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Il buffet con l'ananas

“Io? Perché io?” obiettò Giulia.

 “Perché Daniela è sposata. Non può certo venire con me allo speed date.” le spiegai.

 “Ma perché io? Perché non quella tua socia? Anche lei non è sposata.”

 “Perché tu hai proposto lo speed date. Sarò anche stata ubriaca, ma questo lo ricordo. E ridevi come una matta!”

 “Certo, perché dovevi passarci tu!” fu l’astutissima risposta, che sottintendeva quanto quel mezzo per conoscere partner fosse impopolare.

Alla gente piace far credere che va nei locali per divertirsi, invece che per trovare un compagno.

Allo speed date invece non c’è modo di fingere alcun che. È di fatto l’ultimo gradino nella scala della disperazione sociale prima di iniziare a cercare gigolò: paghi per conoscere uomini.

 E se la gente lo scopre pensa che sei proprio messa male!

 “Ritenta con il sito per incontri. Oppure andiamo a ballare!” propose.

 “Senti, farò anche questo, ma ho trovato questa agenzia che ne organizza uno stasera. Tanto vale levarsi il dente marcio e fare il tentativo. Da sola non ci vado.” insistetti “Qual è il problema? Non ci sarà nessuno che conosciamo.”

 “È che può darsi, insomma, forse lui… c’è la possibilità che…” la voce le moriva un po’ a ogni parola.

 “Il Cretino ti ha detto di tenerti libera perché forse ti chiama? Gesù, quando penso a come sei messa, la solitudine mi sembra una vittoria. Guarda che avviso Daniela.” la minaccia bastò.

La nostra amica aveva parole di fiele verso quel verme che si approfittava del debole di Giulia per lui, e verso lei… diciamo che era come vederla strofinarle cartavetrata sulla pelle.

 Le dissi il nome del locale dove si sarebbe svolto l’evento e tornai al lavoro. Volesse Iddio che lo speed date funzionasse.

Di chattare mi ero stufata. Yendel 30 continuava a nicchiare, MoltoPaziente mi irritava perché non voleva saperne di dire qualcosa su di sé.

I nuovi nominativi mi annoiavano perché ognuno significava ricominciare daccapo con le stesse trite domande e risposte per avviare una conoscenza superficiale.

Dopo la prima esperienza poi, non facevo i salti di gioia alla prospettiva di continuare con gli appuntamenti al buio rimediati su internet. Non avrei mollato quella strada, ma volevo batterne altre.

                                *

Lo speed date si svolgeva nella sala conferenze di un albergo che, quella sera, era più che deserto.

L’evento era uno dei tentativi di rivitalizzare l’ambiente e far guadagnare il bar, che per la serata aveva rialzato i prezzi di ogni cocktail, sicuro che ci saremmo tutti fiondati a rifornirci d’alcool prima, nell’intervallo e dopo gli incontri.

 Il sito che segnalava l’evento raccomandava di usare un nome falso, creare un indirizzo email alternativo per essere contattate dall’agenzia, portarsi dietro soldi sufficienti per un taxi, spray antiaggressione e comunicare a qualcuno dove si era andati perché fosse più facile rintracciarci in caso di scomparsa.

 Tutto questo era altamente terrorizzante!

 Ci registrammo all’ingresso dove una pimpante diciottenne scarsa faceva da hostess consegnando le targhette coi nomi.

L’organizzatrice, Giovanna, si fece subito consegnare cinquanta euro a testa e poi spiegò che avremmo iniziato per le otto, mostrandoci la disposizione a ferro di cavallo dei tavolini nella sala.

Guardò con estrema curiosità il vestito nero totale di Giulia, completo di guanti neri, pensando che strana la donna che va a uno speed date dopo un funerale.

In effetti ci era andata solo un’ora prima, e si era vantata di aver trovato un meraviglioso cantarano inizio diciassettesimo secolo che aspettava solo di essere acquistato, restaurato e rivenduto per una cifra sufficiente a farla vivere per cinque mesi.

 “Siete sedici donne e sedici uomini.” diceva “Avete cinque minuti per parlare con l’uomo che siede al vostro tavolo.” lo scarso tempo a disposizione era alla base del mio scetticismo verso gli speed date.

Come si fa a conoscere una persona in cinque minuti? Forse posso capire se mi attrae fisicamente, ma nient’altro.

Non si può provare fiducia verso un sistema che riserva all’esplorazione mentale del partner meno tempo di quanto ne riservi alla scelta di un’ordinazione al ristorante.

 “Allo scadere del tempo suonerò la campanella, e gli uomini scaleranno di un posto. Faremo una pausa di mezz’ora dopo le prime otto presentazioni.” ci consegnò un foglio “Qui potete prendere appunti.”

 “Come avvengono i contatti, se ci piace qualcuno?” chiesi.

 “Tutti avrete una scheda su cui segnare i nominativi che vi interessano. L’agenzia vi comunicherà chi vuole avere un appuntamento e deciderete voi se accettare o meno.” sorrise e passò alla donna dietro di noi.

 Cinquanta euro moltiplicato per trentadue, per due-tre ore di lavoro a sera. Mica male, considerai. La pasticceria non è abbastanza spaziosa per organizzare qualcosa di simile, però è un’opzione di mercato da tenere in considerazione.

 Vicine come gazzelle timorose di ghepardi, io e Giulia prendemmo un analcolico al bar, a prezzo di rapina, e osservammo la gente che arrivava alla spicciolata.

Da dove eravamo c’era una pessima visuale del gruppo maschile, anche lui serrato come per paura di un attacco frontale.

Mi figurai un buffet dove, al posto di cibi elaborati, campeggiassero persone. C’erano molti stempiati in aria da ragioniere di mezz’età. Un paio di deludenti occhialuti e alcuni esemplari non troppo male in arnese.

 Invece di concentrarmi su di loro, e questo non so spiegarmi perché, guardai le donne. L’avessi mai fatto.

 Mi parvero tutte stupende. Alcune erano evidentemente oltre i quaranta, ma nessuna aveva l’aria della donna di mezz’età classica. Erano curatissime, ingioiellate, truccate, profumate, palestrate. Intorno a tanto splendore aleggiava, inconfondibile, l’odore della disperazione di chi è single da lungo tempo. Era sconfortante da accettare che potessi essere una di loro.   

 Una donna sola che si è tirata a lucido e ha pagato per conoscere uomini.

 Volevo tornare a casa. Era stata una pessima idea.

“Si comincia tra cinque minuti!” annunciò Giovanna. Come volevasi dimostrare, era troppo tardi per tirarsi indietro.

 “Voi quanti anni avete?” ci chiese una donna mentre i ritardatari si affrettavano a sistemarsi la targhetta identificativa sul vestito.

 “Trenta.” rispondemmo.

 “Ca… questa è concorrenza sleale!” e ci voltò le spalle per correre a riferirlo alle altre. Non potevo saperlo, ma eravamo le nuove in un gruppo collaudato. A quell’evento mensile si presentavano sempre più o meno le stesse persone, che vedevano i nuovi arrivi come minacce.

 “Dove credi di andare?” mi sibilò una delle mie rivali con troppo trucco per mascherarle le rughe, passandomi avanti mentre varcavo la soglia della sala.

Mi fulminò con gli occhi e prese il posto che stavo puntando: l’ultimo in ordine di cambio. Il migliore per un sacco di motivi.

Immaginate otto conversazioni di cinque minuti con sconosciuti, l’ansia che vi opprime, il disagio e l’imbarazzo. Ricordate meglio la prima persona con cui avete parlato o l’ultima, quando vi siete un po’ abituati a quanto succede?

 Presi un altro posto e il giro cominciò.

 “Ciao-sono-Stefano-ho-trentanove-anni-faccio-il-tecnico-di-computer-tu?” sparò a raffica il primo incontro, un tizio che (per fortuna) non mi attraeva minimamente, parlava a mitraglia e si dava incredibili arie di superiorità.

 “Ehm…” titubai, spiazzata “Si, piacere di conoscerti, sono Sandra…”

 “Stringi-ragazza-che-c’è-poco-tempo.” m’interruppe brusco.

 “Sempre troppo se devo passarlo con te.”

 “Sono-Sandra-ho-trent’anni-sono-una-vivisezionatrice.” non colse nessuna presa in giro nella mia voce, ma prese molto sul serio la risposta.

 “Non-può-funzionare-detesto-la-violenza.” e si voltò per osservare com’era la prossima dama. Strano che una persona in grado di essere così irritante non apprezzasse un po’ di sangue, o forse proprio quello era il punto. Con un tale istigatore, tanti dovevano averlo minacciato di percosse.

Non scambiammo una parola per tutto il tempo ancora a disposizione e fui felice di sentire il suono della campanella.

 Feci il segnale di pollice in giù verso Giulia per indicarle quanto fosse stato penoso e lei ricambiò con il gesto di così-così per il suo primo interlocutore.

 Secondo round. Il primo degli stempiati fuori forma. Ricordo solo che fu educato, anche se ci voleva davvero poco per fare un’impressione migliore del suo predecessore.

 Terzo round…. Saverio! Il cugino alla lontana di Daniela. Intravidi la madre seduta al bar che ci occhieggiava e iniziai a sospettare che qualche divinità malevola ce l’avesse con me. Seguirono cinque imbarazzantissimi minuti di conversazione sul tempo e accogliemmo il suono della campana come carcerati il giorno dell’amnistia.

 Il quarto e quinto round non me li ricordo per nulla, ma il sesto fu una piacevole sorpresa. Chirurgo infantile, trentaduenne, single, amante delle passeggiate (un classico). Aspetto gradevole, nessuna apparente magagna. Anche lui aveva il problema del tempo libero inesistente da dedicare ai tradizionali metodi di ricerca dell’anima gemella. Credetti di non sbagliare prevedendo che tutte avremmo cercato di contattarlo.

 Il settimo esemplare era un caso notevole di residuato matrimoniale in cerca di una donna che lo mantenesse. Come lo so? Cinque minuti non sono poi tanti, ma lui è riuscito a dirmi che l’ex si è fregata la casa e ogni mese deve mandarle l’assegno di mantenimento. Ha pianto miseria finchè non è suonata la campana. Si era dimenticato di chiedermi il nome, ma non quanto guadagnassi e le dimensioni di casa mia.

 Ottavo round. Finalmente! Anelavo la pausa come un uomo in apnea brama l’ossigeno. Non si direbbe, ma il peso psicologico di quegli incontri è davvero devastante.

Di fatto ti metti di fronte a una persona che ti valuta sul piano estetico e personale. Non è come un incontro casuale. Tu sai che lo sta facendo. Non hai dubbi.

 Di quell’uomo, scusate, non ricordo nulla se non che aveva il riporto, e credo d’averglielo fissato tutto il tempo.

Durante la pausa io, Giulia e tutti i presenti affollammo il bar dove pagammo volentieri il soprapprezzo sull’alcool per distrarci dai nostri tormenti interiori.

In primis: a quale punto della vita avevamo sbagliato al punto da meritare di finire in quella sala?

 “Allora, com’è?” chiesi a Giulia.

 “Credevo peggio.” ammise “Non voglio rifarlo mai più ma credo di riuscire ad arrivare fino in fondo. Grazie a questo.” sollevò il suo rhum e cola.

 “Prosit.” brindai, con il mio limoncello. Quando ci sembrò che qualcuno degli uomini si muovesse verso di noi per parlarci, retrocedemmo verso i bagni e vi trascorremmo l’intero intervallo mentre le agguerritissime partecipanti navigate attaccavano bottone con i candidati migliori.

 Il secondo tempo iniziò alla grande. Gabriele, il bocconcino della serata. Se anche avesse avuto balbuzie, evidenti carenze intellettive o una pronunciata zoppia, gli avrei dato un dieci pieno. Aveva un volto di perfezione classica, un corpo scolpito vestito Armani e appariva sicuro di sé quanto basta perché una donna gli sbavasse dietro anche senza l’allettante più di un impiego come produttore televisivo. La mia mano segnò il più sulla sua casella mentre ancora avanzava verso il tavolo.

Promisi mentalmente di non lamentarmi mai della superficialità di valutazione maschile, perché chiaramente stavo applicando anche io un solo parametro di valutazione in quella selezione: l'aspetto.

Se lo speed date era davvero paragonabile a un buffet, fino a quel momento avevo visto uova ripiene, tramezzini e salatini. Quello era un ananas farcito all’amaretto.

 Mai assaggiato? Esteticamente è impareggiabile, il re dei buffet. Serve solo un ananas fresco, 150 grammi di amaretti, 10 fette di ananas sciroppate, 50 grammi di panna montata, due cucchiai di mascarpone, 1 bicchierino di vodka e un cucchiaino di zucchero.

 Dovete tagliare la calotta all’ananas, quello con il ciuffo verde, e vuotarlo della polpa, che dovrete frullare. Al frullato unite gli amaretti sbriciolati fini, la vodka, due fette sciroppate tagliate in piccoli pezzi, il mascarpone, lo zucchero e la panna. A quel punto dovete riempire l’ananas con la crema ottenuta e metterlo in frigorifero cinque o sei ore. Al momento di servirlo, sistemate alla base dell’ananas le fette sciroppate rimaste, così che il piatto appaia giallo come il sole e i commensali possano mangiare la crema su quelle fette. Credetemi, tutti vogliono avere il coraggio di assaggiare per primi quella crema d’ananas, perché basta guardarla per capire che è assolutamente deliziosa.

 La mia ananas, scusate, Gabriele, non si presentava solo splendidamente, era anche capace di mettermi a mio agio. Attaccò con un “Si capisce quanto sono a disagio?” e terminò portandosi via la mia fedeltà.

Dopo di lui, tutti mi parvero noiosi. Mario mi espose tutte le sue intolleranze alimentari, francamente terrificanti. L’ultima cosa che vorrei da un potenziale riproduttore è la garanzia che trasmetterà a mio figlio la capacità di essere ucciso da un’annusata ai fiori, un boccone di arachidi o che il glutine lo paralizzerà alla prima forchettata di pasta.

 Poi c’è stato Francisco, insanamente ossessionato dalle scarpe. Pierfrancesco, incallito parlatore in cerca d’orecchie. E Alberto, interessato solo a parlare della sua collezione di francobolli. Non sono riuscita a sapere altro di lui e non credo di essermi persa molto.

 Come non citare Onofrio, il cui nome antiquato evocava immagini di dandy che gli si accostavano benissimo. A quanto pareva, i gay in incognito mi perseguitavano.  

 Dopo Claudio, ecco il secondo. Solo che di Claudio non avrei mai sospettato le tendenze senza vedere quel travestito del suo compagno che lo portava al lavoro e veniva a riprendere.

Questo, se non era gay, aveva una percezione molto distorta dell’essere un classico eterosessuale. Accavallò le gambe in modo sensuale, si sporse sul tavolo, fece una smorfia guardandomi le scarpe e discorremmo prima delle creme idratanti e poi sui partecipanti alla prossima edizione di Pechino Express. Non mi sorpresi che lui tifasse per un personal trainer tutto muscoli, riservando comunque buone parole per l’attore di film di kung fu che invece aveva il mio voto.

 A fine serata, riconsegnammo schede e cartellini coi nomi. Per il giorno dopo avremmo ricevuto una mail con i nomi di chi voleva rivederci. Speravo nel cardiochirurgo Gioele e nell’ananas…. in Gabriele.

 Io e Giulia decidemmo di fermarci ancora cinque minuti per bere un altro drink, ma fummo praticamente le sole. Posso comprendere. Era una situazione di estremo disagio.

 “Allora? Chi spero ti chiami?” le ho chiesto, per fare conversazione.

 “Nessuno.” ha dichiarato, impettita.

 “No? Neanche il cardiochirurgo o quel bellone?” mi sono stupita.

 “Il cardiochirurgo parlava troppo complicato e quello che chiami bellone non mi pareva poi granchè.” non ci siamo mai contese ragazzi perché i nostri gusti in fatto di maschi sono completamente diversi.

I suoi sono orribili!

 “Però quello col nome da vecchio… Onofrio, quello era carino.” ha aggiunto.

 Il gay. Il suo radar per le delusioni amorose non falliva mai!

 “Posso offrirvi da bere?” si intromise improvvisamente uno sconosciuto. Ero sicura di non averlo visto tra i partecipanti allo speed date.

Ma tu guarda la fortuna, pensavo osservando il suo aspetto curato, mi sembra più carino della maggior parte degli uomini con cui ho appena parlato.

 Stavamo per accettare con lo scopo di fare due chiacchiere e portare a casa un altro nome nel carnet di papabili quando l’organizzatrice, Giovanna, piombò su di lui “Ancora voi!” sibilò “Questo è un evento per paganti, mi avete capita? Fuori!”

 Lo sconosciuto arretrò, diede un’occhiata al barman-buttafuori, girò i tacchi, non senza averci prima fatto l’occhiolino e detto “Magari ci si vede qua fuori!”

 Incredule, ascoltammo la spiegazione di Giovanna “Non date confidenza a questi tizi che riempiono il locale dopo lo speed date.” fu l’ordine “Aspettano sempre che finiamo e ci provano con le donne presenti. Ma tu guarda…” e corse verso un’altra partecipante, abbordata da un’altro aspirante offritore di bibite.

 “La prima volta, ci sono cascata.” sentimmo dire una in un gruppetto accanto a noi “Mi era sembrato così normale dopo la parata di casi clinici dello speed date, e così sollevata che uno ci provasse quando temevo di dover pagare per conoscere uomini. Invece si è rivelato una fregatura. Quelli…” e sospirò teatralmente “Li chiamiamo Uccelli-Spazzini. Vengono qui perché sanno di trovare donne deluse da quanto offre il sistema e di sembrarci Adoni dopo tutti quei single conosciuti per cinque minuti.”

 A casa calciai via la scarpe belle ma scomode e iniziai a legarmi i capelli quando notai la luce lampeggiante sulla segreteria telefonica.

 Il mio cuore accellerò i battiti. Lo speed date era la via giusta! Gioele? Gabriele? Uno dei due, pregai, uno dei due…

 “Ciao Sandra! Sono Lisa!” gracchiò la voce nella segreteria “Domani vengo a Milano e ti devo parlare, tieniti libera per pranzo, arrivo credo alle due!”

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