Capitolo 48
Sergej era già sul posto. Seduto nella propria auto, in perfetta sincronia con l'andamento della missione, attendeva l'arrivo dei membri dell'URC per dare il via alle Squadre d'Assalto con gli altoparlanti. Di tanto in tanto osservava l'orologio da polso, scandiva i secondi, i minuti, e aveva come il timore di non essere raggiunto in tempo. Tuttavia dovette ricredersi quando, attraverso lo specchietto retrovisore, vide il furgone arrestare la propria avanzata a qualche metro di distanza. Così, prima ancora di rendersene conto, scattò fuori dalla vettura e imbracciò il fucile d'assalto che aveva riposto nel portabagagli.
«A due isolati da qui» disse appena, mancando di specificare altro.
Ma era la prima volta che l'URC aveva più informazioni di lui, la prima e unica. Non a caso ci fu solo il silenzio generale e qualche segno d'assenso da parte di Moore e Garner, perché Jeremy non riusciva ad abbandonare completamente la propria tensione nervosa.
«Quanti minuti?» Chiese quest'ultimo.
«Cinque.» Sergej avanzò a passo spedito, sganciando dalla cintura la propria ricetrasmittente. «Cinque minuti al via» fece.
«Ricevuto!» Gracchiò l'apparecchio.
Jeremy osservò le spalle di Srgej, provando l'impulso di assalirlo nello stesso modo cui aveva fatto con il colosso – oh, avrebbe davvero voluto troncargli la testa per chiudere la faccenda nel minor tempo possibile. Tuttavia non fece niente del genere, no, e rinserrò la presa sul proprio AK-47. «Cinque minuti» ripeté piano, conscio del fatto che l'intera URC si sarebbe mossa in tre minuti. Guardò il proprio orologio, percepì il peso delle armi di Daniel che gli gravava addosso e quello del giubbotto antiproiettile che pendeva dal fucile d'assalto fino a renderlo un po' goffo nei movimenti.
«Tenetevi pronti» disse Sergej. Il tono incolore, neutro, quasi distante. Sembrava celare qualcosa, qualcosa che Jeremy aveva inteso bene: una mossa falsa. Ma non da parte dei suoi fidati, no, da lui!
«Signorsì, Comandante» disse aspro Jeremy.
«Sicuro di essere pronto?» Chiese in un soffio, divertito, mentre sul suo viso si dipingeva un sogghigno divertito.
«Più che sicuro» confermò a mezza bocca, restringendo lo sguardo. «Anche se mi sfugge il motivo della sua decisione.»
Sergej si voltò a guardarlo con la coda dell'occhio, trovandolo crucciato. «Quale decisione?» Indagò.
«Pensavo che detestasse me, non il Capitano Begum.»
«Credi che il ruolo della capra spetti davvero a chi detesto?» lo rimbeccò. «Sbagli, Hunt.» Scosse la testa, negando il proprio odio recondito nei suoi confronti. «Spetta a chi sa gestire le proprie emozioni, a chi sa sopravvivere nelle condizioni peggiori...»
«E quindi è per questo che spetta al Capitano Begum?» Quasi non rise cinicamente per l'assurdità appena sentita. Ma schioccò la lingua, sì, perché non riuscì a trattenere il proprio cinismo: «Mi sta forse dicendo che il mio ingresso nelle fogne della Vecchia Washington era legato a questo?»
«No, in quell'occasione ho fatto una scelta diversa» ammise. «Ho preferito mandare nel sottosuolo chi già sapeva come muoversi tra i cunicoli.»
«Un topo di fogna» ironizzò Jeremy, scuotendo il capo e tornando a osservare il proprio orologio da polso. «La capisco, Comandante» mentì. Era conscio che volesse liberarsi di lui almeno quanto era conscio del fatto che in quell'occasione volesse mettere in difficoltà sia lui che Daniel.
«Non dovresti sottovalutarti...» fece Sergej, trattenendosi dal cinismo puro e semplice. «In quell'occasione hai fatto il possibile per proteggere sia te stesso che il Capitano Begum – lodevole.»
Jeremy serrò i denti, ricordando il falso rapporto che era stato costretto a redigere e sottoscrivere a discapito della propria dignità di uomo. E ancora una volta provò una spassionata voglia di uccidere Sergej, sì. Tuttavia sorrise – un sorriso ironico, malevolo. «La ringrazio» disse. «Credo che le sue lodi siano davvero importanti per un nuovo arrivato.»
Sergej si sentì preso in giro, ma non poté fare altro che annuire con un sorriso fintamente cordiale. Poi, presa posizione dinanzi all'edificio, diede il via all'operazione attraverso la ricetrasmittente: «Ora!»
E Jeremy sgranò gli occhi, percependo il suono d'allarme degli altoparlanti del Settimo Distretto con correlato messaggio di avvertimento.
«Aveva detto che saremmo intervenuti tra cinque minuti!» Esclamò.
«Certo» assentì. «L'URC entrerà in scena tra cinque minuti a partire da adesso.»
«'Fanculo!» Ringhiò. «Non ho alcuna intenzione di seguire gli ordini di un pazzo!» Avrebbe voluto sfoderare la Phoenix per freddarlo sul posto e chiudere la faccenda una volta per tutte, ma non appena mosse la mano verso la fondina si sentì richiamare da Garner:
«Hunt!»
E serrò i denti sotto lo sguardo gelido di Sergej. «Non farò crepare Daniel in quel palazzo!» Esclamò. Gettò il giubbotto antiproiettile di Daniel in terra e si sfilò perfino l'elmetto di protezione per iniziare a correre verso l'edificio in questione.
«Insubordinazione...» mormorò Sergej con un ghigno compiaciuto. «È la seconda volta che fa di testa sua.» Schioccò la lingua sul palato, poi scosse la testa con un accenno di divertimento. «Dopo il recupero del Capitano Begum dovrete occuparvi del suo di recupero – ammesso che sia ancora vivo» fece, rivolgendosi a Moore e Garner. «Ma il piano è lo stesso: cinque minuti.» Li vide deglutire quasi all'unisono ed ebbe come l'impressione che fossero entrambi crucciati. Ma non ci diede peso, anzi. Tornò a osservare le spalle di Jeremy con fare compiaciuto e disse: «Verrà scortato nel Carcere di Massima Sicurezza dell'SRF. Non possiamo rischiare di avere una simile testa calda nell'URC.» E dopo aver pronunciato quelle parole, dopo aver concluso il suo discorso, sentì caricare delle armi. Spalancò gli occhi, si voltò di scatto e ciò che vide lo lasciò senza fiato: Garner aveva sfoderato entrambe le pistole che teneva nelle fondine e gliele aveva puntate contro senza remore, per non parlare di Moore che lo teneva sotto tiro con l'AK-47. Deglutì a vuoto.
«Insubordinazione» citò Garner. «Mi dispiace, Comandante Jackson, ma il suo regno del terrore finisce qui.»
L'interpellato socchiuse le labbra e non riuscì a dire una sola parola.
«Mani in alto» fece Moore. «E proceda lentamente verso il furgone dell'URC.»
«Se ha capito cosa sta succedendo, annuisca e basta» incalzò Garner.
«Sì» assentì. Sollevò le mani in segno di resa, ancora perplesso e confuso per l'assurda situazione cui si era cacciato senza neppure rendersene conto. Così seguì le loro indicazioni e perse di vista Jeremy.
Dal canto suo, questi non fece altro che fregarsene. Aveva lasciato il piano in mano a Garner e Moore, dopotutto. L'unica cosa che davvero gli premeva era raggiungere Daniel prima del momento clou. Perciò si mischiò alla Prima Squadra d'Assalto e, senza volerlo, sentì il proprio cuore battere all'impazzata nell'eco della stessa, inquietante, risata che aveva sentito fuori dalle fognature.
«Daniel!» Gridò il suo nome, ma non ottenne risposta. Poi si chiese quanti altri Daniel fossero presenti in quella schiera di folli assassini e rabbrividì. Si morse le labbra, imbracciò meglio l'AK-47 e seguì l'orda lungo le scale dell'edificio di Mike Reed. «Daniel...» La voce si affievolì, il tono parve morirgli in gola. E più camminava, più correva, più sentiva gli spari nelle orecchie. Il suono delle risate di chissà chi che gli rimbalzava nel petto, che cadenzava i suoi battiti come un tamburo. Annaspò nella folla, vedendo cadere un paio di uomini alla propria sinistra. Il volto schizzato di sangue, l'odore ferroso nelle narici. «Cazzo!» Imprecò mentalmente, maledicendo Sergej e il caos cui aveva dovuto immergersi. Poi, in lontananza, vide Ezekiel. E avrebbe voluto chiamarlo, sì, avrebbe voluto chiedergli come stesse o se avesse visto Daniel. Tuttavia non ci riuscì, poiché questi si lasciò letteralmente scivolare lungo le corde tese dell'ascensore fermo. Allora sgranò gli occhi, lo seguì per un istante e, a bocca aperta, lo vide sparire come una scheggia. Poi, spintonato e colpito dalle spallate dei membri della Squadra d'Assalto, grugnì. «'Fanculo.»
Era un boato. Il mondo cadeva letteralmente in pezzi dinanzi ai suoi occhi. C'era solo sangue, morte, distruzione, odore di polvere da sparo e proiettili volanti. Poi le carcasse, i cadaveri, i corpi che ruzzolavano lungo le scale e che venivano calpestati senza pietà, senza remore, senza ritegno. E ancora sangue, dolore, urla, bestemmie, imprecazioni, gridi di guerra.
Infine la sua voce che chiamava forte, a squarciagola: «Daniel! Merda, Daniel rispondi!» Le urla dei feriti nelle orecchie, la preoccupazione che saliva a dismisura. «Daniel, dove cazzo sei?» C'era solo la disperazione nel suo sguardo. La preoccupazione pura e semplice. Poi il ricordo latente di quel bacio e quasi la consapevolezza che fosse l'ultimo. «No, col cazzo» ringhiò a denti stretti. Voleva trovarlo, doveva trovarlo. Assolutamente, sì. Ne aveva bisogno, lo desiderava troppo.
«Jeremy...»
Si sentì chiamare per nome e raggelò in cima alle scale. Si guardò attorno, poi si affacciò incautamente verso il piano inferiore. Sentì un paio di proiettili mancarlo per poco, di circa un metro e mezzo, per finire incassati nella parete. Poi guardò in alto, si mosse alla svelta lungo l'androne e cercò di raggiungere l'ultimo piano. «Daniel!» Lo chiamò ancora.
«Sei lento, Hunt.»
Sentirselo dire gli riempì stranamente il cuore. Non seppe spiegarsene la ragione, ma riconobbe solo la sensazione di calore che gli scaldava il petto e lo spingeva a sorridere come un idiota. Non gli sembrò affatto un'offesa, anzi, ma un incentivo a sbrigarsi. E lo fece: corse a perdifiato, due gradini alla volta. Poi, con affanno, si avvicinò alla porta che dava sul tetto e vide Daniel seduto in terra con una strana espressione dipinta in viso. Allora boccheggiò. «Cos'hai? Cosa ti è successo?»
«Niente» minimizzò. Aveva il maglione imbrattato di sangue e la mano destra premuta sull'addome.
Jeremy impallidì, sgranò gli occhi e poi si guardò attorno. Non c'era nessuno lassù, nessuno che ritenesse pericoloso. «Usciamo fuori» propose.
«E i cecchini di Reed?» Daniel schioccò la lingua. «Fuoco incrociato, ricordi?» Fece, muovendo appena una mano. Poi scosse la testa. «È una cosa da niente, posso sopravvivere benissimo» aggiunse in un soffio.
«Perdi sangue» gli fece notare. «Tanto sangue, troppo sangue, forse più di quanto tu ne abbia mai perso in tutta la vita, Daniel.»
«Credi?» Quasi accennò un sogghigno. «Te lo ha detto Jenkins?» Posò la testa contro il muro, sospirando. «Merda, ha davvero la lingua lunga! Prima o poi gliela taglierò...»
«Non dire stronzate» disse. La voce tremante e la paura che, inconsciamente, gli affievoliva il tono. «Non adesso, cazzo.»
«Che vuoi fare? Sentiamo.» Fece spallucce, attendendo la proposta assurda di Jeremy.
«Uscire di qui, è ovvio.» Posò l'AK-47 di Daniel in terra e lo affiancò al proprio. «Andiamo, avanti... Garner e Moore si sono occupati di Jackson, quindi abbiamo il via libera.»
«E dove pensi di andare nel bel mezzo di una battaglia?» Quasi ridacchiò per il suo atteggiamento sprovveduto. «Sai, ti facevo più furbo.»
«Invece sono solo un coglione» concluse, non volendo contraddirlo. E non provò neppure l'impulso di farlo, perché si sentiva talmente inutile da poterlo gridare sua sponte.
«Già, un vero coglione» soffiò. «Un detestabile e odioso coglione...» Daniel sorrise. «Saresti dovuto rimanere con Garner e Moore» disse. «Qui non sei al sicuro, Hunt.»
«Chiamami come hai fatto prima» mormorò in un rantolo.
«Come ho fatto prima?» Daniel batté le palpebre. «E come ti ho chiamato prima?»
«Jeremy, mi hai chiamato Jeremy» soffiò. Gli carezzò una guancia, avvicinandosi al suo viso. Era in ginocchio, con un avambraccio posato al muro e il cuore in gola. Gli occhi fissi in quelli profondi e ossidiana di Daniel, le labbra che quasi si sfioravano. Sentiva il suo respiro pesante, il suo dolore, la sofferenza di una ferita che si ostinava a occultare. E aveva voglia di baciarlo, sì.
«Jeremy.»
Non riuscì a trattenersi: accorciò definitivamente le distanze. E fu come quella notte nel bagno, come quell'unica volta in cui era riuscito ad amarlo senza neppure rendersene conto. Stranamente dolce, non in modo animalesco. E bisognoso, certo, perché dentro di lui continuava ad ardere quella stessa, inestinguibile, fiamma. «Dillo ancora» soffiò, scostandosi appena. Le labbra umide, la voglia di donargli un po' del proprio respiro e della propria vita.
«Jeremy.» Lo guardò negli occhi, poi sgranò i propri e lo scansò di scatto. A denti stretti imbracciò l'AK-47 e fece fuoco verso il tipo che stava per colpirlo alle spalle. «Non sei solo lento, sei anche distratto» fece. Si piegò appena in avanti, deglutendo.
«Che hai intenzione di fare?» Domandò appena, voltandosi a osservare il cadavere dell'uomo di Reed che Daniel aveva appena riempito di piombo.
«Uscire di qui al più presto» disse. «I cecchini non sono sordi» aggiunse. Diede uno sguardo veloce verso la porta che dava sul tetto e vide Jeremy imbracciare il proprio fucile d'assalto. Allora, malgrado fosse ferito, serrò i denti e si preparò a tentare la sorte in una discesa verso l'esterno del palazzo di Reed.
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