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6

Con la carta igienica ancora premuta sulla spalla, cacciai la testa fuori dal bagno e rivolsi uno sguardo allo spicchio di sala che si intravedeva dal corridoio.

«Aprite la porta, per favore!» strillava Vittoria tra un colpo alla porta e l'altro. «Tara! Tara, ti scongiuro, sono io!»

Lo riconosco, il pensiero che potesse trattarsi di qualcun altro mi aveva sfiorato più di una volta, in quel lasso di tempo. E se il vampiro non fosse morto e mi avesse seguito a casa, fingendosi Vittoria per attirarmi fuori?

Okay, questa era assurda persino per te, pensai, uscendo a piccoli passi dal bagno.

I colpi alla porta si interruppero bruscamente, sostituiti da lievi bip ovattati. Qualche secondo di silenzio assoluto, poi si udì un sospiro tremante. «Sono qui, ma non apre nessuno. Gu', io... Che dobbiamo fare? Ha pure il cellulare spento!»

A quelle parole, ignorando il nodo alla bocca dello stomaco che andava stringendosi ogni secondo di più, attraversai il corridoio ed entrai in sala. «Vittoria?» chiamai, la voce abbastanza alta perché mi sentisse dal pianerottolo.

«Tara? Tara, sei tu?» I colpi alla porta ripresero ancora più forti. «Sono Vittoria, apri! Oh, Gesù, è lei.»

Chiusi la distanza che mi separava dalla porta e, prima di aprire, salii sul panchetto lì vicino per controllare che fosse davvero lei dallo spioncino. Le luci nel pianerottolo erano spente, ma la silhouette slanciata di Vittoria era inconfondibile. Barcollai di nuovo a terra e tirai la porta fino a me.

Vittoria, in piedi a sgocciolare abbondantemente sullo zerbino, sgranò gli occhi e fece scivolare il telefono lungo la guancia. «Stai bene!» Avanzò di un passo e mi gettò le braccia al collo, gesto che mi strappò un gemito di dolore: sotto la carta igienica appallottolata, le ferite continuavano a sanguinare. Vittoria si staccò precipitosamente, gli occhi ancor più sgranati di poco prima che mi scandagliavano da capo a piedi. «Ti ha morsa, vero?»

«Tu come... come...?»

Ma venni interrotta dalla voce crepitante che, dal microfono del cellulare di Vittoria, strepitava a pieni polmoni.

«Sta bene» disse la ragazza, portando il telefono all'orecchio. «Credo che l'abbia morsa. Anzi, togli il credo» aggiunse con voce dura, quando si allungò per scansare la mia mano dalla spalla. Le lacrime che le riempivano gli occhi non riuscirono a mitigare il lampo di rabbia che le attraversò lo sguardo. «No, non devi venire. Guglielmo, ti ho detto...» Si zittì per un secondo e, sebbene i brusii provenienti dal telefono fossero piuttosto concitati, non riuscii a distinguere una sola parola. «Posso sbrigarmela da sola, tu devi...» Si interruppe ancora, un labbro stretto tra i denti e l'espressione esasperata. «Fa' come vuoi, allora. Gli ordini di zio erano chiari, ma tu come sempre... Guglielmo? Guglielmo, ci sei?» Vittoria allontanò il cellulare dall'orecchio e il suo sguardo si accese di rabbia. «Ora mi attacca pure in faccia, certo. Idiota che non è altro!»

Quando rimise il cellulare in tasca, io stavo ancora cercando di capire cosa accidenti stesse succedendo. Vittoria era davvero lì, davanti a me? Ma soprattutto... come faceva a sapere che cosa fosse successo?

«Io non-»

«Dopo» mi interruppe lei, richiudendo la porta alle sue spalle con un calcio. «Prima devo ricucirti. Dov'è il bagno?»

Ormai del tutto ammutolita e in confusione totale, le feci strada fino al bagno di servizio in fondo al corridoio. Quando entrammo, Vittoria attivò la torcia del cellulare e lo spettacolo che ci si parò davanti non fu dei migliori: gocce di sangue macchiavano il pavimento e la ceramica candida del lavandino, acqua scarlatta ristagnava sul fondo del bidet insieme alla mia felpa, impronte insanguinate sporcavano qualunque superficie avessi toccato con le mani. Sembrava la scena di un massacro.

«Qui» ordinò Vittoria, spingendomi a sedere sulla tavoletta abbassata del water. Si chinò sulle ginocchia, in modo che fossimo alla stessa altezza, e mandò dietro le orecchie i ciuffi bagnati appiccicati sulle guance. «So che fa male e che hai paura, ma ti assicuro che andrà tutto bene. Okay?»

Mi sforzai di annuire, sebbene in quel momento faticassi davvero a credere alle sue parole. «O... Okay.»

«Quanto è durato il morso?»

Io le rivolsi uno sguardo e aprii la bocca per chiederle delucidazioni, ma i denti avevano ripreso a battere troppo forte e avrei rischiato di tranciarmi la lingua di netto.

«Direi almeno un minuto» rispose lei per me, prendendomi le mani tra le sue. «Okay, Tara, devi scaldarti. Hai perso troppo sangue.» Si drizzò sulle ginocchia e fece una corsetta fino alla doccia, dove aprì il getto dell'acqua alla massima potenza. «Okay, ti aiuto io. Vieni qui.»

Anche volendo non avrei potuto oppormi: tutto ciò a cui riuscivo a pensare era la stanchezza e il freddo che avvertivo. Vittoria mi spogliò, ammucchiando i miei vestiti zuppi nel bidet, poi mi gettò sotto l'acqua calda senza troppi preamboli.

«Bollente» tartagliai, la voce soffocata dal getto dell'acqua che mi finiva in faccia. «Brucia.»

Vittoria mi spremette in testa dello shampoo alla fragola e iniziò a insaponarmi i capelli. «Entro un paio di minuti mi ringrazierai.»

Aveva ragione: contai i secondi uno per uno, mentre lei mi sciacquava la cute e si premurava che l'acqua bollente non colpisse direttamente la ferita, e dopo due minuti esatti smisi di tremare.

«Ferma lì, ti prendo qualcosa.» Si allontanò dal box per qualche secondo, aprendo cassetti e sbattendo sportelli, e tornò indietro con l'accappatoio giallo di mia madre. Me lo avvolse addosso e mi aiutò a uscire dalla doccia, assicurandosi che fossi ben coperta. «Andiamo in camera tua. Da che parte?»

Una volta asciutta, rivestita con un pigiama pesante e la corrente finalmente riattivata, iniziai a tornare di nuovo in me.

«Che cosa... che cosa è successo?»

Vittoria, china davanti al comodino per mettere in carica il mio telefono, mi rivolse uno sguardo che non riuscii a interpretare. «Non dobbiamo parlarne adesso, Tara.»

«Mi ha morso» insistetti, sforzandomi di tenere salda la voce. «Diceva che il mio sangue profumava, che erano giorni che mi seguiva...» Un singhiozzo mi interruppe a metà frase, seguito a ruota da un paio di lacrime traditrici. «Scusa, io...»

«Ora hai bisogno di riposo» intervenne Vittoria, sedendosi sul bordo del letto. «Parleremo quando starai meglio, Tara.»

Io scossi la testa, provando a negare, ma la vibrazione improvvisa che si impadronì del mio cellulare mi distrasse. Stranamente c'erano solo un paio di messaggi da parte di mia madre, l'ultimo dei quali mi avvisava che le strade erano troppo congestionate e che avrebbero trascorso la notte in albergo. Le risposi con un rapido 'sono a casa, era saltata la corrente', poi riposi il telefono sul comodino.

«I miei non tornano a casa» annunciai con voce tremula, rannicchiandomi sotto il lenzuolo. Che sarebbe successo quando Vittoria se ne fosse andata? E se quello non fosse morto per davvero? Sarebbe tornato da me per cercare vendetta?

«Ehi, ehi» intervenne subito la mia amica, drizzandomi il mento con due dita. «Tara, parlami. Che succede?»

Mi resi conto di essere scoppiata in lacrime solo quando lei mi asciugò le guance, passandoci i pollici sopra. «È solo... io non volevo... è stato lui...»

«Lo so, va tutto bene» si intromise lei, tirandomi a sé in un abbraccio. «Starai bene. Non permetteremo che ti accada più nulla. Promesso.»

Ormai preda dei singhiozzi e di un'evidente instabilità mentale, mi ritrovai a singhiozzare disperatamente contro la sua spalla. «Siete spariti. Per tutti... per tutto questo tempo, voi... credevo che non voleste più...»

«Shhh» mi interruppe Vittoria, accarezzandomi i capelli con la mano che non mi stringeva. «Mi dispiace tanto, Tara. Purtroppo sono successe delle cose... fuori dal nostro controllo. Non era nostra intenzione ignorarti in questo modo.»

Annuii tra le lacrime, scostandomi da lei per asciugarmi la faccia. «Non ti devi scusare. Un po' me lo sarei dovuto immaginare, ma... credevo che stessimo diventando amiche, e-»

«Ma noi siamo amiche!» mi interruppe lei, afferrandomi le mani. «Certo che lo siamo, che razza...» Si interruppe e un'ombra scura calò sul suo volto. «A meno che tu... non abbia cambiato idea. E lo capirei, Tara, davvero. Io e Guglielmo spariti per mesi.»

«Se non ci tenessi non mi sarei preoccupata in questo modo» spiegai, tirando su col naso. «Io vi voglio bene, Vittoria. Credevo di avervi fatto qualcosa di sbagliato o chissà che, e-»

«Non pensarlo nemmeno» mi interruppe, tappandomi la bocca con una mano. «Tu non c'entri proprio niente, Tara. È stata... è stata colpa nostra, anche se indirettamente. Non avremmo mai voluto allontanarci da te in questo modo.»

Fu come se un enorme macigno si fosse sollevato dal mio petto, lasciandomi respirare di nuovo. Fino a quel momento non mi ero resa conto di quanto quella storia mi stesse pesando. Ricevere la conferma di non essere stata io la causa del loro improvviso allontanamento, be'... fu come una boccata d'aria dopo una lunga immersione.

«Come sapevate cos'era successo?» ripresi dopo qualche secondo di silenzio, ritrovando finalmente il coraggio di guardarla negli occhi.

Vittoria si mordicchiò un labbro, mandando una ciocca ancora umida dietro l'orecchio. «Un informatore teneva d'occhio il clan da un po' di tempo. Non hanno mai dato problemi, ma ultimamente... be', sembravano non rispettare più i nostri accordi. Uscivano dopo il coprifuoco, si avventuravano oltre i confini senza dichiararcelo...» Buttò fuori un sospiro e inclinò la testa da una parte. «Hanno mandato Guglielmo a ispezionare l'area dove era stato avvistato, e poi... be', ha trovato il tuo portafoglio insieme a tutto quel sangue, e allora...» Una serie di tonfi alla porta la interruppe a metà frase, facendola voltare di scatto verso l'ingresso della mia stanza. «Tranquilla, dev'essere lui. Vado ad aprirgli prima che sfondi la porta.»

Il cuore mi sprofondò nello stomaco, per poi schizzare su dritto in gola come un missile. Non avrei avuto una reazione così esagerata nemmeno se fuori dalla porta ci fosse stato il vampiro assetato di vendetta e del mio sangue, poco ma sicuro.

«...bene» disse la voce di Vittoria, sovrastata dai passi pesanti che risuonavano per il corridoio. «Ma adesso si deve riposare, perciò evita le tue solite piazzate da-»

«Lo so anch'io che si deve riposare» la interruppe lui, e i passi cessarono all'improvviso.

I battiti del mio cuore, se possibile, aumentarono ancor di più. Era lui, era Guglielmo, ed era fuori dalla mia porta! Scivolai in silenzio giù dal letto e mi avviai alla porta in punta di piedi, il cuore che pompava impazzito contro la cassa toracica.

«C'ero anch'io quando ci hanno insegnato come trattare i morsi di vampiro. Voglio solo... voglio solo vedere se sta bene.»

Emersi in corridoio e lì mi fermai: Guglielmo mi dava le spalle, volto a osservare sua sorella, qualche passo più avanti.

«Non bastano un paio di zanne per mandarmi al tappeto.»

Si voltò di scatto, come se qualcuno l'avesse colpito con una scossa elettrica, e per una manciata di interminabili secondi non disse nulla: si limitò a osservarmi in silenzio, l'espressione indecifrabile e le labbra serrate. Poi sollevò l'angolo destro della bocca in un sorriso impertinente. «Dici? Perché non mi sembri particolarmente in forma, ragazzina.»

«Che cosa? Io sto una favola, sei tu che...» Ma mi interruppi di colpo, perché nell'avanzare minacciosa nella sua direzione mi sentii la terra mancare sotto i piedi, e non ero decisamente in vena di un capitombolo.

Guglielmo mi raggiunse in un lampo e mi afferrò per le braccia giusto in tempo: ancora una secondo e probabilmente sarei crollata come un sacco. «Sei sempre la solita sconsiderata» brontolò tra i denti, passandomi un braccio sotto le ginocchia per sollevarmi da terra. «Non te l'ha detto Vittoria di restare a letto?»

Per tutta risposta mugugnai qualcosa di incomprensibile alle mie stesse orecchie, che si trasformò in un gemito di protesta quando Guglielmo mi depositò adagio sul mio letto.

«Shhh, devi dormire» bisbigliò, chinandosi sulle ginocchia per rimboccarmi le coperte. «Domani parleremo.»

Domani...

Lo sentii scostarmi una ciocca di capelli dal viso e poi, dopo qualche secondo, posarmi un bacio leggero sulla guancia. «Non ti azzardare mai più a farmi prendere uno spavento del genere.»

Tentai di aprire la bocca per rispondergli a tono, ma la stanchezza prese il sopravvento all'improvviso e io scivolai nel sonno.

Spazio Yumi

È riapparsoooooooo miracolo miracoloooooooo
Un Guglielmo selvatico all'orizzonteeee waaaaaaa
Okay, scleri a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Vi allego un paio di fotine del cartaceo del primo libro perché non mi stanco mai di guardarlo 😭





E nienteeeeeeee ci becchiamo al prossimo aggiornamento, amici! Vvb ❤🥧🎃🍂🌫🍁

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