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«Devo forse preoccuparmi?»

Io rivolsi uno sguardo a mia madre, concentrandomi sulla ruga sottile scavata tra le sue sopracciglia. «In che senso?»

«Adesso non fare la finta tonta» borbottò lei, le dita impegnate ad allacciare i bottoni del soprabito. «Sei rimasta sola tutta la notte e quando siamo tornati eri con quei due. Che c'è sotto?»

La bocca mi si seccò improvvisamente. «Io, be'... Vittoria te l'ha detto, no? Sono passati a vedere come stessi.» Indicai i sacchetti sul tavolo con un cenno del capo. «E hanno portato i cornetti.»

Mamma aggrottò le sopracciglia, seguendo la traiettoria del mio sguardo. «Be', non si può dire che non siano stati premurosi.» Buttò fuori un lungo sospiro, tornando a voltarsi verso di me. «Ho visto come ti guarda quel Guglielmo. E ho visto come tu guardi lui. State insieme?»

La domanda mi colse così alla sprovvista che quasi mi strozzai con un fiotto di saliva. «Che cosa? No, ma', come ti viene in mente?»

Il sospiro di sollievo che tirò fu impercettibile, ma io me ne accorsi comunque. «Era solo per chiedere. Lo sai che non... non ti ostacolerei, vero?» Mi scrutò con aria indecifrabile. «Insomma, mi piacerebbe che aspettassi ancora un po', e magari che frequentassi qualcuno che non sembra un avanzo di galera, ma ormai stai per compiere diciassette anni. Stai diventando grande. E preferisco che tu mi tenga al corrente di queste cose, Tara, piuttosto che restare all'oscuro di tutto.»

Wow, ero senza parole: da quel lunedì mattina tutto mi aspettavo fuorché conversare di ragazzi con mia madre. E per di più in toni pacati! Che stava succedendo?

«Mamma, sicura di non essere stata colpita da un fulmine?» ipotizzai, raggiungendola a grandi passi. Le posai una mano sulla fronte con le sopracciglia aggrottate. «O magari hai la febbre. Oppure si tratta di una possessione demoniaca?» Mi ritrassi di colpo, fingendomi spaventata, e afferrai la statuetta della Madonna dal tavolo. «Vade retro, satana! Giacomo, presto, chiama il prete!»

«Ma che stupida» sghignazzò mamma, scuotendo la testa con aria rassegnata. «Piuttosto, cerca di non combinare pasticci mentre non ci sono. Oggi pomeriggio hai allenamento, che la palestra resta aperta.»

La seguii fino all'ingresso, occhieggiando discretamente l'orologio appeso sopra l'attaccapanni. Quanto dovevo aspettare prima di uscire? Avvisare Giacomo che me ne stavo andando sarebbe stata una buona idea?

«Fatti trovare pronta per le due meno un quarto, che ti porto io.» Mamma prese l'ombrello appeso alla maniglia e uscì sul pianerottolo, osservando con le sopracciglia aggrottate le impronte infangate che sporcavano il pavimento. «Chiama per qualsiasi cosa» concluse, rivolgendomi un ultimo sorriso incerto e imboccando le scale.

Attesi sulla soglia finché non la sentii arrivare al pianterreno, poi richiusi la porta e scivolai quatta in camera mia. Non avevo idea del perché Vittoria mi avesse chiesto di raggiungerli in strada, ma inutile specificarlo: ero curiosa. E anche spaventata, a ben pensarci, perché con ogni probabilità aveva a che fare con ciò che era successo la sera prima. Un brivido mi percorse rapido la spina dorsale. Il ricordo di quelle zanne, del dolore lancinante alla spalla, del senso di stordimento che pareva strapparmi la terra da sotto ai piedi... era tutto incredibilmente vivido nella mia mente, tanto che dovetti allungarmi un pizzicotto per ricordarmi di essere al sicuro, lontana da tutto ciò che era successo.

Sostituii il pigiama con dei jeans e una maglietta di cotone bianco, infilai le solite Superga e mi chiusi in bagno. Il riflesso offerto dallo specchio era impietoso: avevo i capelli crespi e arruffati, profonde occhiaie violacee mi circondavano gli occhi ed ero pallida come un cencio.

E Guglielmo ti ha vista così? Oh, accidentaccio, no!

Non che mi importasse. Insomma, avevo cose ben più importanti a cui pensare, in quel momento.

Scostai il colletto della maglia e mi sporsi oltre il lavandino, ma della ferita della sera prima non restavano che due minuscole macchie biancastre. A non sapere che erano lì, nessuno le avrebbe mai notate.

Mi spazzolai rapida i denti, sciacquai il viso con acqua gelata e, nel tentativo di apparire un minimo più presentabile, mi diedi una truccata: eyeliner, mascara, un filo di blush e lucidalabbra rosa. Non mi truccavo spesso, tralasciando le occasioni speciali come le gare e qualche festa di compleanno, ma c'era da ammettere che il make-up era un valido alleato, in giornate come quella.

Raccolsi i capelli in una crocchia alta, lasciando libera la frangia, e osservai il risultato finale alo specchio: be', si poteva fare. 

Uscii dal bagno e, silenziosa come un ninja, attraversai il corridoio fino alla stanza di Giacomo; non ci fu nemmeno bisogno che mi affacciassi: mio fratello russava come un trombone e non si sarebbe svegliato nemmeno se una flotta aerea avesse deciso di bombardare casa nostra.

Sgattaiolai fino all'ingresso e, preso il k-way dal gancio e le chiavi dalla bacheca, uscii all'esterno.

Come promesso, Guglielmo e Vittoria mi aspettavano in fondo alla strada: erano in piedi accanto alla moto di lei, accostata al marciapiede semisommerso dall'acqua, e discutevano animatamente su qualcosa che non riuscii a capire.

Avanzai cauta lungo l'asfalto bagnato, attardandomi il più possibile per allacciarmi l'impermeabile – e per tentare di origliare qualcosa – ma Vittoria si accorse di me: si allontanò dal fratello per venirmi incontro, un sorriso un po' incerto sulle labbra.

«Tutto okay?»

Io scrollai le spalle e lanciai un'occhiata a Guglielmo, che ci stava raggiungendo con un cipiglio scuro. «Sì. Che succede?»

«Succede che se Vittoria non rispetta ogni singolo ordine si sente male» borbottò lui, scoccandole uno sguardo gelido. «Perché non possiamo pensarci noi? Che c'entra lei?»

Lei ricambiò l'occhiata con altrettanta durezza. «Zio vuole parlare con lei. E se non fosse stata abbastanza in forze sarei stata la prima a-»

«Ce l'avresti portata a braccia, se fosse servito a compiacerlo» la interruppe Guglielmo. «E non provare a negarlo.»

Un momento... quindi mi stavano portando dallo zio perché voleva parlarmi? E per quale motivo? «Volete spiegarmi che succede?»

Lo sguardo cupo di Guglielmo scivolò su di me, limitandosi a soppesarmi per qualche secondo. «Tu vieni in macchina con me.» Fece un cenno con il capo, indicando la Jeep parcheggiata dietro la moto, e incrociò le braccia al petto. «Aspettami dentro.»

Io sostenni il suo sguardo truce. «E se volessi andare in moto con Vittoria?»

«E poi cosa, perdere la presa perché sei ancora debole e sfracellarti a centotrenta chilometri orari?» Serrò le labbra in una linea severa e indietreggiò di qualche passo, alzando le mani. «Sai cosa, fa' come ti pare. Siete due testarde del cavolo, mi avete stufato.»

Mentre si allontanava a grandi passi, le mani cacciate nelle tasche dei jeans e le spalle curve, mi tornò in mente la preoccupazione che l'aveva animato la sera prima. Non voleva fare il dittatore rompiscatole: Guglielmo era davvero in pensiero per me.

«Va' con lui» sospirò Vittoria, lo sguardo fisso sulla schiena del fratello. «O ci terrà il muso fino all'anno prossimo.»

Aveva ragione. E poi, se fossi andata in moto con lei, non avrei potuto tempestarla con le domande che mi vorticavano in testa. Meglio la macchina: Guglielmo non avrebbe potuto ignorarmi.

«Aspetta, musone!» esclamai, raggiungendolo con una corsetta. «Non vorrai mica lasciarmi a piedi?»

Guglielmo, aggirando il perimetro della macchina per raggiungere la sua portiera, mi rivolse l'ennesima occhiata scura. «Non tentarmi, ragazzina.»

Saltai a bordo e richiusi la portiera, voltandomi verso di lui con rinnovata determinazione. «Allora? Dove stiamo andando?»

«Mi ero quasi scordato di questa fastidiosa abitudine...»

«Quale fastidiosa abitudine?»

Inserendo la chiave nel quadro, Guglielmo si voltò per scoccarmi un'occhiata canzonatoria. «Non stai mai zitta.»

Quel brutto cretino insensibile! Ma come si permetteva? Avrei proprio voluto...

Ma il mio pensiero si interruppe a metà, quando mi resi conto che Guglielmo si era avvicinato pericolosamente e mi scrutava con le sopracciglia aggrottate.

«C-che c'è?» balbettai, tirando indietro il busto. «Che ho fatto?»

I suoi occhi tracciarono un lento percorso sul mio viso, dalle labbra in su, lasciandosi dietro una scia bollente che minacciava di farmi andare a fuoco. «Sei truccata.»

«Be'?» indagai, trattenendo un sospiro di delusione. Per un attimo avevo creduto che mi avrebbe baciato, cavolo. Be', sembrava che dovessi rassegnarmi: Guglielmo non provava ciò che provavo io, ormai era piuttosto evidente. Anzi, sembrava essere anche abbastanza scocciato dalla mia presenza. Quel bacio nel bosco... Mi morsi un labbro, cercando di reprimere il moto di nostalgia che si era appena acceso nel mio cuore.

«Non ti ho mai visto così» rispose lui, continuando a osservarmi come se fossi il frutto di un esperimento segreto. «Con tutta questa...» Gesticolò con entrambe le mani, accennando al mio viso. «...roba in faccia.»

Io lo guardai male. «Volevo evitare che la gente pensasse che Halloween fosse arrivato in anticipo, quest'anno.»

Guglielmo aggrottò le sopracciglia. «Spiegati meglio.»

«Sembravo uno zombie decomposto, Gu'.»

Per una manciata di secondi non disse nulla: si limitò a osservarmi con la fronte aggrottata e una smorfia buffa a deformargli le labbra. Poi allungò un braccio verso di me e, con il pollice, strofinò la pelle del mio zigomo sinistro. «Sei più carina senza.» Come se nulla fosse successo, poi, ritrasse il braccio e inserì la prima, immettendosi nella carreggiata con un colpo di acceleratore.

Io, dal canto mio, ero sul punto di sciogliermi. Mi aveva detto che ero più carina senza trucco... allora gli piacevo! Poi però ripensai a Miss-Coscia-Lunga-e-Perfetta e un moto di sconforto mi fece sgonfiare di colpo. Dubitavo seriamente di poter competere con quella probabile stangona.

Piantala di compiangerti, mi dissi, osservando i nuvoloni compatti che incombevano sulla città. Da quando in qua ti paragoni ad altre ragazze? Non sarai slanciata, Tara, ma hai un sacco di altri punti forti: sei intelligente, coraggiosa, buona, hai le ciglia lunghe, un accenno di tette, che per i livelli a cui competi è un mezzo miracolo... Di che ti lamenti?

«Infatti» concordai a voce alta, raddrizzandomi sul sedile con un mezzo sorrisetto. «E se fossi stata alta non sarei mai diventata una campionessa di ginnastica artistica.»

«Prego?»

Rivolsi uno sguardo imbarazzatissimo a Guglielmo, che continuava a spostare lo sguardo da me alla strada, sconcertato. Che cavolo, una figuraccia dietro l'altra. Ma perché non mi stavo zitta?

«No, è che... Riflettevo ad alta voce.» Tossicchiai e gli rivolsi un sorrisetto abbozzato. «Allora, dove mi portate?»

Guglielmo riportò lo sguardo sulla strada semivuota, umettandosi le labbra con aria grave. «Il grande capo vuole vederti, a quanto sembra.»

«Il grande capo? Cioè?»

Mi rivolse un'occhiata veloce, approfittando del semaforo rosso che ci aveva costretto a fermarci, e non trattenne un sospiro. «Nostro zio Diego.»

Hmmm, quanto lo odiavo quando si trasformava nel corrispettivo umano di un telegrafo! Ma che gli costava darmi qualche risposta un po' più articolata? Temeva che gli si annodasse la lingua, forse?

«Ha a che fare con quello che è successo ieri sera?»

Guglielmo strinse le mani attorno al volante e la sua mascella si indurì. «Probabile.»

«Senti, è inutile che te la prendi perché ti faccio tante domande» brontolai, serrando le braccia al petto. «Sto solo cercando di capire cosa sta succedendo, e mi dispiace se adesso per qualche strano motivo non mi sopporti più, ma-»

«Prego?» mi interruppe lui, lanciandomi un'occhiata incredula. «Vorresti ripetere?»

«È inutile che te la...»

«Non quello» mi interruppe ancora, scalando una marcia per svoltare a destra. «Io non ti sopporto più? Questa da dove sarebbe uscita?»

Io deglutii, mordicchiandomi un labbro nel tentativo di prendere tempo. Maledetta me e le mie uscite infelici. Come glielo spiegavo che pensavo non mi sopportasse più perché non avevamo più accennato a quello che era successo tra noi? «Ecco... be', siete spariti per mesi. Ho tratto le mie conclusioni.»

Brava, Tara, ottimo lavoro: una mezza verità non fa male a nessuno.

«Le tue conclusioni non potrebbero essere più lontane dalla realtà» sputò lui, trattenendo a stento la rabbia.

«Eppure guarda come mi tratti!» La voce mi tremò appena e dovetti mordermi un labbro, perché ero a tanto così dal mettermi a piangere e non mi sembrava proprio il caso.

«No, Tara...» Il sospiro di stanco di Guglielmo riempì l'abitacolo. «Mi dispiace. Non è con te che sono arrabbiato. Io... oh, maledizione.» Sterzò bruscamente e fermò l'auto sul ciglio della strada, dietro una fila di macchine parcheggiate, e si voltò per scoccarmi un'occhiata indecifrabile. «Non abbiamo deciso noi di allontanarci da te. Se fosse stato per me... per noi...»

«Non devi darmi giustificazioni» mi intromisi, lanciandogli un'occhiata di traverso. «Davvero, capisco. Voi avete la vostra vita e io-»

«Piantala. Mia sorella ti adora, Tara, e io...» Si interruppe, un velo di insicurezza nello sguardo. «Io... insomma, hai capito. La decisione di tenerci a distanza non è dipesa da noi.»

Era la stessa cosa che mi aveva detto Vittoria e, sebbene non capissi cosa volessero dire, non pensavo che stessero mentendo: non erano cos bravi a farlo, del resto.

«Okay, ti credo. E per quanto riguarda il...» Ma mi interruppi prima di riuscire a dire qualcosa di compromettente, mordendomi la lingua con una certa violenza. Per un secondo, l'idea di parlargli del bacio mi era parsa un'ottima idea: chiarire era sempre un bene, in fondo. Ma ora che ero sul punto di vuotare il sacco non me la sentivo più: e se mi avesse preso per una sciocca sentimentale che vedeva cose laddove non ce n'erano? Per me era stato il primo bacio, quello, ma per lui... be', immaginavo che il mio nome si fosse perso nell'infinita lista di ragazze che aveva baciato. Oddio, magari se n'era pure dimenticato.

«Nulla, lascia stare» balbettai precipitosamente, abbassando lo sguardo sulle mie ginocchia giunte. «Vai pure. Scusa per le mie paranoie da psicopatica.»

Guglielmo, però, non accennava a ripartire. «Per quanto riguarda cosa, Tara?»

Cacchio. Ma non poteva lasciar correre e basta? Gli rivolsi un'occhiata veloce, sperando di non essere diventata fucsia. «Io, hmmm... l'ho scordato! Già, ultimamente sono un po' smemorata, quindi-»

«Non mi freghi, ragazzina» mi interruppe lui, avvicinandosi pericolosamente per afferrarmi dal mento. «Ormai ti conosco. Per quanto riguarda cosa?»

Io mi divincolai dalla sua presa e gli feci una linguaccia. «Non sono tenuta a dirti un bel niente. E adesso muoviti, che entro l'una e mezza devo ristare a casa.»

Lui mi puntò un indice contro, mentre con la mano libera toglieva il freno a mano. «Lo scoprirò.»

Non avevo il minimo dubbio in proposito.

Tacqui per il resto del tragitto, limitandomi a osservare il progressivo addentrarsi della macchina all'interno di una zona industriale. Palazzoni grigi si susseguivano lungo la strada deserta, alternandosi a macchie di campagna cupa e desolata.

Dopo qualche altro minuto di strada, Guglielmo rallentò per imboccare una rampa che conduceva a un parcheggio sotterraneo. Nella penombra che regnava lì sotto, tutti i miei timori tornarono a farsi sentire più forti di prima.

«Dove siamo?»

Senza distogliere lo sguardo dal parcheggio che stavamo attraversando, Guglielmo strinse le labbra in una linea sottile. «Nel posto in cui avviene la magia.» Frenò dolcemente e posteggiò l'auto in uno dei tantissimi spazi liberi, proprio accanto a un pilone grigio di cemento. «Benvenuta al nostro quartier generale, ragazzina.»

Spazio Yumi

Mi dispiace mi dispiaceeeeee mi dispiaceeeeeeeeeeeeee

Sono sparita per tanto tempo e vi chiedo scusa, ma purtroppo la mia vita è iper mega caotica e sono sempre in giro come una trottola impazzita (Tara approverebbe)

E nulla, capitolo di passaggio, ma già dal prossimo incontreremo nuovi personaggi e vi dico solo una cosa: Guglielmo geloso. Quanto mi amate da uno a dieci?

E niente, vado a dormire perché sono distrutta nel corpo e nell'anima e non ne posso più

mandate aiuto perché se continuo così schiatto

bacini a tutti

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