Capitolo trenta
L'orologio posto accanto alle toelette di plastica ticchettava invano, dato che non segnava nessuna ora. Quell'oggetto, così come tutti gli oggetti della zona delle Bambole, avrebbe inquietato chiunque avesse messo piede lì dentro. I mobili di plastica, gli specchi, i manichini erano tutte cose che non servivano realmente alle Bambole. A cosa serviva prepararsi i capelli, guardarsi allo specchio, se la loro bellezza era comunque sconfinata? A cosa serviva il cibo finto racchiuso nelle mensole, se si nutrivano delle Proiezioni? E cosa se ne facevano di un orologio, degli esseri immortali?
Nemesis aveva sempre usato quella casa finta come se fosse l'unico posto a cui sarebbe appartenuta. Poi, però, per un brevissimo tratto della sua vita aveva incontrato Lux. Nella casa di quella Proiezione il cibo non era di plastica, e nemmeno le sedie. Nel camino c'erano fiamme vere. Il letto era comodo, e anche dopo che Lux si alzava rimanevano la forma e il calore del suo corpo sul materasso; Nemesis si rigirava su di esso ed era come se lo avesse sempre intorno. In quella casa non si specchiava mai, non le interessava. Preferiva guardare Lux, accarezzare i suoi capelli e il suo viso, passare interi pomeriggi abbracciata a lui. Capì che quella era la sua casa. Ma non ebbe molto tempo per godersela.
«Innamorarsi non significa tradirmi, Nemesis» le aveva detto la padrona. «Certo, mi meraviglia che una Bambola possa provare "amore". Devo accertarmi che questo sentimento non andrà contro il mio volere».
«Non accadrà mai, padrona» le aveva assicurato. «Il mio dovere verso di lei ha la priorità assoluta».
Eris l'aveva squadrata e, dopo vari secondi di silenzio, le aveva detto: «Tra poco un certo Eduar guiderà una rivolta a Emeros. L'ho osservato per tanto tempo. Ha cercato di corrompere anche Guardiani provenienti da altri piani. Vuole liberare Emeros, per poi rivolgere tutti i piani de La Gabbia contro di me».
Nemesis, sentendo pronunciare il nome del piano in cui viveva il suo amato, entrò in uno stato di allerta. Temette ciò che la padrona volesse ordinarle.
«C'è un motivo se mesi fa ti ho mandata in quel piano, Nemesis» continuò Eris. «Emeros ormai non ha più alcun motivo di esistere. Sarai tu a fermare la rivolta. Dovrai sterminare l'intero piano».
La Vendetta si sentì mancare. Si immaginò mentre uccideva tutte quelle Proiezioni innocenti, compresa la famiglia di Lux e Lux stesso. Vide quella casa bruciare, quell'unico luogo nel mondo in cui aveva pensato di poter possedere un'anima. Cosa ne sarebbe stato di Lux e della loro vita? Avrebbe dovuto dare retta a quel barlume di compassione che Lux aveva risvegliato in lei e che le aveva permesso di provare la stessa gioia che provano due Proiezioni quando si innamorano?
«Che cos'hai, Nemesis?» Eris interruppe i suoi pensieri e le si avvicinò. «Il tuo "amore"» pronunciò quella parola come se fosse disgustosa, «supera la tua lealtà nei miei confronti? Vuoi essere bandita da Larvis per un misero sentimento che voi Bambole non siete programmate a provare? È davvero questo che vuoi?».
Essere banditi da Larvis significava la fine per una Bambola. Le regole erano chiare: chi veniva bandito avrebbe provato un senso di colpa tale che non si sarebbe più potuto cibare di nessuno; perciò, sarebbe andato incontro a una morte atroce, lenta e di stenti. Non voleva morire in quel modo. Forse Eris aveva ragione: una Bambola non poteva provare vero amore. La natura di una Bambola non sarebbe mai cambiata, nemmeno se si fosse risvegliato il sentimento opposto al proprio. L'Invidia non sarebbe cambiata grazie all'ammirazione, né la Rabbia grazie all'autocontrollo, né l'Orgoglio con l'umiltà. Lei non era diversa. E se esitava in quel modo, significava che il suo amore non era tanto forte... giusto?
«No, padrona» rispose, dopo attimi di smarrimento. «Obbedirò agli ordini».
In seguito aveva provato ad avvisare Lux, a intimargli di scappare. Ma lui non voleva sentire ragioni: non avrebbe abbandonato la sua famiglia a Emeros. Passarono le ultime ore insieme. Durante la rivolta, si suicidò. Guardami, Nailee -era così che la chiamava- non muoio per colpa tua. Muoio per la libertà, furono le sue ultime parole. Alla vista di quel corpo senza vita e della loro casa bruciata, Nemesis provò un'immensa tristezza. Poi, ogni cosa si spense. Non ricordò più cosa significasse provare compassione. Sterminò Emeros con tutta la violenza di cui fosse capace. Solo la vendetta mosse le sue azioni, e giurò che Eduar non l'avrebbe passata liscia.
Era tornata a vivere nella casa delle Bambole e aveva aspettato anni per compiere la sua vendetta che, però, per la prima volta, non era stata compiuta. Ora, seduta sulla sedia di plastica, intenta a pettinarsi i capelli davanti allo specchio, ricordando il suo passato, una lacrima le solcò il viso. Nessun posto sarebbe più stato casa sua. A Larvis i mobili erano freddi, nessuno avrebbe mangiato quel cibo finto e a letto sarebbe rimasta sola. Ma sperò che la lealtà per Eris la aiutasse a sopportare quel supplizio.
Mentre Nemesis aspettava, Eris aveva convocato Herse nel suo laboratorio. L'Invidia era la Bambola più fedele di Eris: non aveva mai vacillato, né disubbidito. Non le era mai venuto in mente di tradire la padrona, o di risvegliare sentimenti proibiti, oppure ancora di modificare il suo destino di Bambola. Provava una forte stima per la dea del suo mondo e spesso l'invidia la divorava quando Eris si mostrava lungimirante con le altre Bambole. Sapeva ogni cosa, si informava su ogni loro passo falso: conosceva la storia di Nemesis e godeva nel vederla soffrire. La padrona aveva colto la Vendetta in errore. Finalmente l'amata dea di Herse si stava accorgendo che l'unica su cui poteva contare fosse soltanto lei. Si presentò fiera al suo cospetto.
«Ha bisogno di me, padrona?» domandò.
Eris si alzò dalla sedia di legno. Gettò a terra la maschera che stava modellando su un pezzo di plastica. Sul volto ne indossava una dall'espressione arrabbiata. Le bende pullulavano nervose attorno a lei.
«Herse, tu hai mai pensato di tradirmi?» chiese, pur conoscendo la risposta.
«Mai, padrona».
«Cosa pensi delle altre Bambole?».
Herse ebbe paura che fosse una domanda a trabocchetto. Tuttavia, non si fece scoraggiare e parlò con sincerità. «Credo che nessuna di loro meriti la sua benevolenza, padrona. È stata fin troppo buona con loro in passato. Ybris finalmente è stato bandito; Nemesis non l'ha tradita, ma è come se lo avesse fatto. Non ha forse esitato, di fronte alla sua proposta? Non ha cercato di emulare le Proiezioni? Io avrei bandito anche lei».
Eris si abbandonò di nuovo sulla sedia, come se fosse il suo trono. Pazientò un po' prima di rispondere. «Sai perché so che sei sincera, Herse?». Gli occhi di quella si accesero di orgoglio. «Perché è sempre e solo la tua invidia a parlare».
Herse smise di sorridere. La sua padrona sapeva che odiava la propria natura. Ogni occasione era buona per infierire sulla sua debolezza.
«Vorresti tutto ciò che hanno gli altri e che tu non avrai mai. È la tua natura e, per quanto tu la odi, sei sempre coerente con essa. Anche se ciò significasse sputare veleno su tutto ciò che hai intorno».
La Bambola cercò di mantenere la calma, anche se le risultava complicato. Tutto ciò che affermava la padrona era vero: avrebbe preferito che la sua natura predominante fosse l'orgoglio, la rabbia o la vendetta, non l'invidia. Le era capitata la natura più ignobile e debole. Invidiava le altre Bambole, invidiava Eris e, talvolta, quando si sentiva completamente sola nell'eternità, invidiava le Proiezioni perché potevano morire facilmente. Invidiava Nemesis perché aveva sperimentato l'amore, invidiava Ybris perché aveva scoperto cosa fosse la libertà, invidiava Lyssa perché quando si arrabbiava diventava l'essere più forte che avesse mai visto. L'invidia, invece, era come un serpente che le rosicchiava le viscere, la logorava dall'interno, la rendeva frustrata perché si ossessionava su cose impossibili. Era potente, ma desiderava essere forte oltre le sue possibilità; era bellissima, ma desiderava la bellezza che vedeva nelle altre; le venivano affidati incarichi importanti, ma agognava l'autorità di Mannek perché era il più intimo di tutti con Eris. Era un loop senza fine, senza vie d'uscita.
Abbassò la testa, incapace di replicare. Eris si alzò e fece alcuni passi verso di lei. «Voglio premiare la tua lealtà» disse. «Ciò non ti libererà mai dall'invidia che provi, ma potrà soddisfare la tua sete di approvazione per un po'».
Herse prestò attenzione, incuriosita. Poi vide Eris fare un gesto che non pensava possibile. La sua padrona si tolse la maschera e si mostrò a lei. I battiti accelerarono, confusamente voltò lo sguardo attorno a sé, perché non sapeva cosa potesse fare e cosa no.
«Puoi guardare, Herse». A quella certezza, fissò il volto di Eris, esterrefatta. «Lo sto mostrando solo a te, perché sei l'unica di cui possa fidarmi».
Herse sentì gli occhi umidi, incantata per quella rivelazione e per la fiducia che la padrona le affidava. Eris si rimise la maschera e le posò una mano sulla spalla. «Se ne farai parola con qualcuno, ti ucciderò».
Quella frase e il tono in cui era stata pronunciata mal si adattavano a quel gesto relativamente dolce. Infatti, Herse passò dalla commozione al terrore. Annuì lievemente e tacque, mentre le altre Bambole chiedevano di poter entrare nel laboratorio. Eris andò a risedersi prima di acconsentire.
Lyssa e Nemesis comparvero, ritte accanto a Herse. La prima con la solita espressione rabbiosa, la seconda, invece, mortificata.
«Vi ho convocati tutti» iniziò Eris, «perché tra poco avverrà il sacrificio delle Proiezioni a Biblion. Vi potrete recare lì per soddisfare la vostra fame».
Le Bambole abbassarono la testa e ringraziarono all'unisono.
«Tutte tranne te, Nemesis. Hai fatto abbastanza danni».
La Vendetta trasalì. «Non era nei miei progetti mancarle di rispetto, padrona».
«Per colpa della tua stupida vendetta, hai rischiato di rovinare i miei di progetti, uccidendo Monia». Le sue bende presero a muoversi nevroticamente.
«Non avevo previsto che la ragazza amata da Eduar fosse quell'aliena, invece di Shyla. Era Shyla che doveva morire» rispose Nemesis.
«Tsz! "La ragazza amata da Eduar"!» Eris cominciò a ridere e non riuscì a fermarsi. Una risata derisoria, diabolica, fece eco a Larvis. Continuò per qualche minuto, tanto che mise a disagio le Bambole. Perché rideva così? Cosa sfuggiva a Nemesis?
«Lei amata...» ripeté Eris, ma all'improvviso smise di ridere. Con uno scatto, le bende ruppero a metà molte maschere che aleggiavano su di loro. Sembravano impazzite in una danza rabbiosa e schizofrenica, infatti le Bambole indietreggiarono. Nemesis non capì la reazione della sua padrona. Perché tanta rabbia?
«Ho deciso di graziarti di nuovo, Nemesis» disse Eris. «Perché so che nella tua idiozia non volevi ucciderla e quindi non volevi tradirmi. Sappi che al prossimo errore, sei fuori».
«Ma padrona, prima Lux e ora...» Herse tentò di ribattere, ma venne interrotta.
«È tutto» ringhiò Eris, costringendola a tacere.
«La ringrazio» intervenne Nemesis. «Prometto di non commettere più errori e accetto la punizione. Non parteciperò al sacrificio di Biblion».
La Vendetta sapeva che sarebbe stata male per la fame, ma sperò che mostrandosi fedele Eris l'avrebbe premiata, prima o poi. Magari le avrebbe permesso di mangiare altre Proiezioni. Ciò che voleva assolutamente evitare era l'esilio.
«Bene. Adesso sparite dalla mia vista, luridi mostri» sentenziò la padrona. Quelli obbedirono senza fiatare. Herse e Lyssa si prepararono per godersi il pasto grazie al sacrificio. Nemesis rimase in quella casa finta. Fissò per un po' i mobili, l'orologio... il fatto che non segnasse l'ora aveva senso: per lei il tempo si era già fermato nel momento in cui aveva conosciuto i sentimenti delle Proiezioni e aveva deciso di rinunciarvi per sempre.
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