Capitolo 4 - Nuovi incontri
Oggi sono particolarmente in anticipo, essendomi addormentata presto ieri sera. Arrivata nella via dell'accademia decido di fermarmi a fare colazione in un piccolo bar, che tra l'altro è pieno di studenti assonnati, in cui noto una certa somiglianza alla sottoscritta.
Sono sempre di pessimo umore la mattina, che io dorma sei o dieci ore non fa differenza: mi si adirebbe il letargo come perfetto stile di vita.
Mi accomodo a un tavolo fuori, di quelli che adoro con gli sgabelli più alti. Riesco sempre a salirci con fatica, a causa della mia altezza pari a una bambina delle elementari, ma il caffè da quassù sembra avere un sapore migliore.
Addento il mio cornetto al cioccolato davanti a un cappuccino schiumoso e fumante.
«Se facessi colazione con te?»
Alzo lo sguardo di scatto, troppo presa dal mio cornetto caldo, trovandomi davanti quel viso conosciuto del ragazzo visto in metro.
«Scusa, non volevo spaventarti. Siamo nello stesso corso di fotografia e volevo presentarmi. Piacere, sono Leonardo.» Si presenta.
Ecco perché mi sembrava di conoscerlo.
«Sofia, piacere mio. Mi sembrava di averti già visto» dico un po' agitata, mentre gli stringo la mano.
La sua stretta decisa provoca un leggero brivido che mi percorre la schiena.
«Sono nel tuo corso e scendo in metro alla tua stessa fermata. Non sono un assassino, tranquilla.»
Sorrido e lo guardo: ha gli occhi di un verde smeraldo che danno luce al suo viso, grandi e profondi. I capelli lunghi cadono scompigliati sul suo viso, in cui noto alcuni segni, probabilmente provenienti dalla barba appena fatta, e l'assenza di essa gli dona un'aria sensuale.
Ha notato che lo sto fissando con aria imbambolata, perciò torno a concentrarmi sulla mia colazione, mentre lui si accomoda all'altro lato del tavolo.
Da quando le persone decidono di unirsi a me?
Probabilmente non c'erano altri posti, ma non che la sua compagnia mi dispiaccia.
Leonardo rimane al mio fianco nel breve tragitto verso l'accademia, finché all'entrata Ilaria mi viene incontro e lui sparisce nei corridoi, facendo un cenno di saluto verso di me.
«Sofia, chi era quel bel tenebroso?» chiede la mora, mentre si materializza al mio fianco.
«Oh, si chiama Leonardo, è del nostro corso e mi ha fatto compagnia al bar. Non lo conoscevo fino a quindici minuti fa.»
«Mmh, allora non è così asociale come sembra.»
«Non saprei...» Mi sento lievemente in imbarazzo a parlare di lui, dato che non lo conosco nemmeno.
«Va bene, va bene, andiamo.»
Entrando in classe lo rivedo, seduto nell'ultima fila e intento a scrivere non so cosa.
Raggiungo il solito posto di fianco a Ilaria e, in attesa del professore, faccio un salto su Facebook, in cui non trovo nulla di interessante. Ormai sono sempre le solite buffonate.
«Buongiorno a tutti, ragazzi!» Ludicoli sfodera il suo miglior sorriso e la classe ricambia il saluto. Se avessi anche solo la metà della sua energia, al mattino, sarei una persona più felice. «Allora, oggi vorrei parlarvi del vostro primo progetto di gruppo. Il tema sarà libero, dovrete semplicemente presentare dieci fotografie di dieci stili differenti. Saranno quindi due foto a testa, in gruppi di cinque. Ovviamente dovranno avere un collegamento descrittivo tra loro, creando una piccola storia fotografica. Il vostro primo voto si baserà su questo lavoro» spiega, d'un fiato.
«Possiamo scegliere noi i gruppi?» chiede una ragazza, in fondo alla classe. Mi pare si chiami Laura e sembra la classica persona che passa ore interminabili a studiare.
«No, li sorteggio io. Laura, tu unisciti pure a Sofia, Ilaria, Marco e... tu, lì in fondo! Come ti chiami?» chiede il professore, rivolgendosi al ragazzo.
«Leonardo...» risponde lui, titubante.
«Bene, sei il quinto. Iniziate pure quando volete, avete una settimana di tempo per completarlo.»
Mentre i gruppi continuano a crearsi, Ilaria sorride contenta del gruppo, o forse dei due bei ragazzi che abbiamo con noi.
Alla fine dell'ora raggiungiamo un accordo: usciremo insieme per iniziare a fotografare.
Leonardo si siede al mio fianco, come se si sentisse intimidito dagli altri, rispondendo alle proposte solo con accenni alle sue preferenze di genere.
Un'ora dopo raggiungiamo il Sempione, che ho sempre ammirato tramite fotografie trovate in rete. Il parco è vasto, zeppo di tigli voluminosi che iniziano a prendere i primi colori aranciati dell'autunno, piccoli laghetti in cui storni e rondini di passaggio si fermano a dissetarsi e distese di margherite che io tanto adoro. Respiro a fondo, godendomi il profumo dell'aria pulita, naturale e ascoltando il suono della pace.
Decidiamo di sederci in un piccolo chiosco con i tavoli all'ombra, ordinando qualcosa da bere.
Ilaria sembra aver preso confidenza con il gruppo, d'altra parte lei non fa fatica. Anche se timida inizialmente, è, in realtà, molto socievole.
Marco sembra il classico ragazzo elegante e attento ai dettagli: minuto, alto, i capelli castani rasati ai lati e corti, con una barba lunga, bruna e curata. Indossa dei jeans sbiaditi e una camicia di un blu elettrico a tinta unita, di cui apprezzo il colore.
Laura, invece, è molto timida, ma di una bellezza naturale che risalta da sé: poco più alta di me, bionda platino e con occhi azzurri, indossa dei jeans classici e una felpa viola pastello. Non vuole mettersi in mostra, ma si fa notare senza nemmeno accorgersene. Da un certo punto di vista sembriamo simili, è abbastanza introversa.
Leonardo non parla molto, non credo per timidezza, ma chiuso per carattere. È lì, seduto a bere la sua cola, che ascolta ciò che diciamo, ma le sue risposte sono brevi e sbrigative. Devo ammettere che la sua particolarità mi incuriosisce.
«Tanto per cominciare, dovremmo pensare a un titolo per il nostro progetto. Cosa vogliamo rappresentare?» chiedo al gruppo. Loro si guardano attorno, pensanti.
«Verde...» azzarda Leonardo, a bassa voce.
Lo guardiamo interrogativi, cercando di capire a cosa si riferisca.
«Il professore ha detto che il tema è libero, quindi possiamo scegliere un colore e scattare dieci foto che lo contengano. Siamo in un parco e abbiamo vari spunti, basta guardarsi bene attorno...» spiega.
Inizialmente ci ha lasciati interdetti con la sua riflessione. Non parla molto, ma quando meno ce lo si aspetta giunge dritto al punto.
«È un'idea perfetta!» esclamo, un po' troppo entusiasta, mentre gli altri mi guardano straniti. Ne sono quasi colpita persino io, ma i lavori di gruppo tirano sempre fuori la poca parte euforica di me.
«Quindi, come ci dividiamo i compiti?» riprende Laura.
«Dato che ci sono dieci generi da scegliere, io valuterei quelli che piacciono a ognuno di noi, poi decidiamo insieme. Leonardo, dato che hai trovato l'idea, direi che ti puoi occupare delle due fotografie di astratto e still life, se vuoi» afferma Marco.
«Era quello che volevo.» Sul suo volto finalmente noto un sorriso accennato.
Noi quattro, dopo aver discusso delle nostre preferenze fotografiche, abbiamo deciso che Marco si occuperà della paesaggistica e del macro, Ilaria della fotografia di strada e, conoscendo varie modelle, fotograferà una di loro, mentre Laura si occuperà dell'urban e del cibo.
Con mio grandissimo piacere, io mi occuperò di architettura e minimalismo, anche se sono un po' preoccupata: dove lo trovo un palazzo verde? Spero di non dovermi strappare i capelli per scovarlo.
«Ehi, Sofia! Sorridi!»
Mi giro verso destra e trovo Ilaria, con la macchina fotografica rivolta verso di me, intenta a scattarmi fotografie a raffica. Probabilmente avrò espressioni degne di una mostra dell'orrore.
«Ilaria, non sono una delle tue modelle! Attenta che rischi di rompere le lenti con la mia faccia» ironizzo.
«Ma smettila!» esclama, girandosi verso l'antico castello che ci troviamo davanti.
Dopo quattro ore passate a passeggiare, tra uno scatto e l'altro lungo il parco, il mio stomaco inizia a brontolare.
«Ragazzi, che ne pensate se andiamo a mangiare qualcosa da Mc Donald's qui fuori? Ho un certo languorino!» chiedo agli altri, che corrono verso di me come bambini. Lo prendo come un sì.
Non mangio spesso da Mc Donald's, preferisco una sana pizza, ma le schifezze sono sempre buone, in ogni luogo.
Il mio amore verso il cibo spazzatura è spropositato. Se vivessi in America, piena di fast food, peserei almeno cento chili e dal mio portafoglio uscirebbero solamente farfalle.
«Io nel frattempo vado a sedermi, ci portano le ordinazioni al tavolo se inserite nella schermata il numero trentasei» dico, dirigendomi verso il tavolo più spazioso che trovo.
Leonardo si avvicina, già con il suo vassoio pieno di patatine e pollo in mano e mi chiedo che ordine seguano nel preparare da mangiare, dato che ho ordinato prima di lui.
Si siede di fronte a me, che diventi un'abitudine?
«Come fai ad avere già tutto se hai ordinato dopo di me? Non è giusto...» affermo, affamata. Lo vedo sorridere e fissarmi scuotendo la testa. So di sembrare una bambina viziata, ma quando si tratta di cibo, per me, è come parlare di oro.
«Sai che se non ordini al tavolo e aspetti te lo danno quasi subito?» controbatte lui.
«Non c'è altra spiegazione, ma la mia voglia di poltrire ha vinto il dibattito.»
«Potresti anche aspettarci a mangiare!» tuona Ilaria.
«Non è colpa mia se siete troppo pigri per aspettare due minuti in piedi.» risponde il moro, a tono, mentre si concentra nuovamente sulle sue alette di pollo.
Finalmente, dopo ben dieci minuti di interminabile attesa, arrivano i nostri vassoi, con il mio Gran Crispy Mc Bacon, compagno dei miei più bei sogni a occhi aperti dell'ultima ora.
Mentre mangiamo tutto tace e noto, ogni tanto, Leonardo guardarmi di sfuggita, forse convinto che io non lo veda. Magari è una mia impressione ed è solo attratto dal modo strano in cui, una ragazza, si abbuffa come se non mangiasse da anni, ma d'altra parte il galateo non ha mai fatto per me. Di certo, non sono stata creata per fare colpo a una cenetta romantica per due.
Quando il fast food inizia a riempirsi di ragazzini urlanti, vestiti tutti uguali come dei rapper di quarto ordine, decidiamo che è giunta l'ora di rientrare ognuno a casa propria. Quasi mi dispiace: sarà la natura, o le battute pessime di Ilaria, ma la loro compagnia è stranamente piacevole.
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