciarla da sola in quella casa, soprattutto dopo l'incubo della notte precedente, ma non poteva mandare Shyla senza rinforzi. Se qualcosa fosse andato storto, sarebbero stati tutti catturati.

Lilah li raggiunse all'ingresso, portando con sé due mantelli di un tessuto marrone scuro. «Prendeteli» disse, «capi coperti, testa bassa e passo svelto. Buona fortuna».

I due ex Guardiani indossarono i mantelli e tirarono su i cappucci. Ringraziarono Lilah e uscirono.

L'aria umida di Somnium al primo mattino inondava le narici di un odore acre. Le Proiezioni avevano già iniziato la propria giornata: tra ragazzini che andavano a scuola, pescatori che si dirigevano al porto, lavoratori che aprivano empori, botteghe e locande, i due ribelli iniziarono a camminare sulle piattaforme attorno alle case, cercando di passare inosservati.

Si stavano dirigendo alla sede dei Guardiani. Era stata Shyla ad aver avuto quell'idea. Aveva contattato un Guardiano che ora esercitava il servizio a Somnium, ma anni prima aveva collaborato alla rivolta da dietro le quinte. Sostenendo la loro causa, aveva offerto informazioni e li aveva aiutati, ma il giorno della rivolta si era tirato indietro ed era rimasto a Somnium. Shyla lo aveva rincontrato lì, dopo aver lasciato Eduar a Siderous.

I due procedevano, di soppiatto, ad attraversare la città. Scelsero di muoversi tra stretti vicoli e tra i ponti che collegavano le case, evitando qualunque contatto con gli abitanti. Tra loro aleggiava un silenzio pesante.

Fu Shyla a rivolgergli per prima la parola, dopo aver capito che lui non lo avrebbe fatto. «Non posso credere che tu sia ancora arrabbiato con me» sussurrò.

Eduar si irrigidì, come tutte le volte in cui si parlasse di Monia. «Concentrati sulla missione» rispose.

«Te l'ho già spiegato. Come potevo prevedere che avrebbe ucciso Clara per te?»

«Magari non spiattellando il mio passato ai quattro venti».

Accelerarono il passo, entrambi animati dalla frustrazione. «Il nostro passato, Eduar. Quel giorno non eri da solo».

Si fermò davanti a Shyla, punto dal rimorso. «Pensi che non lo sappia?». Lei lo guardò negli occhi, ma per un breve momento: non riusciva a reggere quell'espressione afflitta. Ricominciò a camminare.

«Dovevo raccontarglielo, altrimenti non avrebbe mai capito. Prima o poi lo avrebbe scoperto. Perché la cosa ti infastidisce tanto?».

Perché ora lei soffre a causa di un gesto che avrei dovuto compiere io, avrebbe voluto dire, ma si trattenne. «E noi cosa sappiamo di lei?» controbatté, camminando al suo fianco. «Hai sempre avuto questo problema: ti fidi troppo facilmente degli altri».

Per non scoppiare di rabbia -non era da lei-, Shyla si concentrò sull'hidrakon che rivestiva la città e veniva calpestato sotto i suoi piedi che incedevano rapidi. «Non è vero. Io valuto e poi decido di dare delle possibilità agli altri. Cosa che tu non sei in grado di fare».

«Proprio come ora stai dando una possibilità a Jovid? Lo stesso Jovid che il giorno della rivolta ci ha rinnegati ed è tornato qui?».

«È un bene che l'abbia fatto. Probabilmente non sarebbe ancora vivo».

Eduar sospirò, poi ridacchiò. Una risata stanca, disillusa.

«Ho capito. Credi che ci aiuterà perché era innamorato di te?».

Shyla perse la pazienza. Lo prese per il petto e lo sbatté contro la parete del vicolo che stavano attraversando. L'impatto le scoprì il viso, facendole cadere il cappuccio del mantello. I suoi occhi stellati bruciavano contro quelli sorpresi di Eduar. Detestava quell'Eduar. Quello con cui litigava ogni giorno a Siderous e che si arrabbiava con lei per qualsiasi cosa.

«Mi reputi così subdola?» domandò, trattenendolo contro il muro. «Secondo te ho raccontato tutto a Monia per farle infrangere il tabù e ora uso i vecchi sentimenti di Jovid per farmi aiutare?».

Eduar rimase in silenzio. Abbassò lo sguardo. A Shyla sembrò un segno di resa, così mollò la stretta e si allontanò. «Sai che Jovid mi aveva chiesto di andare con lui, prima che partisse?».

Gli occhi di Eduar saettarono su di lei. Sapeva che quel traditore avesse nutrito dei sentimenti, ma non pensava fossero tanto forti.

«Avrei potuto seguirlo e vivere una vita tranquilla, qui a Somnium. Lì sì che avrei usato i suoi sentimenti». Shyla si aggrappò alla rabbia per non crollare e piangere. «Ma non l'ho fatto. Ho scelto te. E lo rifarei».

«Mi dispiace per Monia» continuò, la voce tremante. «Ma se quello che le ho detto ti ha aiutato a non cadere di nuovo nel baratro, non me ne pento affatto».

Eduar le si avvicinò. Con dolcezza le ricoprì il viso con il cappuccio del mantello che le era caduto sulle spalle. La guardò ancora negli occhi, poi disse: «Allora sono la causa di tutte le tue scelte sbagliate».

Quella frase non feriva solo Shyla, ma anche se stesso, perché lo pensava davvero. Lo aveva pensato quando lei si era unita ai Guardiani per seguirlo, quando lo aveva sostenuto per la rivolta, quando aveva combattuto con lui, e quando era rimasta al suo fianco a Siderous. Averla lasciata andare era la cosa migliore che avesse potuto fare per lei. Però l'aveva coinvolta ancora. Si ostinava a portarla con sé fuori da La Gabbia per regalarle un posto in cui vivere senza oppressioni. Perché, nonostante tutto, non riusciva a rinunciare al desiderio di vederla felice. Ma, fino a quel momento, l'aveva messa in condizioni di compiere delle scelte che l'avevano resa infelice. Che paradosso. Tutto ciò solo perché le aveva permesso di amarlo.

Riprese a dirigersi verso la sede dei Guardiani. Shyla respirò profondamente, poi lo raggiunse. Si convinse che l'effetto di Somnium stesse riesumando emozioni intime e vecchie per entrambi, e non c'era tempo per affrontarle. Doveva pensare alla missione: procurarsi una nave. Quel proposito doveva essere in cima alla lista. Dopo avrebbe potuto parlare apertamente con Eduar.

Salirono su una piattaforma e voltarono a destra. Una scala li condusse su uno dei ponti che collegavano le abitazioni. Da lassù la città appariva ancora più caotica: i tetti appuntiti di quelle case stratificate a volte sparivano nella nebbia; un susseguirsi di barche percorreva la via principale, e ai lati di essa ogni cosa era piena di vita grazie alle Proiezioni; vie tra le case e scale per raggiungere i ponti a ogni altezza rendevano Somnium un labirinto. Shyla vi aveva abitato per tre anni e ancora temeva di perdersi.

Scesero dal ponte e proseguirono furtivamente sulle vie secondarie, finché non la videro: un'enorme costruzione, in hidrakon, che spiccava rispetto alle altre. L'ingresso principale era accessibile da un ponte che si trovava a un'altezza vertiginosa. Diverse entrate, più in basso, erano riservate al passaggio dei prigionieri o a quello delle unità dei Guardiani qualora fossero dovuti andare in missione. Nella zona più bassa e centrale, sia davanti che sul retro, un grande portone si apriva per far entrare o uscire le navi. Tutti gli altri strati dell'edificio erano sommersi e contenevano le celle per coloro che venivano arrestati. Sprofondavano fino alle profondità degli abissi. Ogni entrata era sorvegliata da un paio di Guardiani.

«Come ci avviciniamo? È pericoloso cercare di varcare le entrate» osservò Eduar.

«Infatti non entreremo» rispose Shyla. Lui le rivolse un'occhiata confusa. «Seguimi».

Eduar non se lo fece ripetere. Si sistemò il cappuccio e la seguì verso altre zone labirintiche di Somnium.

«Anni prima della rivolta, il gruppo che ci aiutava a Somnium si incontrava in un luogo nascosto. Quando sono venuta a vivere qui, Jovid me l'ha mostrato. So dov'è».

«Quindi lo hai rincontrato non appena sei arrivata?» la voce di Eduar tradì una punta di gelosia.

«Sì. Dovevo dirgli che quel piccolo gruppo ci aveva seguiti a Emeros e non avrebbe più fatto ritorno. Erano anche suoi amici».

Eduar si zittì. Altre vite che avrebbero pesato sulla sua coscienza.

Shyla si fermò su una piattaforma, dietro una casa che, a vederne le condizioni, sembrava abbandonata. Batté due volte un piede sul pavimento e un'asse saltò. La spostò, si sedette e si tuffò, inghiottita dall'oscurità. Eduar la imitò, atterrando su un altro strato di pavimento. Richiuse quel passaggio nascosto rimettendo l'asse al suo posto. Si trovava in una stanza minuscola, alta quanto una Proiezione. Scartoffie e appunti giacevano abbandonati sulla scrivania alla parete laterale, mentre una piccola lavagna pendeva da un'altra parete. I rimasugli di un rifugio in cui i ribelli si passavano le informazioni.

Jovid era già arrivato, li stava aspettando. Non appena Shyla abbassò il cappuccio per mostrare il viso, lui la strinse in un abbraccio colmo di sollievo misto ad angoscia. Lanciò uno sguardo risentito a Eduar, che era rimasto a fissarli in silenzio.

«Sei tornata» sussurrò tra i suoi capelli rossi. Si staccarono. «Sono riuscito a decifrare la tua lettera». Poi guardò Eduar. «Dovevo immaginare che c'entrasse anche lui».

Eduar stava per rispondergli, ma Shyla lo bloccò. «Abbiamo bisogno del tuo aiuto, Jovid».

Il Guardiano si innervosì. I suoi occhi color nocciola passarono da una figura all'altra con impazienza. «Mi hai scritto che ti serve una mano per andartene dal terzo piano in modo tale che nessuno ti scopra. Non dirmi che lo fai per lui».

Eduar premette le unghie nei palmi delle mani, tentando di mantenere la calma. Avrebbe voluto scaricare tutta la rabbia su di lui, ma non gli sarebbe servito.

«Lo state facendo di nuovo?» chiese Jovid. «State programmando un'altra rivolta?»

«No» rispose Shyla, facendo qualche passo verso di lui. «Vogliamo fuggire da soli. Non coinvolgeremo più nessuno».

«Stai coinvolgendo me».

«So che ti sto chiedendo molto» continuò Shyla. «Ma sei l'unico che può aiutarci. Sei sempre stato dalla nostra parte e, anche adesso, pensi che la nostra causa sia giusta».

«Almeno finché non ti tirerai di nuovo indietro» commentò Eduar, supponente. Quella frase scatenò l'agitazione di Jovid, il quale gli si avvicinò minaccioso. «Ho dei cari, qui. Una sorella che ha bisogno di cure e ha solo me! Puoi biasimarmi per non aver preso parte a una carneficina?».

Shyla li divise. «No, Jovid. Nessuno ti biasima». Si guadagnò lo sguardo deluso di Eduar. «Ma ormai il dado è tratto. Se non ce ne andiamo, sarà solo questione di tempo prima che ci catturino. Ci serve una nave da guerra e solo i Guardiani le possiedono».

Jovid scosse la testa. «Non ti aiuterò per mandarti a morire. Non lascerò che la storia si ripeta».

«Se non lo farai, rimarremo bloccati qui e la tua amata morirà comunque».

Le parole di Eduar fecero calare il silenzio. I due, un tempo alleati e ora così distanti, si guardarono carichi d'odio, a causa di questioni rimaste in sospeso. La loro amicizia era finita nel momento in cui Jovid si era innamorato di Shyla e aveva fatto di tutto per non vederla morire, compreso tradire i suoi alleati e non aiutarli il giorno della rivolta. Aveva cercato di portare Shyla con sé. Eduar rifletté su quanto quel maledetto giorno gli avesse tolto. Ironico che avesse comunque perso Shyla nonostante lei avesse scelto di rimanere con lui, vero?

«Sarà colpa tua anche in quel caso, non mia» disse Jovid.

Non riuscì a trattenersi. Il pugno colpì Jovid in pieno viso, provocandogli una fuoriuscita di sangue dal naso. L'avversario fece per controbattere, ma Shyla si mise in mezzo. «Adesso basta! Picchiarvi non risolverà niente!».

Calmò Jovid, tenendolo per mano. Lui respirò profondamente, asciugandosi il sangue dal naso. «Ti prego. Procuraci una nave. Ce ne andremo e non ti creeremo più problemi».

«Hai detto che non volete coinvolgere nessuno, giusto? E l'equipaggio? Puoi promettermi che gli uomini che ti affiderò non moriranno?»

Shyla chiuse gli occhi, frustrata. Non poteva prometterlo. Non sapeva cosa sarebbe successo una volta affrontato l'Oneiro. Desiderava proteggere tutti, ma non aveva le forze per controllare o prevedere ogni cosa.

Interpretando quel silenzio come una risposta, Jovid lasciò la sua mano. «Mi dispiace. Dovrete trovare un altro modo. Non vi aiuterò».

Shyla sentì il cuore stritolarsi tanto che gli occhi le bruciarono e diventarono lucidi. Gli voltò le spalle e risalì la piccola scaletta che le permise di tornare in superficie dal passaggio segreto. Prima di seguirla, Eduar disse: «Non ci aspettavamo altro da uno come te».

Una volta tornati sulla piattaforma, Shyla pianse, sopraffatta. Il passato tornava sempre a galla, sebbene avesse lavorato molto per superarlo. Sarebbe mai arrivato il momento in cui il suo cuore si sarebbe alleggerito?

Eduar le posò una mano sulla spalla. «Ci hai provato. Troveremo una soluzione».

«E quale?» si spostò bruscamente. «Nuotiamo fino all'Ascensium? Entriamo nella sede e uccidiamo i Guardiani che ci ostacoleranno? Noi conosciamo solo questo: la morte».

«Torniamo a casa. Penseremo a qualcosa. Ti ricordo che Monia o Lilah possono aiutarci». Si avvicinò e le prese il viso tra le mani. «Ce la faremo. Non siamo arrivati fin qui per niente».

Lei si rimise il cappuccio del mantello e regolarizzò il respiro, anche se le costò un po' di fatica. «Già. Quel giorno non passerà invano».

Ripercorsero la strada per raggiungere l'abitazione di Lilah, entrambi immersi nei propri pensieri. Si mossero di soppiatto ma, nonostante si fossero sforzati di non attirare l'attenzione, qualcuno che camminava nella direzione a loro opposta sbatté sulla spalla di Eduar, scoprendogli il volto. Era una ragazza che indossava la divisa dei Guardiani con i ricami color oro, segno che fosse un comandante. I capelli ondulati e neri le ricadevano lungo la schiena e il colore dei suoi occhi lasciò Eduar di stucco.

«Scusami» disse, la voce vivace e melodiosa. Si stupì anche lei, mentre i due si fissarono negli occhi: li avevano entrambi cremisi.

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