21. "Stabiliamo noi le regole"
▶️Yungblud, Polygraph eyes
Adone
«Mi ignora completamente», sibilo verso Freddie.
«In che senso?», chiede lui, confuso.
«Non mi guarda. Non mi parla. Risponde a monosillabi», gli spiego, appoggiandomi al cofano dell'auto.
«Magari è di cattivo umore», suggerisce.
«Non sarei nemmeno sorpreso, se devo essere sincero. Ma da quando l'ho baciata lei-», Freddie si gira come un fulmine verso di me, assottigliando lo sguardo.
«Tu hai fatto cosa?», domanda.
«A Natale, l'ho baciata», faccio spallucce con indifferenza.
«Che cosa ti avevo detto?», dice tra i denti, appoggiando le mani sulle mie spalle.
Lancio uno sguardo verso le porte del supermercato per assicurarmi che gli altri non vengano proprio adesso, e sospiro.
«È successo e basta», borbotto.
«È saltata la corrente», mi ricorda, incrociando le braccia al petto. «Vuoi dirmi che non c'entri nulla?».
«Ascolta, Freddie... Sono il dio della Sfiga, sono cose normali che capitano giornalmente», cerco di spiegare con calma.
«So che mio padre ha parlato con te, cretino», fa una smorfia e smette di parlare non appena vediamo gli altri venire verso la macchina con i sacchetti tra le braccia.
Guardo Nikita, ma lei fissa il vuoto. Per una frazione di secondo i suoi occhi incontrano i miei, ma distoglie subito lo sguardo, imbarazzata. Eppure quando l'ho baciata non sembrava così timida. Perché adesso non riesce nemmeno a guardarmi in faccia?
«Ehi, Niki! Sei di poche parole oggi», gli fa notare il suo sfigato preferito. Dick. Era proprio necessario che venisse con noi?
«Non ho dormito bene stanotte», dice lei e finalmente riesco a sentire un tono di voce diverso da quello sentito precedentemente, morto e annoiato.
«Quindi sei ancora capace di formulare una frase?», le dico alzando un sopracciglio.
Nikita sbarra gli occhi e mi fissa con aria furibonda, poi Dick le dà una gomitata e per poco non le cade dalle mani il sacchetto.
«Ti dispiace stare un po' più attento?», gli dico, alzando gli occhi al cielo.
«Hai usato le buone maniere?», ribatte lui con aria attonita.
Freddie soffoca una risata e poi mi guarda con la coda dell'occhio.
«Ragazzi, non iniziate», si lamenta Cleo.
«Ci divertiremo, vedrete!», esclama Evelyn, l'amica di Dick, con un'alzata di pugno in aria e un sorriso stampato in faccia. Che entusiasmo!
«Mi sto già divertendo», mormoro senza distogliere l'attenzione da Nikita.
«Who-hoo!», bofonchia con finto entusiasmo.
«Ma che è successo?», sbotta Cleo, guardando prima me e poi lei.
«Niente che ti possa interessare», rispondo, mettendo su un sorriso forzato.
«Adone, Adone...», scuote la testa avvicinandosi a me e mettendo la mano sul mio petto. «Lascia che decida io per me», mi fa l'occhiolino.
«Intanto posso decidere per me, quindi leva la tua mano dal mio petto», la fulmino con lo sguardo e Freddie mi dà una gomitata.
«Tu e Nikita oggi siete veramente irascibili», dice Cleo, poi vanno a posare la spesa nel portabagagli e saliamo a bordo.
«Chissà perché», Freddie mi lancia un'occhiata e poi si rimette alla guida.
«È davvero così terribile la conseguenza di un bacio tra gli umani?», apro le braccia.
Non ricevo alcuna risposta, quindi salgo anche io accanto a Freddie, ma mi giro per guardare Nikita. Ha quasi appoggiato la testa sulla spalla di Dick. Oh, ma insomma!
«Se hai sonno, puoi dormire. Non c'è problema, basta che non sbavi addosso a me», le dice ridendo. Nikita, visibilmente imbarazzata, strabuzza gli occhi e poi sorride timidamente e si mette più comoda.
«Perché hai quell'espressione sul viso?», chiede Cleo. «Soffri di mal d'auto? Stai per vomitare?».
«Di questo passo farò esplodere le ruote della macchina», dico a bassa voce e riporto lo sguardo sulla strada.
«O magari no», Freddie emette un colpo di tosse.
«No, papà. Farò il bravo», appoggio la testa contro il finestrino. Freddie mette della musica che agli altri piace, ma a me no. Quando inizia a cantare anche lui, gli altri iniziano a complimentarsi con lui e ad applaudire.
«Sei fantastico!», grida Cleo e penso proprio di aver visto Freddie arrossire.
«Tu non sei figlio di Apollo. A quest'ora avesti dovuto dire "Lo so, cara. Non ti immagini le altre cose fantastiche che potrei fare con questa bocca”», lo schernisco.
Da parte sua mi arriva un'occhiata che per poco non mi incenerisce.
«Non ho capito di cosa state parlando, ma Adone tu cosa sai fare con quella bocca?», mi domanda Cleo.
«Posso zittirti, per esempio».
«In che modo?», chiede in tono sensuale.
«Dicendoti di stare zitta».
Lei mette il broncio e poi si gira verso Nikita e le dice qualcosa all'orecchio. Sarà un viaggio infinitamente noioso e non pensavo che anche ad un Dio come me un giorno sarebbe venuta la voglia di buttarmi dall'Olimpo e sparire.
Due ore più tardi arriviamo a destinazione.
Saranno ormai dieci minuti che sono fuori a guardare il posto in cui alloggeremo, senza quasi nemmeno battere ciglio.
«Non è così terribile come pensavi, eh?», dice Freddie ridendo. Nikita scende i gradini, ma scivola all'ultimo e rotola giù, emettendo un lamento strozzato e lasciando cadere poi la faccia nella neve. Questo è lo spirito giusto!
«La smetti?», Freddie mi afferra per il braccio. «Dovresti parlarle anziché procurarle un trauma cranico».
«Non sa parlare», rispondo.
«Davvero?», chiede incrociando le braccia al petto.
«Uno bacia una persona, lei ricambia, e poi si comporta come se tu avessi provato ad ucciderla. Qualcuno potrebbe illuminarmi sul suo atteggiamento?», mi siedo sul cofano della macchina mentre guardo gli altri portare le loro valigie dentro. Poi c'è Nikita che si alza finalmente da terra e si massaggia il sedere.
«Forse si è pentita»,
«Si è... cosa?», spalanco gli occhi.
«Gli umani si pentono in fretta», spiega. Salto in piedi e vado dritto verso Nikita.
«Ti sei pentita?», le chiedo senza troppi giri di parole. Impallidisce e apre la bocca per dire qualcosa, ma non esce nulla.
Fa per andare via, ma le blocco il passaggio.
«Non ho niente da dirti», dice finalmente, mettendo le mani sui fianchi. Ci fissiamo per un po' e poi prova a scappare, ma mi abbasso e l'afferro per le gambe, sollevandola e mettendola in spalla.
«Ma che fai?», grida. «Mollami!».
«Se ti mollassi, cadresti di nuovo di faccia e forse moriresti, quindi evitiamo morti inutili e parliamo come... Ecco, come due persone mature», la porto dietro lo chalet e la metto giù, in modo che gli altri non ci interrompano.
Nikita si passa una mano tra i capelli ricci e sbuffa, guardandosi poi gli stivali che affondano nella neve.
«Non abbiamo niente da dirci», inizia a dire. «È stato solo uno sbaglio», ma dal modo in cui non riesce nemmeno a guardarmi negli occhi, capisco che sta mentendo.
«Nikita Hillman», non appena pronuncio il suo nome, alza immediatamente la testa e corruga la fronte.
«Cosa?»
«Non sei brava a mentire», mi avvicino, lei indietreggia.
«Mi dispiace, va bene? Ci siamo soltanto lasciati andare per un po', ma non voglio che accada altro tra me e te». E questa volta mi guarda dritto in faccia e non pensavo nemmeno che avesse questo coraggio di dire ad un Dio una simile stronzata.
«Stai mentendo di nuovo», mi tiro indietro, sedendomi a terra.
«Prenderai freddo», mi fa notare, facendo un cenno del mento dove sono seduto.
«Ti importa?»
«Quella è neve», mi ricorda.
«Sono immortale, ma apprezzo la tua preoccupazione», mi porto una mano sul petto con aria drammatica.
Nikita, ormai sull'orlo di perdere la pazienza, si avvicina a me e allunga la mano per aiutarmi a tirarmi su. Questa situazione mi fa alquanto ridere. È davvero convinta che una cosina come lei debole, umana e con la testa perennemente incasinata, possa fare qualcosa per me, per farmi stare bene?
«Se afferro la tua mano, cadrai sopra di me», l'avviso, ghignando.
«Alzati e stai zitto», mi minaccia, guardandomi male. Rido a bassa voce e poi afferro la sua mano. Prova inutilmente ad aiutarmi ad alzarmi, ma l'attiro verso di me e mi cade addosso; è quasi sdraiata sopra di me e questa posizione non mi dispiace per niente. Certo, se non fosse per il fatto che lei il freddo forse lo sente eccome!
«Sei un cretino!», borbotta contro il mio petto, ma non intende ancora tirarsi su, quindi mi mordo il labbro per non sorridere come un idiota e appoggio il palmo della mano sulla sua schiena.
«Sfigata», le dico, le mia dita scivolano lentamente lungo il suo braccio fino a raggiungere i suoi capelli, e la mia mano si tuffa lentamente tra i suoi ricci.
«Non so chi dei due sia più sfigato», dice, sollevando di poco la testa per guardarmi negli occhi. Il suo sguardo si abbassa piano piano sulla mia bocca, le ciglia schermano i suoi occhi dello stesso colore della cioccolata calda, come se creassero una barriera e impedissero loro di parlare, di dire cose che forse lei non ha il coraggio di pronunciare. Gli umani sono così fragili, così strani, così... Umani.
«Provi sempre tutto così intensamente fino a volerti annullare? È così che funziona tra di voi? Siete felici e poi scegliete deliberatamente di essere tristi e apatici?», le chiedo, con l'indice che scivola lungo la sua guancia, delicatamente, fino a fermarsi all'angolo della sua bocca.
«C-che vorresti dire?», mi chiede, affondando i palmi delle mani nella neve, ai lati della mia testa.
«Niente», la stringo con un braccio e mi tiro su, mettendomi a sedere, ma lei sussulta e mi cinge il collo con le braccia, restando seduta a cavalcioni su di me.
Mi fissa negli occhi, questa volta senza alcun timore o imbarazzo. Un riccio scivola davanti al suo viso come una spirale che mi urla di afferrarla e attorcigliarla intorno al mio dito, afferrare il suo collo e spingere la mia bocca contro la sua. E i suoi occhi adesso mi gridano di farlo e lei schiude le labbra e posa la sua mano congelata sul mio volto, come se fosse totalmente ammaliata. E forse soltanto adesso capisco... È davvero ciò che voglio? È davvero ciò che lei vuole? Farla innamorare di me? È inevitabile che le persone non cadano ai miei piedi prima o poi e so che lo farà, anche se cerca di resistere... Ma lei è umana. Ma da quando mi importa qualcosa degli umani?
«Sei così stranamente bello», mi dice e mi riporta con i piedi per terra.
«Stranamente?», chiedo, accigliandomi.
«Sì. Ne ho viste di persone belle, ma tu sembri davvero senza difetti. Sei-», mi accarezza i lineamenti del viso e la sento tremare.
«Hai freddo. Andiamo», mi alzo in piedi con lei attaccata al corpo. Ora non intende più staccarsi?
«E sei forte», mi dice guardandomi inebetita.
«Stai bene?», le chiedo, provando a metterla giù.
«La mia migliore amica vuole scoparti», dice all'improvviso e piomba giù. Letteralmente. Con il sedere a terra.
«Stai bene?», ripeto, afferrandola per le braccia e tirandola di nuovo su.
Nikita inizia a ridere senza fermarsi e dice: «Con te intorno, un giorno finirò in ospedale».
Vorrei sorridere e dirle che ha ragione, perché succede sempre qualche piccola sciocchezza che gli umani trasformano in una grande tragedia, ma non riesco a sorridere come sempre. È più o meno quello che mi ha detto Zeus una volta.
“Figliolo, anche quando proverai a fare del bene, tu sei stato fatto per distruggere, seminare tristezza nel mondo e le persone ti malediranno ogni singolo giorno. È per questo che non saresti dovuto nascere”.
Smette di ridere e mi guarda con tormento. «Non dicevo sul serio», alza le mani come se volesse tirarsi fuori.
Prima che io apra bocca e dica qualcosa di sbagliato, decido di lasciarla perdere e di allontanarmi da lei, andando nuovamente verso Freddie. Entro dentro lo chalet e lo trovo in salotto, mentre cerca di trovare i canali TV, ma picchietto il dito sulla sua spalla per farlo attento.
«Perché pensi che Nikita stia diventando un problema per me?», gli chiedo, alla ricerca disperata di conferme.
Freddie alza gli occhi al cielo. «Perché nonostante tu sia un Dio, ti stai affezionando ad un'umana. E per la prima volta forse gli dei hanno capito che anche tu, che sei terribilmente fuori di testa, hai un punto debole. Ti avevo avvisato», scuote la testa.
«No, è impossibile», cerco di auto convincermi. «Io non ho mai avuto punti deboli e mai li avrò».
«Questo perché non hai mai avuto l'opportunità di scoprire le emozioni», mi guarda comprensivo. «A parte la rabbia e il rancore che provi per tuo padre, tu non conosci l'affetto per qualcuno davvero vicino, non conosci il calore».
«Pensi io sia un disastro e basta?», gli chiedo, deglutendo.
«Penso che tu sia un disastro che cerca di rendere le cose meno disastrose, ma finirà comunque per rovinare tutto. Mi dispiace, Adone, ma per quanto tu cerchi di mettere da parte la tua natura, inevitabilmente ferirai, se non con i gesti, lo farai con le parole. E ricordati: tu sei un Dio. Non so nemmeno perché sei ancora qui».
Non è esattamente ciò che volevo sentirmi dire, mi ha soltanto confermato che sono davvero un disastro che cammina. E no, Nikita non ha bisogno di questo.
«Qual è la nostra stanza?», gli chiedo.
«Quella in fondo al corridoio, sulla sinistra».
Prima che vada via, Nikita spunta sulla soglia della porta, con un debole sorriso in faccia.
«Ehi, te la sei presa?», mi domanda.
Per gli dei, per quale assurdo e inspiegabile motivo mi fa venire i sensi di colpa?
«Nikita, ho fatto la cioccolata calda per tutti, tieni», Dick spunta dietro di lei e le offre la tazza.
I suoi occhi si spalancano di poco e l'emozione le attraversa il viso come un lampo.
«La vuoi anche tu?», mi chiede l'organo vivente.
«Preferirei farmi il bagno insieme ad un'idra», rispondo.
«Ehm... È un no?», chiede, confuso.
«Ma a te piace la cioccolata», mi fa presente Nikita.
«Non l'hai fatta tu, non me l'hai offerta tu. E cosa diavolo ti fa pensare che io accetti una cosa da parte della persona a cui vai die-», Freddie mi lancia un cuscino in testa.
Nikita è diventata così pallida, ma al contempo sembra sul punto di volermi fare fuori.
«Quindi è un no?», insiste Dick.
«Vai a scavarti una fossa e infilati da qualche parte, perché è quello che fanno i peni», nel salotto cala di colpo il silenzio. Nikita spalanca la bocca, scioccata.
«Sei veramente un coglione!», dice, poi si avvicina e mi versa la sua cioccolata addosso.
«Senti qui, ricciolina», sorrido freddamente, cercando di non dare di matto. «Chiedi scusa».
«E per cosa? Te lo sei meritato!», grida. «O pensi che soltanto perché sei Adone di nome e di fatto, ti faccia sentire superiore agli altri? Sfigato!».
Osservo il mio giubbotto totalmente rovinato e stringo i denti. Non l'ha fatto davvero!
«Ehi, è tutto a posto!», esclama Dick. «Te ne porterò un'altra», afferra la tazza vuota e torna in cucina.
«Ma che state combinando?», Cleo ci guarda scettica e la sua migliore amica per poco non scoppia a piangere.
«Ma come fai a volerti scopare questo?», grida con rabbia, poi esce a passo svelto dal salotto.
«Che le hai detto per farla arrabbiare così?», chiede stranamente calma.
«È stata una pessima idea venire qui», scuoto la testa e faccio per andare nella mia stanza, ma nel corridoio incontro di nuovo Nikita, pronta ad entrare in bagno.
«Noodle», dico, ma lei alza il dito medio e poi si chiude dentro, sbattendo la porta.
«Va bene, sono stato cattivo, lo ammetto», dico sospirando profondamente e appoggiandomi con la schiena al muro.
«E?», dice da dietro la porta.
E cosa? L'ho ammesso, cosa vuole di più?
«Cosa?», chiedo.
«Cosa si dice quando una persona ammette di aver sbagliato?», domanda.
Rimango fermo a riflettere sulle sue parole. Oh, no! No, no e no!
«Non mi scuserò mai, te lo puoi scordare», dico risoluto.
Apre la porta soltanto in uno spiraglio e vedo soltanto un suo occhio pieno di lacrime.
«Ti prego, non piangere altrimenti me la prenderò con le tue lacrime».
«Dillo», mi sprona a pronunciare quella parola, ma preferirei metterle una pistola in mano e spingerla a spararmi in fronte, anche se sarebbe inutile.
Batto la fronte contro la porta e mormoro delle scuse.
«Che hai detto?»
Ripeto nuovamente, ma lei apre del tutto la porta.
«Non ho capito, in che lingua stai parlando?».
«La lingua dei morti, perché soltanto da morto chiederei scusa», dico con sarcasmo.
«Davvero?»
«No».
Dopo una breve pausa, sospiro e decido di fare la persona seria per un minuto.
«Noodle, mi dispiace, va bene? Mi dispiace di aver ferito quel tuo debole cuore».
«Dovrai scusarti con Dick», si stropiccia gli occhi e io scoppio a ridere.
«È stato bello parlare con te», le do la schiena e continuo a camminare fino a raggiungere la porta della mia stanza.
«Scusati con me, allora!», grida alle mie spalle.
«Ti farebbe sentire meglio?», le chiedo, afferrando la maniglia.
Annuisce e si morde il labbro.
«Ti chiedo scusa», e vorrei che qualcuno mi colpisse con una mazza in testa, adesso.
Un sorriso triste le apre il volto e poi cammina verso di me proprio quando sto per chiudermi dentro. «Dovremo lavorare un po' su quest'amicizia», mi dice.
«Inziamo con un bacio», suggerisco, piegandomi su di lei e premendo le labbra all'angolo della sua bocca per un secondo.
«N-non è esattamente così che funziona l'amicizia, Adone», è diventata così rossa in viso, che ho paura possa esplodere come un vulcano.
«L'amicizia è nostra, stabiliamo noi le regole di quello che c'è tra di noi», le faccio l'occhiolino, poi le chiudo la porta in faccia e sorrido come un idiota.
Per la prima volta penso di portarmi sfiga da solo.
Scusate l'attesa ragazzi, ma non è stata una settimana felice per me. Problemi in famiglia e a livello psicologico ero un po' instabile per potermi mettere a scrivere di nuovo 🙈
Adesso che mi sono sentita meglio, ho scritto. Mi dispiace che dobbiate sopportare la mia assenza, purtroppo ognuno ha i suoi problemi.
Ma cercherò di rimettermi in sesto.
Comunque non abbandonerò la storia (qualcuno me l'aveva chiesto). È solo che scrivo quando sono dell'umore giusto, non voglio fare riflettere i miei problemi o lo stato d'animo in questa storia. Spero vi sia piaciuto il capitolo, fatemi sapere e vi chiedo ancora scusa ❤️❤️ votate e commentate, alla prossima🌻
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