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Capitolo 4


La mattina seguente mi sveglio con il più grande doposbornia della mia vita. Dico davvero, sento la testa che pulsa come un brufolo in piena crisi premestruale, mentre lo stomaco deve essere all'interno di una centrifuga, non ci sono altre spiegazioni.

Mi metto a sedere a fatica e mi rendo conto di essere sul divano del mio soggiorno. Ho una coperta addosso, ma sento perfettamente di essere nuda sotto quella stoffa pungente. Mi stropiccio gli occhi, gemendo per la terribile nausea che mi attanaglia le viscere.

A fatica mi alzo da divano e mi trascino fino al bagno, dove espleto i miei bisogni: circa venti litri di pipì. Forse non è stata una buona idea bere tutti quei Vodka Lemon, ieri sera.


M'infilo un paio di pantaloni da yoga e una maglia lunga e bianca che mi arriva alle cosce, dopodiché me ne vado in cucina con l'intenzione di prepararmi un bel caffè rigenerante.

E allora mi accorgo che Justin è stato qui.


C'è il suo profumo di Hermes che aleggia nell'aria, come un fantasma. Punto immediatamente lo sguardo verso il frigorifero, posto in cui siamo soliti lasciarci dei messaggi, o per meglio dire... eravamo, e scorgo un bigliettino verde attaccato alla superficie metallica con un magnete a forma di Homer Simpson.

Lo afferro e quasi non credo ai miei occhi. Justin mi sta sfrattando. Vuole che lasci immediatamente l'appartamento. E la cosa peggiore è che non ha avuto neanche il coraggio di dirmelo in faccia, ha preferito lasciarmelo per iscritto su uno stupidissimo bigliettino. E c'è anche un post scriptum in cui mi dice di essere stato lui a portarmi in casa, stamattina, dopo avermi trovato nuda sul pianerottolo.


Accartoccio quel sudicio pezzo di carta e me lo infilo in tasca, dopodiché come una furia afferro il telefono dal bancone della cucina. Chiamo Justin per ben tre volte, ma la segreteria m'informa che quel bastardo ha il telefono spento. E' un codardo. E un... ho già detto bastardo?

M'infilo le scarpe da ginnastica, prendo le chiavi della macchina dalla consolle all'ingresso e barcollando raggiungo il garage del palazzo. So che mettermi alla guida mentre sto ancora smaltendo la sbornia non è saggio, ma se rimango in casa impazzisco.


Dieci minuti dopo mi trovo imbottigliata nel traffico. Faccio un paio di manovre decisamente poco legali nel codice stradale e arrivo davanti allo studio medico di Jen con tantissima nausea e una sfilza d'insulti da parte degli altri automobilisti a cui ho tagliato la strada.

Supero la reception e raggiungo il suo ufficio con le sembianze di uno zombie. <<Jen.>>


La mia amica solleva lo sguardo e sussulta. <<Emma? Maledizione, tesoro, ti senti bene?>>

Mi lascio cadere sul divano bianco posto al centro del suo ufficio e le porgo il bigliettino che mi ha lasciato Justin. <<Sto per diventare una senzatetto.>>

Jen si abbassa gli occhiali da sole neri, rivelando delle occhiaie decisamente peggiori delle mie.

A quanto pare anche lei sta lottando contro un terribile doposbornia.

<<Che gran bastardo.>> La mia amica mi raggiunge e si siede sul divano, accanto a me. <<Mi dispiace tanto, tesoro. Vorrei trovare altro da dire, quanto meno per farti fare una risata, ma ho appena vomitato nel cestino dei rifiuti che si trova sotto alla mia scrivania e sono ancora un po' provata.>>


Fisso il cestino con aria schifata, dopodiché torno a concentrarmi su Jen. <<E ora cosa faccio?>>

<<Bè, potresti stare da me.>>

<<Jen, lo sai che non posso.>> Mi massaggio le tempie con le dita. <<Abbiamo vissuto insieme per qualche settimana, subito dopo il college, e c'è mancato poco che ci uccidessimo a vicenda. Non ci sopportiamo come coinquiline.>>

<<Allora vai a stare per un po' dai tuoi genitori, almeno fino a quando non troverai un'altra sistemazione.>>


Scuoto la testa, sbuffando. <<Neanche morta. Mia madre non mi darebbe tregua.>>

<<Senza offesa, tesoro, ma hai mai pensato che il problema sia tu?>> Jen accavalla le gambe e mi osserva, impietosita. <<Non puoi abitare né con me né con tua madre. Forse dovresti abitare da sola.>>


La guardo sconcertata. <<Tu stai davvero dando la colpa a me? Dì un po', sai che sono appena stata mollata dal mio fidanzato, che non contento ha pensato bene anche di sfrattarmi di casa? Questa tua supposizione fa davvero bene alla mia autostima, Jen, ti ringrazio.>>

Lei liquida il discorso con un gesto della mano. <<Lascia perdere.>> Si alza in piedi e si muove verso la scrivania. Afferra la borsa ed estrae un mazzo di chiavi che subito dopo mi porge. <<Tieni.>>

<<Cosa sono?>>

<<Le chiavi della casa a Malibù dei miei.>> Jen sospira. <<Da quando hanno divorziato, nessuno ci va più. E' praticamente abbandonata. Puoi stare lì, se vuoi. Ai miei non darà fastidio.>>


Scuoto la testa e le ridò le chiavi. <<Ti ringrazio Jen, lo apprezzo davvero molto, ma come faccio con il lavoro?>> Sbuffo e aderisco con il corpo allo schienale del divano. <<Non posso trasferirmi a Malibu. E' a più di un'ora da qui.>>

<<Andiamo, Emma.>> Jen mi guarda, severa. <<Hai sempre detto che una vacanza ti avrebbe fatto bene, che avresti pagato pur di startene in un luogo isolato dal mondo, con i tuoi libri e nient'altro. Questa è la tua occasione.>>

<<Non posso mollare Brandon adesso. Stiamo per pubblicare un nuovo libro. Ci sarà il party per la presentazione tra una settimana e...>>

<<Emma, il tuo capo non avrà nulla in contrario, lo sai anche tu. Quell'uomo bacia la terra dove cammini. E poi un'ora di distanza non è nulla, tesoro.>> La mia amica torna a sedersi accanto a me. <<Sono sicura che sei piena di bozze, manoscritti e un mucchio di altre cose noiose da leggere, prima di avviare le pubblicazioni. La tranquillità di una casa deserta è proprio quello che ti serve, con molto silenzio, il mare a pochi passi, l'aria fresca che aleggia nelle stanze, uomini abbronzati e sexy pronti a sbatterti come...>>

<<Okay!>> La interrompo, posizionandole una mano sulle labbra. <<Può bastare.>>

<<Forza, prendi queste chiavi.>>


Scuoto la testa e fisso Jen con un'espressione sarcastica dipinta sulla faccia. Non posso mollare tutto e andarmene a Malibu, sarebbe da pazzi e io non sono pazza. Non vado da nessuna parte



Infilo a fatica i bagagli nella mia auto, dopodiché mi metto alla guida, imposto il navigatore sul cellulare e mi muovo verso la mia nuova abitazione. Dovrei impiegare un'ora e un quarto ad arrivare, stando a quanto dice l'applicazione.

Sbadiglio sonoramente, accendo l'autoradio e bevo un generoso sorso di caffè che ho acquistato alla stazione di servizio una decina di minuti fa.

La strada è buia e deserta, fatta eccezione per me e per un altro paio di macchine che percorrono questa distesa infinita d'asfalto. Mi mette tranquillità guidare di notte, forse perché me ne posso stare da sola con i miei pensieri, senza strombettii di clacson né puliscivetri insistenti agli angoli dei semafori.

Due giorni fa, subito dopo aver lasciato le chiavi dell'appartamento alla mia vicina in modo che le desse a Justin al posto mio, me ne sono andata in giro per la città, cercando di mettere in ordine i miei pensieri, ma non ci sono riuscita. Los Angeles rappresenta me e Justin. Ogni vicolo, ogni strada, ogni panchina... siamo noi. Allora ho deciso: dovevo andarmene, seppure solamente in parte, visto che continuerò a recarmi a lavoro ogni giorno.

E così ho fatto. Ho accettato la proposta di Jen, ho avvertito Brandon che avrei ritardato di qualche ora in ufficio la mattina e semplicemente me ne sono andata, senza tante spiegazioni alla mia famiglia.

Ho chiesto a mia sorella di dire a nostra madre che sarò fuori per lavoro e che tornerò in tempo per il matrimonio. Sono troppo codarda per dire loro che ormai sono solo una zitella al pari di zia Dana. Lo farò tra un po' di tempo. O mai.




Arrivo a Malibu circa un'ora dopo. Entro nel vialetto, parcheggio e poi scendo dalla macchina, sospirando di sollievo e sgranchendomi le gambe letteralmente addormentate.

La luce della luna illumina l'imponente abitazione a tre piani in stile Coastal che si erge in un miscuglio di sabbia e vegetazione. E' una casa stupenda, abarbicata in un suggestivo fazzoletto di spiaggia, distanziata parecchio dalle altre abitazioni. L'angolo di paradiso di cui parlava Jen è reale.

Sento il borbottìo del mare, così attraverso la pedana di legno scuro che costeggia il vialetto e infilo la testa tra i cespugli ben curati. Il nero color pece dell'acqua ad una ventina di metri da me mi fa girare la testa. E' così denso da sembrare inchiostro.

Fatico a tenere le palpebre aperte, quindi torno alla macchina e inizio a scaricare i bagagli. Tiro giù svariate valige, quantomeno il minimo indispensabile per stanotte, il resto lo prenderò domani mattina. Dopodiché mi massaggio le spalle indolenzite e inizio a portare dentro le mie cose.

Salgo i gradini di legno che mi separano dal portico e noto che c'è una Harley Davidson parcheggiata accanto alla porta del garage. Eppure Jen mi ha assicurato che la casa è disabitata, escludendo chiaramente la donna delle pulizie che viene a far arieggiare l'ambiente una volta a settimana.

Sicuramente l'avrà lasciata qui suo fratello John.

Tiro fuori dai jeans le chiavi che mi ha dato la mia amica e apro la massiccia porta d'ingresso.

Faccio varie volte avanti e indietro per trasportare all'interno i miei bagagli e poi salgo al piano superiore alla ricerca del bagno. Bè, di uno dei bagni. Questa casa è gigantesca.

Ho bisogno di farmi una doccia per togliermi di dosso la stanchezza di questi ultimi giorni. Ne trovo uno accanto alle scale, ma è provvisto solamente di sanitari, così decido di utilizzare quello che si trova in una delle camere da letto. Ha persino una yacuzzi!

Mi spoglio e getto i vestiti sul pavimento piastrellato, dopodiché apro l'acqua calda e mi infilo sotto il getto bollente che fuoriesce dal miscelatore. I muscoli del mio corpo si rilassano all'istante, facendomi mugolare di piacere. M'insapono la pelle con calma, massaggiandola e avvertendo un infinito sollievo.

Alla fine chiudo l'acqua ed esco dalla doccia, avvolgendomi in un asciugamano bianco trovato in uno degli armadietti del bagno. Friziono per bene i capelli, dopodiché lascio ricadere l'asciugamano a terra accanto ai vestiti, apro la porta e...

<<Oh, cavolo!>>, grido, facendo un passo indietro.

Ho davanti a me l'impersonificazione di un dio greco: alto, bello e... mezzo nudo. Avrà all'incirca la mia età; un paio di disarmanti occhi blu, le labbra piene e invitanti, gli zigomi alti e la mandibola pronunciata. Ha i capelli tagliati corti e la barba di qualche giorno che gli conferisce un'aria decisamente sexy. Ha le spalle larghe da nuotatore, o da giocatore di football, da sportivo in ogni caso. Gli addominali scolpiti e la tipica V d'allenamento che sparisce sotto ai boxer attillati e striminziti che indossa, senza parlare del tatuaggio invitante sul bicipite teso e...

Accidenti! C'è un estraneo in casa mia! Bè, non è casa mia nel vero senso della parola, ma in ogni caso c'è un ragazzo che non avrebbe dovuto esserci.

Il suo sguardo divertito che vaga sul mio corpo mi fa ricordare di essere nuda, così mi affretto a recuperare l'asciugamano dal pavimento e mi ci avvolgo nuovamente intorno. <<Chi diavolo sei tu?>>

<<Dovrei farti la stessa domanda.>> Il ragazzo sbadiglia, sistemandosi il davanti dei boxer e attirando ulteriormente la mia attenzione. Tutta la mia attenzione. Proprio tutta. <<Sei una senzatetto?>>

Spalanco la bocca, offesa dalla sua domanda. <<No, certo che no.>> Bè, in realtà lo sono, ma lui di sicuro non è autorizzato a pensarlo, solamente perché ho fatto la doccia in una casa non mia.

<<Strano, è proprio la risposta che darebbe una senzatetto per evitare una denuncia, non credi?>>

Drizzo la schiena e mi tiro indietro i capelli bagnati. <<Ho tutti i diritti di stare qui.>>

<<Senti bellezza, sono le tre del mattino e io di solito sono intrattabile da quando tramonta il sole fino a quando non sorge di nuovo, ma tu mi hai distratto con le tue tette, quindi cercherò di essere comprensivo.>> Sospira, esasperato. <<Questa è casa mia per almeno sei mesi, quindi a meno che tu non ti chiami Reese Witherspoon e non sei lo spirito di una ragazza in coma, direi che hai sbagliato bagno.>>

Lo guardo incuriosita, furiosa ma incuriosita. Ha appena citato il film "Se solo fosse vero", e nonostante io abbia gradito senza dubbio di più la versione letteraria di Marc Levy, questo ragazzo potrebbe anche diventarmi simpatico. Sì, bè, se non fossimo entrambi quasi nudi, impegnati a litigare per chi sia il reale inquilino della casa e chi l'intruso.

<<Sono un'amica della famiglia McGregor, questa è casa loro e sono stata invitata a trascorrere del tempo qui.>> Alzo il mento per darmi un tono. <<Da sola.>>

<<Impossibile.>> Il tipo si passa una mano sulla faccia, sbadigliando per l'ennesima volta. <<Io sono qui per lo stesso motivo.>>

Lo guardo, confusa più che mai. <<Ma si può sapere chi sei?>>

Mi porge la mano, ammiccando. <<Shane Baxter, piacere.>>

Lo guardo altezzosa, senza ricambiare la stretta. <<Emma Rivers>>, mi presento, distanziandomi ulteriormente da lui. Mi provoca imbarazzo anche solo guardandomi. Deve essere a causa di quella distesa blu che ha al posto degli occhi.

<<Bel nome per una senzatetto.>> Shane si volta e si muove verso il corridoio, finché non sparisce dalla mia vista.

<<Ti ho detto che non sono una senzatetto!>> Decido di seguirlo, stando ben attenta a non far uscire nulla dall'asciugamano. Quel tipo ha già visto abbastanza.

Lo trovo in una delle stanze da letto, intento a digitare qualcosa sul cellulare. Lo vedo portarsi l'aggeggio all'orecchio, aspettare qualche istante, prima di dire: <<Ehi, John! Amico, come te la passi? Scusa per l'orario, ma è importante.>> John è il fratello maggiore di Jen. <<Niente di grave, stai tranquillo. Volevo chiederti se conosci una certa Emma Travers.>>

Mi appoggio con un fianco allo stipite della porta, arricciando le labbra per il fastidio. <<Mi chiamo Rivers, razza di decerebrato>>, borbotto, torva.

<<Sì, proprio lei.>> Shane annuisce, ammiccando poi verso le mie gambe nude. <<Un'amica di Jen, eh? Okay, grazie mille amico. Buona notte!>>

<<Visto?>> Sospiro. <<Non sono una senzatetto.>>

<<Ma lo sarai presto.>> Sorride, mordendosi le labbra. <<Devi andartene, bellezza. Io sono qui da prima. John mi ha detto che posso rimanere quanto voglio e di fare come se fosse casa mia.>>

<<Non ho nessuna intenzione di andarmene.>>

Shane sospira. <<Ascolta, domani mattina devo alzarmi presto, quindi ti permetto di dormire qui per stanotte.>> Si getta sul materasso e abbraccia uno dei numerosi cuscini presenti. <<Ma poi te ne vai. L'ultima cosa che mi serve in questo periodo, è un'altra isterica che mi gira per casa.>>

<<Ma come ti permetti?>> Lo guardo a bocca aperta. <<Io non sono affatto isterica. Domani mattina parlerò con Jen e ti farò cacciare fuori di qui, parola mia.>>

Torno nella camera da letto provvista del bagno in cui poco fa ho fatto la doccia, dopodiché imito quell'energumeno e mi butto sul letto con un sospiro di sollievo. Poi mi rendo conto di aver lasciato i miei bagagli al piano di sotto e di non avere il pigiama a portata di mano.

Alzo le spalle, troppo stanca per tornare giù a prenderli. Quel tipo sarà pure un cafone, ma non credo che sia pericoloso. Mi tolgo l'asciugamano umido di dosso, rimanendo nuda. Dopodiché m'infilo sotto le coperte e finalmente chiudo gli occhi, addormentandomi nel giro di qualche minuto.




Note dell'autrice:


Ehilà, spero davvero che i nuovi risvolti di Shane ed Emma vi stiano piacendo! Cosa ne pensate di questo primo incontro?
Lasciatemi un commento se vi va, non potrà che farmi piacere conoscere il vostro parere!

Grazie mille a tutti, baci!

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