09. "Sei proprio cotta... condoglianze"
▶️ The all American Rejects, Gives you hell
Adone
Con un sospiro melodrammatico mi siedo in fondo all'aula, dopo aver adocchiato un posto a caso, come ha suggerito Nikita.
Gli sguardi degli altri diventano subito curiosi non appena mi notano qui, seduto da solo, probabilmente con la stessa aria smarrita di un panda che ha finito le scorte di bambù e per la disperazione si è dato alla bamba. So che nel mondo umano questa roba gira forte, esattamente come probabilmente l'erba gira in questa scuola, a meno che il ragazzo alla mia sinistra non si sia fatto circa quattro ore di pianto di seguito e prima di entrare in classe si sia masturbato. Espressione ambigua.
Pensavo fosse più semplice prendere parte a questa pagliacciata umana, ma a quanto pare mi sono sbagliato. Sono qui da un paio di giorni e già mi sembra che questa sia una tortura auto indotta. In ogni caso, so che a mio padre probabilmente fa piacere.
Qui la gente è esageratamente curiosa e nessuno sembra volersi fare gli affari propri.
Una ragazza mi sta fissando da un lasso di tempo ormai indeterminato e inizia a sembrarmi inquietante; più o meno come quando Medusa voleva fingere di non essere attratta da me, quando in realtà perfino i suoi serpenti volevano saltarmi addosso. Sono quasi sicuro che la ragazza stia ammirando la mia bellezza, ma a me bastano gli sguardi che durano circa dieci secondi, il tempo giusto per farmi la radiografia dalla testa ai piedi e desiderare di finire in un letto insieme a me.
Certo, sono da sempre abituato a questo tipo di attenzioni, ma mi sembra alquanto surreale che una come Nikita non sia già caduta ai miei piedi.
Cosa c'è di sbagliato in lei?
Mentre sto qui a pensare a quella testa riccioluta mi vengono in mente le parole di Freddie e penso che potrei rimettere proprio qui e proprio adesso, ma non voglio essere il nuovo arrivato sfigato, anche se vorrei fare un bel discorsetto a tutti quando toccano l'argomento sfiga ed elogiarmi da solo. Quando sei la sfiga, è difficile che qualcuno ti faccia i complimenti.
La convinzione con la quale Freddie ha articolato quel discorso senza senso (per me) sulla bellezza tra gli umani, mi lascia perplesso.
La gente s'innamora della bellezza interiore e bla, bla, bla. Andiamo, chi ci crede a queste stronzate? Dentro potresti essere un diamante, ma se fuori sei semplicemente un sasso, è difficile trovare qualcuno che ti faccia sentire come se fossi davvero così importante e al contempo attraente. Casi rari, ma non impossibili a questo punto.
«Ehi, tu sei nuovo?», mi chiede la ragazza che mi stava fissando, sedendosi accanto a me.
Increspo le labbra e la fisso con la coda dell'occhio. Suppongo questo sia un misero tentativo di fare conversazione con me, peccato io non abbia alcuna risorsa valida per poter mandare avanti questa cosa. A dire il vero non ho nemmeno voglia di farlo.
«Sì, lo sono», rispondo in tono secco. La ragazza, come previsto, distoglie lo sguardo e lo punta sul suo banco, con aria imbarazzata.
«Ti piace storia?», prova a continuare il discorso.
«Be', le disgrazie mi affascinano, ma non è stato carino vedere con i miei occhi tutto quello che è successo negli ultimi anni. Pensavo che gli dei fossero crudeli, ma nemmeno voi scherzate. Siete in grado di commettere cose orribili».
«In che senso "vedere con i miei occhi"?», domanda, mimando le virgolette con le dita.
«In quel senso», chiarisco.
«Certo, dillo alla McGregor e ti ritroverai probabilmente direttamente in presidenza», sbuffa una risata e poi si sorregge il volto con la mano. Giusto, dovrei fingermi un neonato in questo posto.
Proprio quando sono sul punto di sospirare, una donna bassa e tozza, con uno scialle colore oro e turchese fatto di inserti di broccato, appare sulla soglia della porta. Mani sui fianchi, occhiali sulla punta del naso, sguardo severo. Forse sto iniziando a capire tutto questo timore nei suoi confronti.
All'improvviso cala il silenzio nell'aula, penso abbiano smesso tutti di respirare. Be', almeno risparmiano ossigeno.
La donna stringe una cartella tra le mani e poi va a sedersi, dicendo a voce alta e chiara: «Buongiorno».
Mentre la classe risponde indietro con un sonoro “Buongiorno, professoressa McGregor", mi scappa una risata.
La ragazza accanto a me sussulta e la professoressa mi fa cenno di alzarmi.
«Cosa abbiamo qui...», mormora fissandomi dalla testa ai piedi. «Nuovo arrivato?».
«Per tutti voi, sì. Sono il nuovo arrivato», rispondo con un sorriso.
La professoressa abbassa lo sguardo sul foglio davanti e poi scorre con il dito, corrugando la fronte. «Adone Figa?».
«Sfiga, la prego. La figa la lascio per dopo», le faccio l'occhiolino e la classe scoppia a ridere, ma il mio momento di gloria viene interrotto dal suo: «Silenzio!», e il mondo tace definitivamente. Di nuovo.
«Adone Sfiga, cognome particolare. Penso proprio che durante la mia ora ti si addicerà molto», e mi rivolge un sorriso maligno che sono pronto a spazzare via.
«Sono pronto a qualsiasi cosa. Lo sono sempre», faccio spallucce e mi siedo meglio sulla sedia, allungando le gambe in avanti.
«Pretendo ordine e rispetto», mi riprende come se fossi un bambino. Chi glielo spiega che in realtà dovrebbe mettersi in ginocchio e pregare che io non la faccia finire accidentalmente in ospedale, com'è successo agli umani che mi hanno mancato di rispetto? E non mi sono nemmeno sporcato le mani, perché la sfiga è sfiga... Non è quello che pensano?
«Non volevo assolutamente interrompere il suo momento di dittatura, ma la risata è stata involontaria... Quasi. È divertente vederli come se fossero i nuovi soldatini di Hitler», dico, scuotendo la testa divertito.
«Sfiga, ora che hai toccato l'argomento Hitler, potresti deliziarci con le tue conoscenze a riguardo?», il suo sorriso è così sfidante, ma i suoi occhi sono così malvagi. Questa donna probabilmente ama da impazzire mettere in difficoltà i suoi alunni.
«Io c'ero quando Hitler fece il suo primo comizio a Hofbräuhaus», le dico incrociando le braccia al petto. «Stavo giusto bevendo una birra insieme al mio amico Freddie, quando siamo riusciti finalmente a sbarazzarci di Dioniso e della sua immensa voglia di farti trangugiare il suo delizioso vino non appena lo incroci nel tuo cammino. Terribile quel dio», sospiro rammentando i bei momenti.
Gli occhi spalancati dei presenti mi fanno capire che non hanno capito nulla e penso sia meglio così. Se Dioniso sapesse che in realtà penso sia un barbone ubriacone, probabilmente smetterebbe di fornirmi da bere quando qualcosa mi va male.
«Sfiga», inizia a dire la professoressa, forzando un sorriso. «Non siamo al corso di recitazione. Le battutine lasciale fuori da qui», ed eccoci qui, al secondo rimprovero.
«Lei mi ha detto di parlare di Hitler e io lo sto facendo. Secondo lei perché è stato bocciato all'esame di ammissione all'Accademia di belle Arti?», mi indico con entrambi gli indici e un sorriso grande quanto una casa si fa spazio sul mio volto, ma nessuno capisce quindi lascio perdere.
«Perché non aveva grandi dotti come pittore», risponde sicura di sé.
«Sì, questo lo dicono i libri, ma in realtà quell'umano ha da sempre suscitato in me disgusto. Troppo arrogante, troppo saccente, troppo orgoglioso. Gli serviva una lezione», ghigno.
«Fuori dalla mia classe», la McGregor indica la porta.
«Cosa?», domando scioccato.
«Non puoi parlare così. Non te lo permetto», alza un dito in aria, risoluta.
«Be', lui mi stava antipatico, ma non per questo lei-»
«Fuori!», grida.
«Se starò muto come un pesce mi darà un'altra opportunità?», chiedo, sorridendole genuinamente.
Fa un profondo respiro e si massaggia le tempie, dopodiché mormora: «Tu mi darai del filo da torcere».
«È stata la prima frase che ha detto mio padre quando sono nato. Fantastico», brontolo, ma la professoressa mi ignora e fortunatamente non mi butta fuori. Quindi sono costretto a restare qui seduto a sentire la sua versione superficiale della storia e fingere che sia intelligentissima. Oh, gli umani pensano sempre di essere intelligenti. A volte è come se fossero in una competizione continua.
«Psst», dice la ragazza accanto a me per attirare la mi attenzione. Inclino la testa verso di lei e sorride, dicendo: «Sei la prima persona ad aver fatto incavolare in quel modo la McGregor. Ma la cosa assurda è che l'ho vista sorridere».
«Sì, davvero assurdo poter sorridere. Che cosa magica», la prendo in giro, alzando gli occhi al cielo.
«No, idiota», dice lei e per poco non strabuzzo gli occhi. «La McGregor non sorride mai».
«Meraviglioso, ma io mi chiamo Adone o Sfiga, scegli tu. Idiota chiamaci tuo padre. Io già lo faccio col mio», le faccio l'occhiolino, zittendola definitivamente.
Man mano che i minuti passano la noia si fa sempre più accentuata. Come fanno a stare seduti qui, ad ascoltare una persona per un'ora, così per ore di fila? È tragico!
Non mi piacciono le persone che parlano così tanto. Mi annoio in fretta e divento disattento. Suppongo che nel mondo umano gli eroi siano quelli che riescono ad ascoltare ogni lezione, partecipare e avere anche un buon andamento scolastico. Be', per fortuna non sono umano e non devo sorbirmi davvero questa... cosa.
«Per la prossima volta voglio che prepariate un bel saggio su quanto detto oggi. Vi passerò qualche appunto», appena sento le parole della McGregor è come se ogni mia certezza fosse crollata.
«Saggio? Cos'è un saggio?», chiedo intontito.
La McGregor sicuramente non mi ha sentito oppure sta facendo finta di niente perché vuole vedermi fallire. Ma io non voglio studiare questa roba!
Al termine della lezione mi catapulto verso il corridoio e grido: «Per gli dei, è una tortura!».
«Ehi, sfigato», dice quella voce alle mie spalle. Mi giro verso di lei e le sorrido ampiamente, perché non le darò la soddisfazione di vedermi in modalità disperato.
«Ciao anche a te, Nikita. Com'è andata la lezione?», le chiedo, ma lei alza un sopracciglio e poi scoppia a ridere.
«Stai forse cercando di fingere che sia andato tutto bene?», e il sorriso mi muore sulle labbra.
«Tu hai qualche potere magico, non è così?», le domando, incrociando le braccia al petto.
«Magari, amico. Magari...», sospira con aria trasognata, guardando dietro di me. Mi giro di poco e vedo quel ragazzo, Dick. «Vorrei che cadesse ai miei piedi».
«Dal modo in cui ne parli sembra tu voglia Dick direttamente dentro di te», rido ma lei mi scocca un'occhiata intimidatoria.
«Potresti avere ragione... Però, guardalo!», lo indica, sempre con quello sguardo speranzoso e luminoso.
«Ti piace davvero uno che si chiama come il cazzo ed è pure bruttino come il suo organo... Se fosse stato un dio greco, come me per esempio, avrei capito. Ma così... È assurdo!», cerco di farla ragionare, ma non ne vuole sentire.
«E dovrebbe piacermi invece uno che si chiama sfiga? Sul serio?», corruga la fronte, come se fosse sul punto di farmi fuori. Ho capito, non devo parlare della sua immensa cotta. Il suo tasto dolente.
«Chiamami Adone, allora!», apro le braccia, insistendo.
«No, fottiti», il suo sguardo adesso è inespressivo. Però non appena guarda di nuovo lui... Ecco, si accende nuovamente quella strana luce nei suoi occhi. Oh, è quasi nauseante.
«Nikita», la chiamo, muovendo una mano davanti al suo viso.
«Cosa?», sbuffa.
«Non ti piacerà quello che ti sto per dire», affermo, guardando Dick, che è impegnato in una conversazione con un'altra ragazza.
«Non mi piace mai quello che dici», me lo ricorda con una smorfia.
«Sì, hai ragione, ma questa cosa ti colpirà, perché dal modo in cui lo guardi è veramente palese», le blocco la visuale spostandomi davanti a lei, impedendole di guardare ancora quell'organo genitale con le gambe.
«Palese cosa?», chiede stringendo i denti.
Le metto una mano sulla spalla e scuoto piano la testa. «Palese il fatto che lo stai guardando come se tu fossi un quadro e pensi che lui sia la cornice che ti reggerà. Ma ti sbagli, lo sai? Lui non sarà mai la tua cornice e tu rimarrai un quadro che non vorrà essere appeso da nessuna parte», dico sperando abbia capito. «Anche se penso tu voglia appenderti da sola ad un albero, ma possiamo sorvolare sui tuoi istinti suicidi», concludo con un sorriso.
«Tu mi porti sfiga», grida, dandomi una spinta. «Io sarò un quadro bellissimo anche senza cornice, hai capito? La cornice me la faccio da sola. Lui al massimo potrebbe essere il pittore che... darà un tocco di vita e luminosità a questo quadro», abbassa lentamente la voce, come se si stesse rassegnando.
«Sei proprio cotta... Condoglianze», le do un colpetto sulla spalla.
«Vedrai quando toccherà a te. Mi capirai! Perché io so che prima o poi succederà anche a te e soffrirai come un cane», mi punta l'indice contro con fare minaccioso.
«Be', avrei da ridire. A me non succederà mai una cosa simile. A voi invece servirebbe un vademecum su come mettersi l'anima in pace quando una persona non ricambia i vostri sentimenti», non volevo dirlo con così tanta cattiveria, ma Nikita sembra colpita. E non in senso positivo. Non c'è nulla di positivo in quello che ho detto, in effetti.
«Stronzo!», grida imbronciandosi come una bambina e andando via come un fulmine. Alzo una mano e rimango con la bocca semiaperta, desideroso di fermarla, ma non lo faccio. Se lo facessi probabilmente mi darebbe un pugno.
In lontananza vedo la sua amica, Cleo, mentre tira fuori dall'armadietto dei libri, ma ha lo sguardo puntato su di me. Sembra voglia incenerirmi pure lei.
Sbatte l'anta dell'armadietto, mi guarda e poi mi mostra il dito medio. Per solidarietà, lo alzo anche io e sorrido. Lei spalanca la bocca e poi gira sui tacchi e va a raggiungere l'amica.
Inizio a pensare che giocare con il frisbee insieme a Cerbero sia molto più divertente che stare qui. Ora sembro io un'anima in pena che Ade non vede l'ora di acchiappare.
Eccomi, scusate l'attesa, ma come ho scritto su Instagram non ho passato un bel periodo. L'arrivo della primavera mi mette di buonumore, quindi spero di riprendermi, sto già meglio anche sono stata pure raffreddata e con sto coronavirus immaginate la mia ipocondria... Da voi com'è la situazione? 😂Io personalmente mi sono stancata di sentirne parlare. Troppo allarmismo, anche se spero stiate tutti bene.
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