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Purtroppo per me, mamma non credeva che l'omicidio di un'intera famiglia fosse un motivo valido per accantonare lo studio; così, mentre lei e papà si univano al corteo funebre giù in paese e Giacomo andava sul luogo del delitto con i suoi amici, io ero confinata in camera mia a studiare matematica. O meglio, a sbattere ripetutamente la fronte sul libro nella speranza che il sapere si trasferisse per osmosi nella mia testa.
D'accordo, Tara. Un'altra volta. Puoi farcela.
Sollevai il busto dalla scrivania e deglutii. «Allora... un'equazione di secondo grado», tentai, dando una sbirciatina alla definizione sul libro, «è una... uhm, un'equazione con solo un'incognita, cioè x, che è di grado due. La sua formula base è... hmmm... boh». Poggiai il mento sul palmo della mano con un sospiro, distogliendo lo sguardo dal libro. Fuori il cielo era limpido e azzurro, e un venticello caldo entrava dalla mia finestra. C'era profumo di fieno, nell'aria.
Sospirai di nuovo, puntando gli occhi sul portafoglio che giaceva in un angolino della mia scrivania; un fitto reticolo di crepe attraversava il cuoio ormai indurito, che dava come l'impressione di voler cadere a pezzi da un momento all'altro.
Dopo essermi guardata attorno mi allungai per afferrarlo, saggiandone la consistenza fragile tra le dita. Non c'era nulla di male nel dare una sbirciatina dentro, no? Se avessi trovato quel portafoglio per strada, in fondo, avrei dovuto per forza controllare i dati del proprietario per poterglielo restituire.
Ma sì, mi dissi, non stai mica infrangendo la legge!
All'interno non trovai molto: c'era la patente, la carta d'identità, un'American Express nera, la tessera sanitaria, vari buoni sconto per McDonald's e Burger King e qualche banconota da cinquanta euro. Ciò che riuscii a carpire dai vari documenti fu che Guglielmo era nato a Roma il venti settembre millenovecentonovantaquattro, era alto un metro e ottantasei, risiedeva a Roma, era uno studente e in foto veniva davvero bene. Oh, quasi dimenticavo: scoprii anche che era un gran bugiardo, proprio come sua sorella. Menomale che venivano da Milano! Adesso capivo perché non avessero il tipico accento milanese. A pensarci meglio, però, mi resi conto che non avevano nemmeno la parlata romana, né altre cadenze in generale.
«Magari viaggiano tanto», dissi a mezza bocca, richiudendo il portafoglio. Non era così impensabile, in fondo. Solo non capivo perché avessero mentito sulla questione di Milano.
Il suono del campanello mi distolse dai miei pensieri.
Ma come?, pensai, alzandomi dalla sedia. Non dovevano tornare prima di oggi pomeriggio!
Imboccai le scale con un sospiro, mentre il campanello suonava ancora; potevo anche dire addio alla mia mattinata in solitudine, a quanto pareva.
«Sto scendendo, un attimo», dissi, all'ennesima trillata. Balzai oltre lo schienale del divano, atterrando in piedi sul tappeto, e andai ad aprire la porta. «Tu?»
Edoardo sorrise. Indossava una canottiera verde e dei bermuda da bagno al ginocchio, e il ciuffo castano era tenuto su da un'impalcatura di gel; un grosso zaino di tela gli pendeva dalla spalla destra, ondeggiando placido verso il suolo.
«Sorpresa», disse, allargando le braccia. «Pensavi che fossi ancora malato, eh?»
«Picchio!» Lo strinsi a me, poggiando la guancia contro il suo petto. Un paio di mani calde scivolò lungo la mia schiena, arrestandosi sui fianchi, e io repressi la risatina che quel tocco mi aveva provocato. «Ti credevo moribondo, in effetti. Che ci fai qui?» Sciolsi l'abbraccio e mi scansai per farlo entrare, richiudendo la porta alle sue spalle.
Lui sorrise, mentre con la mano destra si strofinava la base del collo. «Porto buone notizie». Il suo sorriso si allargò, e una schiera di denti bianchi e dritti fece capolino tra le labbra sottili. «L'hanno preso, Tara. Finalmente quel cinghiale non ammazzerà più nessuno».
Io aggrottai le sopracciglia. «Cinghiale?»
«Sì». Edoardo si avvicinò a me con un sorrisetto storto. «Non avrai pensato anche tu che fosse un lupo mannaro, spero».
Mi affrettai a scuotere la testa, indietreggiando di un passo. «È solo che... insomma, uccidere tutte quelle persone... avevo in mente un animale più grande, tutto qui».
«Oh, ma avessi visto quel cinghiale», rispose lui, avanzando. «Era più grosso e feroce di un orso. E aveva il corpo completamente deforme, quella bestia schifosa». Il suo sorriso si accentuò. «Ripensandoci, è meglio che tu non l'abbia visto». Allungò una mano e mi sfiorò la gola con le dita affusolate, facendole poi scivolare dietro il mio collo. «Uno spettacolo del genere non fa per te, Tara. Sei così tenera e ingenua...»
«Tu l'hai visto, quindi», mormorai, scansandomi di lato. Non riuscivo a capirne il motivo, ma avevo l'impressione che in Edoardo ci fosse qualcosa di diverso. Mi sembrava... meno amichevole del solito, forse. «Aveva gli occhi gialli?»
Un lampo indecifrabile attraversò il suo sguardo, ma poi sulle labbra sottili riapparve il sorrisetto storto di poco prima. «Direi di sì, bambolina. Tu che ne sai?»
Storsi la bocca. Bambolina? «Perché mi hai chiamato così?» ridacchiai, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Perché mi andava di farlo». Incurvò gli angoli delle labbra verso l'alto. «Non ti piace?»
Scrollai le spalle. «Non lo so. È okay, credo». Gli lanciai un'occhiata da sotto la frangetta, cercando di leggere qualcosa in quello sguardo strano. Edoardo era sempre stato un libro aperto, per me, ma quel giorno non riuscivo davvero a capire cosa gli passasse per la testa. «Sicuro di sentirti bene?»
Lui inarcò un sopracciglio. «Perché lo chiedi?»
«Lascia perdere». Gli sorrisi e andai a buttarmi sul divano, incrociando le gambe sui cuscini cedevoli. Non avevo voglia di darmi pena per qualcosa che probabilmente era solo nella mia testa; inoltre scoprire che il lupo mannaro fosse solo un grosso e deforme cinghiale dagli occhi gialli mi aveva rincuorato, abbastanza da mettere ogni altra preoccupazione in secondo piano. «Sei qui solo per questo?»
Edoardo scosse la testa, mostrandomi lo zaino di tela blu. «Ho pensato che potremmo andare al lago. È una bella giornata, oggi».
«Hai ragione», sospirai, gettando un'occhiata verso la finestra dietro la TV. «Però non penso di poter venire. Fingere di studiare matematica mi porterà via tutta la mattinata».
Lui scoppiò a ridere, rovesciando la testa all'indietro. Anche quella risata non era da lui: di solito si copriva la bocca con la mano, oppure abbassava lo sguardo e diventava rosso. In tutti quegli anni di conoscenza non l'avevo mai visto così spavaldo; iniziavo a sospettare che la febbre gli avesse intaccato qualche neurone.
«Andiamo, Tara», disse, non appena si fu ripreso. «Solo un paio d'ore. Se proprio ci tieni, puoi anche portarti il libro di matematica dietro». Un sorrisetto strano gli tese le labbra. «Non sarò io a fermarti».
Trattenni un sospiro. «Dovrei avvisare i miei. Non credo che mamma mi farebbe venire, comunque».
«E allora tu non dirglielo». Edoardo si chinò verso di me, stringendomi il mento tra le dita lisce; i suoi occhi erano striati di venature rossastre e mi scrutavano con un luccichio che non riuscii a cogliere. «Andiamo e torniamo prima che siano a casa. Non si accorgeranno di niente».
Mi mordicchiai un labbro, tamburellando con le dita sul tessuto scolorito dei miei leggings. Era una bella giornata, in fondo; sapevo già che non avrei concluso nulla, con matematica, e comunque non avevo la minima voglia di rimettermi sui libri. «E sia», sospirai allora, sciogliendo le gambe dall'intreccio. «Ma tra due ore al massimo dobbiamo tornare, okay?»
Edoardo mi lasciò il mento e portò due dita vicino alla fronte, mimando un saluto militare. «Agli ordini. Ora va' a prepararti, forza».
Dieci minuti dopo uscivamo sotto il sole caldo di giugno, zaini in spalla e occhiali scuri sul naso. Era la giornata perfetta per andare al lago.
«Hai sentito Giorgia e Serena, per caso?»
Edoardo diede un cacio al Super Santos che si era portato dietro, facendolo rotolare per svariati metri sull'asfalto. «Giorgia usciva con Daniele, tanto per cambiare. Broncio non lo so».
«Facciamo un salto da lei?» domandai. «Magari vuole venire».
Lui serrò la mascella, lanciandomi uno sguardo di traverso. «Lo sai pure te che ci dice di no. Perché perdere tempo?»
Gli feci una linguaccia. «Non fare l'antipatico! Lo sai che ci resta male se la tagliamo fuori». Allungai il piede sinistro e gli rubai il pallone prima che potesse calciarlo un'altra volta. «Solo due minuti». Colpii il Super Santos con la punta della scarpa, e mi voltai verso Edoardo con un sorrisetto. «Tanto casa sua è dietro l'angolo».
Lui sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Bene. Ma che sia una cosa veloce».
Fui di nuovo sul punto di domandargli se si sentisse bene, ma all'ultimo frenai la lingua; magari la sua era solo una giornata no, e io mi stavo preoccupando inutilmente. Eppure non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea che il suo cambiamento improvviso c'entrasse qualcosa con me.
Non essere così egocentrica, mi dissi, sbirciando il suo volto di sottecchi. Non sei mica il centro del suo mondo.
Tranquillizzata da quell'ultimo pensiero, salii di corsa sul portico di casa Moretti e suonai il campanello. Pochi secondi dopo Serena venne ad aprirmi la porta; indossava una camicia da notte al ginocchio e aveva un paio di grossi occhiali adagiati sul naso.
«Tu che ci fai qui?» domandò, squadrandomi con un sopracciglio sollevato.
Io le rivolsi un sorriso. «Sto andando al lago con Edo. Vieni con noi?»
Il suo sguardo mi scavalcò, soffermandosi su un punto alle mie spalle; poi scrollò la testa e agitò il telecomando che teneva in mano. «Per ustionarmi sotto questo sole? No grazie. E comunque viene Mamie a pranzo, oggi».
«Capito». Le sorrisi con un'alzata di spalle. «Se cambi idea sai dove trovarci».
Lei annuì brevemente e, dopo avermi fatto un cenno con la mano, si richiuse dentro.
«Che ti avevo detto?» disse Edoardo, staccandosi dalla staccionata. «Sempre la solita Broncio».
Già, la solita Broncio. E che fine ha fatto il solito Picchio che la prende sul ridere?
Cercando di non dare troppo peso alla sua improvvisa intolleranza nei confronti di Serena, lo seguii in religioso silenzio fino al lago. Magari quella notte aveva dormito male, riflettei, o la faccenda della famiglia Abruzzese l'aveva turbato più di quanto non desse a vedere. Qualunque fosse stato il motivo, ero certa che presto o tardi Edoardo sarebbe tornato quello di sempre.
«Vado a farmi un bagno».
Io sollevai il busto, smettendo per un secondo di lottare contro il mio asciugamano, e vidi Edoardo fare un cenno verso lago; si era sfilato la canottiera, e ora il suo petto tonico faceva bella mostra di sé sotto i raggi dorati del sole. Incredibile quanto fosse cambiato nel giro di un anno.
«Vieni con me?» aggiunse, incurvando le labbra in un mezzo sorriso.
Io scossi la testa. «Non ho voglia di bagnarmi. Ti aspetto qui».
Ma, prima che potessi rendermene conto, Edoardo mi aveva agguantato per la vita con un movimento fulmineo e mi aveva gettato sulla sua spalla tonica. «Niente da fare, bambolina. Adesso vieni con me».
«Edo, lasciami!» scattai, dimenandomi come un'anguilla. «Mettimi giù, sono tutta vestita!»
Lui mi diede una pacca sul sedere, quasi a volermi zittire, e avanzò finché i suoi piedi scalzi non affondarono nelle acque limpide del lago.
Presi ad agitarmi con più forza, cercando di fargli mollare la presa, ma inavvertitamente lo colpii con una ginocchiata e lui gemette di dolore.
Un attimo dopo mi ritrovai col sedere a mollo nell'acqua, semidistesa sul fondale sabbioso del laghetto e con tutti i capelli spiaccicati in faccia. Edoardo se ne stava a pochi metri da me, la mascella contratta ed entrambe le mani premute sul fianco destro.
«Edo? Tutto bene?»
Lui alzò lo sguardo di scatto; aveva gli occhi sgranati e le labbra ridotte a una linea sottile. «Mi hai solo colto alla sprovvista». Prese un respiro e deglutì. «Non avresti dovuto agitarti in quel modo».
Io feci leva con le braccia per alzarmi in piedi e, arrancando in avanti con le Converse piene d'acqua, mi avvicinai a lui. «Fammi dare un'occhiata».
«No». Edoardo si fece subito indietro, pressando ancor di più le mani sul fianco. «Sta' lontana da me».
«Mi dispiace di averti fatto male», dissi, per quanto mi sembrasse assurdo che una bottarella del genere gli avesse procurato tanti danni. «Voglio solo vedere che ti sei fatto».
Lui indietreggiò ancora. «Ti ho detto di no! Che cazzo, è così difficile da capire?»
«Va bene, non fa niente». Alzai le mani in segno di resa. «L'importante è che tu stia bene».
Ridendo senza allegria, Edoardo si voltò e uscì dall'acqua a grandi passi; si diede un'asciugata veloce e, dopo aver recuperato la sua roba, si dileguò in mezzo alla boscaglia che circondava il lago.
Favoloso. Davvero favoloso.
Zuppa e infreddolita, mi trascinai fuori dal lago chiedendomi cosa avessi fatto di sbagliato; e va bene, l'avevo colpito, ma la sua reazione mi era parsa un tantino esagerata.
«Magari aveva ancora la febbre», dissi sottovoce, infilando la mia roba nello zaino. L'ipotesi non era tanto inverosimile, in fin dei conti; se non altro avrebbe spiegato tutte quelle stranezze.
Ancora grondante d'acqua tornai sui miei passi, accompagnata dallo squittio perpetuo delle mie scarpe; dovevo sembrare una paperella di gomma gigante, agli occhi dei passanti.
«Tara la paperella», dissi piano, calciando un sassolino con la scarpa zuppa. Mi scappò una risatina, poi un'altra e un'altra ancora, e continuai a sghignazzare come un'idiota finché non arrivai a casa; a quel punto fui costretta a ritrovare un briciolo di autocontrollo, perché seduta sul mio portico c'era Vittoria, che al momento mi guardava come se fossi pazza.
«Tara!» esclamò, alzandosi in piedi. «Ma sei zuppa!»
Io entrai in giardino con una scrollata di spalle. «Una lunga storia. Come stai?»
Mi scrutò da capo a piedi, mordicchiandosi il labbro inferiore con gli incisivi piccoli e regolari. «Bene. Tu, piuttosto? Da dove arrivi?»
«Meglio non sapere», sospirai. «Posso fare qualcosa per te?»
Le sue labbra si schiusero, tremolando come i petali di un fiore al vento. «Sì, in effetti». Alzò lo sguardo da terra e deglutì. «Devo parlarti di una cosa importante».
Spazio Yumi
Salve, popolo di Wattpad! Dopo circa due secoli e mezzo di attesa, rieccomi con un nuovo, strepitoso capitolo! (convinta tu).
Anyway, non è il massimo, ma purtroppo i capitoli di passaggio sono destinati a essere un tantinello noiosi.
Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo, se c'è qualcosa da migliorare, modificare, eliminare senza pietà e via dicendo. Le critiche sono sempre ben accette ^-^
Detto questo, grazie mille a chi sta seguendo la mia storia!
Al prossimo capitolo
- Yumi (:
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