Capitolo diciotto
Raccontai a Clara i punti salienti di ciò che avevo vissuto fino a quel momento. L'atmosfera tranquilla e rasserenante del suo luogo preferito aveva contribuito a farmi buttare fuori tutto, dopo essermi sfogata piangendo e aver fissato insieme il panorama. Lei mi ascoltò con pazienza e attenzione, commentando qua e là gli eventi.
«Ma davvero quel deficiente ha baciato la sua ex?» domandò con leggero risentimento, riferendosi a Eduar e Shyla.
Sì, le avevo raccontato anche quello.
«Non è detto che sia la sua ex» azzardai, alzando le spalle.
Clara mi rivolse un'occhiataccia che voleva mostrare l'assurdità della mia precedente ipotesi.
Sollevai un palmo della mano. «Va bene, sicuramente sono stati insieme. È che non so nulla, capisci? Mi dà un enorme fastidio» spiegai.
«È questo che ti infastidisce o il fatto che si siano baciati?» ammiccò con tono malizioso, dandomi una gomitata.
Arrossii. «Che stai dicendo?! Non me ne importa niente. Che se le baci pure tutte» negai, acida. L'immagine di Eduar intento a scambiare effusioni con qualsiasi altra ragazza non alimentò in me chissà quale gelosia. Forse un po' di fastidio, sì. Ma chiamarla gelosia sarebbe stato appropriato? No. Quel fastidio era ciò che provavo per lui da quando lo avevo incontrato. Era causato dal suo essere così detestabile, odioso e arrogante. Arricciai il naso, l'irritazione crebbe.
Le sopracciglia di Clara si sollevarono. «Non credi neanche tu a quello che dici» obiettò, ma il tono rimase giocoso. «Ti si legge in faccia che ti interes-»
«No» la interruppi con impeto, prima che terminasse la frase. «Non dirlo. Non è vero».
Lei sospirò, esausta. «Va bene. Continua pure a mentire a te stessa».
Distolsi lo sguardo, concentrandomi sul paesaggio del villaggio e del campo di gigli. Io e Clara rimanemmo in silenzio per un po'.
Non stavo mentendo a me stessa. Forse provavo attrazione fisica e nulla di più. Come poteva piacermi colui che mi aveva sbattuta in prigione, mi aveva sedata, mi aveva sempre parlato nella maniera meno gentile possibile, e che ora pensava fossi un nemico? Era impossibile. E avrei fatto di tutto per non renderlo possibile.
Il flusso dei miei pensieri venne interrotto da un rumore alle nostre spalle. Mi voltai di scatto, ascoltando con attenzione: qualcuno si stava muovendo tra i cespugli.
Mi alzai da terra, Clara mi seguì a ruota. «Chi c'è?» chiesi, alzando il tono di voce. Il buio di quella zona forestale non mi permetteva di vedere bene, e la luce della luna non era sufficiente. Non mi aspettavo un nemico (a Lycoris non c'erano basi di Guardiani), ma mi urtava il pensiero che qualcuno potesse spiare le mie conversazioni.
«Vieni fuori» insistei, avvicinandomi lentamente alla schiera di alberi e piante. Sentii il rumore delle foglie scrocchiare sotto i passi di qualcuno, dopodiché la figura misteriosa si palesò, allontanandosi dalla completa ombra: Shyla aveva il respiro affannato e i capelli un po' elettrici sebbene raccolti nella solita treccia. Dal suo aspetto bocciai l'idea dello spionaggio; sembrava esser arrivata da poco.
«Finalmente ti ho trovata» disse, la lancia ancora sotto forma di coltellino stretta in una mano. «Ti ho cercata dappertutto». Poi notò la presenza di Clara, allora le puntò contro il coltellino.
«Sta' lontano da lei!» esclamò. «Non coglierà mai il tuo giglio!».
Clara alzò entrambi i palmi in segno di resa. Fece una smorfia che trapelava un finto dolore. «È la ex?» chiese, rivolta verso di me.
Trattenni una risata, mentre Shyla si alterò. «Dico sul serio!» continuò, avvicinandosi con il coltellino in pugno. Clara scosse le mani. «Non ho nessuna intenzione di far cadere la mia amica sotto l'incantesimo di Lycoris» disse, guardandomi con affetto.
«Abbassa quell'arma, Shyla» le ordinai, poggiando la mano sul suo pugno e allontanandolo da Clara. Shyla fissò prima me, poi lei, e dopo qualche istante in cui valutò la situazione, ritrasse il coltellino.
«Va bene. È molto strano, però. Tutti i morti vogliono incastrare i vivi, a Lycoris» constatò.
«Lo vedo come vengono ridotti. Io non sarei in grado di fare una cosa simile a Monia» ribatté Clara. Mi voltai verso di lei e le sorrisi, riconoscente. Le credetti subito... se avesse voluto incastrarmi, lo avrebbe fatto in tutto quel tempo che eravamo rimaste sole.
«Mi concedo il beneficio del dubbio» Shyla incrociò le braccia al petto. «Forse sei diversa da tutti gli altri morti. Avrebbe senso, visto quanto sia già anomalo il fatto che tu ti trova qui».
Possibile che la connessione tra me ed Eris non fosse abbastanza forte per sottostare alle sue regole? Forse non poteva usare l'incantesimo di Lycoris contro di me nel pieno dei suoi poteri come con le Proiezioni, ma aveva comunque usato Clara per punirmi. Se avessi ceduto all'incantesimo anche senza l'intervento di Clara, però, Eris sarebbe arrivata lo stesso al suo scopo, cioè quello di uccidermi. Perché, allora, non mi uccideva direttamente? Voleva farlo lentamente, ferendomi e lacerandomi dall'interno? E perché, anche se minima, avevamo una connessione? Dove avrei potuto trovare le risposte a queste domande?
«È meglio se torniamo al rifugio» Shyla riprese la parola, 'sta volta riferendosi a me. «Io ed Eduar siamo troppo esposti».
Aveva ragione. Ero fuggita via senza preoccuparmi che loro due avrebbero potuto seguirmi e sarebbero potuti rimanere vittime dell'incantesimo di Lycoris. La rabbia aveva travolto ogni cosa, ma ora che mi ero calmata mi ero resa conto del rischio che stessero correndo a causa mia. Decisi di ascoltare Shyla e di dire addio a Clara. Perlomeno avevo avuto l'occasione di porre le basi per superare il mio lutto.
Mi misi di fronte a lei, gli occhi che pungevano. «Devo andare» dissi, la voce tremolante. «È stato bello poter parlare un'ultima volta con te».
Clara accennò un sorriso, poggiando una mano sulla mia spalla. «Lo è stato anche per me».
Ci abbracciammo e non riuscii a trattenere una breve lacrima. Stavo dicendo addio a quella ragazza che, quattro anni fa, era morta lasciando un enorme vuoto dietro di sé. Era morta insieme ai nostri sogni. Era l'emblema di chi si ritrova con la strada bruciata davanti a sé, non potendo andare avanti.
Clara era la ragazza più forte che avessi mai incontrato. E mi aveva prestato un po' della sua forza grazie alla speranza. Ma la malattia gliela spense, quella speranza. Così si era spenta anche dentro di me.
Mi era mancata moltissimo e mi sarebbe mancata per sempre. Non avrei mai scoperto perché sarebbe dovuto succedere proprio a lei, e forse porsi quella domanda era ormai inutile. Era morta. E l'unica cosa che potevo fare era portare il suo ricordo con me per tutta la vita.
Ci staccammo dall'abbraccio. «Buon viaggio, Monia» disse. Pure il suo viso era rigato di lacrime. «Ti voglio bene».
«Ti voglio bene anch'io» sussurrai. Mi allontanai e, dopo aver impresso la sua immagine nella mia memoria, me ne andai con Shyla, non voltandomi più indietro.
****
Io e Shyla tornammo al villaggio in silenzio. Nessuna delle due aveva il coraggio di iniziare una conversazione. Io stavo pensando ancora a Clara, mentre lei, forse, era a disagio per il bacio con Eduar in mia presenza e non sapeva come giustificarsi.
Il cielo aveva smesso di essere completamente nero. La notte aveva iniziato a morire, lasciando spazio a un nuovo giorno: una leggera schiaritura rendeva quel nero un po' più blu. Anche l'aria si era fatta più fredda. Doveva mancare meno di un' ora all'alba.
Ripercorremmo una delle vie principali che ci portò di nuovo alla piazza centrale. I morti erano ancora pieni di vita.
Fu allora che Shyla ruppe il silenzio. «Mi dispiace molto, Monia. Per tutto» disse.
Vagai con lo sguardo, in cerca di qualcosa con cui distrarmi. Le case dallo stile gotico e dalle travi in legno, le lanterne, il giglio raffigurato sui ciottoli della piazza. Un vecchio che suonava un flauto traverso in legno, una bimba che ballava girando su se stessa. Una coppia che si teneva per mano. Una nonna che abbracciava il nipote. Una ragazza che teneva in mano il giglio del padre, il quale, accanto a lei, le porgeva un sorriso dolce.
Non volevo affrontare quel discorso con Shyla. In quella situazione mi parve futile e superficiale. Con tutte quelle Proiezioni che avevano incontrato la morte, la sensazione di invisibilità che mi aveva pervaso quando Eduar e Shyla si erano baciati mi sembrò una stupidaggine. D'altronde, io ero fatta così: sminuivo sempre le mie emozioni.
«Non c'è nulla di cui tu debba scusarti» le risposi, lo sguardo ancora vago e distratto.
«Sì, invece» ribatté Shyla, fermandosi e costringendomi a guardarla in viso. «Ti sarai sentita messa in dubbio a causa dell'accusa precipitosa di Eduar. E con quel bacio...» si interruppe brevemente, imbarazzata, «ti abbiamo messa a disagio in un momento in cui non ne avevi bisogno. Ti chiedo scusa».
Ero sorpresa. Shyla dimostrava un'intelligenza emotiva che non mi sarei aspettata. Mi ero già accorta della sua sensibilità, ma non avevo immaginato che sarebbe potuta sfociare nell'empatia.
«Va bene così. Non hai fatto nulla di male» la tranquillizzai. Nonostante avesse captato il mio disagio, dietro c'era qualcosa di più. C'era la paura di non riuscire mai a integrarsi. C'era la paura di essere invisibile, di sentirsi esclusa. C'era la rabbia di chi si accorge di non saper gestire al meglio le proprie emozioni.
E c'era Eduar. Il problema principale era lui.
«Posso farti una domanda?» le chiesi, la curiosità che mi aveva dilaniata da quando l'avevo vista per la prima volta.
Shyla annuì, interdetta.
«Perché è finita tra voi? Cosa vi ha separati?».
Lei non si aspettava una domanda tanto diretta su Eduar. Il nostro rapporto non era così intimo da prevedere confessioni di quel tipo, ma io ero stanca di sentirmi messa da parte. Avrei dovuto passare ancora molto tempo con quelle due Proiezioni e, sebbene all'inizio volessi solo usarle, la voglia di conoscere il loro passato aveva preso il sopravvento. Forse, sapendo ciò che le avesse condotte in quella missione assurda con me, avrei capito meglio le loro azioni. E mi sarei preparata su come reagire.
Shyla scostò lo sguardo ed esitò. «È una storia molto lunga» rispose, accennando un sorriso forzato. «Non mi piace parlarne, ma... abbiamo rotto per il nostro bene».
Notai che gli occhi le divennero lucidi, perciò non insistei. L'argomento era più delicato di quanto pensassi. Avrei voluto conoscere la causa di tanto dolore, ma era evidente che avrei dovuto aspettare che si fidasse maggiormente di me. Strofinai una mano sulla sua spalla in segno di conforto, cercando di trasmetterle un po' di tranquillità. Ciò che lei cercava sempre di fare con me.
Quel momento, però, venne interrotto dalle urla di uno dei morti che diffusero il caos. Io e Shyla ci destammo da quell'istante di muta condivisione per osservare l'ambiente attorno a noi: le Proiezioni stavano scappando tutte in direzioni confuse e separate, in preda al panico totale. L'aria di festa era andata perduta; solo la paura era manifestata dalle urla della gente, dalle espressioni spaventate, dall'accalcarsi dei morti che correvano verso le case o in cerca di un luogo in cui nascondersi. La musica era cessata, gli strumenti lasciati al loro destino al centro della piazza. I boccali abbandonati sui tavoli all'esterno delle locande, le sedie cadute su un fianco. Il villaggio era in tumulto.
Io e Shyla ci lanciammo un'occhiata confusa, incapaci di capire cosa stesse accadendo. Poi, tra le urla generali, scorgemmo una parola precisa pronunciata con puro terrore: «Bambola!».
Il respiro morì nei polmoni. Cosa ci faceva una Bambola a Lycoris? Era venuta per noi, per ucciderci, o per puro piacere personale?
Poi la mia mente fu attraversata da un pensiero: c'era solo una Bambola in grado di seminare il caos per sfuggire alla noia.
Ybris.
Shyla parve avere la mia stessa intuizione, lo capii per come mi fissò. Scattò in avanti, nella direzione opposta a quella verso la quale stava scappando la folla, e la seguii. La vidi brandire il coltellino, che si allungò, trasformandosi nella lancia verde dai segni color oro che avevo già visto a Siderous.
Arrivate all'altra estremità della piazza, dopo esserci fatte strada tra i morti in tumulto, vedemmo uno spettacolo pietoso. Ybris stava addentando il petto di una Proiezione, all'altezza del cuore.
La vittima era una donna che teneva in mano un giglio del ragno rosso, quindi ancora biologicamente viva. Sarebbe morta col tempo a causa dell'incantesimo di Lycoris, ma non era tra i morti. Aguzzando di più la vista, quella signora mi parve familiare.
Dopo averla prosciugata, Ybris fece cadere a terra la Proiezione senza alcuna delicatezza. Lei, con gli occhi spalancati al vuoto e la pelle esangue, venne raggiunta da una bambina dai capelli scuri e gli occhi ambrati. «Mamma!» gridava, piangente, inginocchiata accanto al cadavere. Quella era Isy... la defunta che avevo incontrato nel tragitto verso la piazza.
«No!» esclamai di getto. Ero grata del fatto che Isy sarebbe scomparsa alle prime luci dell'alba, ma sua madre sarebbe potuta morire in maniera più dolce. Avrebbe immaginato di restare con la figlia per l'eternità e sarebbe morta nella beatitudine. Era una beatitudine falsa, ma perire per mano di una Bambola era molto peggio.
«Mostro!» urlò Shyla, scagliando la lancia contro Ybris. Lui la bloccò con i suoi fili talmente bianchi da risultare trasparenti, poi la rilanciò verso di noi. Ci abbassammo e riuscimmo a schivarla, dopodiché Shyla la attirò a sé e l'arma obbedì, tornando dritta al palmo della sua mano.
Ci trovammo faccia a faccia con la Bambola. Ybris, nella sua solita divisa azzurro cielo dai ricami argentei, passò una mano sulla bocca, asciugando il sangue che gli sporcava quel viso angelico e perfetto. Gli occhi, così azzurri da risultare come due specchi, erano sbarrati per l'eccitazione provocata dal recente pasto. I capelli dello stesso colore fluttuavano al vento. La sua figura sprigionava un'aura potente, elettrizzata, impaziente. I fili spessi gli colavano dalle dita. Era ripugnante come la prima volta che lo avessi visto.
Sul suo volto spuntò un sorriso al limite della follia. «Le mie viaggiatrici preferite! Vi sono mancato?» chiese ironicamente, allargando le braccia. Quella sua voglia di scherzare accese di nuovo la rabbia in me.
«Cosa ci fai qui? Perché infliggi altre pene a Proiezioni già morte?» domandai con disappunto. Lui non smise di sorridere.
«Non mi interessano i morti» disse, la mano che si mosse in aria come per scacciare la mia supposizione. «A loro è rimasta la stessa paura per le Bambole che provavano quand'erano in vita. Ma le Proiezioni che cadono nell'incantesimo...» si avvicinò, lo sguardo famelico, «quelle sì che sono gustose».
Shyla posizionò la lancia di fronte a sé per difesa. «Non ti avvicinare!» esclamò. Aveva mantenuto un sangue freddo ammirevole. Eppure aveva sperimentato, a Siderous, la sensazione di essere prosciugata da una Bambola; dentro di sé doveva essere terrorizzata.
«Fai davvero schifo, sai?» sbotta, rivolta a Ybris. Lui mi fissò, non mutando atteggiamento.
«E perché mai? Tanto sarebbero comunque morte, quelle Proiezioni. Io ho solo accorciato i tempi».
A pochi metri da noi, Isy stava ancora disperatamente cercando di svegliare la madre. La strattonava e gridava, la chiamava, non ottenendo reazioni. Quello era accorciare i tempi? Era solo un modo orribile di strappare vite ormai perse!
«A proposito, dov'è il vostro forte comandante?» continuò Ybris, riferendosi a Eduar. Shyla si irrigidì, stringendo con più veemenza la lancia. «Non è un tuo problema. Sono io il tuo nemico, adesso».
La Bambola si portò una mano al mento, fingendo di star rievocando un ricordo lontano. «Se ci penso bene, sta per diventare un pasto di prima qualità! Chissà se ha già colto quel giglio».
Spalancai gli occhi, l'agitazione che cresceva in me e divampava come un fuoco incessante, fusa con quella rabbia persistente. L'espressione di Shyla mutò in puro orrore al solo pensiero di Eduar intrappolato per sempre nell'incantesimo. «Stai mentendo!» ruggì, desiderosa di sfondare il cranio di Ybris.
Lui continuava, imperterrito, a sfoggiare quell'atteggiamento superficiale, come se si trattasse di un gioco a cui stesse partecipando per interrompere la noia. «Oh, no, è proprio vero. Forse ha già ubbidito a quella donna. Se fosse stata ancora viva, avrei assaporato anche la sua anima. Ma mi accontenterò di quella del Guardiano».
Shyla abbandonò la rigidità della posizione di difesa che aveva assunto. Non l'avevo mai vista così spaventata. «No... ha visto sua madre...» sussurrò, in preda all'ansia. Si voltò verso di me, il volto contratto in una smorfia di paura. «Monia, vai!» strepitò in una maniera talmente possente da farmi trasalire. «Corri al campo di gigli!» ordinò.
Io mossi qualche passo indietro, nervosa. La situazione era così surreale che mi confuse. Eduar si era messo in pericolo, anzi, non era certo fosse ancora vivo. Ma andando da lui, avrei lasciato Shyla sola con Ybris.
«Shyla, tu...» provai a dire, ma lei mi interruppe.
«Vai, ho detto! Io me la caverò!»
Nulla avrebbe potuto farle cambiare idea. Feci per andarmene, ma i fili della Bambola circondarono il mio braccio, bloccandomi.
«Non credere che ti lascerò scappare così facilmente, Monia» sentenziò Ybris. Tuttavia, la lancia di Shyla fendette l'aria e spezzò i fili, liberandomi. «Invece sì, perché ti batterai con me» propose lei, richiamando l'arma a sé.
Ne approfittai per fuggire via, obbedendo agli ordini della mia compagna.
Ybris rise. «Shyla... mi sei mancata più di tutti. Il tuo sangue era delizioso» commentò.
Lei destreggiò la lancia e si rimise in posizione di difesa. «Prendine ancora un po', se ci riesci».
Sentii il rumore dell'arma scontrarsi con la pelle di Ybris, ma non assistetti alla battaglia, lasciandomela alle spalle. Correvo tra la confusione di morti intimoriti, alla ricerca della strada che mi avrebbe portato al campo di gigli. I piedi sferravano sull'asfalto come mai prima d'ora, il cuore che era arrivato in gola. Come aveva fatto Eduar a cacciarsi in quella situazione? Lui che si mostrava tanto forte, deciso e stabile, cosa lo aveva spinto a voler cedere? Lo avrei trovato ancora vivo? E se lo avessi ritrovato con in mano il giglio, come avrei reagito? Come lo avrei detto a Shyla? Come mi sarei perdonata, sapendo che quella situazione si era creata a causa mia?
L'ansia si era ormai impossessata di me, prima che potessi controllarla. Le strade del villaggio mi sembravano un labirinto. Tentavo di chiedere in giro come arrivare al campo di gigli, ma erano tutti troppo spaventati per prestarmi attenzione. Mi sarebbe piaciuto rivedere Clara, lei mi avrebbe aiutata, ma non avevo tempo per cercare anche lei. Continuai a correre finché, per fortuna, non arrivai a una casa familiare: la nostra abitazione temporanea. Da lì credevo di conoscere la strada. Volli pensare che fosse così e mi fidai di quella sensazione. Avanzai per un tempo che, per la paura che stavo provando, mi parve infinito; la strada sembrava non terminare mai. Poi, però, intravidi l'ingresso del villaggio, con all'esterno il campo di gigli.
Mi affrettai a raggiungerlo. Sull'uscio del villaggio, gli occhi scattarono da una parte all'altra del campo: tra morti che scappavano e vivi che segnavano il proprio destino, scorsi la figura di un ragazzo, vestito di nero, chino su un giglio. Davanti a sé, una donna dai capelli lunghi, neri e così lisci da sembrare seta, gli stava sfiorando la guancia.
Mi avvicinai, con il sospetto che quel ragazzo fosse Eduar.
«Tornerà tutto come prima. Quel giorno non esisterà mai più» disse la donna dalla voce ipnotica. Lui sfiorò i petali del giglio, e mi parve di scorgere in quel gesto un desiderio di raccoglierlo.
«Cosa stai aspettando?» insisté la donna. «Cogli il mio giglio, Eduar».
Il suo nome proruppe nelle mie orecchie come un tuono. Non c'erano dubbi, era lui. Velocizzai il passo, preoccupata.
La donna condusse la mano di Eduar allo stelo del fiore. «Puoi decidere di non soffrire mai più. Il mio bambino non avrebbe dovuto stare così male» disse.
Vidi Eduar stringere lo stelo del giglio, ma era come se stesse combattendo una guerra con se stesso che non avrei mai potuto comprendere. Un barlume di razionalità c'era ancora in lui, altrimenti avrebbe già colto il fiore. Sembrava diviso tra la resa totale e la voglia di continuare a combattere. Non lo avevo mai visto così sofferente, perso in una lotta interiore senza pari.
Poi, però, qualcosa nel suo sguardo cambiò e mi suggerì che avesse scelto la resa.
«Eduar, no!» strillai, ma lui non batté ciglio. Era come entrato in un mondo tutto suo, lontano dal presente.
Accelerai più che potei. «Fermati, Eduar!» insistei, ma non ottenni nessuna reazione.
Accelerai ancora, lo raggiunsi e, non sapendo cos'altro fare per destarlo da quella paralisi, calpestai il giglio, urlando: «Svegliati, idiota!».
Per fortuna non lo aveva ancora colto. La donna lanciò un grido di dolore, come se avessi calpestato una parte del suo corpo. Quello strepito ruppe l'imbambolamento di Eduar, il quale ritrasse la mano. Si allontanò dal giglio, impaurito, allo stesso modo in cui ci si sveglia da un incubo. Era tornato alla realtà nel modo più brusco possibile.
«Vattene!» ordinai alla donna, cercando di fare la dura. Ora che la osservavo meglio, aveva gli stessi colori di Eduar. Collegai quell'aspetto a ciò che aveva detto Shyla poco prima e capii. Avevo davanti la madre di Eduar... e stava per ucciderlo.
Lei, accartocciata su se stessa a causa del giglio calpestato da me, mi rivolse un sguardo ostile. «Ce l'avevo quasi fatta! Per colpa tua, adesso, mio figlio continuerà a vivere le pene dell'inferno!»
Mossi il piede, stropicciando ancora di più il fiore con molta cattiveria. La donna soffrì e urlò di nuovo, ma non provai pena.
«All'inferno lo avresti portato tu!» replicai. «E ora sparisci, se non vuoi morire di nuovo!».
Dopo avermi rivolto un altro sguardo sprezzante, consapevole che non potesse fare altro, dato che la sua ipnosi era andata distrutta, se ne andò verso la foresta. Fui grata per il fatto che non avesse osato attaccarmi, altrimenti non avrei saputo come difendermi.
A quel punto mi voltai verso Eduar. Era ancora seduto a terra e si teneva la testa tra le mani, lo sguardo basso. Tentava di regolarizzare il respiro. Chissà cosa stesse provando.
Mi accovacciai di fronte a lui e posai istintivamente una mano sulla sua spalla. «Tutto bene?».
Non feci in tempo a terminare la domanda, che lui si ritrasse e scostò con irruenza la mia mano. «Non dovevi fermarmi» lo sentii sussurrare, la voce pregna di frustrazione e rabbia.
Il mio viso cambiò: dalla preoccupazione, adesso esprimeva collera. «Che cosa hai detto?» chiesi, la voce fremeva.
Lui finalmente mi guardò. «Perché mi hai salvato?» alzò il tono di voce.
Nonostante in quegli occhi lessi un dolore che prima non avevo ancora scorto, persi la pazienza. Mi lanciai verso di lui, furiosa, e afferrai la sua maglietta della divisa per il collo.
«Ma sei impazzito? Secondo te avrei potuto lasciarti morire?» sgolai. Non capii se a parlare fosse la rabbia del momento o l'ansia che avevo provato pensando di averlo perso.
Eduar strinse la mia mano, facendomi mollare la presa sulla sua maglietta. In quella richiesta di abbandonarlo al suo destino c'era troppa, troppa sofferenza. E non avrei mai pensato che lui ne nascondesse così tanta. Senza rifletterci, lo abbracciai. Assaporai il suo odore. Accantonai tutto l'odio che avevo sentito nei suoi confronti, tutta l'ira causata dall' accusa contro di me. Lui all'inizio rimase spiazzato, poi ricambiò la stretta e affondò il viso nell'incavo del mio collo, come se volesse liberare il dolore. Come se cercasse un luogo sicuro in cui poterlo fare. Sentii le sue mani avvinghiarmi con più forza, ma lo lasciai agire.
Dopo qualche istante, si allontanò. Sembrava che, staccandosi dall'abbraccio, si fosse portato con sé tutto l'ossigeno. Un senso di vuoto avviluppò il mio stomaco, ma decisi di non curarmene.
«Mi dispiace che tu non abbia un attimo di pace, ma dobbiamo aiutare Shyla. Ybris è qui...».
Eduar, sentendo il nome della Bambola, si alterò. Mi interruppe, alzandosi repentinamente.
«Cosa? Ybris è qui?» ripeté. Parve reprimere la sofferenza che lo aveva attanagliato, dotandosi di tutto l'autocontrollo possibile.
«Dovevi dirmelo subito» aggiunse.
Ed ecco che era tornato il solito. Il gelido, composto, severo e bellicoso ex comandante.
Mi sollevai anch'io. «Te lo sto dicendo adesso. Shyla ha bisogno di noi».
Lui si avviò a passo di marcia, senza aspettarmi. Lo seguii.
«Come hai potuto lasciarla sola?» mi rimproverò.
L'atmosfera precedente era andata in frantumi, come un vaso di ceramica che si spiaccica al suolo, in sole tre frasi. Incredibile.
Stavo per perdere di nuovo la pazienza. «Sai, nemmeno lei voleva vederti morto. Non ho avuto molta scelta».
«Invece potevi scegliere chi aiutare. Avresti dovuto rimanere con lei» insistette, continuando a guardare davanti a sé.
Non credevo alle mie orecchie. Con un gesto brusco gli afferrai la spalla e lo fermai, facendolo voltare verso di me. La mia mano colpí la sua guancia provocando un potente schiocco.
Eduar girò il viso arrossato per lo schiaffo appena ricevuto. Sorpreso, mi fissò e, vedendo i miei occhi lucidi, la severità della sua espressione sembrò affievolirsi.
«Scusami tanto per averti salvato la vita, Eduar» sbottai, il petto che si alzava e abbassava velocemente. «Solo tu sei in grado di farmi sentire in colpa per una cosa simile».
Abbassò lo sguardo. Sembrava voler dire qualcosa, ma poi ci ripensò. «Dobbiamo muoverci o perderemo Shyla» affermò, ignorando quello che gli avevo detto.
Lo squadrai con delusione, scuotendo la testa. Shyla. Esisteva solo Shyla, sempre Shyla. Nient'altro aveva importanza.
Lo superai con una spinta, facendo scontrare le nostre spalle. «Si trova vicino la piazza principale» lo informai, arresa.
«Bene. Allora andiamo» fu l'unica cosa che disse.
Così ci avviammo verso il villaggio, sperando non fosse troppo tardi.
S|A 🌸
Ciao a tutti! È da un po' che non mi paleso alla fine dei capitoli. Come sta procedendo la lettura? Vi sta piacendo?
Come avete letto, non ho ucciso il nostro Eduar. Tra i feedback che ho ricevuto, è risultato il personaggio più amato. Lo amo anch'io, c'è poco da fare. Non potevo toglierlo di mezzo.
Spero che il livello dei capitoli sia rimasto lo stesso... ho sempre paura di peggiorare e abbassare l'interesse dei lettori verso la storia. Vi annuncio, però, che con il capitolo 19 lasceremo Lycoris, ma... dovrete assistere a un'ultima cosa 😀. Niente è facile ne La Gabbia, ricordatevelo!
Vi mando un forte abbraccio e vi ringrazio per il tempo che dedicate a Cage of Dolls, significa molto per me. Siete speciali.
Buona lettura e statemi bene❤️
-Tinì.
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