Amici
Corro, corro e non so dove sto andando, non l'ho mai saputo.
Non ho mai avuto un posto dove andare e neanche uno dove tornare.
Il luogo che dovrebbe essere casa mia, lo odio più di ogni altro e ora, voglio solo allontanarmi da lì e dagli occhi verdi, pieni di lacrime, di mia madre.
Non ho voluto ascoltarla, le ho detto che la odio e poi me ne sono andato. Non gliel'ho mai detto. L'ho pensato, tante, troppe volte, ma dirlo no, dirlo è diverso, dirlo lo rende reale e non so se voglio che lo sia.
Lei è mia madre, mi ha partorito, ma non è stata capace di crescermi, di starmi accanto mentre imparavo a stare al mondo e soprattutto non mi ha difeso, non ha lottato mai per me, ha lasciato che il nonno facesse quello che voleva.
Dico che la odio per questo, ed è vero, sono talmente arrabbiato, che le mie parole volevano ferirla come io sono stato ferito in tutti questi anni.
Ma se gridarle in faccia quel "ti odio" è stato liberatorio, le mie lacrime mi dicono che dirlo lo ha reso reale ed io non voglio che lo sia.
Lei è mia madre, mi ha partorito, non mi ha cresciuto, non mi è stata accanto mentre imparavo a stare al mondo, non mi ha difeso, non ha lottato mai per me, ha lasciato che il nonno facesse quello che voleva, ma mi ha voluto.
So che è così. Me l'ha detto una notte di tanti anni fa.
Ero ancora un ragazzino allora. La sentii aprire piano la porta della mia stanza, mi ricordo pensai che eravamo alle solite, lei ubriaca ed io, suo figlio, lì pronto ad alzarla da terra per aiutarla. Ma non successe così, lei entrò piano, senza fare rumore, i suoi passi non erano barcollanti, lì sentii sicuri come non lo sono mai stati.
Si avvicinò in silenzio al mio letto, si sedette accanto a me e iniziò ad accarezzarmi lentamente i capelli.
"Il mio Riccardo" disse.
Non mi mossi, continuai a fare finta di dormire, era una delle rare volte che mia madre mi concedeva le sue carezze ed io ero ancora piccolo, ne avevo bisogno.
"Mi dispiace tanto" proseguì lei.
"Non riesco ad essere la mamma che meriteresti, non sono forte, sono troppo debole. Arianna invece, lei ti ama tanto, come fossi suo figlio. Vi guardo spesso insieme e l'invidio tanto. Lei è tutto ciò che io non sono in grado di essere. Lei si comporta da madre non io. Sono grata che abbia scelto di restare qui, con noi, tu hai bisogno di lei.
Arianna dice sempre che non è così, che tu hai bisogno di me, della tua vera madre. Ma io non lo so se è vero. Io non sono in grado di controllare me stessa, ho un vuoto nel cuore che mi divora e ho paura che possa divorare anche te, e ti sto lontana, ti sto lontana anche se ti voglio bene"
Le sue parole si fermarono solo per via delle lacrime, ma ripresero subito dopo: "Arianna mi ha detto che pensi io ti odi, ma non potrei mai. Tu sei mio figlio, ti ho voluto tanto, ti ho aspettato tanto e ti amo tanto, ma la vita mi ha spezzata e non riesco a trovarli i pezzi di me che sono andati persi. Mi manca l'aria anche solo per poter respirare, ma tu sei l'unica cosa bella che ho fatto, l'unico pezzo di me che è rimasto. Vorrei poter essere diversa per te, vorrei saper lottare per te e mi dispiace di non esserne in grado, mi dispiace tanto"
Pianse mia madre, pianse tanto quella notte.
Avrei tanto voluto dirle che a me andava bene così, anche distrutta, persa, spezzata dalla vita. Io volevo soltanto mia madre. Ma non glielo dissi, continuai a fare finta di dormire e lei si stese accanto a me.
"Spero che tu possa non odiarmi. Ti voglio bene e forse un giorno sarò in grado di essere davvero tua madre"
Mi addormentai di nuovo con lei accanto, ma il mattino dopo, quando mi svegliai, lei non c'era già più.
E da quella notte io ho fatto come mi ha detto lei, ho cercato di non odiarla. Tutte le volte che il nonno mi puniva, mi sgridava, mi urlava di essere un'inutile come mio padre, tutte le volte che ho pianto, che mi sono sentito solo, ho pensato e ripensato a quella notte, alle parole di mia madre, al suo "ti voglio bene", alla speranza che "il giorno in cui sarebbe stata in grado di essere mia madre" fosse vicino. Ma non è mai successo. Io non sono mai stato abbastanza per lei.
È vero, c'è Arianna con me e ringrazio anche io abbia deciso, non so come, di restare con noi. Mi ha cresciuto, mi è stata accanto sempre, mi vuole bene, ma io volevo mia madre.
Io non voglio odiarla, non volevo dirglielo, ma il ricordo di quella notte ormai non basta più. Lei ha detto di essermi stata lontana per evitare che il suo vuoto mi divorasse, ma è già successo, mi sta già divorando. Io sono già più simile a lei di quanto entrambi avremmo voluto. Sto cadendo in pezzi e li sto perdendo tutti.
Io non voglio odiarla mia madre, non volevo dirglielo, ma le mie lacrime ora mi dicono che quel sentimento è reale ed io non voglio che lo sia, anche se il ricordo di quella notte ormai non basta più.
Fermo la mia corsa, mi piego sulle ginocchia, mi manca il respiro, le lacrime me l'hanno portato via.
Sono per strada, immobile sul marciapiede, porto le mani al volto ed è tutto bagnato. Il sudore si è mischiato alle lacrime che cerco di fermare con le mani.
Sono stanco, non so dove andare e neanche dove sono, ho corso senza sosta avvolto da ricordi e pensieri dolorosi. Vorrei essere in grado fermarmi, ma farlo davvero. Trovare il mio posto e sentirmi a casa almeno per una volta.
Se fosse qui è da Matteo che andrei ora. Il fratello che ho voluto, respinto e poi ritrovato. Sono sicuro che lui non me ne farebbe domande perché sa già tutte le risposte, mi accoglierebbe come ha sempre fatto e forse riuscirei a spegnere questa rabbia che mi divora.
Ma lui non c'è, non può aiutarmi e non sarebbe giusto, devo farlo da solo, ma in questo momento mi sento come quella maledetta notte di mesi fa. Vorrei spegnere tutto e non sentire più nulla.
Poi basta un attimo e le immagini di quella notte si affollano nella mia testa. Rivedo tutto: la macchina, me perso alla guida, una sagoma lontana, il rumore dell'impatto, Alexandria a terra, Matteo che gridava, Matteo che mi prendeva a pugni, io che restavo inerme con la fronte spaccata e poi di nuovo. Un ripetersi continuo di immagini e ricordi che vorrei non avere.
Mi manca il respiro, sento il cuore battere furiosamente nel petto, mi tremano le gambe, non riesco più a reggermi in piedi. Mi lascio cadere sul marciapiede, porto le mani tremanti al volto, sto sudando freddo. Provo a calmarmi ma non ci riesco. Chiudo gli occhi, alzo la testa e cerco di prendere aria, ma sento che sto per soffocare. E le immagini, quelle maledette immagini, si ripetono ancora e ancora.
Abbasso di nuovo la testa, me la stringo con le mani.
Basta! Vi prego basta! Se devo soffocare, se devo spegnermi, che sia veloce, non ce la faccio più!
Dio ti prego! Fai in fretta! Basta sentire tutto questo dolore, tutto questo vuoto. Basta! Ti prego! Basta!
Sto morendo o forse sto impazzendo. Qualsiasi cosa sia mi arrendo!
È troppo! Non riesco.
Aiuto! Aiutatemi!
Poi d'improvviso qualcosa di fresco mi tocca il volto, mi accarezza, credo.
Non apro gli occhi e nel mio buio fatto solo di ricordi che mi tormentano, sento una voce leggera che mi chiama:
"Riccardo! Respira! So che puoi farlo, ascolta la mia voce" non so chi sia, non riconosco il suono delle sue parole e vorrei tanto fare come mi dice ma non ci riesco.
"Riccardo! Ascoltami! Concentrati sulla mia voce. Seguila!"
Mi concentro su quel suono deciso ma gentile, che continua a insinuarsi tra le immagini di un passato troppo presente e l'ascolto.
"Respira! So che puoi farlo!" Continua a ripetere.
Percepisco una mano leggera toccarmi il petto, vicino al cuore, l'altra invece continua ad accarezzarmi il volto e sento la voce che mi dice di respirare, che lo so fare.
"Respira con me! Uno..." Sento inspirare.
"Due..." Sento espirare.
"Tre..." Inspira di nuovo.
"Forza! Respira con me!" Ci provo.
"Quattro..." Espira ed io tento di buttare fuori l'aria come mi dice.
"Cinque..." E le immagini iniziano a sbiadire.
"Sei..." Il cuore smette di andare veloce.
"Sette..." Mi aggrappo con le mani a quella che è ferma sul mio petto, vicino al cuore.
"Otto..." Le mie palpebre si sollevano.
"Nove..." Mi vedo nel riflesso di due occhi color cioccolato.
"Dieci..." Inspiriamo insieme.
"Undici..." Espiriamo insieme.
"Dodici..." Vedo un sorriso.
"Tredici..." Il mio respiro è tornato.
"Quattordici..." Fisso il volto della ragazza in ginocchio davanti a me.
"Quindici" Le stringo più forte la mano ancora poggiata sul mio petto, vicino al cuore.
Non stacco il mio sguardo dai suoi occhi, vedo me nel loro specchio e lei che mi ha portato indietro.
"Grazie..." Mi sento sussurrare appena.
Mi sorride: "Va meglio?"
Muovo la testa per acconsentire.
Lei mi lascia una carezza sul volto, poi allontana la mano ed io le lascio andare anche l'altra, ferma sul mio petto, vicino al cuore.
Isabella si stacca da me e mi si siede accanto sul marciapiede.
Il mio respiro torna regolare, mi giro a guardarla. Non sembra minimamente turbata da quello che è appena successo.
"Scusami" dico solo.
Lei mi guarda: "Non ti devi scusare. Può capitare"
"Purtroppo si" le rispondo.
"Ti è già successo?" Mi domanda.
Accenno un sì con la testa.
"Mai in mezzo alla strada però"
"A casa?"
"Si"
"E come l'hai superato?" Chiede ancora.
"C'era Arianna con me. Mi ha aiutato lei" rispondo.
Arianna c'è sempre. Ma non stasera. Stasera c'è lei. Isabella.
"Credo di star impazzendo" dico sincero.
"Non stai impazzendo, era solo un attacco di panico. Te l'ho detto può capitare"
A me troppo spesso, penso.
"Riccardo, dopo tutto quello che è successo sarebbe strano il contrario"
Quello che è successo sta per quello che hai fatto, ma non riesce a dirlo.
"Dopo quello che ho fatto, sarebbe strano il contrario" controbatto.
Isabella mi guarda.
"Non voglio rinfacciarti nulla. Voglio solo dire che è stato un anno doloroso per tutti voi e a volte il dolore si manifesta in modi che non capiamo e non ci aspettiamo. Se così non fosse sarebbe peggio"
"A me sembra di averlo già toccato il mio peggio" ammetto sincero.
"Allora da adesso in poi può solo andare meglio, non credi?"
"Non so se per me arriverà mai questo meglio" e purtroppo lo penso davvero.
"Non puoi saperlo" ed Isabella mi tocca il braccio: "Arriverà. Arriva per tutti"
"Io però non lo merito"
Smetto di fissarla e pianto lo sguardo a terra.
C'è un attimo di silenzio tra noi, poi sento la mano leggera di Isabella prendere il mio mento e voltarmi il viso verso di lei.
"Riccardo! Ascoltami bene! Se non smetti di ripetere che non lo meriti non cambierà mai niente. I tuoi attacchi di panico non smetteranno e..." si ferma un momento, come se stesse pensando alle parole giuste da usare.
"E quello che hai fatto continuerà a perseguitarti fino a distruggerti. È davvero questo quello che vuoi?"
Finalmente l'ha detto, "quello che ho fatto". Come può non perseguitarmi?
E no, non è questo ciò che voglio.
Ma non riesco a non pensare che sia quello che merito invece.
"No, non voglio. Ma non posso volere neanche il contrario"
"Perché no?" Insiste Isabella.
Qui mi viene quasi da sorridere. È tanto ovvio il perché.
"L'hai detto prima, per quello che ho fatto"
"Ti ho anche detto che "quello" ti sta perseguitando e se non vuoi che ti distrugga devi lottarci contro. Devi farlo. L'ha potuto fare Alexandria, l'ha fatto Matteo e puoi farlo anche tu"
"Loro sono le vittime. Io il carnefice. Non è lo stesso. Loro ne hanno il diritto, io no" e libero il mento dalla sua presa per non guardarla. Ora mi vergogno, di quello che sono e di quello che ho fatto.
"Loro pensano che anche tu ne abbia diritto e se Alexandria ha voluto darti la possibilità di trovare il tuo meglio, devi farlo Riccardo"
Isabella mi riprende il volto tra le mani e mi porta a guardarla di nuovo.
"Non tutti hanno una seconda possibilità e non tutti la meritano. È vero. Io per prima non capivo la scelta di Alexandria. Io per prima ho fatto fatica quando ti ho visto oggi. Io per prima però mi sono resa conto che non è giusto. Ti ho osservato prima di venire da te oggi e tu non sei più quel Riccardo che io ero abituata a vedere. Io non ti conosco, ma qui stasera l'ho visto il tuo dolore, l'ho sentito il tuo chiedere aiuto e sono sicura che anche Alexandria l'ha visto e ti ha dato il suo aiuto. Ti ha perdonato. Non sprecarlo. Fallo per te"
La guardo questa ragazza che ci crede davvero in quello che mi sta dicendo, i suoi occhi sono decisi mentre mi osserva seria.
Vorrei davvero essere in grado di fare quello che mi sta dicendo, così come è successo prima per il mio attacco di panico, andato via grazie a lei.
"E tu?" Le chiedo.
"Tu me lo daresti il tuo aiuto?"
Lei lascia andare il mio volto, sorride e si alza.
"L'ho già fatto" e allunga la mano verso di me.
La guardo, non so bene che dovrei fare ora.
"Andiamo dai! È ora di cena" dice indicando un punto alle sue spalle.
Alzo lo sguardo e dall'altra parte della strada vedo l'insegna con su scritto:
"Ristorante-Pizzeria I Girardi"
Mi scappa un sorriso involontario.
Tra tutti i posti in cui potevo capitare, questo è di sicuro il più bizzarro.
"I miei occhi vedono un sorriso. Mi fa piacere che il ristorante della mia famiglia ti faccia quest'effetto. Ma sei un Visconti, non mi meraviglio. Voi non ci potete sopportare"
Afferro la mano di Isabella, mi rimetto in piedi con il suo aiuto e avvicino il mio volto al suo.
"Io non sono un Visconti. Sono solo Riccardo"
"Va bene" sussurra lei.
Ci guardiamo per un istante, occhi negli occhi. Poi Isabella si allontana.
"Adesso andiamo oppure Adriano penserà che mi sono persa"
"Adriano?" Chiedo.
"Sì, Adriano. Prepara delle pizze da far girare la testa, mica per nulla lo puoi trovare solo da noi"
Sorrido di nuovo, è più forte di me adesso.
Se lo sapesse mio nonno gli verrebbe un colpo.
"Stai sorridendo di nuovo" mi fa notare lei.
"Non è per te e che se mi vedesse mio nonno darebbe di matto sicuramente. Non hai idea di quanto la cosa mi diverta"
"Allora divertiamoci! E, che resti tra amici, mi piacerebbe proprio vedere la faccia di tuo nonno. Il gran Visconti che dà di matto"
Ridiamo insieme e l'attacco di panico avuto prima sembra scivolare lontano.
Ci incamminiamo verso il ristorante uno accanto all'altra e alla fine glielo chiedo: "Così siamo amici?"
"Possiamo provare ad esserlo" risponde.
"A te va?"
"Certo! Che domande! L'ho detto io"
Mi fermo e le allungo la mano.
Lei mi guarda stranita.
"Che c'è? Se vogliamo essere amici dobbiamo prima presentarci per bene" sorrido.
"Ok. Io sono Isabella Girardi" stringe la mia mano.
"Io sono solo Riccardo"
"E devo dirti che sei strano" afferma.
"Meglio strano che Visconti no?"
"Sono perfettamente d'accordo con te" ridiamo insieme mentre entriamo.
Il capitolo è più lungo del solito, diciamo che è il mio regalo per il nuovo anno.
Mi auguro vi possa piacere.
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