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Capitolo diciannove - parte 1

Sentivo i polmoni chiedere disperatamente aria, dopo aver affrontato quella corsa. Sia io che Eduar temevamo per la vita di Shyla: non sapevamo se Ybris si sarebbe dato alla pazza gioia, una volta rimasto solo con lei. Quando, però, raggiungemmo la nostra compagna, la trovammo in condizioni migliori rispetto a quelle che avevamo pensato.

Bambola e Proiezione combattevano corpo a corpo, sebbene Ybris usasse i suoi fili per graffiarle la pelle e Shyla la lancia per mettere distanza tra loro nei momenti in cui fosse in difficoltà. L'arma era ingombrante, ma Shyla aveva tanta padronanza da saperne dosare l'uso in maniera magistrale. Chissà quanto tempo si era allenata per arrivare a un livello simile.

Anche Ybris sapeva allungare e accorciare quei fili quasi trasparenti, come se fossero artigli malleabili, con estrema precisione. Infatti notai diversi tagli sul corpo di Shyla, provocati di soppiatto durante lo scontro. Però c'era qualcosa che non andava: Ybris si era trattenuto? Se solo avesse voluto, avrebbe potuto sconfiggere Shyla in molto meno tempo. Qual era il suo obiettivo, farla stancare? Vedere di cosa fosse capace? Studiarla? O era il semplice passatempo di un mostro annoiato?

Non appena la Bambola notò la nostra presenza, bloccò il calcio che Shyla gli stava per infliggere e la scaraventò a terra, davanti a noi. Mi accovacciai verso di lei, preoccupata, e cercai di aiutarla ad alzarsi.

«Sto bene» mi rassicurò, il fiato spezzato per la battaglia. Un taglio campeggiava sul suo viso, mentre molti altri erano cosparsi sui fianchi e le gambe. Si voltò verso Eduar, e tutta l'agitazione che aveva provato immaginandolo in pericolo sembrò disperdersi.

«Per fortuna sei vivo...» disse, in un soffio di voce. Eduar annuì impercettibilmente, come se non volesse ammettere di essere finito in una situazione rischiosa. Anche lui, però, sembrava sollevato nel constatare che Shyla non fosse morta.

In tutto ciò, Ybris aveva ritirato i suoi fili e ci stava osservando con fare divertito. «Ma non mi dite, il leader dei Guardiani di Siderous è ancora tra noi?» chiese, non aspettandosi una risposta. Fece qualche passo in avanti e sospirò. «Che noia. Non potrò gustarmi il piatto che sto aspettando da tutta la notte».

Shyla, ormai in piedi e arrabbiata, richiamò la lancia e fece per scaraventarsi di nuovo sulla Bambola, ma Eduar posizionò un braccio davanti a lei, intimandole di fermarsi. «State indietro» ordinò, poi, a entrambe. 

Estrasse la pistola dal fodero in vita e la puntò contro Ybris. «Che cosa vuoi, tu? Che ci fai qui?» ringhiò.

La Bambola ridacchiò in tutta la sua inquietudine. In mezzo a quei corpi prosciugati, stesi attorno a lui -tra cui quello della madre della piccola Isy-, nel generale clima di panico del villaggio, risultava ancora più terrificante.

«Cos'hai, comandante? Hai paura che un'altra Bambola ti scovi e distrugga il piano in cui ti trovi, uccidendo anche innocenti che tu hai coinvolto con la tua ribellione?».

Eduar si irrigidì. Anche Shyla si accese di rabbia. Ybris sembrava aver riassunto una tragedia che le due Proiezioni conoscevano molto bene, ma che non volevano riesumare. Che fosse collegata alla madre di Eduar? Quella dell'incantesimo che aveva cercato di ucciderlo?

«Questo è troppo!» esclamò Shyla, scuotendo la testa. Avevo avuto poche occasioni per conoscere questo suo lato esuberante e aggressivo, e non mi dispiaceva per niente. Anzi, comprendevo la sua frustrazione, sebbene non conoscessi quel passato che lei ed Eduar custodivano tanto gelosamente. 

Osservai Eduar. Stringeva la mandibola, infuriato; la mano che teneva la pistola tramava leggermente. Gli occhi cremisi trasmettevano tanto, troppo odio. Aveva appena sfiorato la morte, forse proprio a causa di eventi del passato che voleva cancellare, e ora Ybris rincarava la dose senza ritegno, mosso da un egoistico desiderio di vederlo crollare.

Non volevo restare a guardare. Ero stanca di fare da spettatrice. Mi esposi, avanzando verso Ybris e ignorando lo sguardo di rimprovero delle due Proiezioni che tentavano di proteggermi.

«Ora basta» sbottai. «Ti manda Eris, mostro?»

Ybris mi fissò incuriosito, poi si avvicinò ancora. «No. Volevo vedere a che punto fosse il viaggio dei tre ribelli» rispose, «e magari farmi uno spuntino».

«Be', ti sei nutrito abbastanza, no? Perché adesso non sparisci?» incalzai. «Oppure uccidici» allargai le braccia, «tanto è questo lo scopo di Eris, dico bene?»

A lui non piacque il mio tono sicuro e di sfida. Non sapevo neanche io da dove lo stessi tirando fuori, sinceramente. Forse era un insieme di cose: stanchezza, dolore, rabbia.

«Purtroppo non rientra nei miei compiti. Eris ha altri piani» disse, non perdendo comunque il suo ghigno derisorio. 

Incrociai le braccia al petto. «Oh, capisco. È bello fare il burattino di Eris, quindi?» 

A quelle parole, Ybris cambiò espressione. Avanzò verso di me, arrivando a un palmo dal mio naso. «Che cosa hai detto?» sibilò.

«Che stai facendo, Monia?» sentii chiedere da Shyla, ma la ignorai.

«Vieni più vicino, così posso sputarti di nuovo in un occhio» risposi a Ybris, provocandolo ancora. Evocai ciò che era successo a Siderous quando mi aveva proposto di unirmi alle Bambole.

Lui mi prese per il collo, furibondo. Quelle due iridi vitree trasudavano sempre follia. «Io non sono il burattino di Eris, è chiaro?» asserì. Strinse la presa e io boccheggiai in cerca di ossigeno, il sangue che cominciava a salire al cervello.

All'improvviso, uno sparo colpì dritto la spalla di Ybris, così fui liberata dalla morsa, accasciandomi. La Bambola indietreggiò, infastidita.

«Non la toccare!» la minacciò Eduar, venendo in mio soccorso.

Ybris si guardò la spalla, infilò le dita nella ferita ed estrasse il proiettile a una velocità disarmante. Qualche goccia di sangue sgorgò fuori sporcando la strada, ma la ferita si rimarginò dopo trenta secondi. Le capacità di guarigione di una Bambola erano assurde.

Buttò via il proiettile con noncuranza, dopodiché si avvicinò di nuovo. Io mi alzai da terra, mentre Eduar rimase vicino a me.

«Ah, non lo sei?» continuai, la voce che uscì rauca a causa del precedente tentativo di strangolamento. «A me sembrava di sì. Voi Bambole non avete uno scopo per cui vivere. Siete solo i giochini di Eris. Buon per voi» lo giudicai con tutta la cattiveria che avessi in corpo.
Certo, sotto quel punto di vista La Gabbia intera sembrava il giochino di Eris. Ma a me interessava solo istigare Ybris, riversargli addosso il mio ribrezzo, la mia frustrazione, il mio disgusto per ritrovarmi in quel mondo tanto terribile e non poter fare nulla se non fuggire.

Lui mi indicò, tornando a sghignazzare. Non sopportavo quel suo sguardo perverso.
«Non farò il tuo gioco, mocciosa» decise. Poi lanciò uno sguardo a tutti noi.

«Godetevi ancora per un po' il vostro viaggio. Non durerà molto».
Dopo aver pronunciato quelle parole come una profezia, si dileguò.

Evidentemente la mia provocazione aveva smosso qualcosa in lui, ma non abbastanza da farlo sclerare in maniera completa. Era pur sempre l'Orgoglio. Non mi avrebbe mai dato la soddisfazione di avere un qualche potere sulle sue azioni. Tuttavia, avevo scorto una debolezza in quel mostro che sembrava indistruttibile: non voleva essere considerato una pedina di Eris. Proprio lui che era tra i suoi sottoposti più potenti? La cosa mi sembrava paradossale. 

Dato che la Bambola se n'era andata, nel villaggio il panico si attenuò. La folla di morti si stava dirigendo, in silenzio, verso il campo di gigli. Assomigliava a una marcia funebre. 

«Che stanno facendo?» chiesi, riferendomi a quella processione. Sfiorai il mio collo, indolenzito per la stretta di Ybris.

La lancia di Shyla si rimpicciolì, tornando alla forma di un coltellino, così lei la posò nella cinta alla caviglia. «Sta arrivando l'alba. Tra poco spariranno» spiegò, ermetica.

Anche Eduar mise la pistola nel fodero, ma poi si voltò verso di me, agitato. «Si può sapere che ti è preso? Volevi farti ammazzare?» mi rimproverò per come avevo affrontato Ybris. Non faceva altro che riprendermi.

«Per distruggere un nemico devi conoscere le sue debolezze» replicai.

Lui mise le mani sui fianchi. «E il tuo piano per conoscerle comprende anche morire? Ottimo piano!» esclamò, sarcastico. Quasi mi pentii per averlo salvato.

Scossi la testa. «Non sei nella posizione per dirmi queste cose» dissi, «visto che il primo a morire potevi essere tu!».

Eduar mi fissò negli occhi, irritato. «Già... incredibile che abbia dei punti deboli anch'io, vero?».

«Ragazzi» provò a fermarci Shyla.

Incrociai le braccia al petto. «No, ma non sei l'unico. Una mia debolezza è provocare i nemici, soprattutto le Bambole. Che posso farci?» risposi, il tono derisorio.

«Ragazzi...»

Eduar non nascose il suo fastidio. Ogni volta che si arrabbiava, i suoi occhi cremisi parevano accendersi. Li preferivo così, piuttosto che vederli spenti e vuoti come quando stava per cogliere il giglio del ragno rosso di sua madre. 

«Provoca pure, ma io non ti salverò più dalle tue stesse cretinate!» mi minacciò a un palmo di naso.

«Nessuno ti ha chiesto di salvarmi!» sibilai.

«Ragazzi!» esclamò Shyla, avendo perso la pazienza. Io ed Eduar ci zittimmo e ci voltammo verso di lei. «La smettete di litigare per ogni cosa?».

Shyla si avvicinò e ci divise, le mani sulle nostre spalle. «Monia ti ha salvato la vita» disse, rivolta a quell'odioso, «ed Eduar ha impedito che Ybris ti strangolasse» continuò, guardando me. «Siete pari, no?».

Rimanemmo in silenzio, gli occhi che ci studiavano a vicenda per qualche istante. Ero sollevata per averlo salvato, e gli ero grata per avermi protetta da Ybris, ma non sopportavo quel suo atteggiamento da comandante, come se qualsiasi decisione presa da qualcuno che non era lui fosse sbagliata. Mi faceva imbestialire come nessun altro. Però Shyla aveva ragione... eravamo pari.

«Bene, mi fa piacere abbiate capito» Shyla ruppe il silenzio che si era creato. «Adesso ce ne andiamo da questo piano di merda?» domandò, avviandosi verso la strada che ci avrebbe portati al nostro rifugio. Io ed Eduar, dopo aver smesso di fissarci, la seguimmo in silenzio, come due fratelli sgridati dalla madre per aver discusso inutilmente. 

Una parte di me, tuttavia, si divertiva a litigare con lui. Era quasi stimolante. 

A causa di quel pensiero, mi sfuggì un sorriso che scacciai subito. Eduar lo notò. Lo sentii sospirare, poi chiese: «Ti sembra il momento di ridere?».

Gli lanciai un'occhiata, non smettendo di camminare. «Non sto ridendo. È che siamo tutti vivi. Ce l'abbiamo fatta» risposi.

«Non canterei vittoria troppo presto, fossi in te. Tu riusciresti a farti ammazzare anche subito, senza nemici in vista». 

Mi stava di nuovo prendendo in giro, ma non riuscii ad arrabbiarmi di nuovo. Gli diedi una leggera gomitata sul braccio. «Sei troppo perfido con me. Potresti anche darmi tregua ogni tanto».

Lo vidi alzare gli occhi al cielo, ma senza cattiveria. Non fui capace, comunque, di rubargli un leggero sorriso. Lo osservai ancora, mentre camminavamo: era stanco e provato. Dopo ciò che aveva passato, forse vederlo sorridere era un'utopia. Anzi, il mio strano cambio di umore poteva sembrare bizzarro ai suoi occhi. Ma La Gabbia mi faceva questo effetto, come una montagna russa imprevedibile. 

Non potei fare a meno di pensare, però, a come saremmo stati io ed Eduar se avessimo smesso di arrabbiarci in continuazione l'uno contro l'altra. Se provocarci diventasse un divertimento, una forma di affetto, non motivo di litigio. Come sarebbe andata tra noi? Non mi era ancora capitato, ma se avessi visto la sua espressione mentre sorrideva... che cosa avrei provato?


****


Quando arrivammo al nostro rifugio, Shyla non perse tempo. Iniziò a raccogliere le provviste e a sistemarle nello zaino da viaggio. Eduar la aiutò, mentre io rimasi lì impalata come una scema.

«Non volete nemmeno riposarvi un po'? È stata una lunga notte» dissi.

Shyla chiuse lo zaino. «Non se ne parla. Ci riposeremo quando saremo al terzo piano».

Esaminai le ferite che aveva su tutto il corpo e non potei evitare di obiettare. «Ma non vuoi nemmeno bendare quei tagli, cambiarti... mangiare?».

Shyla sbuffò. «Sono tagli superficiali, sta' tranquilla. Andiamocene, ora che non dovrebbero esserci morti in giro. Non voglio rimanere qui un minuto di più».

Be', dopo l'arrivo di Ybris, era ovvio che non fossimo più al sicuro. Inoltre, nemmeno io volevo rimanere a Lycoris. Quel piano aveva aperto delle porte, in me, che non avrei mai voluto aprire. Aveva riesumato lutti passati e sentimenti repressi. Forse, dentro di me, ero riuscita ad alleviare il dolore che mi portavo dietro da tanto tempo, ma non ne ero sicura. D'altra parte, avevo iniziato a sviluppare un forte ripudio nei confronti di Eris, delle sue regole. Soprattutto vedendo quali fossero i loro effetti sulle Proiezioni e su Shyla ed Eduar. Ma il fastidio per aver capito di avere troppi problemi in sospeso con me stessa era molto più grande. Tutta quella rabbia, quella tristezza, quella sofferenza che mi rendevano umana, ma che avevo da sempre lasciato perdere, a Lycoris erano implose. Chissà cosa avrei scoperto andando avanti ne La Gabbia. A ogni piano avrei dovuto fare i conti con me stessa? E se non avessi fatto altro che affliggermi?

Eduar si mise lo zaino in spalla. Dopo aver controllato di non aver dimenticato nulla, i miei due compagni di viaggio si avviarono verso la porta. «Andiamo, Monia?» chiese Shyla.

Scrutai un'ultima volta quella casa abbandonata. I mobili vecchi e in legno, la minuscola cucina, il tavolo da pranzo. In fondo la camera da letto e la stanza con la vasca. Era talmente indietro nel tempo, quel luogo, che potevo sentire la magia nell'aria. Completamente diverso rispetto all'atmosfera futuristica di Siderous. Emessi un sospiro profondo. No. Non mi sarebbe mancato per niente. 

«Andiamo» risposi. Nel frattempo erano già fuori dalla casa, stavano solo aspettando me. Li raggiunsi e chiusi la porta alle mie spalle. Socchiusi gli occhi: il sole era sorto in tutta la sua luminosità. Le sfumature del cielo andavano dal rosso, all'arancione e al rosa, fino a disperdersi nell'azzurro. Nemmeno una nuvola lo copriva. Mi voltai verso Ovest; il campo di gigli non risplendeva più, e i morti sparirono uno dopo l'altro. Di nuovo addio, Clara, pensai. Non ti dimenticherò mai.

Mi rigirai e cominciai a muovermi, seguendo Eduar e Shyla.
«Senza voltarti indietro» sentii dire da Eduar. Alzai lo sguardo verso di lui, che mi lanciò un'occhiata di sbieco. «È così che riesci a risalire La Gabbia. Senza voltarti indietro» sussurrò.

Era un consiglio prezioso. Ma era riferito più a me o a se stesso? In ogni caso, era difficile da seguire. Mi sentivo diversa rispetto a quando ero arrivata ne La Gabbia, e non potevo sottrarmi nel notarlo. In modi diversi, sia Siderous che Lycoris mi avevano lasciato qualcosa di molto profondo. Che fossero traumi o consapevolezze, non lo avevo ancora capito. Di una cosa, però, ero certa: quando sarei tornata sulla Terra non sarei stata più la stessa.

Per tutto il tragitto rimanemmo in silenzio, immersi nei nostri pensieri. Io a immaginare il mio futuro, Eduar, chissà, a rimuginare sul passato, e Shyla, forse, concentrata su ciò che ci riservava il presente. Tutti e tre stanchi e distratti, non dicemmo una parola. Attraversammo le strade principali del villaggio, ora spoglie e deserte, fino ad arrivare alla piazza centrale decorata dal grande giglio del ragno rosso pitturato al centro di essa, sui ciottoli. Attorno, l'eco del caos provocato dall'arrivo di Ybris era visibile: sedie rovesciate, tavoli caduti, boccali di birra rotti; strumenti musicali abbandonati. Tutta la vita della notte prima sembrava esser stata risucchiata via. Il villaggio era tornato come la prima volta che lo avessi visto, cioè deserto e decadente. Nonostante la luce dell'alba, i colori parvero spenti, sbiaditi. Come se la notte ci avesse trasportati in un'altra dimensione e ora fossimo ritornati alla realtà.

Oltrepassammo la piazza centrale e percorremmo una strada che mi parve familiare; infatti, dopo aver superato una via minuscola e stretta ed essere usciti dal villaggio, risalimmo su un breve tratto di altura e sbucammo in una zona nascosta dagli alberi e percorsa di nuovo dal fiume. Quello era il luogo in cui mi aveva portato Clara. Da lontano si vedevano il villaggio e, più in là, il campo di gigli. Certo, senza la luce della luna, i rumori della musica e delle voci dei morti, quel posto era molto meno suggestivo. Non ci fermammo ad ammirare il panorama: continuammo ad avanzare attraverso il bosco, che si faceva sempre più fitto. Sotto i nostri piedi, l'erba e le foglie rosse degli alberi emettevano un forte scricchiolio. A volte, come se fosse un' allucinazione uditiva, sentivo dei versi di animali che non avevo nessuna voglia di scoprire.

«Resta vicino a noi, o rischi di perderti» ordinò Eduar, guastando il quiete silenzio che si era venuto a creare. Accelerai il passo per stare più vicino possibile a loro.

«Si stava così bene senza il suono della tua voce» risposi, acida. In realtà volevo solo provocarlo, come sempre.

«Bene, allora allontanati più che puoi. Da sola ti gusti meglio il suono della natura» replicò lui, «e chissà, magari una belva ti sbrana e mi rende un po' più felice».

Shyla sollevò una mano in aria. «Vi blocco prima ancora che possiate ricominciare» commentò. «Certo che siete insopportabili». 

Continuando a camminare vicino a loro, strinsi le mani dietro la schiena. «Vista la loquacità di Eduar... qualcuno ha intenzione di parlare di ciò che è successo stanotte?»

Entrambi assunsero un'espressione indecifrabile, tra l'imbarazzo, la nostalgia e la sorpresa. «No» esclamarono all'unisono.

«Come non detto» dissi, arresa. Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più sul loro passato. Avrei voluto sapere della loro storia, di come avessero maturato l'idea di fuggire da La Gabbia. Avrei voluto che Eduar fosse riuscito a parlarmi di sua madre, di cosa gli aveva detto a Lycoris per convincerlo a voler morire. E come aveva fatto a resistere per un po' all'incantesimo. Insomma, volevo conoscerli meglio. Non mi sto affezionando pensai, mettendo subito in chiaro le cose, prima di cadere vittima di un sentimento tanto fastidioso come l'affetto. Voglio conoscere i loro punti deboli così sarò preparata ai loro comportamenti.

Non avevo mai conosciuto qualcuno tanto calcolatore quanto impulsivo come me. Ma io non volevo essere calcolatrice, volevo essere prudente. Affezionarsi ne La Gabbia significava solo una cosa: soffrire. Viste le regole e gli ostacoli dei piani che avevo esplorato finora, non sarebbe stato tanto assurdo se uno di noi fosse morto. E se mi affezionassi e poi li perdessi, non sarebbe peggio? Meglio non affezionarsi affatto, giusto?

La voce di Eduar interruppe di nuovo i miei pensieri. «Siamo arrivati» annunciò.

Dopo aver valicato quella fitta zona boschiva, arrivammo in una parte del bosco che non era costellata di alberi: essi continuavano tutti intorno, come a formare un semicerchio. Di fronte, una parete piena di piante rampicanti nascondeva l'Ascensium. Il congegno a forma di prisma era incastonato tra i rampicanti, dalle foglie dello stesso colore di quello delle chiome degli alberi. Diversi fiori, tra cui anche alcuni gigli del ragno rosso, tappezzavano quella parete d'erba e anche l'Ascensium. Quest'ultimo, sebbene fosse visibile la sua forma, si mimetizzava benissimo, celato tra le piante.

«Eccolo. Ogni volta rimango senza parole» commentai, senza rifletterci molto. 

Il funzionamento de La Gabbia rimaneva un mistero, ma era affascinante. I luoghi, nonostante nascondessero strani incantesimi, erano stupendi. Questo mondo era simile alla tela di una bambina a cui piaceva disegnare: pennellata dopo pennellata, aveva creato un quadro dai colori assurdi e dalle ambientazioni fantastiche, dando sfogo all'immaginazione. Chissà a cosa le era servito creare un mondo così singolare, se lei non sembrava goderselo pienamente. Se fossi stata Eris, avrei perlustrato ogni angolo de La Gabbia, avrei viaggiato tra i suoi piani per vedere tutti i luoghi mozzafiato che nascondeva. Non sapevo se lo avesse già fatto, ma secondo le poche leggende sul suo conto, parve essersi rifugiata tra i piani proibiti. Codarda. Creare un mondo del genere, renderlo difficilmente vivibile ai suoi abitanti, e poi nascondersi.

«Sbrighiamoci» disse Shyla, destandomi dalla contemplazione dell'Ascensium. Ci avvicinammo ad esso, ma poi una voce sbucò dal nulla, facendomi sobbalzare.

«Dove credete di andare?» chiese una voce maschile. Seduto con la schiena poggiata su un lato dell'Ascensium, celato anche lui dall'ombra e dall'edera, un uomo ci intimò di fermarci. Si alzò e si mostrò alla luce, posizionandosi di fronte l'Ascensium, bloccando così il nostro cammino.

Indossava un saio bianco su cui erano ricamati dei simboli in rosso sia sulle maniche che su tutta la schiena. L'uomo poteva essere sulla quarantina: le rughe appena accennate sugli angoli degli occhi e della bocca potevano esserne la prova. I lineamenti erano molto duri; gli occhi blu a mandorla e i capelli rossicci si sposavano bene con l'incarnato chiaro. Con le mani giunte e nascoste nelle maniche del saio, ci scrutava attentamente, deciso a non farci passare.

«Siamo in missione. Vorremmo arrivare a Somnium, il terzo piano» spiegò Shyla, il tono pacato. Il Custode ci fissò ancora, ma non accennò a spostarsi.

«Non mi sembra sia stato autorizzato uno spostamento. Spiacente, non posso farvi andare oltre» rispose, perentorio.

Iniziai ad agitarmi. Dopo tutta quella fatica, un misero Custode non poteva sbarrarci la strada.

«Andiamo, Lund» disse Eduar, allargando le braccia e avvicinandosi a lui. «Sono Eduar. Il comandante dei Guardiani di Siderous. Ci siamo già incontrati, noi due».

Il Custode Lund lo squadrò da capo a piedi, ma non si scompose. «Eduar. Eri un ragazzo promettente. Non dirmi che stai violando la legge!».

Eduar lanciò un'occhiata in basso, poi tornò a guardare il Custode. «No, Lund. Per favore, facci passare. Noi Guardiani siamo autorizzati».

E quella calma da dove la stava tirando fuori? Avevo sempre visto Eduar molto severo, irascibile e autoritario. Ma, a quanto pare, rispettava chi avesse un ruolo -in certi casi- più importante del suo.

«Tu sì. Ma loro?» chiese Lund, indicando me e Shyla con un cenno del capo. Rimasi zitta, non sapendo cosa fare. Non avevo pensato a questo inconveniente, perché credevo che se ne sarebbe occupato Eduar.

C'era un lato positivo, però: Lund non era venuto a conoscenza della latitanza di Eduar. D'altronde, a Siderous era accaduto il caos. Gran parte dei Guardiani era deceduta, e anche il Custode aveva fatto una brutta fine. Forse dovevano ancora riunire le forze. Dovevamo usare questa informazione a nostro vantaggio. 

«Siamo le sue sottoposte» rispose Shyla. Il pensiero di essere una sottoposta di quell'odioso mi fece rabbrividire e mi provocò la nausea, che non potei nascondere con una leggera espressione di disgusto. Shyla la notò e mi diede una gomitata, ordinandomi silenziosamente di reggere il gioco. 

«Senza divise? E senza armi?» domandò il Custode, sospettoso. Eduar colpì lo zaino alle sue spalle. «Abbiamo tutto con noi, Lund. Che vuoi, una perquisizione?» chiese retoricamente, iniziando ad irritarsi. Era evidente che la pazienza lo stesse abbandonando a grande velocità.

Lund sospirò, poi posizionò una mano sulle porte dell'Ascensium. Vi apparì un cerchio magico il cui interno racchiudeva una forma di rombo piena di simboli. Il Custode provò, con la sua magia, a far roteare tale rombo, ma non accadde. Il cerchio magico sparì e Lund si arrese.

«L'Ascensium non vuole aprirsi. Significa che non siete stati autorizzati» spiegò, imperterrito. «Assurdo che il comandante di Siderous sia diventato un fuorilegge».

«Non funziona così, tu sei in grado di forzare il cerchio magico! Stai decidendo di non farci passare» esclamò Eduar, ormai visibilmente alterato.

«Non lo decido io, ma le regole» continuò il Custode, il tono di voce monocorde e il volto inespressivo. Eduar si passò una mano tra i capelli, indeciso sul da farsi.

A quel punto mi stancai di assistere a quella pantomima. Mi avvicinai, meno paziente di Eduar, e proposi: «Senti, se uccidiamo lui, l'Ascensium si sblocca, no?».

Finalmente un'espressione di sorpresa e timore attraversò il viso del Custode. Prima che lui potesse dire qualunque cosa, Eduar mi strattonò lontano, per evitare che ci sentisse discutere.

«Ma sei impazzita?» domandò. Severo come sempre.

«La diplomazia non ci porterà da nessuna parte!» sbottai.

«Dove sono finiti tutti i tuoi scrupoli? Se lo uccidi e si viene a sapere, a Somnium ci aspetteranno dozzine di truppe di Guardiani, visto che la loro seconda base si trova lì!» esclamò, cercando comunque di non farsi sentire. «E ci bloccheranno prima ancora di uscire all'Ascensium».

Non seppi cosa rispondere, così lui incalzò.
«I Guardiani di Somnium non sono al corrente della nostra posizione» continuò. «Il fatto che Lund sappia poco e niente ne è la prova. Non sanno se siamo vivi o morti, ed evidentemente Eris e le Bambole non li hanno informati. A Siderous sono morti quasi tutti a causa di Ybris, informazioni specifiche non sono ancora trapelate, ma se noi uccidiamo lui, rovineremo tutto».

Aveva senso. Ma perché Eris ci stava permettendo di andare avanti? Doveva pur esserci una fregatura.

Diedi un breve colpo sul petto di Eduar e ghignai. «Complimenti comandante, splendide capacità logico-deduttive. Mi sto ricredendo su di te» sussurrai, sarcastica. «Ma io non voglio veramente ucciderlo. Voglio che lo creda. Mi lasci fare, per una volta?».

Lui mi fissò un istante, dubbioso. Percepivo il suo timore che potessi combinare un guaio. Poi, però, i muscoli del suo viso si rilassarono e annuì. «Va bene. Non farmene pentire».

Ci riavvicinammo al Custode, che nel frattempo stava discutendo con Shyla. Rimaneva impiantato nella sua decisione di lasciarci marcire lì, anzi, minacciava di avvisare i Guardiani di Siderous o Somnium e farci arrestare, se non avessimo smesso di insistere.

«Allora, Lund» interruppi il suo monologo sulle regole, salvando le orecchie di Shyla. Pronunciai il suo nome con una punta di ironia. «Hai vinto, non siamo autorizzati. Ma ci sarà una soluzione. Dovrà pur esserci un modo per attivare l'Ascensium anche senza l'autorizzazione».

Il Custode mi rivolse uno sguardo truce, tentando comunque di non scomporsi. «Nessuna soluzione, se non ciò che è nella legge» disse.

Non mi feci abbattere dalle sue parole. «Impossibile. Eris ha pensato a tutto. Sono convinta che esista un'alternativa a ciò che dice la legge, altrimenti non c'è motivo per il quale tale legge venga rispettata». Il mio atteggiamento, con il busto piegato leggermente in avanti e le mani sui fianchi, mi conferiva un'aria sicura.

In realtà stavo solo improvvisando.

Lund schioccò la lingua sul palato, seccato. «E perché mai dovrei rivelarlo a voi?».

Si era tradito. Un modo c'era, avevo ragione io.

«Forse perché non ti piacerebbe essere ucciso da una Bambola» lo minacciai. Non appena pronunciai quelle parole, il Custode si irrigidì, mentre Shyla ed Eduar rimasero a bocca aperta.

«Tu? Una Bambola?» mi sbeffeggiò Lund, dopo un attimo di esitazione. «Mi avresti già ucciso».

Scossi la testa e mantenni un portamento tranquillo. «Ma non parlo di me» obiettai, scacciando l'aria con una mano, «parlo di Ybris, l'Orgoglio. Lo conosci?».

Lund sembrò paralizzarsi sul posto. Sapevo che le Bambole provocavano questo effetto alle Proiezioni, dovevo semplicemente sfruttarlo.

«Nessuno conosce le Bambole di persona. Solo i più sfortunati, e io non rientro tra questi» rispose. Manteneva la posizione composta, con le mani giunte nascoste dalle maniche del saio, ma dal tono di voce più acceso e dall'espressione meno apatica si capiva che l'argomento lo turbava.

«Che strano, eppure è passato a trovarci non molto tempo fa. Poco prima dell'alba, a essere precisi» dissi. «Non hai sentito le urla dei morti, stamattina?»

«Il mio compito non è proteggere il villaggio, ma l'Ascensium» ribatté, nonostante non avessi insinuato nulla in particolare. La conversazione iniziava a stufarmi.

«Ho capito. Senti, Lund, dimmi qual è il modo per sbloccare l'Ascensium e io non ti farò uccidere da Ybris» lo minacciai ancora.

Lui mi guardò come se fossi una pazza che stesse delirando. Un po' come io guardavo Ybris. «Stai bluffando, ragazzina. Una Bambola non seguirebbe mai gli ordini di una Proiezione».

Feci qualche passo verso di lui. Lo studiai con malizia. Percepii il suo corpo irrigidirsi sempre di più.

«E chi ti ha detto che io sia una Proiezione?».

Lund mi fissò. Avvertii tutto il timore che quelle parole dovettero infondergli. Poteva giocare con la fantasia: ne La Gabbia eri o una Proiezione o una Bambola. Non c'era spazio per altre forme di vita intelligente, secondo Eris. L'idea che io potessi essere un'umana non era contemplata. Quindi, se non fossi stata una Proiezione...

Immaginai come avrebbe reagito Ybris in quel momento. Allora annusai il Custode e mi leccai le labbra. Mi faceva schifo il pensiero di comportarmi da Bambola, ma dovevo andare fino in fondo o Eduar non si sarebbe più fidato di me.
Sfiorai il collo di Lund, come se fossi affamata, dopodiché fissai i suoi occhi blu. «Chissà qual è il tuo sapore» mormorai. «Però non mi piace fare il lavoro sporco. Quello lo lascerei a Ybris, così potrei gustarti con calma. Abbiamo smesso di essere ai piedi di Eris».

Smisi di toccarlo e mi allontanai. Mi morsi il labbro, perversa e maligna. Lund, ormai, era invaso dalla paura. Qualcosa del mio modo di espormi o del mio sguardo doveva essere stato abbastanza convincente.

«Allora, vuoi dirmelo o no? Come sblocchiamo l'Ascensium?» insistei.
Eduar mi guardò sospettoso, ma allo stesso tempo affascinato, mentre Shyla era sorpresa dalla mia capacità perfetta di mentire.

Il Custode si schiarì la gola, arreso al mio ricatto. «Un modo per sbloccarlo esiste, ma infrange il tabù di Lycoris» spiegò.

Un tabù... La Gabbia era piena di tabù.

«Cioè?» chiese Eduar.

«Potrò sbloccare l'Ascensium se mi porterete un fiore in particolare. Dovrete consegnarmi il giglio del ragno rosso del vostro lutto non superato».

Io e gli altri ci guardammo, confusi. Come avremmo adempiuto a questo compito, dato che equivaleva a morte certa?

«Non ho finito» continuò il Custode, vedendoci perplessi. «Il giglio in questione dovrà essere appassito. E questo può accadere solo in un caso».

Eduar scosse la testa, prevedendo Lund. «No...»
Quest'ultimo annuì. «Uccidendo il morto».

Un brivido di orrore pervase ogni cellula del mio corpo. Una terribile nausea mi provocò un'assurda voglia di rimettere. Rimasi immobile, intenta a guardarmi i piedi posati su quelle stupende foglie rosse. Rosse come il sangue di Clara quando l'avrei assassinata. Rosse come le mie mani quando avrei terminato il lavoro e infranto il tabù. No. Non potevo sopportare di avere il sangue di altre persone sulle mie mani, soprattutto quello di Clara.

Mi guardai intorno. Eduar aveva gli occhi spalancati, il viso che stava per contorcersi in un'espressione di puro dolore. Avrebbe dovuto uccidere sua madre? Dopo tutto quello che aveva appena affrontato?

«Che cosa?» la voce acuta di Shyla mi riportò per un attimo al presente. «Ma lo sa quanto risulti concreto l'incantesimo di Lycoris? Sembrerà di commettere un reale omicidio su persone vive, e persone care!».

Lund non mostrò compassione. «È per questo che si tratta di un tabù. Ma non temete: basta un solo giglio, perciò solamente uno di voi dovrà uccidere il proprio lutto. Dopo la sua morte, il rispettivo giglio appassirà. Sarà allora che lo coglierete e lo porterete da me. Inoltre, dovrete farlo poco prima dell'alba, quando il morto sta per andarsene, altrimenti non funzionerà».

Aveva spiegato tutto come se fosse la cosa più semplice del mondo. Forse, dentro di sé, stava godendo nel vederci così in difficoltà.

«Domattina, a quest'ora, portatemi un giglio appassito e io vi farò passare. Se entro il tempo stabilito non vi presenterete, avviserò i Guardiani» annunciò.

Nessuno fu capace di dire qualcosa. Eravamo allibiti e disgustati da tale accordo. Chi avrebbe mai voluto uccidere una persona cara? Non importava che fosse un incantesimo: l'effetto era quello di avere una persona viva di fronte a sé. Non avevamo nemmeno la folle motivazione di uccidere un nemico. Era l'ennesimo tentativo di Eris di giocare con i traumi altrui. Avrei dovuto uccidere una persona che avevo perso per sempre e a cui non avrei mai voluto fare del male. Una persona per cui provavo già un enorme senso di colpa.

Mi guardai le mani; le immaginai macchiate del sangue di Clara. Iniziarono a tremare, ma le bloccai stringendomi le braccia, come se mi stessi abbracciando da sola. Non potevo mostrarmi turbata, o la recita che avevo fatto prima fingendomi una Bambola non avrebbe avuto senso.

Scaricai la tensione e la frustrazione affondando le unghie nella carne. Provai a respirare di più, a prendere più aria, ma mi sembrava di non farcela.

Anche Eduar era immobile, i pugni stretti lungo i fianchi. Gli occhi lucidi minacciavano di straripare. Non lo avevo mai visto piangere, e non lo avrei visto nemmeno adesso. Sarebbe stato capace di ricacciare il magone indietro, conoscendolo.

Shyla si coprì la bocca con una mano. Lei, al contrario nostro, non fu in grado di trattenere una lacrima. Iniziò a tremare, immaginando ciò che sarebbe potuto accadere. Non aveva ancora incontrato, per fortuna, il suo lutto non superato, ma qualora fosse accaduto, come avrebbe reagito? E come potevamo pretendere che lo uccidesse?

Insomma... chi si sarebbe preso questa responsabilità, se al solo proposito di uccidere il nostro lutto stavamo in quel modo?

Lund notò il nostro stato d'animo. «Potete anche non accettare l'accordo e restare a Lycoris finché non vi catturano» propose, dato che non stavamo prendendo in mano la situazione. «Nessuno è mai riuscito a infrangere il tabù di Lycoris, non vedo perché dovreste farcela voi».

Ufficiale: detestavo quell'uomo. Aggiunto alla lunga lista di soggetti da odiare fino alla morte.

Io, Eduar e Shyla ci guardammo per un istante. Capimmo quanto fossimo turbati e afflitti per ciò che uno di noi avrebbe dovuto affrontare. Soprattuto Eduar. Osservò prima Shyla, poi me. Forse intuì tutta la mia angoscia. Mi squadrò per un momento che mi parve un'infinità, poi fissò Lund.

Fu allora che disse: «Accettiamo l'accordo. Lo farò io».

Shyla intervenne subito. «No. Se incontrerò il mio lutto, ti precederò» decise.

Eduar le lanciò un'occhiata intransigente. «Non dire sciocchezze. Il discorso è chiuso. Ho detto che lo farò io» sostenne, non ammettendo repliche. Shyla chiuse gli occhi, intristita. Avrebbe voluto che le cose avessero preso una strada diversa.

Eduar aveva appena rischiato di morire a causa di sua madre. Chissà quanta pena reggeva dentro di sé, la stessa pena che lo aveva condotto quasi alla morte. Io lo avevo visto arrendersi alla disperazione e lo avevo fermato per poco. Con quale forza avrebbe dovuto affrontare per l'ennesima volta la madre e superare l'incantesimo di Lycoris, infrangendone il tabù?

Voleva fare di nuovo tutto da solo. Ma la cosa ancora più brutta era che io non lo impedii. Non dissi niente, e mi sembrò di abbandonarlo al suo destino.

Sentii la sua mano toccarmi la spalla, come se volesse confortarmi. «Non preoccuparti» sussurrò. «Non ti farò uccidere nessuno, te lo prometto» mi rassicurò. Ma non mi guardò.

«Siete sicuri di accettare?» domandò Lund. Eduar rimase della sua posizione. «Domattina ti porteremo quello che hai chiesto. Fino ad allora, non avvertirai né i Guardiani, né nessun altro. Questa conversazione non è mai esistita».

Il Custode rivelò un sorriso di sfida. «Bene. Abbiamo un accordo, allora» disse.

Prima che ce ne andassimo, non mi trattenni dal fare un'ultima minaccia da Bambola. «Fai saltare l'accordo e salterà la tua testa a suon di morsi» sputai con rabbia.

Lund non mi rispose. Continuò a osservarci mentre ci allontanavamo dalla zona, sparendo poi nel bosco.

Ci lasciammo l'Ascensium alle spalle e tornammo indietro, avviluppati da un nodo stretto in gola, nel petto e nello stomaco. Voleva scioglierlo Eduar, questo nodo, grazie alla decisione risoluta che aveva appena preso.
Ma sarebbe davvero bastato? Non ne eravamo sicuri. Sapevamo, tuttavia, che dovevamo tenerci pronti per affrontare un ultimo, enorme sforzo di sofferenza.

Eduar più di tutti noi.

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