Capitolo 17 - Ricordi insistenti
Leonardo
Fisso la fotografia in prima pagina che la ritrae mentre indossa un camice lungo e bianco, affiancata da un uomo di mezza età. Probabilmente è un suo professore, dato che sorridono davanti all'ospedale Maggiore di Milano, sotto a un titolo in evidenza che mi conferma si tratti di lei.
"Il professor Cocconi e Chiara, intitolata miglior studentessa di medicina degli ultimi dieci anni a Torino. Si è appena aggiudicata il tirocinio in uno dei migliori ospedali d'Italia, a Milano."
"Chiara inizierà il suo percorso all'ospedale Maggiore, nella sua città natale. Si è trasferita a Torino per iniziare i suoi studi e merita di tornare a casa, a godersi la famiglia e il suo primo tirocinio in piena libertà. Dopo tutto, una studentessa con la media del trenta in ogni esame se lo merita." Leggo.
L'articolo si dilunga a pagina otto del quotidiano, occupandone mezza. Lo chiudo indispettito; non mi interessa sapere altro. L'ultima persona che voglio ricordare torna in città, avrei dovuto immaginarlo. Come se averla costantemente in testa a disturbare la mia quotidianità non bastasse.
In questo anno di solitudine non mi ha dato tregua. Il suo viso angelico e infernale al tempo stesso mi ha rubato il cervello e la libertà di scegliere, amare, ricominciare. È come se una parte di me si aspettasse ancora una valida spiegazione da parte sua. Come se avesse inciso il mio cuore dimenticandosi i punti di sutura.
Stringo i pugni con forza, cercando di respirare per resistere alla tentazione di non sfogarmi contro il muro.
***
Ho preso alla lettera le parole del capo non andando a lavoro; è uno di quei giorni in cui i pensieri sono più forti delle azioni e avrei combinato solo danni. L'unica compagnia di cui voglio godere oggi è una panchina isolata dal mondo, in questo parco che se fosse una persona mi conoscerebbe più delle mie tasche.
Il vento gelido mi accarezza il viso; sembra quasi voglia aiutarmi a respirare. Attorno a me ci sono solo alberi ormai spogli e altalene arrugginite mosse appena dall'aria. Tutto sembra in linea con il mio umore grigio. Dentro di me sento una grande confusione, al momento.
I ricordi riaffiorano uno per uno senza chiedere il permesso, pungenti ora più che mai. Rivivo alcuni momenti lontani, impressi nella mente come se fossero indelebili.
"Cosa ci fa un bel tenebroso come te in un posto come questo?" mi volto leggermente verso destra attratto da una voce sensuale, tremendamente vicina al mio orecchio. È la ragazza che vedo ogni mattina al Rock 'N Roll caffè, solitamente affiancata dalle sue amiche. I suoi capelli lunghi e biondi sono alterati dal rosa delle luci del pub e i suoi occhi risultano spenti a causa della scarsa illuminazione.
"Si gode una birra. Ne vuoi una?" Le chiedo.
Accetta, accomodandosi nello sgabello accanto al mio e raccontandomi della sua giornata intrisa di studio. Per la prima volta nella vita provo reale interesse nel conversare con una ragazza, ascoltando ogni minima parola. Non smette più di chiacchierare; la sua spensieratezza nell'aprirsi con un barista sconosciuto mi destabilizza. La sua sicurezza nel modo di porsi e nel porgermi, infine, il suo numero di telefono scritto sull'etichetta staccata dalla birra due secondi prima, mi lascia senza parole.
"Non ti hanno insegnato a fare attenzione con gli sconosciuti? Potrei essere un assassino" chiedo, stranito.
"Mi chiamo Chiara, tu?" Domanda, a sua volta.
"Leonardo."
"Piacere. Ora non sei più uno sconosciuto" ammicca.
Rimango stupito, mentre tengo il suo numero tra le mani e lei si allontana con il mio cuore tra le sue.
Maledico quella sera di due anni fa in cui dovevo rimanere a casa piazzato davanti al televisore, ma sotto insistenza di Giulia sono uscito dalla mia caverna. Se non la avessi ascoltata, non sarei qui a immaginare l'ultimo nostro giorno felice.
È così bella mentre dorme accoccolata al cuscino con la mia maglietta preferita addosso. La guarderei per ore; ha il viso insolitamente rilassato.
"Buongiorno" le sussurro, mentre aprendo gli occhi si stiracchia.
"Buongiorno. Che ore sono?" Chiede lei.
"Le nove, è ancora presto, tranquilla."
Oggi pomeriggio ha il test per entrare all'Università di Medicina, a Torino. Se dovessero accettarla sarei felice per lei; è il suo desiderio più grande e incastrerei i miei impegni per raggiungerla spesso.
"Devo andare a ripassare, sono test difficili. Sai com'è." Si infila i jeans e le ballerine, tenendo la mia maglietta, poi si avvicina alla porta, lasciandomi un bacio frettoloso.
"Sicura di voler andare?" Le sussurro a un centimetro dal suo collo, provocandole un brivido evidente. Mi sorride, lasciandomi con un buffetto sulla testa prima di girare i tacchi e scendere le scale.
Solitamente cede alle mie provocazioni, ma in questi giorni è talmente presa dallo studio che sembro non esistere. Mi ha concesso una notte di passione e nient'altro, arrivando ieri in tarda serata e lasciandomi solo un'altra volta, ora.
Aveva ovviamente passato gli esami senza alcun errore e con estrema facilità. La concentrazione sui suoi adorati libri era stata ripagata, ma il tempo perso tra noi non era stato recuperato. Poco dopo ho compreso il motivo della sua assenza.
"Tra una settimana parto per Torino" afferma.
Sono così contento del suo risultato, eppure lei non sembra altrettanto felice.
"Ci sentiremo ogni giorno e verrò da te ogni fine settimana, non ti preoccupare" dico, prendendola per la vita. Una preoccupazione evidente sul suo viso mi spinge a stringerla forte tra le mie braccia, ma lei si scosta. Questa sua freddezza improvvisa fa scattare il campanello d'allarme.
"Leonardo, senti, non posso farcela. Non voglio avere una relazione a distanza e... voglio concentrarmi solo sulla Medicina. È il mio sogno, lo sai. Stare con te, pensare al fatto che saremo lontani, che dovremo vederci qualche ora una volta a settimana, mi distrarrebbe. Non posso... mi spiace."
Il mio cuore perde un battito. "Mi stai lasciando?" chiedo, con voce tremante.
"Non è colpa tua, lo sai. Mi dispiace. Forse è meglio che vada..." conclude. Esce di casa, raccogliendo la sua roba di fretta.
Non sento più nulla.
Come è possibile che il mondo attorno a noi si fermi così, con poche e semplici parole, in un battito di ciglia? Magari, dopo esserci illusi che la felicità esistesse?
Da quel giorno, non l'ho più rivista. È partita per Torino, lasciando qualche messaggio sulla mia segreteria per sapere come stessi, senza ricevere mai risposta. D'altra parte, cosa avrei dovuto dirle? Probabilmente, che era solamente egoista o che le sue erano semplici scuse per lasciarmi, giustificando sentimenti che non aveva mai provato.
Per un breve anno, mi sono illuso di non servirle solo per il sesso, che tra noi c'era qualcosa in più. Il modo in cui mi raccontava ogni sua gioia, i giorni che passava al bar mentre lavoravo lì a fianco lasciandole qualche sorriso, le ore passate davanti al televisore mentre lanciavamo i pop corn invece che mangiarli.
Ma, riflettendo a mente lucida, non ero la sua priorità. Le giornate insieme non esistevano, solo piccoli ritagli tra il suo studio e il mio lavoro. Non ho mai conosciuto le sue amicizie da vicino, mai partecipato a una cena di coppia, mai stato invitato a nessun evento. Solo strascichi della sua vita, momenti vuoti dedicati a me probabilmente per mancanza di altro.
Avrei dovuto capirlo che il mio amore per lei era a senso unico, che i miei occhi erano accecati da un sentimento troppo forte per lasciare spazio a una realtà tutt'altro che sentimentale.
Sono stato un ripiego e nient'altro. Non per una notte o un mese, ma un anno intero.
Ciò non poteva far altro che lasciare in me la paura di crederci ancora. Non solo nell'amore, ma nelle relazioni quotidiane. Tra genitori assenti, amici insignificanti e Chiara, ho visto troppe persone abbandonarmi. È semplice per chi non soffre chiudersi la porta alle spalle mentre escono, quando non viene sbattuta in faccia a loro.
La mia unica certezza, al momento, è che da un cuore ormai solitario nessuno può più andarsene.
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