Io sono forte
I temporali estivi lasciano sempre il segno del loro passaggio, il loro rumore assordante sembra voglia gridare che questo caldo troppo asfissiante non sarà eterno, che loro se ne stanno lì, dietro l'angolo, ad aspettare il momento in cui finalmente potranno uscire e farsi sentire per dirci che il sollievo a volte arriva quando non te lo aspetti più. E poi c'è l'odore che lasciano, quello che ti arriva dritto in faccia e non puoi non sentire perché è il profumo della terra che torna a respirare, che prende fiato da un caldo insopportabile, che la piega ma non la distrugge. Ed io, adesso, qui, fermo in piedi a guardare Isabella andare via è come la terra che mi sento. Il nostro bacio è stato il mio temporale, l'ho sentito fare un rumore assordante e ha gridato forte che il dolore che mi porto dentro non sarà eterno, che lui è arrivato quando non lo stavo aspettando ed è il sollievo in cui non speravo. Il suo profumo mi è rimasto dentro e mi ha dato respiro da un dolore insopportabile che mi ha piegato ma non distrutto. Io posso respirare come la terra dopo un temporale, io posso farlo. E sorrido di questa consapevolezza che il bacio con Isabella mi ha lasciato addosso. Io che di baci ne ho dati tanti ma tutti senza sapore, sapevano di niente, quel niente che mi sono sempre portato dentro. Ma oggi non è niente quello che ho provato, oggi in quel bacio c'era tutto quello che sono stato e che sono e sono sicuro che Isabella lo abbia sentito, il suo scappare ora mi sta dicendo che è così. E lo so che ha avuto paura, anche io ne ho avuto di quello che sono stato e ne ho ancora.
"Che fai qui fuori tutto bagnato?" La voce di Ivan mi tira fuori dai miei pensieri incasinati.
Mi giro e lo guardo. Ha gli occhi rossi, deve aver pianto ancora.
"E tu? Tu che ci fai qui fuori?"
"Cercavo Isabella" dice. Sembra lontano il bambino che fino a pochi minuti fa era una furia.
"È appena andata via"
Alle mie parole abbassa il capo e si gira per andare via, è deluso.
"Ivan aspetta"
"Che vuoi?" Risponde di nuovo scontroso fermandosi.
"Ci vuoi giocare a calcio con me?"
"Non mi va e poi è tutto bagnato"
"Meglio. Se è bagnato ci si diverte di più lo sai?"
Lui mi guarda un po' perplesso.
"Lo facevo sempre quando ero un ragazzino come te. Con il mio amico Matteo ci divertivamo parecchio"
"E se non mi andasse di divertirmi?"
Lo vedo che non è entusiasta, lo vedo che è triste, ma distrarsi lo aiuterà e se lui non lo sa, io lo so.
"Non credo tu abbia di meglio da fare, qui non c'è ancora nessuno. Forza vieni!"
E lo tiro dal braccio mentre andiamo verso il piccolo campetto improvvisato.
"Smettila di tirarmi, guarda che so camminare da solo"
"Allora dai muoviti e prendi il pallone" lo lascio e lui va verso quello che dovrebbe essere il centro del campo per prendere il pallone.
"Allora Ivan, oggi siamo solo io e te. Facciamo che la porta è il cancello, tu devi cercare di farmi più gol che puoi.
Ci stai?"
"Ci sto" e già il suo sguardo è cambiato, ora è sfida quello che vedo nei suoi occhi.
"Perfetto. Uno due e via..."
Ivan inizia a venire verso di me con il pallone tra i piedi, ma il terreno bagnato non la fa scivolare bene e si deve impegnare più del solito per far sì che la palla si muova alla velocità della sua corsa. Quando è sul procinto di raggiungermi gli vado incontro e cerco di prendergli il pallone, ma lui lo protegge girandosi di spalle, non vuole darmela vinta e sa di essere meno bravo di me con i piedi, ma è furbo e per questo si è girato. Ma io non demordo facilmente e cerco di prendergli la palla da dietro allungando i piedi tra le gambe di Ivan, ma lui si allontana e si gira di nuovo verso di me. Il suo sguardo tutto concentrato mi fa sorridere, mi ricorda un po' me da piccolo, sempre lì a sfidare tutti per dimostrare che potevo farcela, anche da solo, anche contro chi era più forte di me. Era la mia sfida contro il mondo, il mio stare bene in mezzo al male. E lo vedo che quel pallone è il bene in mezzo al male di Ivan, è la sua sfida contro il mondo per dimostrare che lui può farcela anche da solo.
Mi avvicino ancora e provo a rubargli il pallone con una scivolata, ma Ivan è furbo, non si lascia soprendere e mi schiva allugandosi il pallone prima che le mie gambe possano raggiungerlo, poi mi schiva saltando e si ritrova con il pallone tra i piedi e solo il cancello davanti. Non perde tempo e calcia il pallone con forza, il cancello trema un po' e Ivan alzando le braccia al cielo urla:
"Goooooal! Ho segnato! Ho segnato!"
Saltella sul posto ed è contento, contento davvero.
Mi alzo da terra sorridendo e gli batto le mani.
"E bravo pel di carota. Mica male per un ragazzino"
Ivan si gira e stavolta l'entusiamo gli si legge bene in viso.
"Mica male? Ti ho saltato secco e sono andato dritto dritto a prendermi il gol. Sono stato proprio bravo"
"Ma come siamo modesti" sorrido, è proprio me da piccolo. Convinto di essere bravo, ma bravo davvero.
"Bè ho battuto te, che sei più grande e più forte per cui si, sono stato bravo"
"Si sì ma non montarti troppo la testa"
"Ho segnato, ho segnato" continua imperterrito a ripetere saltellando, ma il terreno è tutto bagnato e a furia di saltellare Ivan scivola e va per terra.
"Ecco, tutta colpa della poca modestia" inizio a ridere, ma mi avvicino per aiutarlo.
"Ma cosa ridi? Ho preso una bella botta al sedere"
"Ah be' allora dobbiamo rientrare se non puoi giocare più"
Ivan si alza subito da terra, si pulisce come può i pantaloncini neri ormai irrimediabilmente bagnati.
"Non se ne parla proprio, prima devo stracciarti"
"Mica sarà così facile ragazzino" lo sfido.
"Vedremo" risponde lui tutti tronfio e sicuro di sé. Riprende il pallone e lo mette al centro.
"Uno, due, via...."
E iniziamo a giocare di nuovo e tra dribbling, palle perse finite un po' sul giardino e sulle povere piante, gol fatti, gol mancati, scivolate più o meno accidentali, ci bagnamo e ridiamo ed Ivan sembra più sereno di quando l'ho incontrato stamattina, il suo bene in mezzo al male li ha allontanati i suoi fantasmi.
Dopo un'intera mattinata passata a giocare torniamo dentro per pranzare e ci fermiamo sulla porta aperta della cucina quando vediamo Arianna che sta parlando fitto con una persona che mi sembra di aver già visto...
"Lui è il cuoco che viene spesso con Isabella per portarci la spesa e a volte ci ha fatto delle pizze buonissime"
Ecco dove lo avevo visto, al ristorante di Isabella, al ristorante dei Girardi, stava facendo le pizze quella sera ed aveva quel buffo capello blu in testa.
"Si chiama A..."
"Adriano" finisco io la frase per lui.
Lo osservo parlare con Arianna e guardandoli mi sembra che si conoscano molto bene. Il suo sguardo però è duro mentre parla con lei, gesticola, è nervoso, inquieto, mentre Arianna lo guarda dolcemente. Lo guarda come se lo capisse il suo stato d'animo, lo guarda come a volergli infondere una tranquillità che lui non sembra conoscere.
"Io non ce la faccio più Arianna, è passato troppo tempo ed è arrivato il momento che io faccia qualcosa"
"Adriano cerca di stare calmo per favore, io lo so come ti senti, ma così non andremo da nessuna parte"
Arianna cerca di calmarlo con il suo tono di voce pacato che si scontra con quello aspro di lui.
"Ma siamo già fermi e da troppo tempo ormai, così il tempo ci scivolerà via come negli ultimi anni e aspettare non è più possibile. Lo sai anche tu"
Arianna si avvicina di più e gli sfiora la guancia con la mano.
"Si lo so. Io ci sono stata in tutti questi anni. Ho visto quello che è successo e non credere che sia stato semplice per me perché non è lo stato, ma quello che ho fatto l'ho fatto per due motivi che tu conosci benissimo"
Lui sembra ammorbidire un po' il suo sguardo: "Lo so Arianna e non sai quanto sia stato importante per me. Ma ho paura che sia troppo tardi ormai"
"Fidati di me, non lo è. Non è troppo tardi"
Con un gesto pieno di dolcezza Arianna porta la sua mano ad accarezzare di nuovo il volto di Adriano.
"I tuoi motivi sono ancora lì e non se ne andranno. Devi solo avere forza Adriano"
Mi sembra di spiare un momento privato, un momento tra due persone che è chiaro si vogliano bene e sento che non è giusto origliare così, eppure la mia curiosità è tanta. Insomma va bene che si conoscono Adriano e Arianna, lei non è una Visconti per cui non avrebbe motivi per non poter vedere i Girardi e chi lavora con loro, ma mi sembra che il loro rapporto sia davvero troppo stretto.
"Allora? Io sto morendo di fame qui"
Ivan alza un po' troppo la voce e Adriano e Arianna lo sentono bene perché si girano di scatto. Ci guardano entrambi e la vedo la sorpresa nei loro occhi, non si aspettavano che qualcuno li stesse ascoltando.
"Ivan, Riccardo, da quanto siete lì? E guardatevi siete tutti sporchi di terra" Arianna è la prima a parlare ma la sua domanda tradisce un po' della sua inquietudine ora.
"Abbiamo giocato tutta la mattina a calcio e ora sto morendo di fame"
Risponde Ivan mentre io resto a guardare Adriano che mi lancia un occhiata di sfuggita per poi finalmente muoversi.
"Io devo andare Arianna. Ciao ragazzi" Mi passa accanto senza più guardarmi ed esce frettolosamente.
"Ivan credo sia il caso che tu vada a cambiarti, il pranzo è pronto. Adriano ci ha portato la pasta al forno e le crocchette di patate che ti piacciono tanto. Però togliti quei vestiti. Forza vai. E anche tu Riccardo vai a metterti almeno una maglietta pulita, Ivan ti dirà dove trovarla."
Arianna sembra avere troppa fretta di liberarsi di noi e mentre Ivan va di sopra come lei gli ha detto io resto ancora fermo sulla porta.
"Conosci Adriano? Lo sai vero che lui lavora dai Girardi?" Le domando curioso di sentire la risposta.
"Si bè lui viene qui insieme ad Isabella da un po', non posso non conoscerlo e poi io non ho niente contro i Girardi"
Si bè peccato che a me sembra che il loro rapporto vada molto oltre una semplice conoscenza dovuta ad incontri casuali nello stesso posto.
"Quindi lo vedi solo quando viene qui?"
Lei sembra sorpresa dalla mia domanda: "Ma si certo, quando dovrei vederlo se no?"
Non lo so Arianna, dovresti dirmelo tu, ma mi stai mentendo e lo sappiamo entrambi. Questo lo penso solo però, non glielo dico, è in difficoltà lo vedo, ma se lei non vuole parlarmene non insisterò. È sempre stata con noi e non ho mai pensato che al di fuori di me e del suo lavoro lei possa avere una vita, ma è ovvio sia così.
"Scusami Arianna, non voglio essere invadente"
"Non lo sei Riccardo. Non lo sei" mi sfiora il braccio e poi mi tira un buffetto: "Dai ora vatti a cambiare che stanno per arrivare gli altri dal mare e si mangia"
Non dico più nulla e vado di sopra. Anche se so che qualcosa non va senza farmi troppe domande raggiungo la camera di Ivan.
Lo trovo seduto sul letto già con i vestiti puliti addosso. È seduto sul letto e ha tra le mani un braccialetto di cuoio con inciso il suo nome sopra.
"Già pronto? Sei veloce ragazzino"
Appena sente la mia voce nasconde il bracciale dietro la schiena ed il suo sguardo sembra di nuovo triste.
"E tu dovresti bussare prima di entrare"
Eccolo lì di nuovo scontroso. Pensavo che almeno per un po' oggi sarebbe stato sereno, ma purtroppo certe cose lo trovano sempre il modo di raggiungerti ed io lo so bene.
"Volevo solo sapere dove posso prendere una maglietta pulita"
"Te la prendo io" si alza, lo vedo mettere il braccialetto nella tasca e poi uscire.
Mi avvicino alla finestra che dà sul cortile e vorrei aiutarlo Ivan a non sentirsi come si sente, perché lo so che anche se qualcuno dice che non puoi sentire la mancanza di qualcosa che non hai mai avuto, in realtà non è così. Io la mancanza del calore e dell'amore di una famiglia l'ho sentita sempre, anche se non l'ho mai avuta e la presenza di Arianna che è stata l'unica che più si è avvicinata ad esserlo, non l'ha potuta sostituire mai questa mancanza che si è mangiata quasi tutto di me. Ed io lo so che Ivan ora sente la stessa mancanza che ho sempre sentito io.
"Tieni, ho preso questa maglietta rossa di Federico, anche se ha sedici anni è alto più o meno come te, dovrebbe andarti"
Mi giro verso la porta e afferro la maglietta che Ivan ha poggiato sul letto per me. Prima di indossarla lo guardo e ci vedo me da piccolo nei suoi occhi.
"Ivan, ti dirò una cosa che non ho mai confidato a nessuno. Lo sai perché vengo qui tu?"
Ivan mi guarda e fa cenno di no con la testa: "Forse hai combinato qualche guaio e ti ci hanno costretto, se no nessuno viene mai qui"
Sorrido amaro perché alla fine lui ha un po' ragione, ma no non vengo solo per quello ora.
"Si, ho fatto una cosa che mai avrei dovuto, ma io vengo qui perché voi mi ricordate me da bambino, anche io non ho mai avuto una vera famiglia"
Lui mi guarda sorpreso: "Davvero?"
"Si davvero, mio padre mi ha lasciato che ero piccolo, neanche me lo ricordo. Mia madre purtroppo è sempre stata troppo male per potersi prendere cura di me"
"E ti sei sentito solo?" Mi domanda curioso.
"Mi sono sentito sempre troppo solo"
Ivan abbassa gli occhi: "Anche io mi sento così" ammette.
"Lo so Ivan. Lo so come ti senti e so anche che ora ti starai chiedendo se sei tu ad aver fatto qualcosa di male, se sei tu il problema per il quale nessuno riesce ad amarti abbastanza, se sei tu a non essere all'altezza"
Lui rialza gli occhi, sono lucidi e prende dalla tasca il braccialetto in cuoio.
"Tu le hai trovate le risposte a quelle domande?" Mi chiede ancora.
Ma io non ne ho trovate risposte a domande che un bambino non dovrebbe porsi.
"Sono domande che non devi farti Ivan. Non devi pensare che sia colpa tua. Pensa che se qualcuno non ti vuole con sé allora forse non se lo merita lui l'affetto, non tu"
Ed io me lo sono ripetuto per tanto tempo ma faceva male lo stesso e lo so che anche lui sente lo stesso male, ma voglio sperare che lui qualcuno lo troverà. Deve trovarlo.
"Pensavo che questa volta fosse quella giusta, pensavo di aver trovato qualcuno disposto a essere la mia famiglia. Mi avevano regalato anche questo braccialetto, ma alla fine non mi hanno voluto"
La capisco la delusione, il dolore, il male che fa sentirsi non voluti, non desiderati ma solo rifiutati.
"Ascoltami Ivan. Lo troverai qualcuno. La troverai la tua famiglia, la troverai. Ma fino ad allora tu hai i tuoi amici e Carlo e Clara che ti vogliono bene e lo so che non è lo stesso e che la mancanza si farà sentire sempre, ma tu sei forte ragazzino. Puoi farcela"
"Come ce l'hai fatta tu?"
Io non ce l'ho fatta Ivan, non ce l'ho fatta ad essere forte. Ho sbandato, sono caduto, ho fatto male e mi sono fatto male, ma per te deve essere diverso.
"Meglio Ivan, sono sicuro che farai meglio di me. Affidati a chi ti vuole bene, ai tuoi amici"
"Come hai fatto tu con quel Matteo ed Arianna?"
Sorrido amaro di nuovo.
"Meglio di me Ivan. Tu devi fare meglio di me hai capito? Tu sei forte ragazzino. Non te lo devi dimenticare"
Lui mi guarda ed annuisce.
"Io sono forte" ripete tra sé "non me lo dimenticherò"
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