Capitolo 29 - Incertezze
Chiudermi la porta alle spalle senza cercare di convincere Leonardo a rimanere soli è stata un'ardua impresa. Il desiderio di averlo, di fondere i nostri corpi e scoprirsi, per un attimo ha avuto la meglio sulla ragione.
Tutti descrivono la loro prima volta d'amore come un momento meraviglioso, da vivere con la persona che si ama, perciò io ho pensato bene di chiudermi in camera con lui, senza ancora sapere cosa siamo in realtà. Credo di aver perso qualche rotella lungo il tragitto Milano - Venezia, altrimenti la questione non si spiega.
L'aria gelida della laguna ci accompagna fino al locale scelto dalla coppietta piena di vita, che sembra stranamente un bar tranquillo di quartiere. Finché non sento della musica che spacca i timpani, la serata può solo che andare bene.
Ci accoglie una piccola insegna che porta il nome del locale. Il P.s. I love my coffee ha un corridoio all'entrata, illuminato da una flebile luce blu, che porta a tre piccole salette piene di tavolini accompagnati a divanetti in pelle. Le luci rimangono soffuse, ma cambiano colore con lentezza. I giovani da cui siamo circondati sorseggiano i loro drink, godendosi la musica soft in sottofondo e sgranocchiando qualche patatina. Prendiamo posto in uno dei tavoli liberi nella saletta in mezzo, da cui si intravede il bancone bianco del bar e qualche cameriere intento a preparare bevande.
«Come promesso, un bar noioso per piccioncini noiosi!» Ironizza Ilaria.
Leonardo la guarda, alzando un sopracciglio. «Ti assicuro che non siamo poi così noiosi, solo che amiamo i posti tranquilli» afferma, facendole l'occhiolino, per poi girarsi verso di me e lasciarmi uno di quei sorrisi da togliere il fiato. Ecco perché il mio cervello prende volontà propria.
«Beh, tranquilli o meno, tu e Marco andate a ordinare un bel drink per tutti, intanto!» esclama lei, tentando di imitare il gatto con gli stivali quando apre i suoi dolci occhioni.
«Come mai ci hai messo così tanto a prepararti?» Mi chiede con aria maliziosa quando i due si allontanano.
«Come mai non mi sorprende questa domanda da parte tua?» Chiedo retorica, tentando di sviare il discorso. Lei fa per rispondere, quando sento una lunga vibrazione provenire dalla borsetta. «Oh, sono i miei genitori. Scusa, devo rispondere.»
Mi alzo, lasciandola nel suo brodo.
«Tanto torniamo comunque in hotel insieme. Non la scampi, bella!»
Una chiamata di mia madre alle dieci e mezza di sera mi preoccupa di più, al momento. «Pronto, mamma?»
«Tesoro, sei viva! Ti pare il modo?» esclama Jessica, lacerandomi un timpano, già indebolito dalla voce squillante di Ilaria.
«Perché?» chiedo, confusa.
«Ti ho mandato cinque messaggi su Whatsapp e non hai risposto neanche a uno. Ho pensato al peggio!» esclama, apprensiva. Sposto lievemente il cellulare dall'orecchio per guardare lo schermo e noto la connessione a internet staccata.
«Oh, mi sono appena accorta di non avere connessione. Scusa, ma potevi chiamarmi anche prima invece di riempirmi di note vocali!» Dico. «Mi stanno arrivando tutte adesso. Ti ha insegnato papà a mandarle?»
«Quali note vocali?» chiede lei.
Mi porto la mano alla fronte, curiosa di sapere cosa ha registrato; lei e la tecnologia non andranno mai d'accordo. «Lascia perdere. Comunque ora stai tranquilla, sto bene e sono in un bar con altre persone» la informo.
«Con chi sei? Non sarai mica uscita con degli sconosciuti!»
«Mamma, sono maggiorenne da qualche anno, sai? Sono con degli amici di corso.» La sento sospirare. «Voi come state? Papà?» chiedo. Da lei non manca il buongiorno ogni mattina, mentre papà non lo sento mai.
«Ciao bambina!» Sento esclamare in lontananza, attraverso la chiamata. Sorrido.
«Come avrai sentito è vivo e immerso nel suo lavoro» mi informa. «Quando torni a Milano? Io e Claudio pensavamo di venire a trovarti questo fine settimana.»
«Torno fra tre giorni e sì, sarebbe fantastico!» esclamo.
«Perfetto, allora ci organizziamo per sabato... a patto che ci porti un souvenir da Venezia! Non eri ancora nata quando io e papà l'abbiamo visitata, chissà se è ancora come trent'anni fa.» Intuisco un velo di malinconia nella sua voce.
«Non mancheranno le calamite, tranquilla» affermo dolcemente.
«Dai, ti lascio con i tuoi amici. Non farmi più preoccupare!»
«Tranquilla. Ciao, mamma.»
Chiudo la chiamata, contenta della notizia per la loro visita e sperando di avere abbastanza tempo per rendere la casa presentabile al mio ritorno. Ma a questo penserò tra qualche giorno, per questa sera voglio godermi la compagnia.
«Eccoti, per poco ti venivo a cercare» mi accoglie Leonardo, ironico, quando torno a sedermi.
«Scusate, era mia madre al telefono. Da quando mi sono trasferita non passa un giorno senza stare in ansia» dico, accennando un sorriso, mentre Ilaria mi guarda ancora di traverso. Faccio finta di non notarla e assaggio un sorso del mio drink; il dolce sapore fruttato mi inebria il palato, ricordandomi vagamente l'estate.
«Giusto, tu vieni da fuori. Ma in questi mesi non sono riuscito a riconoscere il tuo accento, di dov'è che sei?» domanda Marco. Ora che ci penso, non credo di aver mai parlato con nessuno della mia provenienza. Il mio scarso dialetto Romano, come sempre, non lascia intendere nulla.
«Da un piccolo paesino in provincia di Roma.»
«Caspita, non si direbbe. Roma è enorme, io sarei rimasta lì; c'è tutto!» esclama Ilaria.
«Infatti sono di provincia e a circa quaranta chilometri dalla capitale, non ci mettevo mai piede se non per fotografare. Ma in paese i mezzi pubblici scarseggiano, non è come la città» preciso.
«Tornerai a casa quando avrai concluso gli studi, immagino. Devono mancarti i tuoi» sospira Ilaria, con aria triste.
«Non... non ho mai pensato a questo, in effetti.»
Da quando studio a Milano, la mia vita ha avuto una notevole svolta positiva. Non ho mai pensato alla probabilità di dover tornare al mio paese di origine una volta conclusa l'accademia e se penso alla persona che ero prima di conoscere i ragazzi, di vivere da sola, il pensiero di andare via da qui mi spezza il cuore. Ma so anche che rimanendo, probabilmente, i miei genitori non sarebbero entusiasti.
«Scusa la domanda, non so nemmeno come mi è venuto in mente di chiedertelo ora. Siamo solo all'inizio del primo anno!» esclama lei, tentando di recuperare il clima gioioso di poco prima, ottenendo scarsi risultati.
Leonardo tiene lo sguardo basso e fisso sul suo bicchiere, mentre i discorsi tra di noi continuano, parlando del più e del meno. Sembra quasi essersi isolato, così gli tendo la mano e stringo la sua, chiedendogli con lo sguardo cosa non va. Sembra capire al volo la mia preoccupazione, lasciandomi un'occhiata dolce e accarezzandomi lievemente le dita, ma non convincendomi.
Il locale è ormai in chiusura, siamo rimasti solo noi e una coppia di ragazze. «Che dite, ci avviamo verso l'hotel?» propongo.
«Beh, voi vi avviate verso l'hotel, se volete. Noi andiamo a ballare!» esclama Ilaria, fomentata.
«Come vi pare, poi domani mattina non lamentarti se ti butto giù dal letto!»
«Non ti preoccupare, sarò pronta ad ascoltare tutto ciò che mi nascondi» mi sussurra con aria maliziosa.
Ci dividiamo all'uscita, quando io e Leonardo imbocchiamo la strada per il ritorno. Il suo silenzio improvviso mi preoccupa e non riesco a non chiedermi cosa sia cambiato da un momento all'altro.
«Cosa c'è che non va?» chiedo dolce, mentre lo guardo negli occhi. Odio quando quelle due meravigliose pozze verdi, in cui solitamente mi perdo, non luccicano. L'ultima volta che l'ho visto giù di morale non mi attendevano buone notizie.
Mi accarezza il viso dolcemente, per poi lasciarmi un bacio sulla fronte, rimanendo a pochi centimetri dal mio viso. «Ho solo paura del futuro, al momento» ammette.
«In che senso?»
«Prima, quando stavate parlando del tuo paese e del ritorno, ho iniziato a pensare a quando te ne andrai, perché so che lo farai... e mi sono tornati in mente momenti del mio passato, di cui ti avevo accennato, che non voglio rivivere. Non con te.»
La sua risposta mi colpisce come un morso allo stomaco, inaspettata. «Non è detto che me ne andrò» affermo.
«Hai la tua famiglia che ti aspetta, non devi giustificarti» sospira. «Eppure, ti rapirei volentieri per tenerti con me.»
«Leo, fino a qualche ora fa non ricordavo nemmeno di avere una casa al di fuori di Milano. Ormai mi sono ambientata, ho conosciuto delle persone fantastiche e poi, beh, poi ci sei tu. Non so cosa farò tra due anni, non so nemmeno se tra due giorni tu starai ancora con me, perciò non posso prometterti nulla. Che poi non so nemmeno cosa siamo, noi e la mia testa è già piena di punti interrogativi senza pensare a cosa accadrà. Magari sarai proprio tu ad andare via, non puoi saperlo» affermo di getto, confusa.
Sono sull'orlo del pianto, non so per quale delle tante sensazioni contrastanti che provo. Lui si avvicina, baciandomi con un trasporto tale che provoca la prima lacrima. Mi asciuga il viso, staccandosi lievemente dalle mie labbra; ha l'insano potere di placare i miei pensieri negativi e ciò, oltre a rendermi estremamente rilassata, quasi mi spaventa.
«Lascio decidere a te cosa siamo noi due, allora» sospira, sorridendo lievemente. «Vuoi stare con me?»
Sorrido. «Certo che lo voglio. Ma, al contrario, non voglio farti del male, dirti di sì senza poter promettere nulla» affermo. «Hai già avuto molte delusioni e io non...»
«Finché resti al mio fianco, non c'è alcun pericolo. Se mi dovrò accontentare di soli due anni, lo farò, sperando di trovare un compromesso nel frattempo. Non ho mai desiderato qualcuno come desidero te, Sofia» dice, con gli occhi lucidi. «Dammi pure dell'egoista, se vuoi, ma ti voglio con me.»
Mi avvento sulle sue labbra, assaporandole in un bacio pieno di emozione. Non posso esprimere false promesse su un futuro ancora ignoto, ma una cosa ormai è certa: le sue carezze, le sue braccia, sanno di casa.
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