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Capitolo cinque

Il tempo sembrava non passare mai. Camminavo avanti e indietro, lungo tutto il perimetro della cella, in preda all'ansia e al nervosismo. Se avessi fallito, non avrei saputo cosa mi sarebbe potuto succedere. 

Quanto potevano essere brutte le punizioni del carcere di Siderous? Non riuscivo a immaginare qualcosa di più terribile di rimanere rinchiusa in quelle quattro mura, destinata a sentirmi in colpa per tutta la durata della prigionia, dimenticando persino il mio nome di battesimo e riducendomi a un misero numero. Ma quale altra punizione avrebbero potuto infliggere a un carcerato che avesse tentato di evadere? 

Non avevo alcuna intenzione di scoprirlo. Volevo solo che tutto andasse secondo i miei piani, ma ero più irrequieta che mai. In tutta la mia vita non avevo mai usato la violenza: non riuscivo nemmeno a uccidere un insetto senza provare disgusto, e non perché fossi animalista. Era l'idea di vedermi aggressiva con un'altra forma di vita che mi turbava. La violenza, la rabbia o l'aggressività non venivano mai associate a una come me. Mi sforzavo da tutta la vita a mantenere questo ruolo: la dolce e timida Monia, così tranquilla, così riservata, così indifesa.

Quelle caratteristiche, però, non mi avrebbero aiutata a evadere. Ero consapevole di dovermi allontanare da quella versione di me, se avessi voluto un'occasione per fuggire. Dovevo pensare il meno possibile al fatto che potessi fare del male a un'altra persona, e concentrarmi solo sull'evasione.

Quando sentii i passi del Guardiano di turno sempre più vicini, presi la forchetta da sotto il materasso e la infilai di nuovo dentro la manica. Vidi l'uomo, arrivato ormai alla fine del suo turno di guardia, controllare la cella di fronte alla mia, e notai che era lo stesso che mi aveva rimproverato alla mensa qualche ora prima. Terminò il controllo, dopodiché arrivò davanti alle mie sbarre. Deglutii e pregai che sarebbe andato tutto bene.

«Non mi sembri molto in forma, Proiezione 1056» esordì. Lo squadrai con un'occhiata giudicante. Portava i capelli corti rasati, la pelle sembrava essersi impallidita a causa del soggiorno a Siderous, e gli occhi neri mi fissavano con disprezzo misto a sarcasmo. 

In vita, sopra il ricamo color argento della divisa, teneva un mazzo di chiavi. Non sapevo quale fosse quella della mia cella, ma non mi importava di perdere qualche secondo a cercarla: dovevo agire senza esitazioni. Dovevo almeno provarci.

«Già...le conseguenze di Siderous si fanno sentire» dissi, in piedi, immobile al centro della stanza, le mani dietro la schiena. «In quanto tempo mi trasformerò in un involucro vuoto come tutti gli altri?»

«Molto poco» rispose, «ma non sarai vuota. Ci sarà il senso di colpa a farti compagnia».

Sembrava davvero godere della sorte che mi aspettava. «Come mai tutto questo astio nei confronti di una semplice prigioniera?» lo provocai, facendo qualche passo verso le sbarre.

Anche lui si avvicinò. «È naturale. Sei il nemico che Eris aveva predetto. È già tanto che nessuno ti abbia uccisa».

Eris. Ricordavo questo nome. Quando mi aveva interrogata, Eduar disse che lei aveva annunciato l'arrivo di un potente nemico. Era colpa sua se mi trovavo in quella situazione? O erano le Proiezioni di Siderous a essere così ottuse da non cercare nemmeno di capire quale fosse la verità? E soprattutto, chi era Eris e perché tutti credevano alle sue parole come se fossero delle parabole bibliche?

«Non avete nessuna prova,» ribattei. «Avete rinchiuso una persona innocente».

Il Guardiano si avvicinò di colpo alle sbarre, improvvisamente agitato. «Dove vuoi arrivare, eh? Dato che il comandante Eduar si è rifiutato di liberarti, vuoi cercare di convincere qualcun altro? Probabilmente non uscirai mai più da qui. Fattene una ragione, Proiezione 1056

È inimmaginabile la quantità d'odio che provai per il modo in cui mi chiamò, per il tono soddisfatto della sua voce. Se avessi permesso a questo sentimento di sopraffarmi, avrei cercato di ucciderlo, ma agendo di impulso lui avrebbe potuto usare l'arma che portava con sé -un aggeggio che mi parve simile a una pistola- e mi avrebbe sconfitta immediatamente. Dovevo prima distrarlo per poterlo rendere inoffensivo.

Rimasi a fissarlo per qualche secondo, per capire cosa dire e come non perdere il controllo. Poi lui si girò e fece per andarsene, ma lo bloccai.

«Aspetta» dissi, in un tono tanto disperato che mi detestai, ma non sapevo cos'altro fare.

Lui si fermò. Era vicinissimo alle sbarre ed era di spalle. Dovevo cogliere quella occasione.

«Cosa c'è, ancora?» si lamentò.

«Volevo chiederti scusa per come mi sono comportata durante la mensa» mentii. «Visto che dovrò rimanere qui per sempre, meglio non inimicarmi i Guardiani, no?»

Lo sentii ridacchiare. « Il comandante aveva ragione: dici di tutto pur di sembrare una ragazza tanto innocente».

Ignorai il suo riferimento al commento di Eduar. Non avevo il tempo di pensare a quell'odioso che sembrava un demone e che mi aveva lasciata a marcire qui. Feci ancora un passo in avanti, impugnando la forchetta. «Ti chiedo scusa anche per questo...»

«Cosa?»

Non gli diedi il tempo di voltarsi verso di me. In punta di piedi, attraversando gli spazi tra le sbarre, con la mano sinistra gli circondai la gola e lo spinsi contro di esse, con la mano destra conficcai la forchetta al lato del collo. Con tutta la forza che avevo usai la posata come un pugnale, colpendolo più e più volte.

Il Guardiano gridò per il dolore. Si portò una mano sul punto in cui lo colpii. Gli stava uscendo più sangue di quanto avessi immaginato.

Gli sfilai l'arma e gli strappai il mazzo di chiavi dalla vita, per poi spingerlo contro la cella di fronte. Lui si accasciò, premendosi ancora il collo. Forse avevo colpito un punto vitale. «Ho bisogno di rinforzi!» urlò.

Dovevo sbrigarmi, o non avrei più potuto scappare. Con le mani tremanti esaminai il mazzo di chiavi. Erano tutte uguali, ma ognuna aveva inciso un numero sull'impugnatura.

Trovai quella segnata con 1056, il numero con cui quel Guardiano si era rivolto a me. La infilai nella serratura e, per fortuna, ci avevo azzeccato. Uscii dalla cella tenendo la pistola e puntandola contro il Guardiano, che stava provando ad alzarsi da terra.

«Non muoverti o sparo!» esclamai. Ero molto scossa. Le mie mani erano sporche del sangue di quell'uomo, e per la prima volta in vita mia impugnavo un' arma.

Il Guardiano mi fissava sconvolto e implorante, ma non potevo perdere altro tempo lì con lui. Non vidi altra soluzione, se non quella di bloccarlo lì. Non avevo scelta. Avrebbe potuto rialzarsi e inseguirmi per poi uccidermi. Non dovevo correre rischi.

Chiusi gli occhi quando gli sparai un colpo alla gamba. Le sue urla mi inondarono la testa. Il sangue riempì il pavimento macchiandomi le scarpe.

Tremante e con la mente annebbiata per ciò che avevo appena fatto, iniziai a correre senza voltarmi indietro. Ignorai le urla del Guardiano ferito a causa mia, ignorai le preghiere degli altri carcerati che mi imploravano di liberarli, ignorai il suono di un allarme che si propagò ovunque. 

Probabilmente lasciavo tracce di sangue lungo il pavimento, ma persi la lucidità per preoccuparmene. Nella mia mente divenne tutto caos. 

«Prendetela! Non lasciatela scappare per nessun motivo!» sentii alle mie spalle. Stavano arrivando i rinforzi: erano almeno quattro i Guardiani che mi stavano inseguendo.

Cercai di accelerare sempre di più, attraversando i corridoi della centrale. Purtroppo, però, quel maledetto edificio in ferro sembrava un labirinto. Le pareti, il pavimento, ogni cosa era uguale a un'altra, e mi parve di star girando in tondo. Nonostante tutto continuai a correre, arrivando alla rampa di scale che portava all'atrio del piano di sotto, ma forse la mia fuga terminava lì.

Dalle scale arrivarono altri Guardiani. Mi ritrovai circondata, tra quelli che mi stavano inseguendo e quelli che stavano arrivando dal piano superiore e inferiore attraverso le scale. Commisi l'errore di bloccarmi. Instabile e impaurita, puntai la pistola contro chi mi capitava a tiro, voltandomi più e più volte.

«Non fate un altro passo, o sparo a tutti voi!» li minacciai. La voce non mi parve nemmeno mia. 

Anche loro tenevano le loro armi puntate contro di me. E la sensazione che mi provocava era un terrore così viscerale da farmi perdere ogni barlume di lucidità. Un'istinto di sopravvivenza che non avevo mai provato, e che fu così forte da trasformarmi in una persona che non avevo mai conosciuto. 

Ma il terrore mi fermò i polmoni ancora più violentemente quando sentii un Guardiano gridare a un suo sottoposto: «Sparale!»

«Ma signore, il comandante...»

«Non me ne frega un cazzo del comandante, è armata! E ha aggredito uno di noi! Sparale e bloccala!»

Il mio respiro si smorzò. Non ebbi il tempo di premere il grilletto, che il rumore dello sparo del Guardiano riempì l'aria. Chiusi gli occhi e non riuscii a respirare. L'arma mi cadde dalle mani, tremanti e molli.

Ma poi non sentii nessuna parte del corpo che facesse male. Riaprii gli occhi, e non vidi alcuna ferita. L'unico sangue che mi copriva le mani, le maniche della divisa e le scarpe era quello del Guardiano a cui avevo sparato. Com'era possibile?

Alzai lentamente lo sguardo e rimasi sconvolta. Un Guardiano si era posto tra me e il proiettile. Davanti a me, le sue spalle possenti mi coprivano la visuale. Ma mi fu impossibile non riconoscere il suo odore, i suoi capelli neri e la sua corporatura robusta...e questo mi scioccò ancora di più.

Gli altri Guardiani lo fissavano increduli, spaesati e colpevoli. Abbassarono tutti la loro arma.

«Comandante...» esitò quello che mi aveva sparato.

«Avevo ordinato di non ferirla» tuonò. La sua voce calda fu così dura e ferma da far rabbrividire. «Ma vedo che non vi piace seguire gli ordini».

«Comandante» balbettò colui che aveva dato l'ordine di spararmi, «non c'era altro modo. Quella ragazza è incontrollabile e pericolosa, ha ferito a morte uno dei nostri. Doveva essere fermata»

«C'è sempre un modo per agire seguendo gli ordini del tuo superiore» ribatté il comandante, deciso. «Non averlo trovato è solo la prova della tua incompetenza».

Cadde un silenzio pregno di vergogna e frustrazione tra i Guardiani. Alcuni abbassarono la testa, altri si guardarono tra loro, come se fossero stati complici dello stesso crimine.

«Ora andatevene. Sono in grado di occuparmi da solo del vostro casino»

«Ma, signore... sta sanguinando, forse dovrebbe-» si interruppe.

L'impeto con cui Eduar si avvicinò al Guardiano che stava osando opporsi fece irrigidire tutti i presenti. «Hai ancora intenzione di disubbidirmi?» sbraitò. Il Guardiano si fece minuscolo al suo cospetto, e abbassò lo sguardo. «No, signore».

«Bene. Adesso sparite» comandò. Nessuno osò più fiatare: se ne andarono tutti in silenzio, sconfitti. Una volta rimasti soli, io avrei avuto l'opportunità di scappare, ma non riuscii a muovermi.

Quando Eduar finalmente mi guardò, mi pietrificò sul posto. I suoi occhi cremisi erano pervasi d'odio. Il viso era contratto dalla rabbia. Tutto di lui gli conferiva un'aria talmente spaventosa che io non fui capace di riprendere in mano l'arma, ferirlo e scappare via.

Fece qualche passo verso di me. «E dire che ero pure tornato a prenderti in anticipo» disse, smorzando la rabbia con il suo solito atteggiamento pungente.

Sbarrai gli occhi quando misi a fuoco il suo braccio destro che non finiva di sanguinare. Aveva preso il proiettile al posto mio, era ferito, eppure non aveva mostrato il minimo dolore.

«Vuoi farmi credere che saresti venuto a liberarmi?» chiesi in un soffio.

Eduar si fermò a un palmo da me. «Già. Ma forse ho commesso un errore».

In un battito di ciglia mi fece voltare, e con il braccio sinistro mi circondò il collo. Avevo paura volesse soffocarmi.

«Che cosa hai intenzione di fare?» domandai, la voce che usciva a malapena.
Sentii il suo respiro riscaldarmi l'orecchio. «Devo rendermi abbastanza credibile» sussurrò.

Mi punse il fianco con una siringa, iniettando il liquido contenuto al suo interno.
Senza che me ne rendessi conto, la vista iniziò ad annebbiarsi, e sentii i muscoli cedere.
L'ultima cosa che percepii fu la sua voce. «Buonanotte, Monia» disse. 
Poi, il buio.



S|A 🌸

Eccoci quaa! Come state? Spero bene.

Questo capitolo è stato difficile da scrivere, perché non sono per niente abituata a descrivere scene di lotta! Ma spero di aver fatto comunque un lavoro decente.

Dovevate vedermi sclerare quando scrivevo il momento in cui è intervenuto Eduar... 

Ma tornando a noi, secondo voi gli sforzi di Monia saranno vani? L'obiettivo di Eduar era di aiutarla davvero? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

Intanto, se la storia vi sta piacendo, mi farebbe molto piacere se la votaste/commentaste. Il vostro feedback è molto importante per me!❤️

Vi mando un forte abbraccio,
Tinì.

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