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13. "Interessante conversazione con un criceto"

▶️Niall Horan, Flicker

Adone

«A che cosa stai pensando?», mi chiede Freddie mentre posa nel lavello una pentola e due ciotole che ha usato per cucinare. A detta sua quelle cose filiforme sottili che sembrano immerse in un bagno di sangue, si chiamano spaghetti.

Ora vorrei dirgli che non faccio altro che pensare al seno di Nikita, ma probabilmente mi direbbe che sono pazzo e mi vorrebbe far fuori. Conoscendolo penserebbe anche che sia colpa mia se quell'umana è spuntata mezza nuda davanti a me. Che sia qualche segnale divino? Vorrebbe, forse, comunicarmi qualche suo desiderio nascosto attraverso i fatti?

«La famiglia Hillman è composta da quattro membri strani», dico prendendo posto a tavola. Anzi, sono cinque, se vogliamo prendere in considerazione anche il criceto dal nome spartano. Perché mai gli avrà dato questo nome? È un ratto, per gli Dei!

«Perché dici così?». Freddie inizia ad apparecchiare il tavolo, ma non smette di lanciarmi occhiate fulminanti. Forse si aspetta un riassunto molto dettagliato di quello che è successo a casa di Nikita, ma non mi piace parlare di cose già successe, quindi mi limiterò a fornirgli soltanto qualche futile informazione.

«Quando parli con i suoi genitori è come se stessi parlando con due fattoni di Detroit. Tanta felicità, tanta voglia di conoscere, di condividere, di litigare perfino per un bicchiere d'acqua. Ma per loro penso sia normale dato che ridono sempre, anche quando non c'è motivo. E cosa più importante, non ho capito come fanno a passare dal ridere alla voglia di farsi fuori. Nikita continua a nominare i fucili», spiego.

«A me sembrano soltanto socievoli e normali», mi dice mentre mi riempie il piatto.

«Non amo socializzare con gli umani», gli ricordo. «E beccarsi una pallottola nella fronte, secondo te, sarebbe socializzare normalmente?».

«Quindi ti sei divertito?», mi domanda. Ripenso di nuovo a Nikita con il seno in bella vista e ghigno, perché quella penso sia stata la cosa più divertente della giornata.

«Abbastanza. Suo fratello mi ha insegnato a ballare davanti ad uno schermo, dove alcune figurine si muovono e ti ordinano di fare come loro. La tecnologia è sorprendente. All'inizio non volevo farlo, non amo prendere ordini. Ma poi... è stato fantastico soltanto perché ho vinto», scuoto la testa.

«Intendi Just dance?», si siede accanto a me e annuisco.

«Dovresti fare nuovi acquisti», gli dico guardandolo con un sorriso. «Come prima cosa, penso mi serva una gabbia per topi».

«Topi?», Freddie per poco non si strozza.

«Ho rubato il criceto a Nikita. Cioè, l'ho preso in prestito, poi glielo ridarò. Sperando che non muoia», faccio spallucce.

«Adone-».

«E comunque questi spaghetti immersi nel bagno della morte non sono molto appetitosi», dico imitando Freddie e girando la forchetta nel piatto. «E sono infiniti, maledizione». Gli spaghetti si srotolato e scivolano tutti giù dalla forchetta.

«È soltanto polpa di pomodoro, mangia e stai zitto».

«Non stanno fermi sulla forchetta, madre divina!», mollo le posate, Freddie mi guarda sbigottito mentre afferro con la mano una manciata di spaghetti dal piatto e me la porto alla bocca.

«Bifolco», commenta lui, colpendomi il dorso della mano con la forchetta. «Smettila di fare l'idiota e prendi esempio da me».

Chi l'avrebbe mai detto che Freddie mi avrebbe insegnato a mangiare delle cose lunghe e scivolose, che ti fanno perfino strozzare se non stai attento? Con grande difficoltà e con tanta pazienza, che ormai si sta via via smarrendo, riesco finalmente a mangiare come il mio migliore amico.

Abbassa di colpo le posate e si prende la testa tra le mani, borbottando: «Vai a lavarti le mani, per piacere. Sembra tu abbia commesso un omicidio davanti a quel piatto». In effetti, non ha tutti i torti. Vado a lavarmi le mani e la bocca e torno a sedermi.

«Sai, ho declinato il loro invito a cena, e penso io abbia fatto più che bene», gli dico.

«Cazzo, sì che hai fatto bene!», grida.

«Però mi hanno detto di andare a cena oggi. Nikita ha detto di portare anche te. Penso sia la serata in cui fanno a gara a chi balla meglio».

Freddie rimane con la forchetta sospesa nell'aria. «Fanno a gara a Just dance?».

«Proprio così», confermo.

Se c'è una cosa che ho capito degli umani, è che aspettano il sabato sera come se fosse il giorno più importante del mese. Tutti vogliono uscire, divertirsi, altri dormono come se fossero sotto effetto di sonniferi, e altri fanno come loro... Il tempo qui sembra infinito, passa molto lentamente. Non posso riempire in chissà quale modo le mie giornate monotone.

«Mi dici cosa c'è?», insiste Freddie.

«No», asserisco continuando a mangiare, fissando il piatto come se volessi ridurlo a pezzi.

«So quando qualcosa ti turba e faresti meglio a riprenderti, perché potrebbe succedere qualcosa nel mondo», dice perentorio.

«E tu chissà quando smetterai di prendertela con la mia vera natura e di stare ancora dalla parte degli umani. Sarai anche un semidio, ma ricordati chi è tuo padre e ricordati che sei immortale, quindi piantala di comportarti come se gli umani fossero più importanti per te rispetto alla tua vera famiglia», grido alzandomi in piedi e abbandonando la cucina.

Mi chiudo nella mia stanza come un patetico adolescente nel bel mezzo di una crisi adolescenziale e mi butto sul letto, pensando a quando questo calvario finirà. È comunque colpa mia. Non avrei mai dovuto mettere piede in questo posto. Se il mio amico non riesce ad accettarmi per chi sono davvero, come posso aspettarmi che gli altri facciano finta di niente? Sono la sfiga, gli umani mi odiano, mio padre ha voluto farmi fuori appena nato e ancora non comprendo la ragione. Non sono il suo primo figlio e sicuramente non sarò nemmeno l'ultimo.

Mia madre, come se non bastasse, ha assecondato la sua scelta di farmi fuori. Forse perché sapeva che uno come me non avrebbe mai potuto conquistare l'affetto di qualcuno?

Gli umani sono troppo idioti per credere davvero alle mie parole, ma se usassero di più l'intelletto probabilmente mi bandirebbero dal loro mondo. E la prima sulla lunga lista, proprio in cima, ci sarebbe Nikita.

Continua a dire che è sfigata, peccato non sappia che la maggior parte delle volte è soltanto impacciata di natura e non è colpa mia. Inoltre, le cose che accadono a lei sono soltanto piccole sciocchezze.

Freddie bussa alla porta e alzo gli occhi al cielo.
«Non ho voglia di parlare, riprovaci domani», gli dico, alzandomi e andando verso la finestra.

Il cielo viene improvvisamente coperto da nuvoloni pesanti e un fulmine lo squarcia in due. Ti odio, padre.

Stringo i pugni e serro la mascella, trattenendo l'istinto di spaccare il vetro della finestra. Un altro fulmine scoppia nel cielo e il tuono rimbomba nelle orecchie come un gong.

«Adone», Freddie bussa di nuovo, ma non rispondo. Vado verso la scrivania e alzo la ciotola sotto la quale ho messo il criceto, il quale scappa non appena si sente libero. Be', la cosa positiva è che ancora vivo, la cosa negativa è che mi sono dimenticato di lui, esattamente come la sua padrona.

Lo acchiappo prima che si possa nascondere sotto il letto e lo poso sul materasso, facendo attenzione che non scappi.

«Perché fai quello che vuoi? Non sai seguire gli ordini dei tuoi superiori?», gli chiedo, ma lui in tutta risposta viene verso di me e mi annusa il palmo della mano.

«Lo prendo come un sì?», domando ancora, poi lo alzo per la coda e lo dondolo davanti al viso. «Perché a Dick piacciono i topi come te?».

Nessuna risposta.

«Adone, non pensavo che ti avrei trovato impegnato in un'interessante conversazione con un criceto», esclama Apollo alle mie spalle. Una persona normale forse sarebbe saltata in aria dallo spavento, ma sono così abituato alle sue improvvise apparizioni che niente più potrebbe sorprendermi.

«La noia mi fa fare brutte cose», dico accarezzando il criceto.

«Se fossi il solito Adone, penserei che quel criceto avrà vita breve. Ma ti sento giù d'umore, che succede?», chiede sedendosi sulla sedia. Mi giro verso di lui e corrugo la fronte non appena vedo il modo in cui è conciato: cappellino all'indietro, jeans slavati e un maglione più grande di lui, con una ghirlanda hawaiana al collo.

«Ti sei messo addosso le prime cose che hai trovato?», gli chiedo mentre lui si toglie il cappellino e si passa la mano tra i capelli biondi.

I suoi occhi azzurri ghiaccio si riducono a due fessure e lo vedo incrociare le braccia al petto. «No, è stile moderno, questo. I giovani vestono così».

«Vivo tra i giovani da un paio di giorni e ti assicuro di non aver visto nessuno andare in giro così, soprattutto con quella cosa con fiori che hai attaccato al collo», dico.

«A me piace e mi fa sentire più giovane», fa spallucce. «Dov'è mio figlio?».

«Come se tu non lo sapessi già», borbotto distogliendo lo sguardo.

«Avete litigato?», indaga.

«No», dico.

«Mmh... Pensavo ti piacesse la compagnia di Freddie», si alza e viene a sedersi accanto a me.

«Sei venuto a farmi la predica perché ho alzato la voce con tuo figlio?», gli chiedo alzando un sopracciglio.

Apollo scoppia a ridere tenendosi una mano sulla pancia. «No, Adone. Sono venuto a vedere come ti vanno le cose qui. Deduco non benissimo».

«Non ho litigato con Freddie», inizio a dire mentre tengo il criceto tra le mani. «A volte mi fa arrabbiare. È come se volesse cancellare chi sono davvero, capisci? Io, Dio della Sfiga, non posso competere con il figlio di Apollo. Gli hai trasmesso la tua bravura, ma gli avrei risparmiato la tua passione per la musica. È insopportabile quando inizia a cantare».

Apollo ride di nuovo, poi mi dà una pacca sulla spalla. «Ogni Dio è unico a modo suo, e non potrai mai essere inferiore o inutile finché rimarrai un Dio agli occhi di tutti gli altri, che si tratti del nostro mondo o di quello degli umani», mi dice alzandosi in piedi e rimettendosi il cappellino sulla testa.

«Sono così importante e amato da tutti, che perfino i miei genitori volevano farmi fuori. Grazie, Apollo, perché soltanto tu riesci a trovare del positivo in tutto», dico in tono sarcastico.

«O magari potresti chiederti per quale motivo tuo padre voleva ucciderti», dice con un sorriso malizioso. «Sei figlio di Zeus, Adone. Non pensi che ci sia molto di più oltre alla Sfiga?», continua a dire.

Più confuso che mai, cerco di capire le sue parole, ma il suo sorrisetto non fa altro che infastidirmi ancora di più.

«Due sono i motivi principali per cui Zeus farebbe fuori uno dei suoi figli. Io lo sapevo ancora prima che tu nascessi, so il perché e so le scelte che farai», mi punta l'indice contro senza smettere di sorridere. «Ecco perché sono l'unico ad aver sempre creduto in te, ed ecco perché sono l'unico a sapere cosa accadrà dopo. Sono il dio della profezia, dopotutto». Nemmeno il tempo di chiedergli cosa intende, che Apollo sparisce dalla mia vista.

Guardo il criceto e dico: «Se pensavo fosse difficile capire gli umani, dovresti vedere quanto è difficile provare a capire le divinità. Soprattutto Apollo».

Prendo il criceto e lo porto in bagno, mettendolo dentro la vasca. Gli porto dell'acqua in un vasetto insieme ed una carota e una mela. «Magari mi informerò meglio sulla tua dieta», gli dico.

Torno a sedermi davanti alla scrivania e accendo il computer. È arrivata l'ora di mettermi alla pari con gli umani.

Due ore più tardi sono ancora qui a giocare a solitario da solo. Fuori sta nevicando, dentro casa mi sto annoiando. E mi annoierò ancora di più quando andrò a casa da Nikita. Alzo lo sguardo verso l'orologio e faccio una smorfia.

Spengo il PC e apro l'armadio, prendendo un paio di pantaloni cargo neri e una felpa rossa.
Poi afferro gli anfibi da sotto il letto e me li metto. Do uno sguardo fugace allo specchio e rimango piacevolmente sorpreso dalla mia bellezza. Questi vestiti mi donano proprio tanto.
Prendo il giubbotto e vado a bussare alla porta della stanza di Freddie. Appena mi apre mi guarda dalla testa ai piedi. «Sì?».

«Vesiti, andiamo da Nikita», gli dico, andando verso l'ingresso.

Senza fare domande, si veste e mi segue fuori stando in silenzio.

«Aspetta, non dovremmo portare qualcosa?», mi chiede fermandosi.

«Portiamo la nostra presenza, non basta?», chiedo.

Freddie ormai a tanto così dall'implodere, mi ignora ed entra in una pasticceria. O almeno, così c'è scritto fuori. Guardo attraverso la vetrina e vedi un sacco di cose dall'aspetto delizioso.

Poco dopo Freddie esce dalla pasticceria e dice: «Torta al lampone!».

«Okay», mormoro.

Con la neve che continua a cadere giù e Freddie che continua a parlare da solo, penso a quanto bello sia stare fuori casa. Ma noto che siamo soltanto noi due a camminare tranquillamente sul marciapiede ricoperto da un manto bianco.

«Dobbiamo procurarci una macchina», mi dice Freddie.

«Non ti serve», gli faccio notare.

«A te sì», mi dice con un sorriso forzato.

«Mio padre si stancherà e mi permetterà di muovermi come voglio e dove voglio», replico stringendo i denti. E se non lo farà, quello stronzo la pagherà in qualche modo.

Non diciamo più una parola finché non arriviamo a casa di Nikita. Mi fermo sul marciapiede e guardo le lucine che adesso fanno da cornice alla sua abitazione. «Gli umani mettono le lucine alla casa ogni sabato sera?», chiedo a Freddie.

«No, Adone. Si avvicina il Natale», mi dice ma per me è come se non l'avesse detto.

Suono il campanello e apre Nikita. Indossa una felpa gialla e un paio di pantaloni grigi sportivi, i suoi capelli sono sciolti e ancora umidi, da quel che vedo.

«Ciao», dico.

«Ehi, Niki! Che piacere rivederti, abbiamo portato la torta, è al lampone. Spero ti piaccia», dice Freddie entusiasta. Gli occhi di Nikita iniziano a brillare.

«Davvero? Io amo le torte!», grida, poi lo abbraccia e gli prende la torta dalle mani.

«Ciao», mormoro di nuovo.

«Oh, ciao», finalmente nota anche me, anche se mi guarda per tipo... Due secondi contati?
Ci fa entrare e sento Bryce gridare dal salotto: «Siamo qui!».

Lo raggiungiamo e lo vediamo mentre sistema i cuscini sul divano, delle robe da mangiare sul tavolo insieme a delle bevande in dei contenitori rossi dalla forma cilindrica.

«Ciao, ragazzi! Sono felice che abbiate deciso di unirvi a noi stasera», sua madre ci accoglie a braccia aperte. Perché questa donna vuole sempre toccarmi? Mi stringe in un abbraccio, dal quale mi stacco subito con una scusa.

Mi tolgo il giubbotto e lo poso sul divano, poi mi passo la mano tra i capelli umidi, per colpa della neve. Giro lo sguardo e vedo Nikita seduta sul bracciolo del divano mentre mi guarda imbambolata, ma distoglie subito lo sguardo e sorride a suo fratello.

«Mamma, Freddie, l'amico di Adone, ha portato la torta», dice.

«Non dovevi disturbarti, caro», esclama sua madre sempre con quel sorriso accogliente.

Freddie si sente subito a suo agio, scherza con tutti, mentre io sto seduto da solo a fissare lo schermo della TV.

«Qualcuno vuole la cioccolata calda?», grida suo padre dalla cucina.

Cioccolata calda?

Spalanco gli occhi, ma non riesco a dire niente, ecco perché Nikita mi guarda e si acciglia. «Non la vuoi?», chiede.

L'ultima volta ne ho bevute quattro in una volta, quindi so perché mi guarda in questo modo.
Tuttavia, scuoto la testa e continuo a stare in silenzio.

«Adone la vuole!», grida e sospiro profondamente. Va bene, se proprio insiste...

Con la coda dell'occhio scorgo un fuoco che arde e mi alzo, dicendo: «Quel coso ha preso fuoco!».

Freddie impallidisce e mi raggiunge a grandi falcate, sibilando: «È il caminetto. È una cosa normale. Ti siedi lì davanti, ti riscaldi e bevi la cioccolata calda».

«Scherzavo», grido fingendo una risata. «Interessante», dico alzandomi e raggiungendo la poltrona. Guardo il fuoco che arde e sorrido.

«Ehi, tieni», Nikita mi passa la tazza con la cioccolata calda e si siede sull'altra poltrona.

«Grazie, Nikiriccia», dico prendendola in giro. Il sorriso sparisce dal suo volto.

«Prima sorridevi, a cosa stavi pensando?», chiede ignorando il modo in cui l'ho chiamata, altrimenti finirebbe per cavarmi un occhio.

«In realtà stavo pensando ad Ade. Quando voleva farmi prendermi un colpo, faceva spuntare sempre così, a caso, qualche creatura fatta di fuoco».

Mi guarda con una faccia inespressiva. Poi qualche secondo dopo scoppia a ridere. «Hai una bella fantasia», dice senza smettere di sorridere.

«Non è fantasia. È realtà», ribatto, cercando di non mostrarmi infastidito.

«Sì, come no», bisbiglia.

Mi porto la tazza alla bocca e bevo un sorso di cioccolata. Accidenti, è addirittura più buona di quella che ho bevuto in quel bar, insieme a lei.

«Caspita, è buonissima», dico e ne mando giù un altro sorso.

«Comunque, ero seria... Mi interessava davvero sapere a cosa stavi pensando poco fa», si stringe nelle spalle mentre osserva il caminetto.

«Te l'ho detto. Sono ricordi strani, ma mi fanno sorridere quando ci penso».

«Perché continui a comportarti in modo così strano e a dire cose strane?», domanda con tono serio.

«Perché io cerco di capire gli umani e di abituarmi al vostro mondo, ma tu non fai altro che dirmi che ho una bella fantasia o che sono fuori di testa. Perché non inizi a credere a quello che sto dicendo? Sono un Dio», dico e aspetto una sua risposta, ma vedo le sue sopracciglia sollevarsi piano, la luce del focolare si riflette sul suo volto perfetto, e lei si alza in piedi, dicendo: «Ovviamente», e poi raggiunge gli altri.

«Ovviamente...», ripeto guardando la legna che brucia, stringendo la tazza calda tra le mani; tutto questo mi dona una sensazione di calore mai provata prima. Ma anche una sensazione di smarrimento che vorrei non provare in questo momento.

"Due sono i motivi principali per cui Zeus farebbe fuori uno dei suoi figli".

Ripenso alle parole di Apollo mentre do uno sguardo alla famiglia di Nikita. Perfino adesso litigano tra di loro, perché Nikita e Bryce vogliono giocare per primi. Ma poi scoppiano a ridere e io non capisco il loro modo di litigare, e nemmeno quello di fare pace.
Se dovessi litigare con mia madre probabilmente finiremmo per infliggere dolori a terzi.

«Adone, ti unisci a noi?», chiede premurosamente sua madre. Penso si chiami Hilary e suo padre Charles. Nomi discutibili.

«Oh, penso che la squadra sia al completo», dico cercando di non far uscire dalla mia bocca frasi che non dovrei dire.

«Non dire sciocchezze, tesoro», mi scompiglia i capelli e vorrei dirle di smetterla di toccarmi, ma quel suo gesto ha un qualcosa di... affettuoso. «Io sono ancora disponibile», apre le braccia, invitandomi a fare squadra con a lei. Questa cosa non finirà bene...

«Se proprio insisti», dico facendo spallucce. Ormai questa frase è all'ordine del giorno.

Un'ora dopo, batto il cinque a sua madre e lei esulta, gridando: «Questo è perché non avete creduto abbastanza in lui! Bravissimo, Adone», mi abbraccia di nuovo, ma l'istinto è sempre quello di staccarmela di dosso o tagliarle le braccia, ma inizio a farci l'abitudine.

«Io non l'avevo sottovalutato, proprio per niente!», aggiunge Bryce, battendo il pugno contro la mia spalla.

«Ehi, Charles-», dico rivolgendomi a suo padre.

«Chiamalo signore», mormora Freddie al mio orecchio.

«Casomai lui dovrebbe chiamare me signore», rispondo fulminandolo con lo sguardo.

«Adone», sibila Freddie. «Dammi ascolto, sei come tutti gli altri qui, ricordi?».

Faccio un bel respiro e dico: «Signor Charles, ha ancora della cioccolata?».

«Sì, ma quella la servirò dopo cena», dice, negandomi quella preziosa bevanda. Mi siedo sul divano e aspetto impaziente.

«È arrivata l'ora della pizza», dice Hilary.

«L'aggiungerai alla lista delle cose di cui ti innamorerai, dopo di me», dice Nikita, ridacchiando.

«Come, scusa?», chiedo battendo piano le palpebre.

«Scherzavo, Adone», alza gli occhi al cielo, ma ecco che il momento viene rovinato dal ricordo di ieri e dal suo seno in bella vista.

«Oh, per gli dei», dico alzandomi in piedi. «Toglimi le tue tette dalla mente».

«Come?», esclamano all'unisono suo padre, sua madre, Freddie e pure Bryce.

«Prendo il fucile», dice Nikita a denti stretti.

«Scherzavo, non so nemmeno che forma abbiano le tette», inizio a ridere da solo, poi divento di colpo serio e aggiungo: «Cioè sono più o meno così, tonde e-», dico mostrando la forma con le mani.

«Adone ha un senso d'umorismo che capisce soltanto lui», interviene Freddie. «Vero, Adone?».

«Giusto, io e le capre e così via», borbotto incrociando le dita delle mani.

«Porto la pizza», dice sua madre, salvandomi da questo supplizio.

Nikita si siede sul divano, mezza imbronciata. Io mi sposto accanto a lei, sussurrando: «Senti, mi dispiace. Sono abituato a dire cosa penso davvero».

Lei gira lo sguardo verso di me e mi guarda scettica. «Ah, davvero? Quindi ora cosa pensi?».

«Che i tuoi capelli sono troppo strani, ma belli; che il giallo ti rende ancora più bella e luminosa e che mi fai provare una sensazione che mi fa venire voglia di tornare a casa».

La luce che fino a un secondo fa illuminava i suoi occhi si spegne. «Grazie e mi dispiace che io ti faccia provare una sensazione così brutta. Comunque, il rosso ti dona. Mette in risalto i tuoi occhi e i tuoi capelli neri, e sì... Sei bello anche tu».

«Bellissimo, vorrai dire», la correggo.

Gonfia le guance come il suo criceto quando mangia e poi sospira, calmandosi. «Va bene, sei bellissimo».

«Assomigli a Leonida quando gonfi le guance», dico scoppiando a ridere.

Ora mi aspetto che mi dia un pugno, ma ride anche lei, abbassando lo sguardo imbarazzata e dicendo: «Dovresti vederlo quando mangia i semi...».

«Diventa così?», chiedo gonfiando le guance a mia volta, ma lei mette gli indici su di esse e preme finché non si sgonfiano. Sorride, ma non riesce mai a guardarmi per più di cinque secondi negli occhi.

«Sì, così», dice.

«Che diavolo state facendo?», domanda Bryce, guardando entrambi confuso.

Nessuno dei due dice niente, ma la becco per la seconda volta mentre mi guarda di nascosto e trattiene il sorriso. Così allungo la mano verso i suoi capelli e le tiro un riccio, per poi vederlo rimbalzare. Lei finge di guardarmi male, ma poi allunga una ciocca di capelli verso di me, spingendomi a farlo di nuovo. Freddie mi guarda in modo preoccupato, poi scuote la testa e mi fa cenno di smetterla.

La vuole forse tutta per sé?

Ehilà, ecco il nuovo capitolo ❤️ spero vi sia piaciuto e che abbiate capito almeno un po' come si sente Adone, quando adesso che sta vivendo due realtà diverse riesce a vedere le differenze, soprattutto in famiglia.
Chissà cosa intendeva Apollo con quella frase, ehehe.
Se vi è piaciuto lasciate una stellina🌻❤️ un abbraccio a tutti voi, alla prossima 😍❤️

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