Capitolo 3
Sono passati due giorni dalla rottura tra me e Justin. Due giorni di silenzio assoluto, di lacrime e moccio sui cuscini del divano e di schifezze altamente caloriche sparse sul tavolo e sul pavimento del soggiorno.
Non m'importa neanche più del mio peso, tanto nel vestito da sposa non ci entrerò comunque, visto che il matrimonio non ci sarà. E poi in casa non ho una bilancia, quindi al diavolo la dieta.
Ormai sono diventata l'ombra di me stessa. Sono una specie di cavernicola. Mangio, bevo e dormo. Non faccio altro.
Ho passato una domenica d'inferno. Sono rimasta sdraiata sul pavimento della stanza degli ospiti per l'intera mattinata, alternando crisi di risa, crisi di pianto e crisi di rabbia. Soltanto verso le due del pomeriggio mi sono alzata e ho staccato tutti i telefoni.
Poi mi sono comportata come si comporterebbe ogni donna tradita e scaricata a due settimane dalle nozze. Ho strappato lenzuola, regalini, foto che ritraevano me e Justin insieme e anche una delle sue cravatte preferite. Per la verità quella l'ho ridotta a brandelli con le forbici per il giardinaggio, immaginando che fosse il suo attrezzo.
Verso sera ho recuperato la scorta di dolci che tenevo nascosta nella lavanderia perché Justin detesta i cibi spazzatura, mi sono gettata sul divano e mi sono ingozzata come mia zia Dana il giorno del Ringraziamento. Mia zia Dana pesa centodue chili ed è una zitella di sessantadue anni che non è mai stata fidanzata e probabilmente è ancora vergine. Io diventerò come zia Dana, ne sono certa. L'unica differenza è che io... bè, non sono certamente vergine.
Stamattina mi sono data malata al lavoro e ho detto a Liz, a mia madre e alle mie amiche di essermi beccata una bruttissima influenza, che sono contaggiosa e che è meglio se per un po' non ci vediamo. Non me la sono sentita di raccontare cos'è accaduto. Ho bisogno io stessa di tempo per assimilare la situazione, figuriamoci mia madre.
Non faccio altro che chiedermi da quanto tempo vada avanti la storiella che Justin ha con quella presunta maggiorata. Come posso essere stata così cieca? Mentre io sceglievo il completino sexy da sfoggiare in luna di miele, lui il completino lo toglieva a quell'altra.
Magari hanno fatto sesso anche in casa nostra, nel nostro letto, sul nostro divano. Questo pensiero mi fa balzare immediatamente in piedi. Dovrò gettare via questo dannato divano, anzi dovrei... cavolo, probabilmente quest'appartamento rimarrà a Justin. In fin dei conti appartiene alla sua famiglia.
Accidenti, diventerò una zitella acida, grassa e senzatetto. Magari potrei chiedere a zia Dana di ospitarmi. Io, lei e i suoi mille gatti staremo benissimo insieme.
Afferro un paio di plaid dall'armadio e ci rivesto il divano per non contaminarmi con i germi del loro sesso. So che è impossibile contaminarsi, ma tutti gli zuccheri che ho ingerito in questi due giorni mi hanno dato alla testa. Torno poi a sdraiarmi e accendo la tv. Trasmettono "Il diario di Bridget Jones" e più o meno alla scena in cui lei immagina di essere divorata dai cani alsaziani, capisco che succederà la stessa cosa anche a me. Mi rendo conto di aver investito otto anni della mia vita in un amore che ha finito per crollarmi addosso come un castello di carte in mezzo ad un tornado.
Ho perso la mia giovinezza soddisfando ogni più piccolo capriccio di Justin, sognando il matrimonio con lui e cercando di comportarmi come la degna fidanzata di un membro della potentissima famiglia Holligans, e tutto per cosa? Per ritrovarmi a piangere su un divano da milletrecento dollari, dove probabilmente il mio ex ragazzo ha fatto sesso con la sua amante.
All'improvviso sento bussare alla porta di casa. Guardo l'ora sul cellulare e mi rendo conto che sono quasi le undici di sera. Chi può essere adesso?
Magari i cani alsaziani sono arrivati in anticipo per divorarmi. Dubito però che sappiano bussare alla porta. E poi sono zitella da soli due giorni e casta da quattro, per cui è troppo presto per farmi visita. Non sono ancora una perdente a tutti gli effetti.
Mi alzo in piedi e cammino lentamente verso la porta, con l'intento di guardare indisturbata fuori dallo spioncino. Ho paura che si tratti di Justin e non ho assolutamente voglia di vederlo, in questo momento. Sono in uno stato pietoso. Ho gli occhi più gonfi delle labbra di Angelina Jolie, non faccio una doccia da tre giorni e i miei capelli sono diventati un mix di briciole, lacrime e moccio. In tal caso fingerò di non essere in casa.
<<Emma, guarda che vedo benissimo la tua ombra da sotto la porta.>>
Riconosco immediatamente la voce proveniente dall'esterno, così alzo gli occhi al cielo e mi decido ad aprire. <<Jen, che ci fai qui?>>
La mia amica mi guarda da capo a piedi con un'espressione decisamente contrariata. <<Dio, devo essere finita sul set di "Come Eravamo".>>
Jennifer McGregor, detta Jen, è la mia migliore amica da molto tempo, forse troppo. E' l'unica persona sulla faccia della terra che possa vantare di conoscermi meglio di me stessa. Lei sa tutto di me, ogni più piccolo e infimo segreto. Conosce la mia vera taglia di reggiseno; sa della sbronza colossale che mi sono presa mangiando i cioccolatini al liquore di mio padre a nove anni; sa anche di quando ho vomitato in faccia al mio primo fidanzatino, durante il nostro primo bacio oltretutto. E naturalmente è anche a conoscenza del nascondiglio segreto in cui tengo i dolci. Ci siamo conosciute durante una vacanza in Florida con le nostre rispettive famiglie, all'incirca vent'anni fa, e da allora non sono più riuscita a sbarazzarmene.
Jen si siede sul tavolino di vetro accanto al divano e si guarda intorno per un attimo. <<Oggi è passato Justin nel mio studio.>>
Sentendo quel nome, alzo immediatamente lo sguardo. Jen è una ginecologa e non vedo proprio nessun motivo per cui Justin debba andare da lei. Come dire, gli manca la materia prima per rivolgersi lavorativamente a Jen. O magari la sua supermaggiorata è incinta.
Accidenti, sto avendo una crisi di panico. Devo respirare. Come diavolo posso respirare sapendo che l'amante del mio ex futuro marito è incinta? E poi Los Angeles pulula di ginecologi, perché hanno coinvolto proprio la mia amica? Magari è un sabotaggio contro di me. Magari c'entra la CIA o qualche collega di lavoro a cui ho fatto un torto. O magari un ammiratore vendicativo. O... okay, ho mangiato decisamente troppi zuccheri.
<<Cosa voleva?>> Ho bisogno di un po' di cianuro. Se Jen mi dirà che quella presunta maggiorata è incinta, avrò di sicuro bisogno di qualcosa di forte, e non c'è alcolico in grado di aiutarmi a superare questa notizia.
Scrolla le spalle. <<Non lo immagini?>>
Sì, dannazione! Ma se volessi fare affidamento sui miei pensieri catastrofici non le avrei fatto questa domanda. Ma perché non si decide a parlare?
<<Preferisco sentirlo da te.>> Mi trattengo a stento dall'afferrarla per le spalle e scuoterla come una forsennata per metterle fretta con le parole.
<<Mi ha detto che vi siete lasciati.>> Mi osserva in attesa di una mia reazione. <<E che l'hai implorato di rimanere con te, minacciando di suicidarti qualora non l'avesse fatto.>>
Mi sdraio a terra e mi prendo la testa tra le mani. Quel ragazzo mi farà morire di nervi, un giorno o l'altro. Mi sento come quando in seconda elementare Billy Manson ha detto a tutti i nostri compagni che mi ero beccata i pidocchi e io ho dovuto passare il resto dell'anno a smentire le sue parole.
La guardo. <<Non l'ho implorato di rimanere con me e non ho minacciato di suicidarmi. E' stata Sierra a mettergli queste idee in testa.>>
Jen mi osserva perplessa. Posso comprenderla. Devo sembrarle veramente pazza. <<Chi diavolo è Sierra, una nuova applicazione del suo cellulare? Una simile a Siri? O forse è una specie di life coach? Oh, ti prego, non dirmi che è il nome che ha affibiato al suo pene.>>
Scuoto la testa. <<E' la sua nuova ragazza. Scommetto che questo non te l'ha detto.>>
Jen mi guarda come si guarda un cucciolo abbandonato sull'autostrada. <<No tesoro, non ne avevo idea.>>
Prendo un bel respiro e le racconto tutto. Jen sembra sempre più sconvolta man mano che parlo e io posso immaginarne il motivo. Io e Justin siamo una coppia storica, una di quelle coppie scontate che pensi non possano rivoluzionare più di tanto il loro rapporto. E invece lui è riuscito a cambiare lo schema. Ha letteralmente rivoluzionato il nostro rapporto, anzi, lo ha distrutto.
<<Tra due settimane avremmo dovuto sposarci, quindi immagino di dover ringraziare il destino o il fato o qualsiasi altra forza superiore, per avermi impedito di commettere questo sbaglio.>> E' tutto un enorme schifo. Devo ringraziare il cielo di essere stata scaricata dal mio fidanzato, a due settimane dalle nozze, per una ragazza sicuramente più giovane e dotata di me. E' un maledetto paradosso. Bleah!
Jen si avvicina a me e si china sul tappeto con una smorfia. Indossa dei pantaloni più bianchi della neve e per non rischiare di macchiarli si limita a tenersi in equilibrio sui talloni. <<Se c'è una cosa per cui dovresti essere grata, è di essere tornata finalmente single. Justin è soltanto un povero coglione precocemente travolto dalla crisi di mezza età, e tu sei troppo per lui, tesoro. Lo penso sin dalla prima volta che vi ho visti insieme.>>
Afferro un barretta al caramello con aria frustrata e ne divoro più della metà con un solo morso. <<Sei la mia migliore amica, è tuo compito lusingarmi. Scommetto che chiunque altro troverebbe l'atteggiamento di Justin assolutamente comprensibile. Non ho fatto altro che assillarlo con il matrimonio, lo credo bene che è scappato.>>
Jen sorride. <<Bè, ti confesserò una cosa.>> Mi osserva in modo alquanto inquietante e si decide finalmente a sedersi sul tappeto, fregandosene dei pantaloni costosi che ha indosso. <<Io ho sempre pensato che Justin fosse un gay impaurito dal coming out.>>
La guardo, perplessa. <<E questo dovrebbe farmi stare meglio? Dovrei pensare che il ragazzo con cui sono stata per otto anni sia gay e che io non sia stata altro che una sorta di copertura?>>
Jen riflette per un attimo sulle sue parole, dopodiché scrolla le spalle con aria annoiata, si solleva in piedi spolverandosi il dietro dei pantaloni con le mani e s'incammina a grandi falcate in cucina. La sento armeggiare per un istante con la credenza dei bicchieri, prima di sentirla urlare: <<Ma porca puttana, cos'è successo alla cantinetta dei vini?>>
Oh, giusto!
Oggi pomeriggio, prima di dare fondo alla scorta di dolci nascosti nella lavanderia, ho distrutto una per una le bottiglie di vino da collezione di Justin. Le ho lanciate a terra come se fossero palle rimbalzanti.
<<Mi sono servite per rimettere un ordine karmico tra me e Justin. Lui mi ha frantumato il cuore e io ho frantumato il suo Chateau Margaux. Siamo pari.>> Alzo le spalle, riducendo la gravità della situazione con un gesto della mano.
Jen si porta le mani tra i capelli corvini e mi guarda come se avesse davanti Lorena Bobbit in persona. <<Ti rendi conto, vero, che quella bottiglia di vino vale quasi più di questo appartamento?>>
<<Lui mi ha lasciata per un'altra ragazza a due settimane dalle nozze. Se entrambi chiedessimo i danni morali causati dalle nostre rispettive perdite, di sicuro vincerei io.>>
Jen si posiziona davanti a me, con le mani poggiate sui fianchi snelli coperti da un maglioncino nero attillato e con un'espressione a dir poco critica dipinta sulla faccia. <<Hai bisogno di bere. Lascia perdere la cioccolata, Emma. Hai perso un fidanzato, l'ultima cosa di cui hai bisogno è di acquistare cinque chili.>>
La osservo, scettica. Jen è bella, magra, alta e assolutamente realizzata. Cambia uomini con la stessa facilità con cui si cambia i guanti di lattice in ospedale. Li tratta con superiorità, li annienta, li riduce ad un ammasso di stalker innamorati di lei. Perché la verità, in amore, è una soltanto: vince chi ti tratta di merda.
Lei è una vincente. Io rappresento i guanti di lattice gettati nell'immondizia.
<<Non c'è un solo alcolico, in casa. Ho rotto l'ultima bottiglia proprio un paio d'orette fa. Saresti dovuta arrivare prima.>>
Dubito che l'alcool migliorerebbe qualcosa. Justin ha letteralmente superato ogni limite invalicabile. Coinvolgere la mia migliore amica nei nostri problemi è stato l'ultimo sfregio nei miei confronti. Deve solo guardarsi bene dal dirlo a mia madre, altrimenti lo ucciderò con le mie stesse mani sporche di barretta al caramello che lui tanto odia.
<<Okay, vorrà dire che andrò a fare scorta.>> Jen mi sorride divertita, mentre si avvicina alla porta di casa e recupera la sua borsa dal pavimento. <<Bè, che c'è? Se Dio ha inventato l'alcool è perchè si aspetta che tu lo beva>>, mi dice prima di uscire.
Le massime di Jen sono proprio l'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento.
Due ore più tardi mi convinco che ha ragione Jen. L'alcool è stato creato per ridere, ridere e ridere.
Dopo il quinto bicchiere di Vodka Lemon ho scoperto che "ascella" è in assoluto la parola più divertente sulla faccia della terra. Voglio dire, chi è che non ama questa parola?
<<Andiamo, se avessi una figlia la chiamerei certamente Ascella. Ascella Rivers suona benissimo.>> E scoppio in un'assurda risata-barra-grugnito, che se fossi sobria mi farebbe letteralmente vergognare.
<<Bè, tecnicamente prenderebbe il cognome del padre, quindi non si chiamerebbe Rivers.>> Jen sembra persino più ubriaca di me, il che è completamente assurdo. Di solito regge benissimo l'alcool, e quando lei inizia a delirare significa che abbiamo passato decisamente il confine.
<<Giusto, hai ragione.>> Mi corruccio, cercando nei meandri della mia mente un possibile padre per la mia Ascella. Dall'impegno che ci sto mettendo sembra quasi che stia cercando la formula del Pi greco. <<Ascella Gosling sarà una bambina molto felice.>>
Jen mi guarda, perplessa. <<E Justin? Potrebbe arrabbiarsi, se fai una figlia con un altro.>>
Scoppio di nuovo a ridere. <<No, lui mi ha lasciata. O sono io che mi sono fatta lasciare? Sai che non lo so? Accidenti, cosa dirò a chi me lo chiederà?>> Scrollo le spalle. <<Ad ogni modo, abbiamo entrambi un'altra persona. Io ho Ryan Gosling e lui ha quella Serra, o Giardino, o come cavolo si chiama.>>
Jen ride più forte di me. <<Ma non si chiamava Siri?>>
Socchiudo gli occhi e ci penso per un istante. <<No, accidenti! Quello è il nome del suo attrezzo.>>
Poi decidiamo di cantare a squarciagola l'intera discografia degli Abba e subito dopo, per rimanere in tema, guardiamo il film "Mamma Mia" in streaming, esprimendo per tutto il tempo invidia per i capelli incredibilmente magnifici di Amanda Seyfried.
<<Te l'ho detto che una volta ho incontrato Meryl Streep?>>, se ne esce Jen ad un certo punto. <<Era in fila da Starbucks.>>
La guardo come se mi avesse appena rivelato di aver incontrato un alieno. <<Cavolo, che cosa ha ordinato?>>
Jen ci pensa un istante. <<Un cappuccino, ma credo che non fosse lei. Penso che fosse Serra, la nuova life coach di Justin.>>
La guardo confusa. <<Ma tu non la conosci. Come fai a dire che era lei?>>
<<Perchè sembrava proprio lei.>> Beve in un sorso quel che resta del suo sesto Vodka Lemon.
Io annuisco e la osservo estasiata, quasi come se avesse appena ripetuto a memoria La Divina Commedia. <<Grazie per avermelo detto, Jen. Sei un'amica. Non è da tutti raccontare di aver visto... aspetta, l'ho dimenticato. Chi è che hai visto?>>
<<Bè, ho visto te.>> Mi tocca la testa con la punta delle dita. <<E continuo a vederti. Però hai quattro occhi.>> Fa per sedersi sul divano, ma io salto in piedi e la spingo via, facendola cadere rovinosamente a terra. <<Ma che ti è preso?>>
<<Ti prenderai i germi del sesso, se ti siedi lì>>, le spiego saggiamente.
Jen annuisce comprensiva, sdraiandosi poi sul tappeto persiano accanto al camino. <<Accidenti Em, potevi scegliere un momento migliore per farti mollare da Ryan.>>
<<Justin>>, la correggo.
<<Cavolo, sei davvero ubriaca.>> Mi guarda sconvolta. <<Io sono... bè, ora mi sfugge il mio nome, ma so per certo che non mi chiamo Justin.>>
Scoppio a ridere fino alle lacrime. <<Visto che non ti ricordi il tuo nome, perchè non fingi di chiamarti Ascella.>>
<<Sei geniale, Emma.>> Si volta verso il divano, convinta che io sia seduta lì. L'alcool le ha letteralmente annebbiato il cervello. <<Comunque ti stavo dicendo che potevi scegliere un momento migliore per farti lasciare da Ryan. Stavo giusto meditando di rifarmi le tette, e lui è un... un tecnico plastico o qualcosa del genere, no?>>
Rido di nuovo e mi sdraio accanto a lei, sul tappeto. <<E' un chirurgo plastico.>> Aggrotto la fronte. <<Bè, almeno lo era fino a due giorni fa.>>
Rimaniamo in silenzio per un po', poi Jen se ne esce con "la sai un'altra parola buffa? Buffet", e allora il delirio ricomincia dall'inizio.
Quello che è successo nelle tre ore successive è un mistero per me e per Jen, so soltanto che ad un certo punto lei ha deciso di tornarsene a casa sua e che io, vedendo un posacenere di cristallo poggiato malamente sul tavolo, mi sono convinta che fosse giusto lo avesse lei, così l'ho rincorsa sul pianerottolo, prima di crollare esanime sulla moquette color porpora. Completamente nuda.
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