Capitolo 40
Ormai lo aveva capito: il silenzio non prometteva nulla di buono – quantomeno nulla di convenzionale. E più Jeremy ne restava avvolto, più le sue orecchie sembravano fischiare di un suono d'allerta. Ma aveva deciso di seguire Daniel fino al Dipartimento Medico dell'SRF, aveva deciso di accertarsi del suo stato di salute e del fatto che Sergej non lo avvicinasse di soppiatto lontano dall'edificio dell'URC. Voleva scortarlo, proteggerlo, allontanarlo da quella folle fonte di guai. Tuttavia era la compagnia di Garner e Moore a gettare nuova luce sulla situazione e sul suo complesso risvolto nascosto. Per questo non poteva fare a meno di sentirsi un pesce fuor d'acqua, di guardarsi attorno, di osservare le strade che scorrevano veloci accanto alla Dodge Charger.
«Hai deciso di passare a Garner la patata bollente» esordì d'un tratto, cercando di rompere il ghiaccio. «Ti sei retrocesso tua sponte, lo hai elevato a Capitano dell'URC... Non pensi che questa sia una sorta d'insubordinazione?»
Breve e lapidario, Daniel disse: «Lo spero.» E non distolse gli occhi dal parabrezza, non si distrasse neppure per un attimo. Troppo coinvolto, troppo assorto, non riusciva a pensare ad altro che alla propria missione.
Ma per Jeremy era tutto un mistero, un grosso punto interrogativo. Non sapeva a cosa sarebbe andato incontro almeno quanto non sapeva cosa stesse passando per la testa dei membri dell'URC. «Vuoi farti pestare ancora?»
«Al contrario» replicò spicciolo. «Voglio concludere questa storia una volta per tutte, voglio mettere un punto fermo alle follie del Comandante Jackson...»
«Encomiabile» commentò Jeremy con una punta di sarcasmo. «E come credi di fare?»
«Partendo da zero, dal basso – ovviamente.»
«Ovviamente» echeggiò ben poco convinto, grattandosi la nuca. «Mi stai forse dicendo che state organizzando una rivolta intestina, Daniel?»
Questi lo guardò di sguincio, con la coda dell'occhio, ma non rispose. Storse le labbra in una smorfia, poi tornò a concentrarsi sulla strada. «Dobbiamo proprio parlarne adesso?»
«Ieri sera hai insistito tanto affinché ti dicessi cosa mi ronzasse per la testa, no?» Lo provocò appena. «Credo di avere il diritto di sapere a cosa stiamo andando incontro.»
«Nessuno ti ha costretto a seguirmi, Hunt» sputò. «Ti ho solo detto che non sei legato mani e piedi alla struttura dell'URC.»
«Pensavo che equivalesse a un sì...»
«Non ho mai detto nulla del genere, anzi. Sei sempre stato libero di fare ciò che volevi – lo hai sempre fatto.» Detto questo, Daniel si umettò le labbra. Le sentiva secche, terribilmente secche, e lo stesso discorso valeva per il palato, la lingua, la gola. Doveva ancora abituarsi ai farmaci che gli aveva prescritto il Dottor Howard, gli stessi farmaci che gli appannavano un po' la vista e che lo spingevano a sbadigliare di tanto in tanto.
«Hai sonno?» Jeremy non si trattenne dal porre quella domanda, anche perché era riuscito a contare ben quattro sbadigli da quando era salito sulla Dodge Charger di Daniel.
«Un po'» ammise a mezza bocca. «Ma credo sia colpa di quella merda che prendo...»
«Vale a dire?» Sollevò un sopracciglio con fare curioso, non riuscendo a frenare la propria curiosità. «Parli delle medicine del Dottor Howard?» Lo vide annuire, così si lasciò andare a un lieve sospiro.
«Devo ancora abituarmi, credo.»
Allorché sorrise, distolse lo sguardo per evitare di commentare in modo inappropriato. Disse semplicemente: «Immagino di sì.» E si fermò a riflettere sulla calma di Daniel, sul suo fare stranamente placido e pressoché accondiscendente, meno aggressivo – lo era nei modi, ma non nei gesti, e si poteva forse dire che fosse cambiato.
«Anche tu dovrai abituarti» lo liquidò.
«Io?» Jeremy sollevò entrambe le sopracciglia con fare perplesso. «E perché mai?»
«Mi sembrava di averti detto che le medicine sarebbero state anche tue, no?»
«Ma posso davvero prenderle?» Titubante, Jeremy ripensò a Sergej e al suo pugno di ferro sulla Terza Armata. Deglutì a vuoto, distogliendo lo sguardo, e lo puntò sulla strada.
«Ovviamente. È un passo necessario per prendere coscienza di ciò che sta succedendo, Hunt. E più sei lucido, meglio è per tutti» dichiarò. Poi socchiuse lo sguardo, si lasciò andare al quinto, fastidioso sbadiglio. «All'inizio fanno venire un po' di sonnolenza, ma niente d'irreparabile. Il cervello funziona meglio, si allontana dalle ossessioni, dalle paure, dalle follie...» iniziò a dire, venendo subito interrotto da una domanda a bruciapelo:
«Tutte le follie?»
«Tutte» confermò Daniel, mostrandosi sicuro di sé.
Tuttavia Jeremy notò un accenno di titubanza nel suo tono di voce, perciò chiese: «Cos'è successo alle tue cosce?»
E per la prima volta Daniel si sentì a disagio. «Come?» Balbettò.
«Quando ti sei spogliato avevi una fasciatura ben stretta attorno all'addome, una fasciatura che lasciava intendere l'entità del danno causato dal Comandante Jackson, ma non c'era solo quella...»
«Mi hai squadrato da capo a piedi» borbottò irritato. «Sei uno stronzo, Hunt.»
«Perché non rispondi e basta?» Incalzò.
«Perché non ne ho la benché minima voglia e perché la domanda è inopportuna, fuori luogo.»
«La mia preoccupazione è fuori luogo?» Gli vide digrignare i denti come una bestia ferita, ma non lo sentì rispondere, anzi. Ciò che ottenne fu solo un cambio di discorso:
«Abbiamo intenzione di disertare.»
Jeremy restò a bocca aperta, letteralmente spalancata. Quasi non poteva credere alle proprie orecchie. Batté le palpebre con fare perplesso, piacevolmente allibito, e sul suo viso si dipinse un sorriso inconsapevole. «Disertare, eh... Mi piace.»
«Non ne avevo dubbi» schioccò Daniel. «Fai sempre di testa tua, sei un disertore nato. Mi stupisce, anzi, che tu abbia deciso di arruolarti davvero e che non sia scappato a gambe levate come una femminuccia – avresti potuto farlo, magari proprio durante il periodo di addestramento trascorso assieme al Sergente Ramsey.»
«Sei crudele a darmi della femminuccia» ridacchiò. «E ritieniti fortunato, perché l'ultimo che l'ha fatto si è trovato con il naso rotto in un cesso del Campo di Addestramento.»
Il tono incolore, canzonatorio, disse: «Oh, che paura.»
«Sei troppo sicuro di te» fece in uno sbuffo. «Non mi prendi sul serio, cazzo.»
«Dovrei?» Lo provocò con un ghigno. «Perché fino a poco fa eri in pena per me, volevi controllare come stessi, se i bendaggi fossero stretti in modo giusto...» Gli lanciò un'occhiata di sguincio. «Se dovessi prenderti sul serio dovrei anche pensare che il tuo problema non sia un semplice DPTS.»
«Adesso ti senti un esperto di malattie mentali?» Bofonchiò, cercando di mostrarsi fintamente imbronciato. E incrociò perfino le braccia al petto, sì, lo fece infantilmente, per prendersi gioco di lui. «Qualche medicina, due nozioni di base e puf: sei un esperto.»
«Divertente come un calcio sulle palle, Hunt» sputò irritato, non riuscendo a coglierne l'ironia di base. Allorché lo sentì sbuffare e, facendo spallucce, accostò nel parcheggio del Dipartimento Medico dell'SRF.
Accanto alla Dodge Charger parcheggiò anche l'auto cui si trovavano Moore e Garner. Poi, dopo essere scesi, tutti e quattro procedettero verso l'ingresso. Sfoggiando le divise ben stirate e tirate a lucido, si annunciarono come membri dell'URC e raggiunsero lo studio del Dottor Howard.
Questi, alle prese con l'ennesimo caffè, sollevò a stento lo sguardo verso la porta per salutarli con un flebile: «Immagino di dover dire buongiorno.»
«Nottata in bianco?» Azzardò Jeremy, mostrandosi più incline al dialogo degli altri tre. Lo vide annuire con aria assente e massaggiarsi la sommità del naso dopo aver sospirato stancamente e aver posato un fascicolo sulla scrivania. «Pensavo che fosse il suo assistente a occuparsi dei turni notturni» aggiunse.
«Acke è ferito.» Breve, conciso, forse anche troppo monotono e stringato. Guardò Jeremy, poi distolse gli occhi e passò a Daniel. «Come ti senti? Le medicine fanno effetto?»
«Mi danno un po' di sonnolenza al momento sbagliato» soffiò. «Per un attimo ho pensato di addormentarmi al volante.»
«Cosa?» Jeremy batté le palpebre, strabuzzò gli occhi. «E lo dici così?»
Incurante del suo exploit, Daniel continuò: «Sarebbe un peccato rovinare la Dodge Charger...»
«Ti preoccupi dell'auto?» Ancora più scioccato, Jeremy si portò una mano al viso per nascondere la propria espressione esasperata.
«Non dovresti affaticarti» lo rimproverò piano il Dottor Howard. «Mi ero raccomandato di non fare sforzi e di lasciar guidare altri, se necessario.»
«Nessuno tocca la mia Dodge Charger» stabilì.
Il Dottor Howard sospirò, scosse perfino la testa. «Ne ho piene le scatole delle azioni sconsiderate di voi giovani. Quando dico di stare attento intendo esattamente questo: attenzione.» Ed era fin troppo chiaro che si stesse riferendo anche ad Acke, tuttavia nessuno disse niente al riguardo. «Ma andiamo con ordine: novità?»
«Ci sono delle cimici nel mio bagno, perlomeno a detta di Hunt.» Daniel prese la parola, indicando Jeremy con il pollice destro e ben poca grazia. «Sono tenuto sotto osservazione dal Comandante Jackson, ma pare che non sia interessato ad altre stanze del mio appartamento.»
«Curioso...» commentò il Dottor Howard. Poi guardò Garner e lo vide annuire prima di prendere la parola.
«Ho indagato sul passato del Comandante Jackson, ma non ho scoperto granché» disse. «So che è stato internato in un manicomio per essere sottoposto a una sorta di sperimentazione.»
«So a cosa ti riferisci» confermò il Dottor Howard. «È stato internato nel St. Elizabets Hospital.»
Così, nel miasma più vago del discorso, Jeremy si ricordò delle parole di Ezekiel e cercò di schiarirsi la voce. Prima di poter dire qualcosa, però, venne interrotto da Daniel con un:
«Era di questo che volevi parlarmi, Hunt?»
«Esattamente» assentì. E in un attimo si sentì addosso lo sguardo dei presenti. Si umettò le labbra, cercò di riorganizzare le idee e prese un bel respiro prima di vuotare il sacco: «Un mio contatto – un nostro contatto, Dottor Howard...» precisò. «Mi ha raccontato la storia di Sergej Jackson. Non è delle migliori, né delle più rosee.»
«Ezekiel Jenkins» soffiò il Dottor Howard, vedendo annuire Jeremy.
«Proprio lui, sì.» Storse appena le labbra, poi cercò di riassumere il racconto nel più breve lasso di tempo possibile – senza tralasciare neppure il più piccolo particolare, però. E si stupì dello sguardo perplesso di Daniel almeno di quello compiaciuto del Dottor Howard.
«Un membro della mafia sovietica» fece, ponderò. Sul suo viso comparve un piccolo ghigno che subito scomparve, nascosto da uno schiocco divertito. «Un membro della mafia russa che è stato manipolato in un manicomio e convinto ad assumere il ruolo più importante per la Terza Armata.»
«Esatto.» Jeremy non mancò di mostrarsi disgustato alla sola idea, perfino di scuotere la testa. «Se solo si fosse redento, magari, la situazione non sarebbe degenerata in questo modo. Eppure non l'ha fatto, no: è diventato un tiranno, un mostro, un folle ossessionato dal potere.»
«Non solo dal potere...»
Sentendo quelle parole, per un attimo Jeremy pensò che il Dottor Howard si stesse riferendo a lui e a Daniel. Poi, però, ascoltò le sue parole e comprese di essere totalmente fuori strada:
«Ha fatto uccidere sua moglie e ne ha conservato la salma. È assurdo, totalmente assurdo.»
Jeremy annuì, vedendo Daniel deglutire con la coda dell'occhio. Ma era certo di non aver dato troppi dettagli, di non aver spiattellato ai quattro venti cos'altro facesse Sergej in quella stanza. Ciononostante si sentì un po' in colpa per la poca delicatezza mostrata. «Lo so, l'ho pensato subito.»
«Ma ti sei trattenuto a casa sua» obbiettò il Dottor Howard. «Perché?»
«Non avevo granché scelta. Appena uscito dall'isolamento sono stato portato qui e poi da lui. Ero ferito, affamato, senza alcun mezzo di trasporto. E non sapevo orientarmi, non sapevo come ritornare al mio appartamento... Senza contare che seguirlo alla villa era parte dell'accordo cui avevo convenuto per poter tornare a far parte dell'URC.»
«Capisco...» Il Dottor Howard sospirò. Poi scosse la testa, si alzò dalla sedia e fece un cenno verso la porta ai presenti. «Dovrei visitare sia Jeremy Hunt che Daniel Begum, ma non in questa stanza – non è adatta.»
Gl'interpellati annuirono, seguiti da Garner e Moore che, tra l'altro, furono i primi a uscire dallo studio del Dottor Howard.
«Sto bene» borbottò Jeremy. «A preoccuparmi non è la mia salute, Dottor Howard» ammise. «Può visitarmi per ultimo, non c'è problema.»
Daniel lo guardò appena, poi vide annuire il Dottor Howard e fu il primo ad allontanarsi verso la stanza attigua.
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