01. C'era una volta una sfigata
▶️The Archies, Sugar Sugar
Nikita
Odio scrivere.
E se c'è una cosa che mi repelle più della scrittura, allora è la lettura.
Ironia della sorte, immaginate un po' cosa mi costringe la vita a fare in questo momento? Dovrei inventare una storia, metterla nero su bianco, leggerla davanti a non so quante persone del corso di recitazione, il corso delle figure di merda, aula di teatro, chiamatela come vi pare, per me rimane la stanza delle torture! E tutto questo per cosa? Be', perché il ragazzo che mi piace frequenta il corso di recitazione. Quindi... Insomma, perché no?
Cosa c'è di più romantico del rendersi ridicoli davanti a un paio di persone? Diventare rossa come un peperone, mandare a fanculo i compagni di corso, balbettare e rispondere sfrontata a tutti è diventata una parte della mia routine.
Però lui è così bello... Vale la pena tentare! Per scrivere questa storia prenderò spunto da me stessa.
“C'era una volta una ragazza dai capelli color... color... Ommiddio, di che colore sono i miei capelli? Neri? Marroni? Marroni e biondi o marroni e neri? La nonna diceva che da piccola ero bionda, ora dice che sono castana...”, penso mentalmente mentre picchietto la penna sul foglio.
«C'era una volta una una ragazza dai capelli mimetizzanti-», mi blocco ancora, mandando giù l'imprecazione che fino ad un secondo fa mi stava sulla punta della lingua, pronta ad uscire fuori, forte e chiara. Da dove diavolo mi è venuto fuori questo aggettivo? Va bene, il colore dei capelli è cambiato nel corso della mia vita, ma non ho un camaleonte al posto della testa.
«Una cretina che stava cercando di scrivere una storia, ma non sapeva tenere nemmeno la penna in mano», mi deride mio fratello, irrompendo nella mia stanza. Be', se la storia da scrivere non fosse un compito che dovrei svolgere assolutamente, altrimenti il dirigente scolastico e la professoressa mi manderebbero a casa a calci nel sedere, avrei volentieri ficcato la penna nell'occhio di mio fratello e avrei buttato il quaderno fuori dalla finestra.
«Te ne vai, fallito?», grido, lanciando un cuscino contro di lui.
Si appoggia al muro e afferra una foto da sopra la mensola, guardandola con una scintilla di divertimento negli occhi.
«Quanto eri carina da piccola, sembra che un meteorite si sia schiantato sulla tua faccia. Oh, e guarda, qui hai il naso da maiale», scoppia a ridere così forte che nel momento in cui si appoggia al mobiletto, fa crollare le altre foto incorniciate a terra, rompendo il vetro di alcune.
«Da piccola ero carina, adesso sono una bomba sexy», ribatto, spostando teatralmente i capelli sulla spalla. Guardo i frammenti di vetro a terra e faccio una smorfia. Bryce invece rimane immobile a fissarmi, come se gli avessi appena detto che è stato concepito in vitro.
«Perché non puoi avere l'autostima sotto i piedi come il resto degli adolescenti?», domanda sconcertato.
«Perché la mia la tengo in tasca e la tiro fuori al momento giusto», gli faccio l'occhiolino. La sua faccia è talmente iconica, peccato io non possa fargli una foto in questo momento. La incornicerei e la metterei in bagno, così quando non riuscirò a defecare, guarderò la sua faccia.
«Va bene, mi spieghi cosa diamine stai scarabocchiando su quel foglio?», mi chiede avvicinandosi a me, guardingo. Sì sa mai che io decida di staccargli la testa dal collo e giocare a calcio con essa...
«Perché stai sorridendo come una sadica?», mi sventola una mano davanti.
«Scusa, ero impegnata ad immaginare la tua testa che rotola sul pavimento», sorrido, stringendomi nelle spalle.
Mio fratello siede sul letto accanto a me, e prende il quaderno tra le mani.
«Cosa sarebbe questo? Un wurstel?», chiede osservando con un'espressione confusa il disegno.
«È un cane», rispondo con aria offesa.
«Ah. Chissà come vedi i cani in realtà, allora», scoppia a ridere e rimette il quaderno sul letto.
«Di solito con la tua faccia», lo stuzzico.
«Simpatica. Senti, ma tu stai scrivendo davvero?», non capisco questo suo desiderio di indagare su cosa faccio, dato che non gli frega nulla. Mai.
«Tecnicamente sì... Praticamente disegno», mi gratto la nuca.
«Quello non è disegnare... Quello è creare simboli satanici», si alza in fretta dal letto, formando una croce con le dita.
«Ah ah, che divertente», gli faccio una smorfia e torno con lo sguardo sul quaderno. Dio, perché io? Perché sono così idiota? Perché preferisco mettermi sempre in situazioni del genere?
«Ok, ora hai la faccia di una che sta per rimettere la cena di ieri sera», Bryce inclina leggermente la testa per guardarmi.
«Basta, vado fuori a cercare un po' d'ispirazione, qui stai inquinando l'aria che respiro e soffochi le mie idee», sbotto, chiudendo tutto. Scendo al piano di sotto, prendo il mio cappotto e lo zainetto, afferro una mela dal centrotavola, poi esco fuori.
Man mano che cammino penso a cosa potrei scrivere di così interessante da attirare l'attenzione, non solo del ragazzo magnifico, bellissimo, fantastico, che mi piace, ma anche della professoressa.
Ma io non so scrivere cose coerenti e più lunghe di tre righe, quindi la vedo davvero difficile. Potrei prenderla come un'impresa e io, eroicamente, la svolgerò. Non so in quanto tempo, potrebbe variare da tre mesi a tre secoli, ma sono dettagli.
Do un morso alla mela e mi siedo su una panchina, dispiaciuta e amareggiata perché il ragazzo che mi piace non mi filerà di striscio. Si può essere più sfigati di così? Sospiro e nello stesso momento sento qualcosa piombare sulla mia testa. Qualcosa di liquido... e puzzolente.
Tasto con le dita la mia testa e poi le guardo: sono sporche di una cosa verde scuro che puzza tremendamente. Le avvicino di più al naso e poi allungo il braccio, come se potessi staccarlo per lanciarlo il più lontano possibile da me. Un uccello mi ha cagato in testa. Seriamente?
La mela mi è caduta dalle mani ed è rotolata a circa un metro da me, tra le foglie.
«Io mi impicco, perché mi sono stancata di questa sfiga di merda. Sono S-T-A-N-C-A», grido tra me e me, scandendo le lettere dell'ultima parola. Penso che stanca sia l'aggettivo che ultimamente più mi si addice.
Apro lo zainetto e tiro fuori le salviettine, che per fortuna o per qualche miracolo divino, mi porto sempre appresso. Inizio a pulirmi la testa, ma spero soltanto che io non incontri nessuna delle mie conoscenze in giro, altrimenti andrò direttamente al cimitero a scavarmi la fossa, decorandola con la mia vergogna, l'umiliazione e la mia scarsa dignità.
Mentre sono ancora seduta, indossando un'espressione come se mi avessero appena ucciso il criceto, vedo un signore camminare con il bastone davanti a me. Si ferma non appena vede che strofino le salviettine sulla testa, come se avessi della merda addosso. Ah... ma io ho della merda addosso!
Sto per piangere. Oh no. Il signore continua a guardarmi imperterrito, finché non perdo la pazienza e grido: «Che ha da guardare? Non ha mai visto un uccello cagare sulla testa di una persona?»
Probabilmente il mio tono di voce lo ha fatto spaventare, perché si è rimesso nel cammino. Magari avrà pensato che sono mezza esaurita. Non gli darei nemmeno torto in questo momento.
Mi chiedo cosa io abbia fatto di male nella vita, per ritrovarmi seduta su una panchina, con della merda di uccello in testa, triste e sola.
Prendo il cellulare dalla tasca e inizio a scrivere "C'era una volta... Ma che so io!". Basta, basta, basta. Non ho idee. Non mi viene l'ispirazione. Non so nulla io. Il mio cervello naviga nel nulla cosmico. Il vuoto più enorme. Ci sarà un motivo se sono stata bocciata, no? Non dovrebbe essere un motivo di vanto, infatti non lo è per niente. La bocciatura è per colpa della condotta.
Sbuffo rumorosamente e poi grido.
Come fanno gli scrittori a scrivere interi libri con una sola idea? Diamine, io sono negata. È già tanto che io riesca a scrivere un messaggio lungo per fare gli auguri ai miei amici, ma anche lì dovrei googlare qualche parola ad effetto.
Non c'è niente da fare. Mamma mi ha fatto bella, ma sfigata. A cosa mi serve avere un viso così grazioso, dei capelli così belli e ricci, se poi gli uccelli ci cagano sopra?
Sospiro e mi alzo, intenta ad andare a prendermi qualcosa di caldo da mangiare, ma mi ricordo dell'orribile odore che emano e trattengo un urlo, ancora. Sembra che io mi stia portando una puzzola addosso.
«È inaccettabile!», continuo a dire, rivolta verso il cestino della spazzatura. È la prima cosa su cui ho messo gli occhi. «Non è possibile, va bene?». Vabbè, a questo punto valuto anche l'idea di buttarmici dentro, tanto che cambia?
Qualcuno si schiarisce la gola dietro di me, picchiettando con il dito sulla mia spalla. Mi giro, furiosa come un toro.
«Sta bene signorina? Lei sta parlando con-»
«Cosa c'è? Non si può nemmeno parlare con la spazzatura in santa pace, ora?». Forse dovrei calmarmi.
Il signore, che sarà sicuramente sulla quarantina, fa una faccia perplessa, ma inizia leggermente ad arretrare.
«Sì, fa bene ad allontanarsi. Ho la sfiga addosso. Si metta in salvo!», grido come una forsennata.
Quando l'uomo è abbastanza lontano da me, mi prendo la faccia tra le mani e conto fino a dieci. Con me non funziona, perché dovrei contare almeno fino a cento per evitare che io mi faccia investire per volontà propria e fino a mille per evitare che sia io ad ammazzare qualcun altro.
Inizio a fare dei respiri, che teoricamente dovrebbero essere profondi, ma mi escono talmente veloci, che sembra che io stia per-
«Signorina, sta per partorire?», chiede un'altra signora mentre mi passa accanto.
«Dove la vede la pancia?», sibilo stringendo i denti.
La signora mormora qualcosa tra sé e sé, penso sia qualche preghiera di protezione, e decido finalmente di mettermi a correre per arrivare il più presto possibile a casa e rinchiudermi nella mia stanza a piangere per il resto dei miei giorni, finché la casa non diventerà l'oceano Sfigato, niente Pacifico. Qui sono al limite della disperazione.
Mentre corro inciampo in una mattonella sul marciapiede e mi catapulto a circa un metro di distanza; cioè sono seriamente volata.
Colpo definitivo per aprire i rubinetti nei miei occhi e mettermi a inveire contro qualche divinità a caso.
Qualcuno viene in mio soccorso, piegandosi sulle ginocchia.
«Stai bene, ragazza?», chiede una dolce signora, dal profumo così dolce che mi fa quasi vomitare.
«Sì», dico con voce strozzata.
«Oh cielo, stai piangendo?»
«No, sto soltanto lubrificando la cornea. Non si preoccupi», cerco di sdrammatizzare, ridendo in modo isterico.
«Riesci ad alzarti?», chiede con premura.
«Io sì, la mia dignità no», alzo il pollice in su e piano piano, con il suo aiuto, mi alzo.
«Sei davvero volata. Ti ho vista», mi dice, visibilmente preoccupata.
«Il mio sogno da quando ero piccola: volare. La prossima volta lo farò da un palazzo», e continuo a ridere per non piangere.
«Vuoi un passaggio?», domanda, indicando la sua macchina ad un paio di metri più lontana da noi.
«Nah, grazie a Dio le gambe reggono ancora», mi asciugo le lacrime. Con questa botta ho smesso perfino di pensare alla merda che ho in testa. Ma ora mi ricordo, e sto peggio di prima.
«Grazie», mormoro, allontanandomi e camminando come una vecchietta che si è appena fracassato il femore.
Quando sto per arrivare a casa, faccio un ultimo piantino e guardo il cielo: «Io non so se tu esista o meno, ma Dio della Sfiga, io ti invoco soltanto per prenderti a pugni in faccia e a calci in culo! Ti odio, fatti vedere, dài!», sembra che io mi sia appena tolta un peso dal petto.
«Ora va meglio», dico con un mezzo sorriso, mentre attraverso la strada per andare a casa.
Appena entro, mio fratello gioca a canestro con la testa di un bambolotto a cui ero affezionata da piccola.
«Ciao, sfigata. È durata proprio tanto la tua passeggiata», mi prende in giro.
«Un uccello mi ha cagato in testa», gli dico e scoppia a ridere così tanto, che deve sedersi per terra per non collassare. Anche se mi sarebbe piaciuto se fosse caduto a caso a terra e avesse sbattuto la testa; magari i suoi neuroni ai sarebbero riattivati.
«Forse perché è l'unico uccello che riesci ad attirare», mi punzecchia.
«Quanto sei cretino», affermo con disprezzo, poi vado nella mia stanza a prepararmi per la doccia.
L'ispirazione non l'ho trovata nemmeno per sbaglio, ma sicuramente inizierò la storia con "C'era una volta una sfigata", perché mi sembra il titolo più opportuno in questo momento.
Ecco la mia nuova storia, che sarà principalmente comica. Spero che vi abbia intrigato almeno un po' 😂 e che vi abbia strappato anche un sorriso :) una protagonista sfigata, nel vero senso della parola. No secchiona, no troppo fortunata, molto sfigata, e, attenzione, si ritiene anche una bomba sexy. A volte. Ahahahah
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro