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5

«Tara, non fare stupidaggini! Torna qui!» Vittoria mi stava correndo dietro. Non mi ero ancora voltata per appurarlo, ma il rimbombo dei suoi passi dietro di me era inequivocabile. «Andiamo, ora fermati! Dico sul serio!»

Scossi la testa e continuai a correre. Qual era il suo problema? Era evidente che qualcuno – una donna, a giudicare dalle urla – fosse in pericolo; andare ad aiutarla era stata la decisione più logica che fossi riuscita a prendere, in quel momento. Onestamente non capivo cosa la turbasse così tanto.

«Smettila di fare la stupida e torna indietro!»

In tutta risposta, io oltrepassai il muretto con un balzo e mi voltai per scoccarle un'occhiata veloce. L'avevo distanziata di parecchio, ormai, e non c'era modo che potesse raggiungermi. Eppure Vittoria continuava a correre lungo la strada, con la gonna che svolazzava allo sbuffo del vento e l'elegante chignon sul punto di sciogliersi.

Voltai la testa con un sospiro e mi addentrai tra gli alberi. Le urla della donna si erano affievolite col passare dei secondi, lasciando spazio a gemiti e singhiozzi soffocati che spezzavano il silenzio del bosco. Camminando a zigzag tra radici esposte, buche e pigne rotolate a terra, mi dissi che non poteva essere troppo lontana; pochi secondi dopo, infatti, vidi un paio di gambe scheletriche sbucare oltre il tronco di un cipresso. La donna era rannicchiata a terra e si teneva la testa fra le mani, affondando le dita nodose nella zazzera di capelli grigi. Aveva gli occhi rossi e gonfi di lacrime, e le sue labbra rugose non smettevano di tremolare.

Sapevo bene di chi si trattava: quella era Elena, la vecchia pazza di Roccascura. Non le avevo mai parlato direttamente – mia madre, anni prima, mi aveva imposto l'obbligo tassativo di starle alla larga – ma in paese circolavano molte storie sul suo conto, e sapevo grossomodo cosa aspettarmi. Doveva aver avuto una delle sue visioni, posto che tutte quelle dicerie fossero vere.

«Elena, sta bene?» Mi accucciai davanti a lei, scrutandola brevemente da capo a piedi. «È ferita?»

Il suo sguardo si posò su di me. «E tu chi sei?»

«Mi chiamo Tara», risposi sottovoce. «Abito qui vicino. L'ho sentita urlare, poco fa. Si sente bene?»

Elena arricciò le labbra, evidenziando le rughe che le contornavano la bocca. «Le fragole. Quel farabutto mi ha fatto cadere tutte le fragole!» Sfilò le mani dai capelli stopposi e voltò la testa verso sinistra. «Le mie povere, bellissime fragoline...»

Seguii la traiettoria del suo sguardo; sparse a terra, sul manto erboso, c'erano diverse fragole scarlatte. Un cestello di vimini giaceva riverso poco più in là. «Gliele rimetto subito a posto. Lei si riposi un momento, va bene?» Gattonai sull'erba umida fino a raccogliere il cesto, stando attenta a non bagnare gli inviti che stringevo ancora in mano, e presi a recuperare le fragole una a una. «Non ci vorrà molto», aggiunsi, allungandomi per acchiapparne un paio poco più avanti. Ancora in ginocchio sull'erba bagnata, mi guardai attorno alla ricerca di qualche dispersa. Non ci impiegai molto a trovarne una: la fuggitiva se ne stava immobile tra i ciuffi d'erba, ben al di fuori del mio raggio d'azione. Mossi qualche passo a carponi e mi allungai verso la fragola, quando una mano apparsa dal nulla la raccolse prima che potessi farlo io. Alzai lo sguardo di scatto, ancora protesa in avanti e in equilibrio precario sulle ginocchia.

Guglielmo Castoldi mi scrutava dall'alto, facendo roteare pigramente la fragola per il picciolo. Indossava i pantaloni di una tuta, larghi e con l'elastico alla caviglia, e una maglietta grigia fin troppo tesa sulle spalle muscolose. «Perso qualcosa?» domandò, incurvando gli angoli della bocca.

«E tu?» ribattei secca. «Fossi in te mi darei una controllatina in testa. Ho come l'impressione che il tuo cervello sia andato a farsi un giro». Arricciai le labbra, posando il cesto accanto a Elena. «Posto che tu ne abbia mai avuto uno».

Guglielmo indurì la mascella e il suo sguardo si rabbuiò. Lasciò cadere la fragola a terra, muovendosi lentamente verso di me, e un ringhio gutturale scaturì dalla sua bocca socchiusa. «Le lingue taglienti non fanno mai una bella fine, ragazzina». Avanzò ancora di un passo, poi il suo sguardo venne calamitato verso un punto alle mie spalle. Un ghigno strafottente gli tese le labbra piene. «E io che ti credevo a letto moribonda. Vedo che ti sei ripresa bene, sorellina».

Vittoria, in piedi alle mie spalle, scrutava Guglielmo con gli occhi sbarrati; il suo chignon si era sciolto, lasciandole i capelli dorati sparsi sulle spalle, e aveva i piedi scalzi. «Guglielmo. Non pensavo di trovarti qui. Io... ecco, avevo bisogno-»

«Di cosa?» la interruppe lui. «Di imbrogliare ulteriormente la situazione?» Fece un cenno millimetrico verso di me. «Non dovrebbe essere qui».

«Ne parleremo dopo». Vittoria lo fulminò con lo sguardo. «Ora dovremmo sgomberare l'area, non ti sembra?»

Lui inarcò un sopracciglio. «Dovremmo?» Avanzò di un passo, serrando le braccia al petto. «Non lo so, sorellina. Forse invece dovremmo parlare del perché la stessi aspettando davanti a casa sua. Non-»

«Vittoria è venuta a invitarmi alla sua festa», lo interruppi io, alzandomi in piedi. Gli sventolai gli inviti davanti agli occhi. «La cosa ti crea qualche problema?»

Guglielmo posò lo sguardo su di me. «Problema?» La sua risata gutturale risuonò nel silenzio che regnava tra gli alberi. «Ragazzina, credevo fossi un minimo più intelligente di così». Si chinò e prese il cesto di fragole, porgendo a Elena la mano libera. «Venga con me. La riporto indietro, adesso». Mentre la aiutava a tirarsi su, mi lanciò uno sguardo oltre la spalla. «Non voglio vederti in casa mia, stasera. È chiaro?»

«Allora farai meglio a tenere gli occhi chiusi per tutta la serata». Lo salutai con la mano, prendendo Vittoria per un braccio, ma un secondo prima di trascinarla via mi voltai di nuovo a guardarlo. «Un'ultima cosa, Mr. Psicopatico. Che ci facevi tu qui?»

Guglielmo incurvò le labbra in un sorriso malizioso. «Correvo. E non ero l'unico, a quanto pare», aggiunse, facendo correre lo sguardo sul mio top sportivo.

Sentendomi avvampare di rabbia e imbarazzo, strinsi più forte il braccio di Vittoria e me la trascinai dietro. «Razza di cretino», borbottai, pestando i piedi a terra. «Devi avere un autocontrollo di ferro, per sopportarlo tutti i santi giorni senza farlo fuori».

Vittoria ridacchiò. «Ci sono andata vicino diverse volte, credimi».

Oh, non ne dubitavo.

Quando arrivammo a casa, trovammo mia madre che stendeva i panni in veranda. Aveva i capelli raccolti in una coda alta, e indossava quella stupida maglietta con su scritto: "mamma orgogliosa di una campionessa". Ne aveva a decine, ognuna di un colore diverso. Fosse stato per me, le avrei bruciate tutte volentieri.

«Tara!» esclamò, non appena si accorse della mia presenza. Gettò una maglia sullo stendino e scese in fretta i gradini della veranda. «Hai corso un sacco, stamattina. Brava». Aprì il cancelletto della staccionata, e solo a quel punto sembrò accorgersi di Vittoria: la scrutò con un sorrisetto appena accennato, segno che quanto vedeva le stava piacendo. «Ciao! Sono Caterina, la mamma di Tara. Non mi sembra di averti mai visto da queste parti».

«Mi chiamo Vittoria», rispose lei, allungandole una mano. «Io e mio fratello ci siamo appena trasferiti da Milano. È un piacere conoscerla».

Mamma sorrise. «Anche per me. Oh, e dammi del tu, non sono mica così vecchia!» Poggiò il sedere contro la staccionata e incrociò le braccia al petto. «Allora? Che stavate facendo di bello?»

«Chiacchieravamo», risposi io con una scrollata di spalle.

«In mezzo alla strada?»

Roteai gli occhi, trattenendo una risata. «Sì, mamma. Due amiche che chiacchierano in mezzo alla strada. Che ci trovi di tanto strano?»

Mentre mia madre borbottava che non c'era bisogno di alterarsi in quel modo, Vittoria mi sfiorò un braccio e accennò un sorrisetto. «Amiche?» bisbigliò.

Io scrollai le spalle. Certo era strana, e mi sarebbe piaciuto sapere cosa le fosse preso poco prima, ma in fondo nessuno era perfetto. «Non vedo il problema. A proposito, mami, stasera c'è la sua festa». Congiunsi le mani a preghiera. «Posso andare, vero?»

«Oddio, Tara...» Mamma spostò lo sguardo da me a Vittoria, tornando poi a fissarmi. «Hai i compiti da fare. E poi domani riprendi gli allenamenti, non vorrei-»

«Prometto che tornerà a casa per le undici», intervenne Vittoria. «E posso assicurarti che non sarà la festa che immagini». Ridacchiò. «La mia famiglia non è troppo incline all'alcool».

Mamma sospirò, arricciando le labbra in una smorfia. «Beh, non posso mica fare la parte della mamma cattiva davanti alla tua amica». Mi liquidò con un gesto secco della mano. «Va' pure. Ma oggi pomeriggio devi recuperare almeno latino, intesi?»

«Agli ordini, caporale», ridacchiai, facendo l'occhiolino a Vittoria. «Stasera party hard

***

«Non puoi venire?» esclamai, lasciandomi cadere sul letto. «Che significa che non puoi venire?»

Giorgia, dall'altro capo del telefono, sbuffò sonoramente. «Significa che ho altro da fare, genio. Daniele mi porta fuori per farsi perdonare».

«Scommetto che andate al cinema all'aperto!» esclamai, raddrizzando l'asciugamano che avevo arrotolato in testa. «Stasera danno Nightmare Before Christmas, se non sbaglio. Adoro quel film! A Daniele piace? Perché non mi sembra esattamente il suo genere».

«E io che ne so?» fece lei. «Si va a Firenze, cara mia. A ballare». Sospirò. «Una volta tanto si esce da questa topaia di città, per fortuna».

Io mi buttai all'indietro sui cuscini, facendo collassare malamente il turbante. «Traditori. Mi avete dato buca tutti e tre».

«Da Broncio me l'aspettavo, ma Edo?»

«Sta male», risposi con uno sbuffo. Mi sfilai l'asciugamano umido da sotto la testa e lo buttai sul pavimento. «Quaranta di febbre a giugno, ma come si fa?»

Giorgia ridacchiò. «Quello è mal d'amore, te lo dico io. Il cuoricino di Edo è troppo sotto stress, ultimamente».

«A Picchio piace qualcuno?» domandai, alzandomi a sedere di scatto. Scansai la frangia quasi asciutta dalla fronte, mentre un minuscolo sorriso si faceva strada sulle mie labbra. «E quando pensavate di dirmelo? Una volta tornata a Roma?»

«Oddio, Tara», gemette. «Dico, ma sei seria? Davvero mi stai chiedendo per chi è che Edoardo ha una cotta colossale?»

Mi alzai in piedi sul materasso, molleggiando su e giù tra le lenzuola disordinate. «Uffa, quanto la fai lunga! Me lo dici o no?»

«Sei tu, Tara», scandì Giorgia. «Edo è cotto di te da un sacco di tempo. Ti prego, non dirmi che non te n'eri accorta!»

Aprii la bocca e la richiusi di scatto, arrestando i saltelli all'istante. «Come, scusa?»

«Non fare la finta tonta, adesso». Sospirò. «Gli garbi parecchio, Tara. Non fa che parlare di te».

«Ma non è possibile», mormorai, tornando a sedermi lentamente. «Lui è il mio migliore amico. Insomma... non può vedermi in quel modo. Giusto?»

Giorgia sbuffò. «Ma quanto sei tonta. Ti vuoi dare una svegliata o no? Non puoi essere amica di un maschio, è praticamente impossibile».

«Con Edoardo è diverso», ribattei. «Non è come gli altri, dovresti saperlo».

Lei rise. «Fidati, tesoro. Edoardo è esattamente come tutti gli altri. Solo che lo maschera meglio».

«Non credo che sia come dici tu». Allungai le cosce nude sul letto e tesi le punte dei piedi; quel brutto livido sul ginocchio sinistro non se n'era ancora andato, a quanto pareva. «Insomma, Edo è troppo sincero per nascondermi una cosa del genere, me l'avrebbe detto già da tempo». Scossi la testa, senza riuscire a trattenere una risata. «Andiamo, io e lui insieme! Che assurdità. E poi non scordarti che gli unici uomini della mia vita sono body e paracalli, al momento». Rotolai sulle spalle e lanciai le gambe all'indietro, poggiando i piedi appena sopra la testiera del letto. «Stiamo vivendo una relazione poligama molto intensa. Ogni tanto il magnesio ci fa compagnia, nei momenti di intimità». Rilasciai un sospiro pesante. «La mia vita sentimentale è così appagante!»

«Ci rinuncio», sbuffò Giorgia. «Domani si va al lago. Voglio un resoconto dettagliato del nostro bellissimo Guglielmo. Fa' una foto, se riesci. E magari digli anche che è l'uomo della mia vita».

«Uhm, okay». Mi grattai il mento. «E a Daniele lo dici tu?»

Lei rise. «Ma chiudi quella bocca. A domani, tonta».

Scivolai giù dal letto e andai a pescare qualche vestito dal comò. Dopo aver cestinato l'unica gonna del mio guardaroba – un'orrenda robaccia svolazzante a fiorellini rosa – optai per dei calzoncini di jeans slavati, abbinati a una maglietta bianca con le maniche blu a tre quarti. Indossai le Converse basse e, una volta tanto, decisi di lasciarmi i capelli sciolti sulle spalle. Ero piuttosto... sobria, in un certo senso. Speravo che per una festa in casa potesse andar bene.

Ora, l'unico problema era il regalo: conoscevo Vittoria da troppo poco per sapere cosa le piacesse, quindi non avevo la minima idea di cosa potessi comprarle; e, anche se ce l'avessi avuta, Roccascura non vantava certo il top degli esercizi commerciali.

Dopo aver finto di studiare latino per un'oretta, scesi di sotto e chiamai a raccolta il parentado affinché mi aiutasse a scegliere un regalo per lei; Giacomo consigliò una caccola impacchettata, mio padre una cravatta e mia madre delle cesoie da giardino.

«No, no e no», risi io. «Certo che ne avete di fantasia. Lasciamo perdere, farò un salto a Lucca e vedrò di trovarle qualcosa di carino».

Lucca era la città più vicina raggiungibile in treno: era sempre gremita di turisti e, più importante, abbondava di negozi di ogni tipo. Esattamente ciò di cui avevo bisogno in quel momento.

Andai e tornai a tempo di record. Specie considerando che, nel mentre, avevo anche trovato un regalo perfetto per Vittoria.

Beh, insomma, ci speravo.



♥ Spazio Yumi ♥

Sono in ritardissimo, lo so :( chiedo venia per la mia inadempienza contrattuale, spero di riuscire a postare i capitoli successivi con maggiore regolarità! (vabbe, ti sei capita da sola, eh?)



Beh, che altro dire? Grazie a tutti quelli che stanno seguendo la mia storia, non sapete quanto questo significhi per me! (#foreveralone).

Vous êtes beaux comme un beau morceau de pizza! (riecco la pazza che è in me).

Au plaisir de vous revoir! (Internatemi. Dico sul serio, è più sicuro per tutti).

Yumi ♥

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