9
«Quartier generale?» indagai, seguendo Guglielmo fuori dall'auto. «Cioè? Spiegati meglio.»
Lui fece scattare la serratura centralizzata con un sospiro, infilando poi le chiavi nella tasca posteriore dei jeans. «La prossima volta ti mando con Vittoria, giuro. A costo di farti spiaccicare sull'asfalto.»
«Ah, be', grazie tante!» Aggirai la macchina a grandi passi e lo affiancai, facendogli una linguaccia. «Stai tranquillo che ci vado di mia spontanea volontà, comunque. Lei è molto più simpatica di te.»
Lui si chinò su di me con un sopracciglio inarcato. «Eppure non sembravi lamentarti della mia mancanza di simpatia quando-»
«Ce l'avete fatta!» lo interruppe Vittoria, sbucando a passo spedito da dietro uno dei piloni di cemento. «Sono arrivata secoli fa.»
Guglielmo si scostò da me come se gli avessi appena confessato di avere il morbillo, gli occhi sbarrati fissi sulla sorella e la mandibola contratta. «Be'... non è colpa mia se corri come una matta.»
«E non è colpa mia se tu guidi come un nonnetto addormentato» fu la risposta di Vittoria, che mi prese a braccetto con un ghigno trionfante e mi trascinò lontano da lui. «Noioso che non è altro. Si avvicina ai limiti di velocità solo quando c'è da andare a mangiare, ci credi?»
«Guidare in sicurezza non è un male, Vittoria» brontolò Guglielmo alle nostre spalle, seguendoci a pochi passi di distanza. «Prima o poi ti deciderai a capirlo anche tu.»
Lei gli fece il verso sottovoce, imitando la sua espressione burbera, e mio malgrado non riuscii a trattenere una risata: quei due mi erano mancati.
Approdammo in fondo al parcheggio, davanti alle porte chiuse di un ascensore, e Vittoria si sporse per pigiare il bottone rosso sul muro. «Un paio di cose da tenere a mente, Tara... Nostro zio è un tipo particolare.»
«Tradotto per i comuni mortali, è uno stronzo.» Guglielmo appoggiò una spalla contro il muro, lanciandomi un'occhiata veloce. «Cerca di tenere a freno la lingua, quando sei con lui.»
Mentre le porte si aprivano con un sibilo, Vittoria lo gelò con uno sguardo tagliente. «Questo non è vero. Zio Diego è solo, be'...» Entrò nell'ascensore, piazzandosi nell'angolo a destra, e si strinse nelle spalle. «Diretto.»
«Un altro modo di dire stronzo» sottolineò Guglielmo, dandomi una spintarella perché entrassi a mia volta. Pigiò il tasto numero cinque sulla pulsantiera scrostata e incrociò le braccia con una smorfia, adagiando la schiena contro la parete. «Quando entriamo lascia parlare noi, intesi?»
Mentre l'ascensore saliva con una sinfonia di cigolii sinistri, io mi limitai a stringermi nelle spalle. «Comandi. Te l'hanno mai detto che hai un talento innato nel tiranneggiare le persone?»
Le sue labbra si tesero in un sorrisetto ironico. «Sì, in effetti. Una ragazzina petulante con la lingua lunga.»
Oh, ma che razza di arrogante! Aprii la bocca per dirgliene quattro, o magari anche otto, ma l'ascensore si fermò con uno scossone e le porte si schiusero a fatica. Uscimmo su una specie di disimpegno rettangolare, una sala d'attesa con sedie di plastica e una pianta mezza morta nell'angolo; l'ambiente era illuminato da file di luci al neon sfrigolanti e dalla finestrella solitaria in fondo alla stanzetta, che dava su campi incolti e capannoni in lontananza. C'era una fila di porte bianche - o che almeno un tempo lo erano state - sulla parete opposta, e un vociare indistinto arrivava da dietro una di esse.
«Zio dice di aspettare qui» mormorò Vittoria, alzando lo sguardo dallo schermo del cellulare. «È ancora in riunione.»
Guglielmo scrollò le spalle e si lasciò cadere su una delle sedie con un sonoro sbuffo. «Tipico suo. Noi per l'una andiamo via, che lui abbia finito con questa pagliacciata o no.»
«Ora piantala di lamentarti.» Vittoria mi spinse a sedere accanto a lui, prendendo poi posto sulla sedia libera alla mia destra. «Lo sai come funzionano queste cose, no?»
Quando Guglielmo non rispose, voltandosi dall'altra parte, io rivolsi a Vittoria un'occhiata veloce. «Il simpaticone non mi ha detto granché, in macchina, ma... perché sono qui, esattamente? Non è tipo vietato?»
«Ci puoi giurare che lo è» brontolò lui, senza nemmeno degnarci di uno sguardo. «Ma a quanto pare quando si tratta di te non c'è regola che tenga.»
Vittoria lo guardò male, poi riportò l'attenzione su di me. «In teoria sì, ma date le circostanze zio ha pensato di fare un'eccezione.»
«Date le circostanze?» le feci eco, scuotendo appena la testa. «Cioè quello... quello che è successo ieri sera?»
Vittoria si strinse nelle spalle. «Non mi ha dato i dettagli, ma suppongo di sì. Forse gli serve il tuo aiuto per ricostruire quanto successo ieri sera, oppure-»
«La ricostruzione redatta da me era più che sufficiente» la interruppe Guglielmo, la voce cupa come un cielo in tempesta. «La presenza di Tara qui è del tutto inutile.»
«Questo lo stabilirà zio» lo rimbeccò Vittoria, secca. «Piantala di remargli sempre contro, Gu'. Dopo un po' diventi pesante.»
Lui cacciò fuori una risata amara, scuotendo la testa, ma non aggiunse altro; si chiuse in un mutismo ostinato, limitandosi a cincischiare con i cordoncini bianchi della felpa come un bambino ammusonito.
«Sarà una cosa veloce» sospirò Vittoria, accarezzandomi una spalla. «Ti farà al massimo qualche domanda su come si sono svolte le cose, ti chiederà se ricordi qualche dettaglio rilevante...»
Ecco, proprio come temevo. E io che avrei voluto solo scordare tutto... che pizza. Perché dovevo finire sempre in quelle situazioni del cavolo? Perché non potevo vivere tranquillamente, in pace, come tutte le persone normali?
«...vi terrò aggiornati» mormorò una voce ovattata, e la maniglia della porta centrale si abbassò di qualche centimetro. «Restate a disposizione. Matteo, tu sta' qui. Ho ancora bisogno di te.»
La porta si aprì e una decina di uomini e donne ne venne fuori; erano giovani, tra i venti e i trent'anni, e indossavano tutti indumenti casual: leggings, felpe, giacche militari, scarpe da ginnastica, jeans... non era gente d'affari, perciò, come mi era stupidamente sovvenuto in un primo momento.
Alcuni di loro accennarono un saluto veloce verso Guglielmo e Vittoria, quindi puntarono dritti alla porta accanto all'ascensore, che probabilmente conduceva alle scale.
«La famosa Tamara Colombo. Finalmente ci incontriamo.»
Distolsi lo sguardo dalla carovana che spariva oltre la porta alla spicciolata, voltandomi di scatto verso la fonte della voce. Un uomo in jeans e camicia mi sorrideva cordiale dall'uscio della stanza, le braccia conserte e una spalla adagiata contro lo stipite; i capelli castani erano diradati e andavano ingrigendosi sulle tempie, e un reticolo di rughe sottili disegnava una mappa sul suo volto olivastro, ma la scintilla viva nel suo sguardo lo faceva sembrare molto più giovane della sua età effettiva.
«Diego Castoldi» si presentò, staccandosi dallo stipite per venirmi incontro. «Un vero piacere.»
«Piacere mio.» Mi affrettai ad alzarmi e strinsi la mano che mi aveva porto, sforzandomi di mettere su un sorriso convincente. «Può chiamarmi Tara. Tamara lo usa solo mia madre quando è molto, molto arrabbiata.»
Diego rise, facendo accentuare le rughe che gli circondavano gli occhi. «E Tara sia. Venite, accomodiamoci dentro.»
Be', magari era presto per cantare vittoria, ma non sembrava terribile come l'aveva descritto Guglielmo.
Entrammo in una sala abbastanza ampia, dominata da un tavolo rettangolare circondato da sedie spaiate; alle pareti, librerie con scaffali stipati di libri, cornici e targhe dorate, un quadro un po' storto e un estintore.
«Lui che fa qui?» si animò Guglielmo, parandosi davanti a me con un'ampia falcata.
Mi affacciai oltre la sua schiena per vedere di che parlasse, e il mio sguardo incrociò quello di un ragazzo seduto sul divano sotto l'unica finestra. Capelli biondo cenere che gli ricadevano sulla fronte, ingombranti occhiali sul naso, un sorrisetto arrogante... non poteva essere molto più grande di me, a guardarlo bene.
«Perché, Castoldi?» Il ragazzo ammiccò nella mia direzione, allargando le braccia sullo schienale del divano. «La mia presenza ti scoccia?»
«A lui arriveremo dopo» intervenne Diego, richiudendo la porta dietro di noi. «Perché prima non ci sediamo? Posso offrirti qualcosa, Tara?»
Prendendo posto su una delle sedie libere, mi strinsi nelle spalle. «Sto bene, grazie. Non si disturbi.»
«Benissimo, allora.» Diego sedette proprio di fronte a me e invitò Guglielmo, che invece si stava accomodando al mio fianco, a prendere posto accanto a lui. Il ragazzo soppresse un grugnito e si trascinò dall'altra parte del tavolo, lasciando che Vittoria sedesse vicino a me. «Direi che possiamo iniziare subito con il motivo per cui ti ho fatto venire fin qui, Tara.»
Il mio cuore accelerò di colpo. Sapevo di non aver fatto nulla di male, eppure una parte di me si sentiva come se da un momento all'altro mi avrebbero accusata di omicidio e spedita a marcire in carcere. «Senta... quello che è successo ieri è stato un incidente» sbrodolai, lasciandomi guidare dall'istinto. «Non volevo uccidere quel... quel... vampiro, non so nemmeno come abbia fatto, ma le giuro che non era mia intenzione. Io non sono una persona cattiva.»
Inaspettatamente, Diego scoppiò a ridere, bonario. «Suvvia, Tara, non penserai mica di essere qui per essere punita. Noi le uccidiamo di mestiere, creature come quella.»
«Tara si sentirebbe in colpa anche se calpestasse una formichina» sbuffò Guglielmo, stravaccato contro lo schienale della sedia con la voglia di vivere di un mollusco. «Uno dei suoi più grandi difetti, dopo la lingua lunga.»
«Be', quello non è necessariamente un difetto» intervenne l'altro ragazzo, Matteo, sporgendosi in avanti dal divano.
Guglielmo si voltò di scatto ma, prima che potesse alzarsi, Diego lo agguantò per una spalla e lo costrinse a restare seduto. «Rimaniamo concentrati, per favore.»
«Non può uscirsene in quel modo e-»
«Dopo» lo interruppe lo zio, inflessibile. «Adesso torniamo a noi. Tara, riuscendo a sopraffare quel vampiro hai dimostrato una grande prontezza di riflessi e un coraggio non da tutti, e per questo ti faccio i miei complimenti.» La sua espressione si tinse di una nota grave che non mi sfuggì. «La tua azione si porta tuttavia dietro una serie di conseguenze, e noi siamo qui proprio per discuterne.»
«Che tipo di conseguenze?»
«I clan di vampiri sono molto... territoriali, se così possiamo dire.» Sospirò, puntando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita. «E i loro membri hanno uno stretto rapporto gli uni con gli altri. Sono come delle grandi famiglie.»
«Vogliono vendetta per il vampiro ucciso da Tara» realizzò Vittoria, irrigidendosi al mio fianco. «La stanno cercando?»
«Il capoclan è già sulle sue tracce» confermò Diego, misurando le parole una a una. «Non impiegherà molto, a trovarla.»
Oh, porca miseria. Un vampiro era sulle mie tracce, probabilmente con tutte le intenzioni di farmi secca. Evviva la normalità.
«Non se lo troviamo prima noi.» Guglielmo scattò in piedi ma, ancora una volta, suo zio lo riportò a sedere senza troppi complimenti. «Sono settimane che non rispettano gli accordi. Questa è l'occasione perfetta per-»
«Abbi il buonsenso di tacere, una volta tanto» lo interruppe Diego, fulminandolo con un'occhiataccia. «Le cose sono più complesse di quel che credi.»
Guglielmo si liberò della presa di suo zio, ma non accennò più ad alzarsi dalla sedia. «Spiegati.»
Lo sguardo di Diego, a quel punto, si spostò su di me. «Riteniamo che l'attacco avvenuto ieri sera non sia stato frutto di un caso. Il vampiro non era alla ricerca di una preda qualunque, lui... voleva bere proprio il tuo sangue.»
«Ha detto di avermi seguito per giorni» mormorai, la voce tremante e il cuore che martellava come un forsennato nel petto. «Che il mio sangue profumava. Ma voi come... come...?»
«Sono in questo campo da abbastanza tempo per capire certe cose» disse lui, annuendo con aria grave. «Il licantropo deve averla marchiata. Non c'è altra spiegazione.»
Vittoria soppresse un singulto. «Ma se l'ha marchiata significa-»
«Che è esposta» la interruppe Guglielmo in un grugnito, concludendo la frase al posto suo. «Molto più di quanto lo sarebbe normalmente.»
Io feci correre lo sguardo sui presenti, il cuore in gola e gli occhi sgranati. «Qualcuno vorrebbe spiegarmi, per favore?»
«È una caratteristica lei licantropi» rispose Diego, tornando a concentrarsi su di me. «Quando scelgono una compagna la marchiano, per poterla ritrovare ovunque e in qualsiasi momento. Dopo il marchio il sangue subisce un piccolo mutamento... diventa percepibile a chilometri di distanza.»
Scossi la testa, cercando di assimilare quelle ultime novità. «Ma... che c'entrano i vampiri, in tutto questo? Mi sono persa un passaggio o-»
«Le sanguisughe hanno un ottimo olfatto» mi interruppe Guglielmo, sempre più tetro. «Questo almeno c'è da riconoscerglielo.»
Rimasi in silenzio un secondo, gli occhi bassi sulle mani intrecciate in grembo e il cervello che lavorava sodo per elaborare tutte quelle informazioni. «Se il mio sangue è mutato... come facciamo a farlo tornare normale?»
«Una purificazione andrà bene» rispose Diego, rimettendo su il sorriso rassicurante con cui mi aveva accolto. «Ci stiamo mettendo in contatto con una strega, nostra vecchia conoscenza... penserà lei a tutto.»
«Ma fino ad allora Tara va protetta» intervenne Guglielmo, inflessibile. «Non possiamo lasciarla esposta con un vampiro che vuole la sua testa su un piatto d'argento.»
Il sorriso di Diego, a quelle parole, si ampliò. «E qui entra in gioco Matteo. Penserà lui a tenerla al sicuro, mentre tu e Vittoria vi occupate del capoclan.»
Il ragazzo in questione si alzò dal divano e raggiunse il tavolo a grandi passi, sporgendosi per tendermi una mano. «Lieto di conoscerti, Tara.»
«Piacere mio» balbettai, stringendogliela. «Ma io... non penso che...»
«No, fuori questione» mi interruppe Guglielmo, balzando in piedi come colpito da una scarica elettrica. «Tara non lo conosce nemmeno. Lei non dà confidenza a quelli che non conosce, si troverebbe male.»
Be', quella sì che era una signora bugia: attaccavo bottone anche con i conducenti degli autobus, in sostanza, e lui lo sapeva benissimo. Che gli prendeva?
«A questo possiamo porre rimedio quanto prima» rispose Matteo, strizzandomi l'occhio. «Sei libera, diciamo... oggi pomeriggio?»
A quel punto Guglielmo gli si piazzò davanti, puntandogli un dito contro. «Si allena. È una campionessa di ginnastica artistica, non ha tempo di distrarsi... di sicuro non per conoscere meglio te.» Ruotò il capo verso Diego, ancora seduto sulla propria sedia, e gli scoccò un'occhiata dura. «Penserò io a tenerla al sicuro. Ci conosciamo già, sarà molto più semplice.»
Diego si voltò a guardarlo con un lungo sospiro. «Guglielmo... credevo di essere stato chiaro, a tal proposito. Sei troppo coinvolto. E lo stesso vale per Vittoria» aggiunse, rivolgendole un'occhiata veloce. «Matteo è la scelta migliore per tutti, ci ho riflettuto a lungo.»
«Non abbastanza» ruggì lui, con tanto impeto che persino io mi ritrassi contro lo schienale della sedia. «Perché se l'avessi fatto, capiresti anche tu che la tua decisione fa acqua da tutte le parti.»
A quelle parole Diego si alzò lentamente dalla sedia, arrivando a sovrastare Guglielmo di qualche centimetro. «Fino a prova contraria, il capo qui sono ancora io.» Gli sistemò il colletto della felpa, una tale freddezza a trapelare da quel gesto così semplice che la temperatura nella stanza parve quasi abbassarsi. «Questa è la mia decisione. Fine della storia.»
«Gli interessi degli innocenti sono sempre al primo posto, no?» replicò lui, senza accennare ad abbassare i toni. «E allora chiedi a Tara cosa ne pensa, prima di importi in questo modo su di lei.» Si voltò a guardarmi e, oltre il velo di rabbia che gli accendeva lo sguardo, intravidi anche una scintilla di speranza baluginare nei suoi occhi. «Diglielo, Tara. Digli che avere alle calcagna uno sconosciuto per ventiquattro ore al giorno ti mette in soggezione.»
Mi colse alla sprovvista: spostai lo sguardo sui volti dei presenti, ammutolita, e cercai di scuotere la testa. «Ecco, io... non è che...»
Una nota di fredda consapevolezza si fece largo negli occhi di Guglielmo, che mi guardò con un'aria tanto delusa e tradita da farmi stringere lo stomaco. «Perciò a te sta bene? Vuoi davvero che sia questo pagliaccio a proteggerti dal capoclan?»
Oh, ma che cavolo! No che non volevo, ma non potevo nemmeno uscirmene con un secco no: non ero una perfetta maleducata, a differenza sua.
«Guglielmo, io...»
«Lascia perdere, ho capito.» Indietreggiò con una risata incredula, scuotendo la testa, e mi rivolse un ultimo sguardo di ghiaccio. «Divertiti, ragazzina. Magari a lui riesci a dar retta.»
E poi se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle e lasciando me con la certezza assoluta di averlo perso per sempre.
Un lunedì peggiore di questo devono ancora inventarlo.
Spazio Yumi
Potrete mai perdonarmi per tutta questa assenza? Lo so, lo so, è passato tantissimo tempo dal mio ultimo aggiornamento, e ci sarebbero tantissime cose che potrei dire per giustificarmi, ma dirò solo che mi dispiace tanto e che non è dipeso da me. Il mondo degli adulti è come un gorgo marino: ti risucchia e non ti lascia più andare. Mi sono impegnata tantissimo per farvi avere questo capitolo in tempo per Natale e, anche se non lo ritengo il massimo, spero comunque che vi sia piaciuto <3
Non ho intenzione di abbandonare questo sequel, non ci penso proprio, e durante le feste spero di riuscire a pubblicare almeno un altro paio di capitoli per farmi perdonare. La storia sta venendo su pian piano, senza un vero progetto dietro che non sia un'idea vaga di come si svolgeranno gli eventi - per rispettare la tradizione che va avanti dal primo libro - e questo mi ha creato un po' di difficoltà; ora però ho buttato una base per i prossimi capitoli e sono molto più tranquilla, perché so dove devo andare.
Nel frattempo vi auguro buone feste, mangiate tantissimo e divertitevi come se non ci fosse un domani. Ci risentiamo prestissimo <3
Yumi :3
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