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Il babà è una cosa seria

Regno di Napoli, gennaio 1789

La notte stringeva la strada in un'oscurità brumosa. L'inverno gravava nell'aria. Il buio celava il passaggio di una carrozza che procedeva sbandando lungo le strade anguste, come sfuggendo da una terribile sciagura.
Sobbalzava e traballava malsicura sopra i ciottoli, mentre le grosse ruote sollevavano schizzi d'acqua e di fango.

Il conducente, terribilmente corpulento, avvolto in un mantello nero, diede uno strattone alle redini, lanciando un'imprecazione rivolta al tiro di leardi pomellati, ma l'esclamazione fu coperta dal pesante tonfo degli zoccoli e dal rumore delle ruote. Il fragore della corsa echeggiò nella notte e sembrò quasi provenire da ogni direzione.

Maximilien Chaise si tirò indietro sul sedile di velluto rosso della carrozza per mantenere l'equilibrio nonostante la velocità folle. Era del tutto indifferente all'oscurità al di là delle cortine di cuoio e a qualunque altra cosa all'infuori dei propri pensieri.

Aveva dovuto lasciare la Corte di Versailles in fretta e in furia per una serie di sfortunate circostanze. Il marito della Contessa de Brizay aveva quasi scoperto la sua relazione con la consorte e, allo stesso tempo, Sua Maestà, Maria Antonietta, aveva deciso di inviare il più promettente aide pâtissière alla sorella, la Regina Maria Carolina, nel Regno di Napoli.

Gli occhi di un intenso blu zaffiro si chiusero. Si passò una mano tra i capelli castano chiaro, mossi e lunghi abbastanza sulla nuca da toccare il colletto della camicia, di un bianco non meno abbagliante della luce del mattino.
Maledì la nobiltà e l'arroganza con cui gestiva la vita altrui. Per prima la Contessa Anne, che lo aveva circuito in tutti i modi possibili, non tenendo minimamente in conto il fatto di avere un consorte geloso e sospettoso e mettendo lui in una situazione incresciosa.
Ammise con sé stesso che il rischio di venire scoperti aveva acuito l'eccitazione dei loro incontri, e lui era un giovane uomo vigoroso e desideroso di nuove esperienze. In tal senso la Contessa era stata molto istruttiva, ma aveva corso un grosso rischio e il gioco non valeva la candela. In fondo lui era solo un servitore, la cui vita valeva poco o niente, pensò con amarezza. Ma le cose in Francia stavano per cambiare, si respirava aria di rivolta in certi ambienti. Sperò non fosse l'ennesimo fuoco di paglia.

Sua Maestà, Maria Antonietta, non voleva perdere uno dei più promettenti pasticcieri di Corte e così aveva pensato bene di spedirlo alla Corte della sorella preferita per fare conoscere alcune creazioni francesi. In particolare, la Regina voleva che replicasse l'Ali Babà, che il polacco Nicolas Stohrer aveva portato anni prima a Versailles.
Il dolce originario era stato già modificato, tolto lo zafferano e i canditi, era stata ideata una nuova forma, una cupola rigonfia.
E ora a lui toccava far conoscere alla sorella della Sua Regina quella prelibatezza.

La carrozza si fermò bruscamente, segno che dovevano essere arrivati a destinazione. Si sporse dal finestrino per dare un'occhiata al posto, ma si rese conto di essere stato portato sul retro di un immenso palazzo, di cui avrebbe voluto tanto vedere la facciata e i giardini. Aveva sentito che l'architetto Luigi Vanvitelli si era ispirato a Versailles per la costruzione. Un sorriso sprezzante si disegnò sui lineamenti accattivanti del viso. Niente avrebbe potuto eguagliare la bellezza della Corte francese!

Un grande portone si aprì appena mise i piedi a terra. Ne uscì una graziosa ragazza; da come era vestita doveva essere una cameriera, che appena lo vide arrossì.
Maximilien sapeva di avere un certo ascendente sulle donne e pure su alcuni uomini e la cosa non lo lasciava indifferente.

"Da questa parte, signore" squittì la ragazza.
"Je te suis, montre le chemin!" Poi si ricordò tristemente di non essere più in Francia e ripeté la frase nel suo fluente italiano. "Indicami la strada."

Lei arrossì di nuovo facendogli un inchino goffo e lo precedette.

Lunghi corridoi si susseguirono per un po'. Non si guardò intorno, ma procedette a passo spedito dietro la cameriera che sembrava avere molta fretta.
Dopo averla seguita su per una scalinata, si chiese come mai le stanze della servitù e le cucine si trovassero al piano superiore invece che a quello inferiore, come era usanza.
L'ennesimo corridoio, questa volta splendidamente decorato, gli diede la certezza che non stavano andando, come aveva pensato, verso le stanze della servitù o le cucine.

Davanti a una porta finemente istoriata la ragazza si fermò e gli fece cenno di entrare lì. Appena mise piedi all'interno della stanza fu abbagliato dalla sua magnificenza. Era un trionfo di specchi pregiati. Le pareti erano rivestite in seta a fiori su fondo bianco, in modo da creare una sorta di cupola di porcellana. Quella sala comunicava il senso del bello e del lusso della proprietaria. Sicuramente era una donna.

Alzò gli occhi al cielo per rimanere estasiato dal soffitto affrescato, corredato da applicazioni dorate e specchi. L'affresco era diviso in quattro scomparti, in cui vi erano rappresentati personaggi mitologici: Giove e Giunone, Mercurio e Cerere, Apollo e Atena, Marte e La Forza.
Riconobbe, mentre guardava i monili che arredavano la stanza, l'orologio musicale a gabbietta di Jacques Pierre Drotz. A Corte si era parlato molto di questo splendido oggetto che la Regina Maria Antonietta aveva regalato all'amata sorella, Maria Carolina. Capì di trovarsi proprio nella Stanze Private della Regina di Napoli.

Qualcuno interruppe le sue riflessioni, schiarendosi la voce.
"Siete finalmente giunto! Mia sorella mi ha molto parlato di questa nuova golosità che spopola in Francia e che realizzerete per Noi."

Maximilien si profuse in una elegante riverenza.
"Vostra Maestà, sarò lieto di mettermi quanto prima all'opera."

"Noto che parlate l'italiano meglio di me e che non siete per niente affettato come molti vostri compatrioti."

Maximilien osservò di sottecchi la Regina, non osando guardarla direttamente in volto. Le luci della stanza sembravano essersi concentrate sul tenue ma risoluto luccichio dei profondi occhi verde-azzurro. Nessun uomo vi avrebbe trovato adesso una traccia di calore né di amorose illusioni che gli confortassero il cuore.

Il volto, bello anche se maturo, era di ghiaccio.
Senza l'abituale pubblico di ammiratori, non era necessario offrire un'immagine attraente; del resto, era raro che Maria Carolina andasse al di là di un capriccio momentaneo. Se era dell'umore giusto, poteva affascinare chiunque, ma adesso i suoi occhi mostravano soltanto una gelida determinazione che avrebbe scoraggiato anche lo spirito più intraprendente.

Un barlume di interesse accese il suo sguardo gelido quando le pâtissier si tirò su dal cerimonioso inchino. Era molto attraente. Alto e snello con larghe spalle. Un volto virile con lineamenti pieni di carattere. Decisamente il suo tipo. Scacciò quei pensieri, aveva molto da fare e organizzare. Per non parlare delle preoccupazioni che la assillavano, non ultima proprio la situazione di sua sorella in Francia. Le voci che le erano giunte erano preoccupanti.
"Domani voglio assistere alla prima preparazione del dolce. Manderò Giovanna per le disposizioni."
Detto ciò, tirò una cordicella dorata e subito la ragazza, che lo aveva accompagnato, apparve e si inchinò alla Sovrana.
"Mostragli le sue stanze."

Salutata anche lui adeguatamente la Regina, seguì di nuovo la cameriera.
Questa volta scese delle scale e si trovò al piano inferiore adibito alla servitù. Gli alloggi a lui riservati erano più ampi di quelli che occupava a Versailles. Pensò che forse questa reggia non aveva niente da invidiare a quella francese.

I suoi pensieri furono poi dirottati sulla Regina. Non era come la sorella, anche se la somiglianza fisica era innegabile. Aveva però una tale determinazione, un piglio quasi mascolino, più simile alla genitrice, Maria Teresa d'Austria.
Giravano pettegolezzi in Francia su come Maria Carolina non gradisse affatto il consorte, Ferdinando IV, quello conosciuto come Re Lazzarone, nonostante gli avesse dato già figli, anche maschi. Grazie a ciò era subentrata nel Consiglio della Corona e aveva preso in mano la politica del Regno, visto che il Re era dedito alla caccia e ai giochi piuttosto che agli affari di Stato.

Anche se detestava la nobiltà era costretto ad ammettere a sé stesso che ammirava un po' questa sovrana. Con questo pensiero si addormentò.

***

Le cucine si trovavano al piano inferiore, come le stanze della servitù. Il cibo qui preparato veniva poi trasportato in una stanzetta attigua alla Sala dell'Autunno, dove mangiava la famiglia reale e, a volte, i suoi ospiti privilegiati, tramite il calapranzo.
La cameriera, Giovanna, lo aveva svegliato di buon'ora, comunicandogli che alle dieci doveva iniziare le preparazioni per il dolce e che la sovrana lo avrebbe raggiunto.
Era molto strano che volesse assistere, ma già a prima vista Maria Carolina gli era sembrata una donna singolare.

Alle dieci in punto Maximilien era stato condotto in una cucina, dove, gli fu spiegato, si preparavano esclusivamente le novità culinarie.
Dopo qualche laconica spiegazione, datagli da un uomo corpulento, di cui non aveva capito la funzione, era stato lasciato solo.
Diede un'occhiata intorno e vide che c'era tutto quello di cui aveva bisogno per la preparazione.
Su di un grande tavolo c'erano farina, uova, barattoli di miele. Cercò tra le etichette quello mille fiori che individuò subito. Un grosso pezzo di burro troneggiava alla sua destra, insieme a un bricco di latte e una ciotola di lievito, un sacchetto di zucchero e uno di sale.

Vide tra gli scaffali alla sua sinistra le marmellate e trovò quella di albicocche per la bagna.
Dalla piccola cantinetta prese una bottiglia di rum. Notò dei grossi frutti gialli; si ricordò che si chiamavano limoni ed emanavano un profumo paradisiaco. Somigliava un po'all'odore della Regina.
Trovato un grembiule immacolato, cominciò a darsi da fare. D'altronde le disposizioni dicevano di non aspettare Sua Maestà, ma di cominciare subito.

Iniziò con lo sciogliere il lievito nel latte, aggiungendo zucchero e uova. Poi versò metà della farina occorrente, debitamente pesata con il bilancino, aggiunse la scorza grattugiata del profumato limone e amalgamò il composto delicatamente.

Versò il resto della farina cercando di non lasciare grumi. Così terminò l'impasto. Aveva portato con sé lo stampo adatto e ivi, dopo averlo ben imburrato, versò il composto. Lo mise in un angolo a lievitare.

In quel momento qualcuno entrò nella cucina. Si voltò per trovarsi davanti la Regina, abbigliata in modo piuttosto modesto. Il suo viso dovette mostrare tutto lo sconcerto, nel vederla così, a giudicare dallo sbuffo che uscì dalle labbra ben disegnate di lei.

"Smettetela di sbattere gli occhi e ditemi cosa avete fatto fino a ora."

Ricomponendosi e facendo una riverenza, le spiegò tutto il procedimento eseguito. Lei ascoltò assorta, poi fece un cenno di assenso.
"Perché avete scelto il miele millefiori? Io preferisco quello di castagno" chiese guardandolo negli occhi.

Maximilien si sentì indispettito, nessuno metteva in dubbio le sue scelte.
"Quello di castagno, Vostra Maestà, ha un sapore troppo deciso, per il dolce serve la delicatezza del millefiori."
Si accorse di aver parlato con il tono di un precettore che riprende lo scolaro tardo a comprendere.

Lei fece una risata piena. "Mon petit coq, les plumes sont arrivées !"

Si sentì profondamente mortificato. Fece per scusarsi in modo adeguato, ma la mano di lei sul braccio lo fermò.
"Non è necessario questo formalismo finché restiamo in questa cucina."

Il calore del forno aveva raggiunto intanto la giusta temperatura e nella cucina cominciò a far caldo. Maria Carolina slacciò con decisione i bottoni del modesto corpetto, sventolandosi.

Lo sguardo di Maximilien fu attratto dal suo petto, ora scarsamente nascosto dalla delicata camicia di batista. I seni rotondi premevano impudicamente contro il sottile tessuto e i morbidi capezzoli bruni sembravano ansiosi di erompere. La visione gli risultò assai provocante. La bocca gli diventò improvvisamente arida e il respiro si fece irregolare. Come un affamato, fissò le copiose e mature delizie davanti a sé ed esaurì quasi la propria forza nel tentativo di tenere lontane le mani dalla donna.

"Impudent!" esclamò lei, ma non c'era condanna nel suo tono. Lui non sapeva se sprofondare o continuare a concupirla. Quella donna, non la Regina, lo attraeva terribilmente.

Stranamente lei non provava alcun risentimento nei suoi confronti. Lo sguardo ardito dell'uomo aveva smosso qualcosa di profondo in lei e la sensazione non era spiacevole, anzi.

Trascorse un momento di silenzio mentre Maximilien combatteva con le proprie emozioni.
Accorgendosi di essere pericolosamente troppo vicino alla Regina, cercò di allontanarsi, ma lei si accostò a lui ancora di più. Lui si girò e lei lo seguì sporgedosi in avanti e appoggiandogli le braccia sulle spalle.
Ancora una volta lo sguardo dell'uomo scivolò dove lei voleva.
Con le dita gli carezzò la nuca, avvicinandosi un altro po'. Poi alzò improvvisamente la testa e gli occhi di Maximilien incontrarono i suoi.

La fronte dell'uomo si corrugò per la preoccupazione. Si diede dello sconsiderato.
Deliberatamente, Maria Carolina si piegò in avanti finché i seni si appoggiarono contro il suo petto. Socchiuse le labbra e le avanzò lentamente contro quelle di lui.
Gli occhi di lei si spalancarono mentre la bocca dell'uomo si apriva e si intrecciava alla sua e la lingua si insinuava dentro, intanto le braccia la stringevano, chiudendola in un abbraccio di piovra.

Tutto sembrò ruotare attorno a lei mentre Maximilien lentamente si girava e la sollevava, finché si trovò mezza distesa sul tavolo e sotto di lui. La bocca dell'uomo era insistente, implacabile, e le toglieva tanto il respiro quanto la padronanza di sé. Trovò quel bacio focoso terribilmente eccitante.
Il petto forte e muscoloso, caldo sotto la camicia, si stringeva contro i suoi seni così poco coperti; ed era conscia del pesante battito del cuore dell'uomo, mentre il proprio pulsava di un nuovo frenetico ritmo.

Lentamente il volto di Maximilien si ritirò. Con sforzo, Maria Carolina si ricompose tremante e, mentre lui la fissava, respirò affannosamente cercando di riprendere fiato.
Il braccio di lui era ancora intorno alla vita e la teneva saldamente. Con le sottogonne rigide che le impedivano i movimenti, non poteva sfuggirli e neanche lo voleva.
"Forse non dovremmo..."
"No... non dovremmo..." disse lei esitante, ma lui la tenne ferma. La mano dell'uomo era già sotto le sue gonne e saliva audacemente verso la coscia mentre le dita dell'altra mano le stavano sciogliendo i lacci dell'abito dietro la schiena. Improvvisamente le sembrò che l'uomo avesse cento mani, le sensazioni erano fortissime.

Alla fine riuscì ad afferrargliele e le strinse contro di sé nel tentativo di tenerle ferme. Fu allora che si rese conto che le era stata tolta la gonna e le sue natiche nude premevano sul tavolo e la virilità di lui, sotto i pantaloni, era forte e impetuosa contro di lei. Le mani dell'uomo stavano di nuovo scivolando via dalla sua presa e strisciavano lungo i suoi fianchi, avvicinandola ancora di più a lui.

"Non sei un gentiluomo" esclamò Maria Carolina, ansimando.
"Je suis comme tu me veux." Maximilien rise piano e il suo respiro le sfiorò la gola. "Chaleureux et impatient. Tu me veux ?" mormorò con la bocca incollata al collo della donna e le dita, sopra il delicato nastro della camicia, che le stavano scoprendo il petto.
La faccia si abbassò. La bocca di lui le stava quasi bruciando il seno e venne divorata da una bruciante fiamma, che la attraversò come un razzo guizzante.

"Oh, sì..." sussurrò. Non riuscì a respirare quasi. Il calore accumulato sulla pelle sembrò esplodere. Le mani erano libere, ma potevano solo stringere più vicino la testa dell'uomo. Questi si mosse e lei lo sentì caldo e forte tra le sue cosce.

La bocca di lui era di nuovo sopra la sua e la lingua insistette finché lei non la incontrò con la propria con passione. Il cervello di Maria Carolina protestò: questa è pazzia! La sua passione sussurrò maliziosamente: lascialo fare.
E Maximilien la prese tra le braccia e piegò contro il tavolo, poi entrò in lei e un intenso calore profondo la indusse a singhiozzare di piacere. Lui cominciò a muoversi dentro di lei, baciandole la nuca, accarezzandole i fianchi, amandola.

***

Infornò il dolce per circa quaranta minuti, fino a quando diventò bello dorato. Aveva ancora addosso l'odore di lei, pensò eccitandosi al pensiero. Lei, che era poi fuggita come inseguita da un lupo. Era stato uno sconsiderato. Sperava solo di non rimetterci la vita, ma ne era valsa decisamente la pena.

Terminata la cottura, lasciò il dolce a raffreddare. Nel frattempo in un pentolino messo sul fuoco preparò lo sciroppo con rum, zucchero e acqua. Poi rimise il dolce nello stampo e con un cucchiaio vi versò sopra lo sciroppo caldo. Era pronto, doveva solo riposare in un luogo fresco prima di essere servito.

***

Maximilien si trovava nella sua stanza, quando Giovanna venne a chiamarlo, Sua Maestà, Re Ferdinando IV, voleva vederlo.
Con una certa apprensione si lasciò condurre nella maestosa Sala dell'Autunno. L'arredo era composto da quattro specchiere inserite in cornici di legno tinto bianco con intagli dorati e tre consoles con piano in marmo.
La volta era stupefacente con l'Incontro tra Bacco e Arianna. Non ebbe modo di ammirare gli altri dipinti delle sovraporte e dei sovraspecchi perché la sua attenzione fu attirata dalla famiglia reale impegnata a cenare.

Sprofondò in una riverenza e nei saluti formali. L'uomo segaligno e dal naso prominente, il Re, proruppe in una fragorosa risata.
"E brav' o babá é piaciut'assaie."
Mentre il Re e i principini si prodigavano in applausi, lanciò un'occhiata alla Regina che ricambiò lo sguardo leccandosi sensualmente le labbra.

Maximilien pensò che se fosse riuscito a mantenere la testa attaccata al corpo durante il suo soggiorno nel Regno di Napoli, sarebbe stato un miracolo.


Racconto scritto per il Contest di NicoleMoonlight "L'Italia fra un morso e l'altro... Come ti prendo per la Gola!"
TERZA TRACCIA: C🍅ND🌶️MENT🍋

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