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4 - Biglietto

Deidra

Scappai da quel posto tutto bianco e asettico non appena aprii gli occhi. Qualche dottore o infermiera mi urlò contro ma io aprii la porta d'ospedale e me ne andai. Chiamai un taxi e mi feci portare a casa.
   
Era circa ora di pranzo, in quell'auto c'era il finestrino aperto, c'era aria che entrava. Mi guardai dallo specchietto retrovisore e notai il viso insanguinato.
   
"Merda!" Pensai.

Fortuna che avevo tutti i miei averi con me, non mi andava, però, neanche di fare una telefonata. Presi le salviettine imbevute e mi pulii il viso, il conducente mi guardò e non disse nulla. Lo odiai.
   
Arrivai a casa e corsi in bagno.
   
Ero tanto stanca. Avevo ancora il sangue incrostato sulla pelle, me lo stava dicendo il grande specchio. Mi stava dicendo come i miei capelli neri mi ricadevano scompigliati sulle spalle, di come avevo il viso sporco e pallido, pantaloni semi strappati lasciavano intravedere la mia pelle.
   
Distolsi lo sguardo dal mio riflesso.
   
Aprii il rubinetto dell'acqua, feci riempire la vasca quasi fino all'orlo, in fine lo chiusi, mi spogliai e lentamente immersi prima un piede e poi l'altro. Il mio corpo era sommerso d'acqua e il calore mi rilassava i muscoli.
   

Asher

Mi svegliai da solo, la mia mente era impossessata solo da un unico pensiero.
   
La luna su di me diceva tutto, rifletteva la mia anima oscura, un'ombra di terrore s'impadronii di me, un brivido di piacere mi percorse la schiena.
   
Nel mio sogno, vidi solo Deidra. Avevo bisogno di respirare, mi faceva male dappertutto, i muscoli erano indolenziti e la testa mi scoppiava di pensieri.
   
Stava bene? Sarebbe stata bene.
   
La giornata era finita e il mio cuore era solo appesantito un po' di più. Quel silente senso di soddisfazione che si perde a fine giornata fa capire che manca qualcosa: un pizzico di felicità in più per renderti veramente quello che vuoi essere. Quando si è felici si sta bene con se stessi, ci si sente puliti, d'animo intendevo.
   
La mia anima era distrutta, non era possibile riportare a galla ciò che era stato spezzato.
   
Erano poco più le tre del mattino e io ero affacciato al balcone con la compagnia del vento gelido che mi percorreva la pelle.
   
Eravamo sotto la stessa luna.

Deidra

Quella sera mi sentivo dentro un peso, un'angoscia.
   
Di certo non ero più al sicuro.
   
Era sera tarda e, in camera mia, mi infilai sotto le coperte.
   
Mi sentivo terribilmente sola.

Mi sentivo terribilmente sola, nonostante avessi ricevuto svariati messaggi da parte di Trix e River, alcuni preoccupati, altri straniti dalla mia scomparsa dal momento che non mancavo mai a lavoro.
Ero sola.
   
La solitudine era bella solo perché nel mezzo, nel piedistallo c'ero io, gli altri erano solo delle alternative, delle pedine da muovere a piacimento. Negli anni mi ero dovuta adeguare e quella era la conseguenza. Mi dispiace ma ero il diavolo.
   
Eppure quel giorno non era andata come la pensavo: non ero sola quando accadde l'incidente e non potetti controllare cosa l'uomo o la donna nella macchina che si era lanciata contro quella di Asher stesse facendo. Non avevo nessuna pedina al momento, solo me stessa.
   
La notte era lunga e piena di punti interrogativi, segreti non rivelati, bugie che aleggiavano per aria, il peso di esse che opprimeva il cuore.
   
Il giorno dopo andai a lavoro con una gonna lunga di jeans e una felpa nera, una borsa in pelle nera a tracolla. Lì ci tenevo la mia pistola.
   
Quando la campanellina del negozio suonò alla mia entrata, aspettai nel mio studio Trix: come ogni mattina sarebbe passata da me. River era in salotto impegnato a disegnare, non fece caso a me, né alla mia ricomparsa dopo ieri.
   
Quando Trix aprì la tenda e mi vide sdraiata sul divanetto corse da me.
   
«Dio, Deidra. Che ti è successo, tesoro? River! Vieni!»
   
«Oh! Non fare la melodrammatica, sono solo dei graffi».
   
«Dolcezza...» River vide il mio volto graffiato e il labbro rotto.
   
«È successo ieri, non è così? Quando non rispondevi alle chiamate e ai messaggi. Sei andata in ospedale?» Chiese a raffica la rossa.

«Non c'era bisogno e sono sicura che l'altro è messo peggio di me». Feci una smorfia, pensando ad Asher.
   
«Stai dicendo che quel coglione di White non si è presentato per questo?» River mi indicò con tutti i suoi anelli alle dita.
   
«Non lo so».
   
«Datemi il suo numero». Mi alzai dal divanetto e li seguii alla reception.
   
«Ho un numero, è quello dell'appuntamento», disse Trix.
   
«Chiama». E le feci segno di passarmi il telefono.
   
«Squilla a vuoto». Li informai.
   
«Non importa, iniziamo a lavorare», dissi.

River batté le mani ed entrambi annuirono.
   
Nel pomeriggio entrò Set, un vecchio amico che mi aveva seguito da quando avevo sparato a mio padre e a sua moglie.
   
«Hey!» Lo abbracciai stretto e lui mi fece girare in aria.
   
«Deidra, baby, come stai? Ti vedo mal ridotta».
   
«'Sta zitto! Non hai un appuntamento, sei qui per fare una lampo?»
   
«No, devo darti questo».
   
Mi diede un bigliettino.
   
"Scusa"

   
«Che stronzata è questa?» Dissi, quasi furiosa e confusa.
   
«Mi ha detto di dartelo, solo questo».

Entrambi sapevamo a chi si stava riferendo, eppure era strano sapere che loro due fossero così tanto amici.
   
Alzò le braccia in segno di resa. Il cappellino nero girato al contrario, un canotta bianca, giacca grigia, jeans larghi e con le Jordan ai piedi fece marcia indietro e uscì dal locale.
   
River e Trix assistero alla scena da dietro il bancone.
   
«Cosa voleva Set?» Domandò la rossa.
   
«Niente di interessante. Sentite, io, io devo andare». Presi la borsa di pelle dal mio ufficio e uscii dal negozio. Corsi sui miei stivaletti con i tacchi fino all'appartamento. Presi l'ascensore fino all'ultimo piano.
   
«Apri». Suonai insistentemente il campanello.
   
«Apri dannazione, so che sei là dentro». Suonai ancora.
   
«Lo so». Abbassai la voce e mi sedetti a terra con le mani tra i capelli arruffati dal vento.
   
Presi di nuovo il bigliettino, lo aprì.
   
Era scritto in maiuscolo, come se fosse fatto di fretta. Lo odiai. Lo odiai tanto.
   
Mi aveva fatto qualcosa a cui non potevo reagire o forse sì. Dovevo solo aspettare che rientrasse a casa.

Asher

La trovai davanti casa, addormentata. Le presi il viso tra le mani, poi le sussurrai all'orecchio: «Svegliati, Deidra. Sono arrivato».
   
Lei aprì i suoi occhi azzurri e mi guardò, li puntò nei miei. Dannata lei.
   
«Dove sei stato?» Era preoccupata, arrabbiata, si aggrappò alla mia giacca nera.
   
«Sei ferita, vieni con me». I nostri erano sussurri e non ci importava.
   
L'aiutai ad alzarsi ed entrammo in casa.

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