Capitolo venti - parte 2
Un silenzio carico di voce avvolgeva il congegno che ci stava trasportando al piano successivo. Durante la salita, Shyla mi aveva spiegato che entrare a Somnium sarebbe stato diverso rispetto agli altri piani visitati finora.
Saremmo finiti sott'acqua, per poi nuotare fino al molo della città. Non sarebbe stato un tratto lungo, ma lei volle lo stesso prepararmi affinché sapessi cosa mi aspettava e non affogassi.
Dopo aver ascoltato le sue avvertenze, rinunciai, per l'ennesima volta, a comprendere come funzionassero le leggi fisiche de La Gabbia. Calò il silenzio tra noi e nessuno volle romperlo.
Eravamo ancora scossi per ciò che era successo, per il modo in cui avevo risolto la situazione a Lycoris. Leggevo nelle timide occhiate di Shyla il desiderio di chiedermi come stessi, ma si trattenne. Con Eduar, invece, non ci fu alcun contatto e la cosa mi spaventò. Ero abituata alle sue strigliate, non alla sua comprensione nei miei confronti. Voleva lasciarmi spazio? O era troppo arrabbiato per parlarmi?
Quanto a me, non sapevo come stavo. Mi sembrava di non provare niente, di aver raggiunto un picco oltre il quale ci fosse solo la caduta. Fissavo la porta dell'Ascensium e riuscivo a vedere solo l'immagine di Clara, stesa sui gigli, con il petto ridotto in poltiglia. Non pensavo ad altro. Avrei voluto mostrare quel vacuo buco nero che prima o poi mi avrebbe inghiottita, avrei voluto chiedere aiuto, ma non ne ero capace.
Mi avevano allenata per bene a non manifestare niente.
La mia attenzione venne catturata dal rumore di un sottile strato d'acqua che si insinuò nell'Ascensium, bagnandomi le scarpe. Segno che fossimo arrivati al terzo piano.
«Sei pronta?» chiese Shyla. «Trattieni il respiro non appena le porte si apriranno».
Annuii. Sentimmo il congegno arrestarsi con poca delicatezza; la sua struttura vegetale iniziò a inzupparsi come un panno assorbente, finché le porte non si aprirono.
Un flusso d'acqua fredda ci investì, costringendoci a mantenere più aria possibile nei polmoni. Shyla ed Eduar nuotarono fuori all'Ascensium, e quest'ultima mi fece cenno di seguirli.
Una volta vuota, la macchina di Lycoris sprofondò negli abissi.
Nelle profondità del fondale, una lieve luce riusciva a illuminare il nostro percorso, rendendo l'acqua di un blu talmente scuro da farmi credere di star nuotando in un cielo notturno.
A ogni bracciata avvertivo la stanchezza che opprimeva il mio fisico. Più allungavo la schiena per farmi spazio nell'acqua, più percepivo il livido sull'addome tirare come una corda strettissima.
Ignorai il dolore e continuai ad avanzare, rincuorata dalla calma di quel mare in cui eravamo immersi. A un tratto Shyla ed Eduar cambiarono rotta nuotando verso l'alto: forse eravamo arrivati al molo, e per fortuna, dato che il fiato iniziava a scarseggiare.
Prima di imitarli, però, diedi un'occhiata alla mia destra, e per poco non aprii la bocca per lo stupore causandomi il soffocamento. Tante finestre di case accese pullulavano come stelle. Non si trattava di case normali: costituite di un materiale a me sconosciuto, simile al legno, dalla superficie si sviluppavano sott'acqua in diversi strati, come degli iceberg. Non presentavano tutte le stesse dimensioni, anzi, come stalattiti, frastagliavano in lunghezze diverse. Sembravano dei riflessi sull'acqua che avevano preso forma concreta. Rimasi esterrefatta da quel paesaggio sottomarino. Purtroppo, per ragioni fisiche, non potei stare a fissarlo troppo a lungo, così seguii i miei compagni di viaggio verso la superficie.
Non appena la testa sbucò fuori dall'acqua, presi un respiro profondo e spostai i capelli bagnati dagli occhi. Per un attimo ebbi paura che, a causa della pressione della risalita, si fossero distrutti i timpani. Poi, però, i suoni smisero di essere ovattati e capii che le mie orecchie stavano bene: cominciai a sentire il rumore dell'acqua spostata da barche e remi, nonché il vociferare delle Proiezioni del posto. Davanti a noi, una piccola scaletta portava a quello che doveva essere il molo. Eduar vi salì, allungò il collo per osservare il luogo e disse: «Nessun Guardiano in vista. Lund non ci ha traditi».
Terminò di arrampicarsi sulla scala e, una volta approdato, offrì una mano a me e Shyla.
Il contrasto tra l'acqua e l'aria fredda mi fece rabbrividire. In piedi sullo stretto e basso molo, con le braccia intente ad avvolgermi il busto e i vestiti zuppi, alzai lo sguardo verso Somnium e non credetti ai miei occhi.
La città era una laguna che permetteva di spostarsi principalmente con le barche; le case, cui materiale conferiva un colore bluastro, si sviluppavano verso l'alto, ma non tutte con la stessa grandezza: alcune erano per metà in superficie e per metà sommerse, altre sommerse quasi interamente, altre ancora, invece, per la maggior parte in superficie. Diversi ponti collegavano le case che conquistavano maggiore altezza, alcune delle quali non riuscivo a scorgere la fine. Erano tutte costruite senza un ordine rigoroso, perciò l'ambiente risultava fiabesco e labirintico, e il sole, tra tutte quelle abitazioni, non aveva molto spazio per imporsi. Lo stile architettonico di quelle dimore era decorato da intagli ricurvi sui balconi, sulle balaustre dei ponti e sui tetti; strato dopo strato, le case si sovrapponevano in un paesaggio caotico illuminato dalla luce calda delle torce sulle barche e delle piccole finestre che, almeno cinque per ogni strato, si potevano vedere su quelle imponenti residenze.
Destatami dal contemplare il terzo piano de La Gabbia, mi accorsi che Shyla ed Eduar avevano iniziato a percorrere il molo. Battei un piede sul pavimento, e non mi parve altro che legno.
«Come fa questo posto a galleggiare? Il legno, con il tempo, non si deteriora per l'acqua?» domandai, mentre affrettai il passo per raggiungerli.
«Non è semplice legno» rispose Shyla, «è hidrakon. Si può ricavare solo in questo piano, nelle grotte che circondano la città e finiscono in fondo al mare. A metà tra il legno e la pietra, assorbe l'acqua per poi espellerla. Usandone più strati, si possono costruire una miriade di oggetti, case comprese».
Shyla si fermò davanti a un cartello piantato sul molo, il quale dava il benvenuto agli stranieri, recitando: Somnium, la città dei sentimenti sommersi.
Posò le mani sui fianchi e sollevò lo sguardo, incantata da quel paesaggio urbano tanto assurdo. «Tutto ciò che vedi è fatto di hidrakon».
Attorno a noi, il molo si dispiegava in un area portuale che brulicava di navi a vela dallo stile antico. Da queste scendevano molte Proiezioni intente a trasportare l'hidrakon, ancora sotto forma di pietra morbida da lavorare. Alcune navi, invece, erano tornate con malloppi di pesci. Intuii che fossero quelle le attività principali di Somnium: la pesca, le miniere di hidrakon, e magari anche il commercio di questo materiale.
Come al solito, il panorama meravigliava. Faceva venir voglia di perdersi nei labirinti della città, magari guidando una barca, oppure di correre tra i ponti e osservare tutto da lassù. L'atmosfera trasognata, l'umidità dell'ambiente, le onde dell'acqua che, a causa della lieve luce del sole, si riflettevano sulle case, la leggera nebbia che attorniava le punte dei tetti.
Qual era la fregatura? Quale altro tabù o maledizione imperversava sulle vite di questa povera gente?
Non avrei permesso più alla bellezza de La Gabbia di fregarmi.
Un uomo di mezz'età che remava su una piccola barca raggiunse il molo e si fermò accanto a noi. «Benvenuti a Somnium!» esclamò, sorridendo. «Sono il traghettatore che si occupa di chi arriva tramite l'Ascensium. Dove avete bisogno di andare?».
Caronte, non prendere le nostre anime, pensò la mia mente, ormai fusa.
Senza la minima esitazione, Shyla salì sulla barca. «Ciao, Ardy! Ti ricordi di me?».
L'uomo assottigliò gli occhi scuri, per poi mostrare un'espressione sorpresa. «Shyla! Quanto tempo! Credevo fossi partita» disse, il tono dolce come quello di un parente che non si vede da molto tempo.
«Lo sono. Dopo questa piccola sosta a casa, continuerò il mio viaggio».
Casa. Giusto, Shyla aveva vissuto a Somnium negli ultimi tre anni. Si percepiva in lei la nostalgia di essere tornata in un luogo caro, che l'aveva accolta come se fosse sempre stata casa sua.
Sia lei che Ardy, impazienti, puntarono gli occhi su me ed Eduar, che non ci eravamo decisi a salire, ma anzi, ci lanciavamo occhiate dubbiose. Potevamo fidarci di quell'uomo? E se fosse stato una spia dei Guardiani? Era vero che Eris e le Bambole non avevano avvisato le autorità, oppure ci stavano solo illudendo di poter andare avanti, per poi farci un'imboscata quando meno ce lo aspettavamo?
Shyla sospirò. «Forza, salite! Non c'è niente di cui preoccuparsi».
Sembrava ci avesse letti nel pensiero.
Eduar, dopo un attimo di esitazione, la raggiunse. Mi aiutò a salire senza cadere in acqua, dopodiché ci sedemmo. Ardy ci porse delle coperte.
«Tenete, starete morendo di freddo» disse. Purtroppo ne aveva solo due belle grandi, così diedi la mia a Eduar, che altrimenti ne sarebbe rimasto privo.
«Prendila tu. Stai tremando» ordinò, severo. Alzai gli occhi al cielo.
«Dove vi porto, viaggiatori?».
«Andiamo da Lilah» rispose Shyla, e Ardy iniziò a remare.
«Va bene» dissi a Eduar, riferendomi ancora alla coperta, «ma scambiamoci di posto, così tu puoi dividerla con Shyla».
Lei si strinse nel calore del tessuto. «No» intervenne, secca. «Se non la vuole, significa che sta bene così, giusto?».
I due si fissarono intensamente, con rabbia, creando una tensione negativa nell'aria. Era successo qualcosa di cui non ero a conoscenza?
Non volli intromettermi, così posi quella dannata coperta sulle ginocchia di Eduar. Spazientito, ci si avvolse, ma allargò il braccio, proponendomi di dividerla con lui. Non mi stava nemmeno guardando, si era solo schiarito la gola per farmelo capire.
Ero troppo imbarazzata per assecondarlo, ma stavo morendo di freddo. Mi avvicinai e lasciai che mi avvolgesse con la coperta. Anche il suo corpo mi riscaldava, perché era troppo vicino. Troppo vicino.
Cos'era andato storto? Perché Shyla aveva assunto quell'atteggiamento che non la caratterizzava per niente? Ero convinta che li avrei avvicinati dopo ciò che avevo fatto a Lycoris, quindi per quale motivo sembravano essersi allontanati in meno di un'ora dall'alba?
Mi scervellai ma non trovai alcuna risposta, mentre il dondolio della barca ci cullava tra le strade marine di Somnium. Addentrati nelle vie intricate della città, l'ambiente era pieno di vita: il viavai di imbarcazioni, le Proiezioni che passeggiavano sui ponti o sulle piattaforme galleggianti attaccate agli ingressi di quelle imponenti case; chi stendeva i panni, chi portava del pesce (dalle forme più insolite), chi entrava e usciva dalle botteghe. Era sempre stupefacente constatare quanto le Proiezioni somigliassero agli umani, con la differenza di possedere dei connotati un po' più stravaganti, come gli occhi color ambra con spruzzi di verde o blu, o i capelli grigi talmente chiari da tendere al bianco. Sembrava che diverse "razze" di Proiezioni a Somnium si fossero amalgamate molto bene e convivessero con serenità.
I visi di quelle creature non mi trasmettevano la stessa angoscia di quelle dei due piani precedenti. La vita sembrava semplice, calma, intenta a susseguirsi su quello sfondo lagunare intersecato dalla magia. Possibile che Somnium fosse un luogo pacifico e sicuro?
No. Ero ne La Gabbia. Quanto era abile questo mondo a ingannarmi con i suoi paesaggi incantevoli e magici? Non dovevo dimenticarmi che ogni cosa era stata creata dalla diabolica mente di Eris. Colei che, a causa delle sue stupide regole, mi aveva costretta a uccidere.
Tutti questi pensieri fecero crescere in me un sentimento di rabbia a tal punto che mi distrassero dall'imbarazzo di avere Eduar al mio fianco. Quel sentimento, però, sbucò in maniera troppo repentina, come se non fossi stata capace di frenarlo. Si mischiò al dolore, al viso di Clara, alla stanchezza, e volevo esprimere ogni cosa. Volevo piangere, dire ad alta voce come stavo e cosa pensavo realmente, senza i miei soliti filtri. In ansia, il respiro si fece corto, mentre dovetti trattenere quel cadavere di emozioni che tenevo ben protetto nella mia fossa chiusa.
Cosa mi stava accadendo? Perché stavo perdendo il controllo, io che non sapevo fare altro se non soffocarmi, reprimermi, logorarmi dentro fino a morire?
«Le sta facendo effetto» sentii dire da Ardy. Ero così concentrata a non spifferare le mie emozioni che non mi ero accorta delle mani di Eduar sulle mie spalle e del suo viso preoccupato, come quello di Shyla, la quale aveva posato una mano sulla mia.
Mi tappai la bocca, d'istinto, perché avrebbe potuto dire tutto ciò che non avrei mai voluto rivelare. Perché sentivo quel bisogno improvviso di comunicare nel modo più sincero possibile, e perché stavano riemergendo emozioni così vecchie mischiate alla sofferenza per aver perso Clara?
«Che cazzo succede?» urlai nonostante non volessi urlare, né mostrarmi in quella condizione di panico totale, con le lacrime che minacciavano di uscire come se fossero attratte dalla forza di gravità e io non potessi ostacolare il loro cammino.
«Volete fare una sosta? La portiamo da un medico?»
«Continua a remare, Ardy».
Shyla risultò perentoria; cercava un modo per aiutarmi, ma non capiva quale. Eduar non mi lasciò nemmeno per un secondo, mentre tentava di dire la cosa giusta.
«Non combatterlo con così tanta violenza, permettiti, per un secondo, di provare qualcosa che non ti piace». La sua voce calda mi trapassò i timpani, riportandomi per un po' alla realtà, ma non volevo ascoltare quel consiglio. Perché mi avrebbe provocato ancora più dolore.
«Non posso».
«Allora fai dei respiri profondi. Lo puoi gestire» mi rassicurò, il cremisi dei suoi occhi che trasmetteva calore.
Con tutta la forza che trovai, chiesi al mio corpo di seguire solo i miei ordini. Di regolarizzare il respiro e sotterrare di nuovo qualsiasi cosa volesse riesumare da quella fossa. Dopo qualche secondo, cercando di svuotare la mente, riuscii a respirare in maniera regolare e a riottenere il controllo della mia bocca.
Shyla mi accarezzò la mano. «È l'effetto di Somnium. Stai tranquilla, andrà tutto bene».
Eccola. La fregatura.
«Potete spiegarmi, per favore?» chiesi, in un soffio di voce stanca.
Shyla si mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «In questa città è difficile non dire la verità. Il terzo piano è influenzato da questo incantesimo secondo cui si esprimono con naturalezza i propri sentimenti». Mi rivolse uno sguardo dispiaciuto. «Avrei dovuto immaginare che avrebbe fatto effetto anche a te, visto quanto successo con Clara. Scusami. Noi qui siamo abituati».
Con quel qui avevo capito si riferisse alle Proiezioni in generale, ma non lo specificò per non farmi apparire strana agli occhi di Ardy. Se qualcuno avesse scoperto che fossi l'aliena e "possibile nemica" de La Gabbia fuggita da Siderous, sarebbero stati guai.
Dunque Somnium spingeva a esprimersi. Solo l'idea mi suscitava disgusto. Ecco perché avevo avuto quella reazione, ed ecco perché Shyla ed Eduar mi erano sembrati strani poco prima. Adesso avremmo tutti parlato più apertamente, condizionati da quell'effetto magico? Che schifo.
«Non eri mai venuta a Somnium, signorina? Da dove arrivi?» domandò Ardy, incuriosito dalla vicenda. Shyla coprì con la coperta le tracce di sangue sui miei vestiti. «È di Cerasus» fu in grado di dire, contrastando l'effetto del piano. «Quanto manca per arrivare da Lilah, Ardy?» cambiò argomento. Poi si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: «Il resto te lo spiego dopo».
Mentre lei disquisiva con il traghettatore sul percorso più veloce da prendere per arrivare a destinazione, Eduar lasciò la presa. Non mi ero resa conto che non si fosse allontanato finché non mi calmai.
Si tolse di dosso il resto della coperta e lo diede a me. «Per chi è abituato a mentire, l'effetto è molto forte» commentò, riferendosi all'incantesimo di Somnium.
Poi i suoi occhi si posarono sui miei.
«Quante cose hai dentro? E come fai a non essere stanca di mentire a te stessa?».
Ci fissammo profondamente, entrambi desiderosi di sapere chi avrebbe ceduto per primo. Quelle domande erano per me o per se stesso?
«Anni di pratica» risposi. Non era una bugia, ma nemmeno la verità. Dovevo destreggiarmi così in questo luogo, tra mezze verità e bugie velate, o non avrei più mantenuto il controllo.
Erano stati molti gli anni di pratica. Anni e anni di allenamento per non far trapelare le mie emozioni.
Eris, costringimi pure a soffocarmi ancora di più. Non mollerò la presa. Non sarà il tuo stupido mondo a farmi cedere.
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