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Ce l'ho anche io

Riccardo

Corro verso casa e mentre lo faccio penso a mia madre e cerco di trovare un ricordo bello di lei.
Ma non ne ho.
O almeno la mia memoria non ne trova.
Le uniche immagini che ho davanti la vedono barcollante mentre cammina cercando di raggiungere la sua camera, ma ogni volta cade per terra.
I miei occhi ricordano solo io bambino e poi ragazzo che la aiutano ad alzarsi, che la aiutano a lavarsi, che la aiutano ad addormentarsi.
E poi le sue lacrime, il suo chiedermi scusa ogni volta, il suo non essere in grado di fare la madre.

Questi sono i miei ricordi di lei.
Queste sono le immagini che mi accompagnano.
Queste che mi fanno tremare, perché io lo so che mia madre potrebbe davvero aver fatto quello che le foto provano.
Lei è stata altro da se stessa per anni e questo altro potrebbe averle fatto commettere il più imperdonabile degli errori, proprio come è successo a me.
Lei il padre, io la figlia e quest'immagine di noi mi terrorizza, mi riempie di rabbia, mi fa cadere di nuovo a terra.
E se io sono stato fortunato perché qualcuno ha voluto regalarmi la possibilità di vivere ancora attraverso la vita ritrovata di Alexandria, mia madre questa possibilità non ce l'ha, perché non puoi togliere una vita e continuare a vivere la tua.
Non si può.
Non è possibile.
Non è giusto.
Non è umano. 

E mentre entro dentro al cancello di una casa che speravo di non vedere mai più nei miei pensieri si fa spazio il nome di Arianna e il suo volto mi sembra anche di vederlo mentre varco la soglia d'ingresso. Mi guarda, sembra preoccupata per me e mentre arrivo dentro e grido il nome di mia madre mi auguro che lei possa restare accanto a me anche ora che non c'è e invece avrei bisogno di lei.

"Eleonora" grido forte per farmi sentire.
Non la chiamo mamma perché mia madre non può aver spento una vita, non può aver tolto un padre ad una figlia.
Non può.
"Eleonora" grido ancora.
Mi guardo intorno agitato e quando la vedo scendere le scale di corsa e arrivare di fronte a me mi rendo conto di non essere neanche io me stesso adesso.

"Che cosa è successo Riccardo?"
Mi guarda confusa ma sono sicuro che non lo sia poi così tanto.
"Come fai? Come fai a startene qui tranquilla a chiedermi cosa è successo? Come fai?"
"Riccardo calmati per favore e spiegami di che cosa stai parlando"
Gli butto le foto addosso. È il mio modo di sbattergliela in faccia la verità.
"Che cosa sono?"
"Guardale Eleonora. Guardale"
Le prende tra le sue dita e le guarda come gli ho detto di fare, ma il suo sguardo non sembra accendersi di nessuna consapevolezza, nessuna presa di coscienza, nessuna nuova memoria.
"Che cosa significa?" Mi domanda ancora.
E come se non sapesse.
Come se non avesse idea di ciò che ha fatto.
Come se in quelle foto non ci fosse la sua macchina a gridare la sua colpa.
"È la tua macchina quella Eleonora" e la mia non è una domanda.
"E lo sai che cosa ha fatto quella macchina Eleonora?" E la mia voce non è naturale, è trasformata, più dura, più cattiva.
"Io non guido Riccardo, non più. Lo sai. E per favore non guardarmi come stai facendo?"
"E come ti sto guardando Eleonora?" Ed il suo nome ripetuto stona detto così sulla mia bocca.
"Come se non fossi niente. Come se ti facessi schifo" e le trema la voce nel dire quelle parole.
"Perché è così Eleonora. Tu non sei niente per me" e una fitta di dolore le attraversa lo sguardo.
"Tu mi fai schifo" e  le lacrime non le trattiene più adesso.
"Perché mi dici questo? Perché non riesci a perdonarmi? Perché non mi permetti di mostrarti che io posso esserlo ancora tua mamma. Ho sbagliato, ti ho lasciato solo, ma non ero in grado di prendermi cura di te e mi dispiace, mi dispiace tanto di averlo fatto, di non aver trovato la forza per te" e si avvicina lasciando cadere le foto per terra.
"Ma la forza per ubriacarti e andare in giro con quella maledetta macchina l'hai trovata. La forza per spegnere una vita l'hai avuta"
Mia madre sbarra gli occhi e mi guarda attonita.
" Io ho spento una vita? Ma che cosa dici?"
Raccolgo le foto da terra e gliele metto davanti alla faccia.
"Questa macchina Eleonora è la macchina che ha tolto la vita a Giulio Martini. Te lo ricordi lui oppure eri troppo ubriaca anche per questo?"
Mi guarda spaventata, io la sto spaventando.
"Tu pensi che sia stata io a togliere la vita al padre di Alexandria?"
"Non lo penso mamma, è così. Guarda questa macchina. Guardala. È la tua. Sei stata tu. Sei stata tu"
E le foto mi cadono dalle mani mentre lei piange, piange e basta.
"E non piangere mamma, non piangere. Non piangere. Non devi piangere. Tu non ce l'hai il diritto di piangere"
"Non sono stata io. Non sono stata io Riccardo"
E come vorrei che fosse la verità, ma troppe volte l'ho vista alzarsi la mattina senza ricordarsi neanche come ci fosse tornata a casa.
"E come fai a dirlo? Come fai ad esserne sicura? Anche se lo avessi fatto non te lo ricorderesti"
"Non ci si può scordare di aver spento una vita Riccardo. Non si può"
"Quante volte mamma? Quante volte sei stata talmente ubriaca da non ricordarti neanche di chi fossi. Quante volte?"
"Troppe volte Riccardo. Troppe volte. Ma non quella notte. Non quella notte"

Non riesco a crederti mamma.
Non ci riesco.
Vorrei tanto.
Ma non ci riesco.
E vorrei spaccare tutto.
Vorrei avere qualcuno con cui prendermela.
Ma la mia rabbia non può uscire contro di lei.
Non può.
E allora urlo, urlo forte per farmi sentire.

"Non ci riesco. Non ci riesco. Non ci riesco"
Afferro mia madre per le spalle.
Ma la donna che è qui davanti a me, anche se l'ho detto, non so odiarla.
"Non ci riesco a crederti. Non ci riesco neanche a odiarti e questo, tu lo sai, mi spezzerà di nuovo"
E lo sento che qualcosa dentro si sta rompendo, è il pezzo di cuore che ho sempre lasciato per lei.

"Riccardo guardami"
Prende il mio volto tra le mani, ma io le allontano.
"Riccardo" si fa forte la sua voce adesso.
"Tu non ti spezzerai di nuovo perché puoi credermi. Sai che puoi farlo" e le sue mani si avvicinano ancora e la sua presa sul mio viso si fa forte.
"Lo sai che certe notti non si possono dimenticare. Lo sai perché tu la tua non l'hai dimenticata mai e nemmeno io l'ho fatto"
Stringo le mani in pugni perché è vero io quella notte non l'ho dimenticata. Ero ubriaco, è quello ha ucciso i miei sensi, ma un attimo dopo l'incidente mi sono svegliato e di quella notte mi ricordo tutto, soprattutto il terrore di essere diventato un assassino, il rimorso di aver forse spento una vita che non lo meritava. Ed io questo terrore non lo ritrovo in lei. Non lo vedo.

"Qual è la notte che tu non hai dimenticato mai?"
"Non quella che c'è scritta su quelle maledette foto, non quella"
"Vorrei crederti"
"Puoi farlo"
"In estate mi hai detto che mi odiavi, quella è la notte che non ho dimenticato mai"
E le lacrime che accompagnano le sue parole rendono i suoi occhi verdi come i miei ancora più veri, non c'è bugia nel loro colore, solo dolore per una ferita che sono stato io a infliggerle.

Non è stata lei.
Non è stata lei ed io le ho detto che mi fa schifo.
Ma poi non è mica vero.
L'ho detto perché non lo potevo accettare che lei fosse come quello che io ero.
E quello che io ero mi fa schifo, non lei.
Lei è mia madre.
Lei c'è stata senza esserci.
Lei mi vuole bene.
Me lo ha detto Arianna.
Ed io mi fidavo di lei.
Lei è stata mia madre quando la mia era qui senza esserci davvero.
"Io non...."

"Che scenetta patetica" ed eccola che arriva la voce che più odio.
Mia madre si mette accanto a me mentre lo guarda arrivare.
"Che cosa vuoi tu. Vattene e lasciami parlare con mio figlio"
Sorride sfottente lui.
"Guardatela, e da dove viene fuori tutto questo coraggio di affrontarlo tuo figlio? Tu non ne hai mai avuto e lo hai lasciato a me"
Il signor Visconti vuole solo ferire con le sue parole, ma mia madre questa volta non si lascia intimidire.
"È vero, non ho mai avuto coraggio io, perché se ne avessi avuto tu la mia famiglia non l'avresti mai distrutta"
"Tu hai fatto tutto da sola. Io mi sono limitato a fare ciò che volevi"
"Era ciò che volevi tu e lo sai bene. Tu mi hai convinta che i miei figli sarebbero stati meglio senza di me, che tu ti saresti preso cura di loro, ma invece hai dato via Vanessa come se fosse un pacco e hai trattato mio figlio, tuo nipote, come fosse un problema. Gli hai fatto odiare se stesso perché aveva paura di essere come te"
Mio nonno si avvicina a noi, ci guarda e poi sorride: "Lui si odia perché è come te, non ha coraggio, non ne ha avuto mai e adesso guardalo. È un debole come lo è suo padre e come lo sei tu"
"Meglio debole come loro che bastardo come te" e stavolta sono io a parlare non mia madre.
"Davvero credi che i tuoi genitori siano migliori di me? Davvero credi che tutto quello che ti è successo sia colpa mia? Io ti ho cresciuto e tu non hai mai avuto un briciolo di riconoscenza verso di me. Sempre a cercare mamma e papà e mi sono pentito di avere lasciato che Arianna ti stesse accanto, lei ti ha solo reso come loro. Ma dovevo immaginarlo, da una pezzente come lei non potevo aspettarmi niente di diverso"
E sentire la voce schifosa di mio nonno parlare di Arianna come se fosse stata niente mi fa diventare cieco di una rabbia che contro di lui non è mai esplosa come si meritava.

"Lei è stata tutto per me e tu non puoi neanche pronunciarlo il suo nome. Non te lo puoi permettere"
E mi avvicino perché voglio colpirlo bene il signor Visconti. Voglio che lo senta forte tutto il mio disprezzo, ma il mio pugno non riesce a partire perché mia madre lo ferma ancora prima che io possa muoverlo.
"Non farlo Riccardo. Non ne vale la pena. Gli è rimasto solo questo per ferirti ora che non ha più niente, non permetterglielo"
Ma le mie mani tremano. Da una parte la voglia di colpire, dall'altra la voglia di non essere ferito più, non da lui, non più.
"Lui me lo ha già permesso, non ora ma da sempre"
E cazzo quanto ha ragione, io gli ho permesso di farmi tutto ciò che ha voluto quando non ho mai avuto la forza di scappare ma solo quella di tentare di farmi voler bene da lui.
"Io te l'ho permesso. Riccardo è stato vittima delle mie scelte e delle tue, ma non finirà come con la mamma"
E questa frase di mia madre colpisce mio nonno come vorrebbe fare il mio pugno.
"Tua madre non mi ha mai ascoltato, si è rovinata per quei Girardi, ha preferito loro alla sua famiglia. Tua madre ha scelto di lasciarci."
"Tu sei stato capace di distruggere anche lei. Mia madre sì è uccisa per colpa tua, non l'amavi come meritava. Mai lo hai fatto"

Il suo sguardo sembra attraversato da un lampo di dolore antico, un dolore che lui ha scelto di non provare più. Ed è un attimo che i suoi occhi  diventano ghiaccio.
"A tua madre ho dato tutto. Tutto. È lei cosa ha fatto per me? Niente. Niente! È stata solo capace di ammazzarsi e anche dopo quello ha continuato a fare cose a cui io ho dovuto porre rimedio"
"Mia madre è morta per colpa tua e tu riesci a rimproverarla anche ora che non c'è più? Che pena mi fai, ma lo sai bene che io mi riprenderò tutto quello che hai tolto a noi e anche a lei"
E sul volto di mio nonno compare un sorriso beffardo.
"E come pensi di farlo? Non hai niente tu. Niente"
Mia madre raccoglie le foto che ho lasciato per terra.
"Queste sono la tua rovina"
"Queste provano solo che la tua macchina ha provocato l'incidente che è costata la vita a quello stupido di Giulio Martini"
E un dubbio si fa largo nei miei pensieri mentre mio nonno strappa le foto.
"Questa è solo carta straccia. Davvero pensavi fossi così stupido? Giulio Martini ha deciso di stare dalla parte sbagliata e ha ficcato il naso dove non doveva. Ha fatto la fine che si meritava"
E quelle parole sono la certezza della sua colpevolezza.
"Era una padre come tu non sei stato capace di essere mai e lo hai tolto alla sua famiglia per tenerti una ricchezza che non ti appartiene. Tu lo sai bene, perché era tutto della mamma e prima di andarsene lei aveva disposto che tutto sarebbe andato ai miei figli appena fossero nati ed io e suo padre dovevamo amministrarli fino ad allora invece tu hai fatto sparire i documenti, ma evidentemente lo hai fatto male perché Giulio Martini li  aveva trovati"

È stato mio nonno.
È stato lui.
Non lei.
Ma lui.

"Ma purtroppo ora non può parlare più"
"E invece ti sbagli, lui ha vinto perché tu i documenti non li hai trovati mai. Erano dove tu non potevi guardare, dove tu non potevi arrivare. In un CD che l'amore di una figlia per un padre ci ha fatto scoprire. E tu, tu non puoi farci più niente ormai" 

Io ho dato dell'assassina a mia madre.
Ma è lui.
È sempre stato lui.
Lui che ha spento una vita.
Lui.
Mio nonno.
Lui.
E vorrebbe anche rispondere ma io stavolta il pugno che mia madre prima ha fermato glielo sferro dritto in faccia.
E lo colpisco come non ho mai avuto il coraggio di fare.
E la rabbia cieca arriva, esplode contro di lui come si merita.

Un colpo per la madre che mi ha tolto.
Un colpo per il padre che ho perso.
Un colpo per tutte le volte che mi ha fatto sentire il nulla.
Un colpo per il mio non sentirmi mai abbastanza per lui.
Un colpo per aver cercato di volergli bene.
Un colpo per avergli permesso di distruggermi.
Un colpo per essere quasi arrivato ad essere come lui.
Un colpo perché ora io lo odio.
Un colpo per la vita che ha spento.
E poi un altro per il dolore che sento, per tutte le lacrime che mi rigano il volto.
Un altro per le ferite che mi ha lasciato addosso.
Un altro ancora perché io come lui non ci sono.

E mentre sento mio padre pronto a trascinarmi via io la vedo di nuovo il volto di Arianna.
Mi guarda e mi dice basta.
Tu non sei come lui.
Sorride.
Tu non sei lui.
Non ci sei.
Lascialo.
Lascialo andare.
Tu sei Riccardo.
Riccardo e basta.

E allora lo lascio.
Lo lascio portare via dalla polizia.
E non lo guardo andare via.
Non è più niente per me.
Non lo è mai stato.
E ora io lo so.

E vado da lei
Da mia madre.
Piange.
Come me.
E ora io lo so.
Lo so che lei può esserlo ancora una mamma.
La mia.
"Non è vero che mi fai schifo. Non è vero"
Cerca di fermare le mie lacrime con le dita.
"Tu sei mia madre. Ed ora io lo so. Lo so che puoi esserlo ancora"
"Mai smetterò"
E poi la stringo.
L'abbraccio forte.
Perché ora lo so.
Lo so che è vero.
E mentre chiudo gli occhi stretto a lei arriva il ricordo.
Quello bello.
Quello mio e suo.

Era notte.
Io stavo facendo finta di dormire quando ho sentito i suoi passi.
È entrata in camera mia e si è stesa nel letto accanto a me.
Non era ubriaca.
Non barcollava.
Le tremava la voce ma non per l'alcool.
"Vorrei tanto poterlo esserlo davvero tua madre, ma anche se non ne ho la forza tu sei mio figlio. Ti voglio bene. Non dimenticarlo mai"
E si era stesa accanto a me e mi aveva abbracciato ed io glielo avevo lasciato fare perché avevo bisogno di lei e lei c'era.

Quella notte c'era.
Proprio come adesso.
Lei c'è.
Mia madre c'è.
Ed io voglio che ci sia.
E me lo tengo stretto il pezzo di cuore che ho sempre lasciato per lei.

E con mio padre che ci guarda ora ce l'ho anche io.
Una famiglia.
La mia.

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