Quel dettaglio chiamato sentimento
Sofia Gambini non è mai stata come me, come noi.
Se siete persone normali il primo sentimento che vi ispirerà la sua storia è l'odio. Appaiato all'invidia.
Di per sé è una vista che non incute timore, semmai l'opposto : altezza media, snella, capelli lisci e rossi con relativa pelle diafana, lentiggini che le conferiscono un'aria fanciullesca e sbarazzina. Bella femmina, insomma.
Il suo retaggio è straordinario quanto il suo aspetto. L'esistenza di persone come Sofia ci fa capire quanto la sorte sa essere straordinariamente iniqua nel distribuire i doni della vita.
Il padre è stato un importante amministratore delegato di un'azienda farmaceutica.
La madre era direttrice di una catena di cliniche private.
Il tutto li collocava, se non nella fascia degli straricchi, nelle immediate vicinanze.
Quando ci conoscemmo, Sofia ammise di non avere nessuna praticità nei lavori domestici, e che questa deficenza era imputabile al fatto che a casa sua se ne era sempre occupato il personale di servizio.
Credetti ingenuamente che la sua famiglia fosse di quelle in grado di pagare la serva a mezza giornata.
Sbagliavo. A casa Gambini c'erano due domestiche fisse, cuoca, autista e tata a tempo pieno, più il giardiniere.
I genitori, votati alla carriera, avevano immense ambizioni per la loro unica figlia fin da quando questa era una tenera speranza racchiusa nei loro cuori. Volevano semplicemente il meglio del meglio per lei... e da lei.
L'infanzia di Sofia fu un susseguirsi di istitutori per aiutarla a tenere il passo in costosissime scuole private, allenamenti in circoli sportivi, lezioni d'arte, viaggi d'istruzione, sedute mensili dallo psicologo incaricato di individuare eventuali problemi. Si mirava all'elitè, e la piccola prometteva bene.
Nonostante un'adolescenza un po' irrequieta eccelse negli studi diventando una delle tre migliori laureande nel suo corso di marketing director, alla Bocconi. A quel punto tutta la strada era in discesa, perché grazie ai loro agganci le avrebbero permesso una rapida carriera ai piani alti. Dopo ci avrebbe pensato lei, a conquistare il mondo.
E lì, a un passo dal raggiungimento dei loro sogni, dopo aver speso una fortuna per istruirla e molto probabilmente preparato il discorso di devozione da dedicarle nel giorno che fosse divenuta il primo presidente della repubblica donna, i genitori ricevettero un colpo quasi mortale.
Sofia annunciò che non le interessava fare carriera nel marketing, nell'amministrazione o in qualunque campo servisse la sua laurea e la loro influenza.
Aveva seguito un corso di pasticceria professionale nel tempo libero e trovato una socia con cui avviare una piccola attività. Inutile dire che da allora mi videro come fumo negli occhi e divenni colpevole di aver trascinato la figlia in questo buco di mondo dal loro comodo universo di privilegiati.
Tutto questo per spiegare in parte i problemi di gestione della voce di Sofia. Non gestione della rabbia. Della voce. Come lei stessa è stata tanto abile da farmi osservare, cosa si chiede di saper fare a un dirigente dei massimi livelli? Urlare. Se urli la segretaria si spiccia a trovarti una macchina, gli impiegati scattano, il mondo gira come vuoi tu. E lei è stata allevata per saper urlare. Solo per quello.
Iniziavo appena a controllare le email ricevute quando Sofia entrò, un turbine di casacca e pantaloni candidi su cui i capelli parevano una crocchia di sangue.
Bella femmina, l'ho definita. Nessuno riesce a capire come sia possibile che una creatura come lei sia single.
"E che cazzo, sto andando, sto andando, Rompipalle!" strepitava a chi era rimasto in corridoio.
Naturalmente appena apre bocca tutti smettono di chiedersi perché tanta grazia non è sposata e la domanda naturale che segue è: riapriranno mai i manicomi?
"Te lo manda Claudio. Miseria ladra, chi ti ha investito?" si sedette con estrema nonchalance, posando un vassoio con tè bollente e biscottini "Giù si sentono i lamenti dei rivoltosi che si leccano le ferite. Come ti sei permessa di fare una scenata? Qui l'instabile sono io. Tu sei quella equilibrata. Guarda che non possono esserci due poliziotti cattivi nella storia, uno deve essere buono."
Ah, il buffetto prima dell'attacco. Era sulla difensiva.
"Tu non sei un poliziotto, ma un torturatore delle SS. Prima ancora che mi mettessi comoda, sai chi c'era qui?"
Un lampo di ostilità le illuminò gli occhi "La colpa è sua. Gliel'ho ripetuto non so quante volte di non parcheggiare quella sua macchinetta nella nostra zona scarico, ma lui insiste... Aspetta, di che cosa stai parlando?" aveva colto lo sbalordimento nella mia espressione.
"Del mondo che si è precipitato qui, degli operai che hai preso a parolacce per un po' di miscela finita per terra. Ma tu di che parli?"
"Venti chili, non un po' di miscela. Venti chili! L'intera fornitura di muffin da consegnare entro le sei ai bar del settore nord! E cosa dovevo fare? Dire che non è niente e chiuderla li? Guarda che è roba che paghiamo, uno spreco incredibile, e per di più abbiamo rischiato di fare tardi per infornare le brioches! Non è stato un errore da poco, lo sanno che la tazza va fissata prima di farla ruotare, e se si faceva male qualcuno la colpa era pure nostra. Invece di chiedere scusa doveva offrirsi di pagare il danno e non provare a riprendere il lavoro come nulla fosse e..."
La bloccai, decisa a impedirle di far passare inosservato il suo commento di colpevolezza "Non mi interessa più. Cos'è la storia della macchina? È quella di Panzetta?" l'avevo a malapena notata. Era il proprietario di palestre, l'arcinemico di Sofia da un anno a quella parte. Col vizio di usare il nostro parcheggio e ignorare le proteste che il suo comportamento causava.
Davvero ironico che con un cognome simile si occupasse di fitness.
"Allora?" la incalzai.
Incrociò le braccia sul petto "Niente. Non ho niente da dire."
"Va bene, ma se tu avessi da dire?"
"Direi che dopo settimane che gli ordino di non parcheggiare nel nostro posto perché ci rende difficile scaricare, forse qualche anima buona ha deciso di fargli capire che deve mettere altrove quella macchina e... forse gli ha fatto la fiancata." disse quel che doveva con molta sicurezza e nessun apparente rimorso.
Come avevo potuto illudermi che avere una simile socia fosse una buona idea? Sofia era instancabile e un ottimo elemento finchè restava nei sotterranei, ma lì doveva restare!
"Cosa? Con che?" il fatto che guidava uno scooter non significava nulla. Poteva aver nolleggiato un camion e ridotto quella macchina una frittella.
"Un chiodino. Sul serio, una righetta da niente sulla vernice. Robetta."
Sentii una lama tagliarmi le gambe. La giusta punizione per essermi messa in società con una figlia di papà famosa per le sue intemperanze.
Ma perché le disgrazie devono venire fuori tutte insieme? Panzetta non era uno scemo, avrebbe preso d'assalto il mio ufficio appena accortosi del danno.
Sofia non mostrava il minimo segno di vergogna.
"Sei matta? Prima di domani me lo troverò qui a chiedere soddisfazione!"
"Naaah, che prove ha? Questa è Milano."
"Appunto. Qui le macchine le rubano, mica le sfregiano."
"Fanno di tutto. Non ti fissare su queste faccenducole. Se si presenta ricorda la regola d'oro: negare, negare, assolutamente negare. Io sono davvero nei casini, altro che te. Se manchiamo le consegne la responsabilità è mia, e tra posto di scarico perennemente occupato, impasto da buttare e piccoli imprevisti sono sempre sul filo del rasoio con i tempi. Ho il livello di stress di un paracadutista che si butta usando ombrelli per frenare la caduta. Cerca di capirmi almeno tu, insomma, non avrai dimenticato quando eravamo solo io e te in cucina, no?"
Niente da obiettare. Se io ero oberata dalle incombenze cartacee, diplomatiche, organizzative e propagandistiche, Sofia restava sepolta sotto la mole di lavoro fisico, le responsabilità di magazzino, e soprattutto la puntualità nel realizzare gli ordinativi.
Tra noi due era quella che rischiava più spesso di ricevere critiche e reprimende per il frutto delle sue fatiche, il che spiega in parte perché vivesse perennemente su di giri e fosse irritabile. Oltre al piccolo particolare che ha trascorso i primi ventidue anni di vita avvolta in un bozzolo di bambagia dove niente e nessuno le remava mai contro.
Quando aprimmo il negozio, una semplice rivendita di pane e crostate, non potevamo permetterci personale al di fuori di noi stesse, e così io preparavo miscele: sgusciavo uova, pesavo farina, azionavo impastatrici. Lei stendeva impasti, preparava forme, regolava i forni, decorava torte. Insieme servivamo al bancone.
Assumemmo una commessa appena potemmo permettercelo... e insieme piangemmo di sollievo.
Sua era la ricetta della torta con albicocche che fin dai primi giorni era stata alla base della popolarità della pasticceria, creando in breve tempo un gruppo di fedeli clienti. Insieme l'avevamo provata ed escogitato mille diversi varianti per raggiungere quello che per Sofia era il 'sapore perfetto'.
All'epoca usavamo questa variante della ricetta: stendere una base di pasta frolla nella tortiera e spargerci sopra due o tre cucchiai di marmellata d'albicocca. A parte, montare 130 grammi di burro ammorbidito con 150 grammi di zucchero, vanillina, ottenere una specie di spuma e a quel punto aggiungere due uova. Appena queste si sono amalgamate, unire anche 70 grammi di farina e 30 di amido di mais. Usare una parte di questa farcitura per coprire la marmellata, farci sprofondare le albicocche tagliate a metà e coprirle con il resto della farcitura. Infornare a 180° per cinquanta minuti, poi proseguire la cottura per altri dieci minuti con il forno caldo solo nella parte inferiore. Farla raffreddare.
Il primo morso vi sembrerà strano; le albicocche cotte al forno diventano molto asprigne. Al secondo l'impasto dolcissimo e dai toni di tocco della nonna vincerà ogni amarezza e vi manderà in estasi.
Da brava rompiscatole, Sofia non si riteneva ancora soddisfatta del risultato. Se mi invitava a una serata di relax in casa sua potevo scommetterci che avrei trovato la tavola disseminata di ingredienti per un nuovo esperimento. Questo nonostante la torta fosse il fiore all'occhiello della nostra produzione, e nei nostri programmi di espansione fosse l'equivalente della torta paradiso di Vigoni. Anche se l'aspetto era leggermente rustico, i clienti la amavano, e servendola ai loro pranzi avevano fatto una pubblicità migliore di qualunque avremmo mai potuto ideare. Dodici mesi, tanto ci era voluto perché la torta con albicocche ci rendesse possibile avere due aiuti in cucina, due commesse fisse e un contratto con una ditta specializzata in trasporto di alimenti freschi che si occupava delle consegne fuori città. Ormai gli ordini ci giungevano a dozzine dal sito internet, anche da altre Regioni.
La nostra è una solida collaborazione lavorativa, e anche una bella amicizia. I turni massacranti ci costringono a frequentarci poco al di fuori del negozio, fatto che stranamente ci fa sfruttare al massimo ogni secondo che condividiamo, col risultato che tra di noi c'è poca formalità, scarse buone maniere, e una schiettezza per i più agghiacciante.
Per questo volli confidarle tutto e subito.
"Va bene, faremo finta che ti ho sgridata e anche di non sapere niente di fiancate rigate. Ma adesso stammi a sentire e dimmi che ne pensi." credetemi, quello che stavo facendo dimostrava la mia disperazione.
Quella è la donna che ha giudicato Romeo e Giulietta: una storia di pedofilia."
"Che cosa?" io e gli altri presenti alla rappresentazione fatta da studenti del liceo locale non sapevamo che pensare.
"Guarda che nella versione originale lei aveva circa tredici anni e lui diciassette. Se fossi la madre di Giulietta diresti che è amore o che lui ha abusato di lei?" ribattè alla presidentessa del comitato di quartiere. La quale fece una risata del tutto falsa e commentò che era un'opinione davvero pragmatica. Commise l'errore fatale di chiedere cosa pensasse di altri grandi amori classici, come la Bella Addormentata.
"La storia di un pervertito che bacia un cadavere." in seguito a questo, è stata incoraggiata a non farsi vedere mai più alle recite del liceo sebbene la pasticceria fornisca parte dei rinfreschi.
Spero di non essere mai nelle vicinanze se qualcuno nominerà Orgoglio e Pregiudizio in sua presenza. Non sopporterei la dissacrazione di un altro mito.
Con tutta la buona volontà, perfino riassumere la faccenda richiese diversi minuti, e man mano la sua espressione si faceva più corrucciata.
"Finito?" chiese, quando ripresi fiato.
"No, ecco le conseguenze." porsi le micidiali liste e aspettai che le leggesse.
"Liste." sbuffò "Il tuo marchio di fabbrica." Non rise mai, con mia eterna gratitudine.
"Hai il permesso di dire che ne pensi." la incoraggiai, appena rialzò lo sguardo.
Non ebbe esitazioni "Tua cugina è una stronzetta, senza un briciolo di gusto ma parecchio scaltra." disse.
"Non cosa pensi di lei, ma di me! Sono una zitella?"
Rimase in attimo in silenzio "Sei mai stata in Giappone?"
La sua capacità di stupirmi non ha mai fine "E questo che c'entra?"
"Si o no?"
"No."
"Infatti se ci fossi stata sapresti che laggiù un tempo si paragonavano le donne alle torte natalizie. Deliziose e fresche il 25, e sempre meno appetitose man mano che si avvicina capodanno, ossia il numero 31."
"Quindi sono una torta di Natale scaduta?"
"Non ho finito." riprese "Ma dagli anni duemila anche un paese tradizionalista come il Giappone ha dovuto rivedere le sue idee sul ruolo della donna nella società e accettare che l'età da matrimonio si è spostata. Ora le donne sono Ozoni, un tipo di spaghetti tradizionalmente consumato la notte di Capodanno. Significa che considerano il trentunesimo l'anno che fa da spartiacque tra una donna giovane e facilmente maritabile e una che si avvia alla mezz'età che fatica a trovare un compagno. Quindi congratulazioni, ti resta un anno!"
Era del tutto folle "Ma questo non è il Giappone! Che razza di risposta è?"
"Perché, la tua che razza di domanda è?" ribattè "Ho quasi un anno più di te. Se sei una zitella io sono messa un pochino peggio. Negherei anche se pensassi che lo sei o brucerei le mie illusioni." spiegò con calma "Ma perché lo chiedi a me?"
"Perché sei la persona più brutale che conosco. Non ti chiedo una spalla su cui piangere, ma solo una qualche conferma."
"Ooook." si sistemò sulla sedia "Hai sprecato due anni e più con quella nullità del tuo ex e gli hai permesso di umiliarti." è stato l'attacco "A parte questo errore per cui meriteresti un Oscar, non hai mai avuto problemi a relazionarti con gli uomini. Ti riconosco come persona pacata, organizzata e a modo tuo affascinante. Una zitella è una che non ha chance perché nessuno vorrebbe mai stare con lei. Non è il tuo caso. Non perderci il sonno."
Mi tranquillizzò un poco "Grazie." indicai le liste "E di una cosa simile... che ne pensi?"
"Che devo preoccuparmi per te."
Detto da lei, poi!
"È un progetto folle, vero?"
"Si, e nonostante questo ti ci lancerai lancia in resta. Ti conosco troppo bene." affermò "Questa tizia a cui vuoi bene, che ti dovrebbe un minimo di rispetto e considerazione, se non altro per dovere parentale, sparla sulla tua vita, ti giudica e ti etichetta come fallita, vecchia e stupida. Con chissà quanta altra gente l'avrà fatto oltre le sue amichette! Qualcosa devi fare. Questo è sicuro. Non ti rispetterei se stessi buona e zitta fingendo che vada tutto bene."
Almeno su questo eravamo d'accordo. Non dovevo starmene buona a inghiottire fiele.
"Anche se io avrei agito in tutt'altro modo. Fossi stata in te avrei spaccato la faccia alla stronzetta e l'avrei sputtanata davanti a tutta la famiglia, compreso il fidanzato." proseguì, decisa "Ma tu non ami il confronto diretto e la creazione di conflitti. Comportarsi come me significherebbe dividere la famiglia su due fronti. No, direi che ideare un piano del genere è il tuo stile. Inizierai la guerra senza che nessuno lo sappia e farai meno vittime possibili. E se fallirai nessuno saprà che ci hai provato. Si, sei fatta così. Non ha senso oppormi solo perché mi sembra una follia."
"Guarda che non ho detto che è una cosa che farò... è solo... un'eventualità." giuro, ero davvero convinta di non volerlo fare. Era pazzesco anche per me. Trovare il Principe Azzurro! E in così poco tempo!
"Ci scommetto cinque euro che domani avrai già dato il via a questa danza." gettò sulla scrivania i fogli "Questa è una specie di sfida, e tu non puoi resistere. Chiunque proverebbe rabbia e desiderio di vendetta. In più, tutto questo solletica il tuo smisurato senso della competizione."
"Non è vero!" balzai su, ferita. Competizione significa ambizione. Le persone ambiziose mi sanno di ciniche.
"Si che lo è. E queste." indicò le liste "fanno parte del solito quadretto. Ti senti sfidata, ti viene voglia di vincere e sbattere in faccia a tutti che Sandra Stefanelli può riuscire in tutto. Quindi prepari il tuo piano di battaglia, ossia le liste che usi per organizzarti e via! Parti, e chi ti ferma più?"
"Ma non è vero.."
"Università." mi zittì "Tesina di gruppo di metà trimestre. Ce la facesti ritoccare fino all'ultimo e siccome il prof aveva già finito l'orario di ricevimento convincesti... come si chiamava? Marco? Lo convincesti ad arrampicarsi su per la grondaia dell'edificio di Facoltà ed entrare nello studio del prof dalla finestra per mettere la tesina in mezzo alle altre così che non venimmo penalizzati per il ritardo."
Certa gente si lega al dito piccoli episodi senza importanza.
"Arrampicato!" ho sbuffato "Era solo al secondo piano. A quella finestra potevo arrivarci anch'io se salivo sulle spalle di qualcuno! E comunque non ricordo lamentele per aver preso il massimo dei voti."
"No, è solo bruciato da morire a Marcella Scalzo non capitanare il gruppo risultato il migliore. Sbaglio e hai voluto fare la capogruppo solo dopo che Marcella ha dichiarato pubblicamente a tutta l'aula che il suo gruppo avrebbe stracciato tutti gli altri?"
"Marcella era una spocchiosa che qualcuno doveva ridimensionare." la detestavamo tutti, quel cavallo di razza. Poteva sbandierare i bei voti quanto voleva, ma lo sapevamo che era imparentata con metà degli insegnanti "E poi avremmo consegnato in tempo, se non fosse stato per quello sciopero dei tram. Ho solo proposto un modo per riequilibrare un colpo di sfortuna."
"Primo anno d'attività." prosegue lei come se non avessi parlato "Abbiamo passato la fase critica di lancio e siamo in pareggio. Passa quell'odioso che ci aveva venduto le attrezzature per avviare la produzione e dice che quello è il massimo cui possiamo aspirare perché per due donne sole è già tanto non farla fallire, un'attività. Il mattino dopo, appena finito le infornate, hai riempito una borsa di tupperware con brioches e cupcake e hai iniziato a battere locali, bar e alberghi per fargli fare da noi le ordinazioni per i dolci. Lista di locali alla mano."
"Ti stai lamentando perché ho avuto l'intuizione e l'iniziativa per farci ingranare ed espandere?"
"Certo che no, voglio solo dimostrarti che non sai resistere al guanto di sfida. E questa volta è un guantone. Hai recepito che secondo tua cugina non sei alla sua altezza. Ora muori dalla voglia di dimostrarle che è lei a non essere alla tua altezza. Ma stavolta non giochi in un pub per una maglietta o sul campo di lavoro. Questa è la tua vita privata. Rischi d'impelagarti in qualcosa di definitivo solo per ripicca. Hai elencato un sacco di bei requisiti, ma niente su cose come... oh, guarda che mi fai dire! Cose come i sentimenti!" doveva essere davvero un brutto sforzo per lei inserire quell'elemento nella conversazione.
"Come vuoi che sia possibile non innamorarsi alla follia di un uomo così?" le sventolai sotto il naso l'identikit del principe "Il problema non è se io avrò sentimenti per questo tipo, se lo incontrerò. Il problema sarà fargli saltar fuori sentimenti per me. Di questo non devi preoccuparti."
"Non devo preoccuparmi? Sei la mente del negozio, se salti per aria saltiamo tutti!"
Quindi non era preoccupata tanto per me quanto per la prospettiva di trovarsi senza un ragioniere/organizzatore. Bene, è bello sentirsi utili.
"E perché dovrei saltare per aria?"
"Perché sei una persona che ha bisogno di una scintilla iniziale spontanea per interessarti a qualcuno."
"Una cosa che mi ha sempre fregata. Insomma, la sola eccitazione che provo da mesi è la vista del mio dipendente gay. In incognito" nel dirlo, ho abbassato prudentemente la voce. Sofia sa della mia cotta per Claudio.
"Perché, se fosse gay dichiarato cambierebbe qualcosa?"
"Di sicuro aiuterebbe a mettermi l'animo in pace."
"Credimi, quelli come te non approdano a niente se cercano di forzare il procedimento. Se cercherai di farti andar bene uno che in fondo non ti piace, sarai molto infelice."
"Più di quanto sono stata dopo Francesco?" ho ribattuto "O dopo la fine di ogni altra storia? Più ci penso e più mi sembra sensato, stabilire in anticipo cosa cerco in un partner. Questo istinto, questa scintilla, ha toppato. È tempo che il cervello prenda il sopravvento. Trovato il Principe Azzurro ideale, basterà frequentarlo un po' e la scintilla scoccherà."
"Certo, finisce sempre bene una relazione quando il cervello è al posto di comando invece del cuore." ha ribattuto, sghignazzando sardonica "Mi hai chiesto cosa ne penso: la Caccia al Principe Azzurro è una follia che porterà alla distruzione ogni tuo equilibrio mentale. Tu non sai com'è là fuori per una donna single sopra i trenta che frequenta posti socialmente riconosciuti come territori di rimorchio. Immagina di andare a spasso con un cartello appeso al collo con su la scritta: disperata. I pezzi pregiati del genere maschile stanno alla larga da quelle che sono apertamente in caccia. Da queste tipe si fiondano solo gli scarti, e fanno anche i difficili perché sentono di farti un favore a prenderti in considerazione."
"Ma tu che ne sai?" diamine, se sapeva far paura!
"Soffro d'insonnia e gli unici film che trasmettono a tutte le ore sono commedie romantiche." è stata la lugubre spiegazione.
"Beh, grazie della tua opinione. Ne terrò debito conto." pensavo di essere stata chiara. Lo scambio di confidenze era concluso "Tanto non credo che mi getterò davvero in questa cosa."
"Come no. Ti ricordo i cinque euro che ho puntato. E comunque sai dove sono, se ti servisse aiuto perché nell'ansia di provare a tutti che anche in questo campo sei la migliore... facessi mosse azzardate." riconobbi lo sforzo di trovare eufemismi per l'espressione: fare un sacco di cazzate.
Apprezzavo la preoccupazione, ma ero una donna adulta. Non mi servivano certe raccomandazioni.
"Guarda che non sono sicura di volerci provare. Era giusto per sapere la tua opinione." mentii con disinvoltura "Adesso torniamo al lavoro e al contempo deciderò se sono così ferita da volermi procacciare un compagno degno d'invidia per il matrimonio di mia cugina così da dimostrarle che essere sola è una mia scelta perché non c'è un giro una persona degna di me o se getterò tutte queste emozioni in una fossa profonda per dimenticarle."
"Non vuoi parlarne più?" quel suo slancio di cordialità era commovente. Ma dovevo sbarazzarmene.
"Tu vuoi parlare della macchina di Panzetta?"
La sua sedia scattò all'indietro "Buon lavoro!" esclamò "Mandami giù la stampata degli ordini aggiornata e sciacquati la faccia."
Rimasta sola finii il tè e mi misi all'opera. Alle otto ero completamente operativa: archiviavo fatture, inventariavo le scorte, sbrigavo la corrispondenza, pagavo bolle di consegna, mi lamentavo con un fornitore per un carico sbagliato, aggiornavo registri e sostenni tre appuntamenti con persone in cerca di un servizio di catering.
In tutto questo, non smisi mai di pensare alle liste, a mia cugina, alla mia età, alle parole di Sofia, i rimbrotti di Daniela sulla mia pigrizia, la compiacenza di Giulia.
Non mi ritenevo capace di perdere la bussola mentre inseguivo un obiettivo. Non potevo essere così ossessiva. Ma per buona pace a metà pomeriggio aggiunsi, alla fine della pagina Obiettivo:
65) Deve amarmi alla follia e io amare lui.
Come se fosse necessario scriverlo. Naturalmente, i sentimenti erano sottintesi in ogni frase.
A sera, prima di andarmene, pinzai insieme i fogli e scrissi con un pennarello nero, in cima al primo: Caccia al principe azzurro. Lo fissai.
Volevo farlo davvero? Rompere il tranquillo tran tran delle mie giornate, conquistato con grossi sacrifici, solo per dimostrare a tutti quanti, in primis Lisa, che una stupidina tutta entusiasta con un bel fisico e niente in testa a parte il proprio benessere non può battere una donna di sostanza?
Oh, si. Non potevo permetterle di credere, di sostenere di essere migliore di me. Se la cosa che le permetteva di crederlo era solo avere un fidanzato, allora me ne sarei procurata uno migliore del suo. La giornata trascorsa aveva spazzato via la confusione e i dubbi, rendendo limpidi i miei sentimenti.
Ero divorata dalla rabbia e desiderosa di vendetta. Molto semplicemente.
Non ci sono spiegazioni più nobili. Rabbia e vendetta.
Fastidio perché ero stata così stupida da voler bene a una persona che non aveva nessun rispetto per me. Fastidio perché una stupidina con un bel fisico era convinta che le spettasse una vita migliore di quella delle donne che si fanno il mazzo per essere membri decenti della società. Fastidio che si credesse migliore di me.
Rabbia e vendetta.
Con la vista dell'immaginazione mi trovai vestita da damigella a fianco della sposa. Questa poteva avere un'espressione raggiante... oppure essere verde di bile perché seduto a poca distanza, in tutto il suo splendore, c'era il mio fidanzato, appena presentatole, ed era di diverse lunghezze superiore al suo compagno. Un uomo che in un sol colpo avrebbe messo a tacere qualunque malelingua pronta a insinuare che il mio tempo era già passato.
Gli avrei sbattuto in faccia che potevo avere tutto, bastava mettersi d'impegno, come diceva Daniela.
Avevo preso la mia decisione. Gliel'avrei fatta vedere a tutti, che razza di cavaliere potevo portarmi in giro se solo mi ci mettevo.
Adesso, che so cosa accadde, vorrei tornare indietro, mollarmi un ceffone, dirmi che si, sono una persona che vuole sempre vincere anche a costo di rimetterci, e aggiungere su ognuna di quelle pagine: guida pratica per disastrarsi l'esistenza!
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