Capitolo 37
Lo sguardo di Duncan era distante, forse addirittura meditabondo, quasi irraggiungibile e un po' torvo, crucciato, pensieroso. Si concentrava su tutto e su niente, perdendosi nell'oscurità della sera. Ma non si abbassava mai, no, e pareva così convinto da far venire i brividi ad Acke il quale, al suo fianco, stentava a mantenere il ritmo dei suoi passi. Perché sì, a dirla tutta quest'ultimo avrebbe voluto fare dietro front e restare nel palazzo di Ryurick fino al sorgere del sole – lì si sarebbe sentito più al sicuro, paradossalmente.
«Sali in macchina» disse Duncan dopo aver aperto la portiera ad Acke.
«Detesto gl'imperativi» sbottò questi, lasciandosi poi andare a uno sbuffo frustrato. «Potresti anche rivolgerti a me in altri termini, no?» Dopo averlo rimproverato a mezza bocca, Acke fece come gli era stato richiesto e si zittì. Indispettito, poi, attese che Duncan prendesse posto accanto a lui e continuò: «Puoi riportarmi al Dipartimento Medico dell'SRF?»
«No, non posso» soffiò l'interpellato. Storse le labbra in un'espressione interdetta, poi si voltò a fronteggiare Acke con tutta la sua sfacciataggine e scosse perfino la testa. «Non abbiamo passato tutta la notte da Ryurick, dopotutto.»
Acke deglutì a vuoto, strabuzzando gli occhi. Trattenne il fiato, si sentì sul ciglio di un profondo burrone. «Lo so» si fece sfuggire in un balbettio. «Tuttavia non è una giustificazione sufficiente per proibirmi di rientrare...»
«Il Dipartimento Medico dell'SRF non è certo casa tua, Acke» gli ricordò. «E dal momento che non sai quando potrai scucire un altro permesso...»
«No» lo interruppe di getto, rifiutandosi categoricamente di assecondare qualsiasi sua decisione. «Voglio tornare al Dipartimento Medico dell'SRF.»
«Ma non è affatto di strada» obbiettò Duncan. Poi si accese una sigaretta, fece tossicchiare Acke nell'abitacolo e mise in moto in un batter d'occhio. «E non fa parte dell'itinerario.»
«Quale itinerario?»
«Lascia perdere» schioccò. E fece retromarcia, vide Acke artigliarsi al sedile con entrambe le mani. «Piuttosto, perché non inizi a darmi tu delle spiegazioni?»
«Io?» Balbettò ancora Acke, finendo schiacciato contro il finestrino a causa della brusca curva presa da Duncan. «Che spiegazioni vorresti da me?»
«Voglio sapere di cosa hai parlato con Ryurick, è ovvio.»
«Del più e del meno.»
«Per parlare del più e del meno non mi avresti mai fatto cacciare.»
«E di cosa credi che avrei mai potuto parlare con un tipo del genere?» Acke cercò di dare alla propria voce un'intonazione quasi divertita. «Lui smercia sigarette, io non fumo...»
«E infatti volevi conoscerlo, parlare con lui in privato, chiedergli qualcosa di diverso dalla compravendita delle sigarette» gli ricordò. «Pensi forse che io sia stupido, Acke?»
«Non lo penso, no» fece, deglutendo ancora. Sentì l'auto di Duncan accelerare, partire lungo la strada e sfrecciare veloce. Allora inspirò a fondo, disse: «Non voglio parlarne.»
«Perché? È un segreto di stato, forse?» Sollevò un sopracciglio con stizza e continuò a storcere le labbra. Più seccato che mai, poi, fece schioccare la lingua sul palato e aspirò a fondo per ciccare fuori dal finestrino appena aperto.
«Non posso dirtelo.» Imperterrito, Acke mantenne la propria posizione. Tuttavia gli sentì dire:
«Sei un libro aperto...»
E impallidì, sì. Con le narici piene di fumo, mentre si affrettava ad abbassare il finestrino e a cercare un po' d'aria fresca, udì perfino un grugnito. Allora rimase in silenzio, quasi scoraggiato, mentre il vento gli sferzava velocemente in faccia e gli arruffava i capelli in ciocche disordinate.
«Ti conosco da anni, lo hai dimenticato?» Incalzò Duncan. «Vuoi forse dirmi che non stai tramando niente? Che dietro quella tua espressione così intimorita non c'è nulla?»
«L'idea di passare una notte con te non mi va giù» sputò Acke, vuotando il sacco per metà.
Duncan sapeva che Acke non stava mentendo, non a caso arrivò a fare una boccata di fumo più lunga delle precedenti e a contare fino a dieci prima di uscirsene con un: «Ma sei arrivato a promettermi di farlo pur d'incontrare Ryurick, no? Cosa dovrei pensare?»
«Che ho mentito, che non voglio farlo.»
Sentendo quelle parole, Duncan non poté fare a meno di ringhiare un'imprecazione nella propria lingua madre. Poi, prendo sull'acceleratore, si convinse di aver intimorito Acke e gettò la cicca dal finestrino. «Mi hai usato» disse.
In un filo di voce, Acke riuscì a rispondere con un: «Sì.»
Quel suono fece fremere Duncan, lo irritò nel profondo e gli fece aggrottare le sopracciglia in un modo pressoché automatico. «Non credere di cavartela così.»
«Duncan...»
«Non credere di avere il diritto di prendermi per il culo, Acke, perché non ce l'hai!» Alzò la voce, quasi gridò e fece tremare l'interpellato. «Non ce l'hai mai avuto.»
«E tu non hai mai avuto il diritto di pretendere niente!» Anche Acke aggrottò le sopracciglia. Si voltò a fronteggiarlo con aria frustrata, indignata. «Pensavi davvero che ti avrei permesso di fare ciò che volevi? Pensavi davvero che sarei venuto a letto con te dopo tutto il tempo che è passato?» Vide il suo profilo illuminato di sguincio dalla luce dei lampioni e per poco non vacillò tanto i suoi muscoli facciali erano contratti. «Se è vero che io non avrei dovuto usarti è vero anche che tu non avresti dovuto minacciarmi!»
«Non ti ho minacciato» scandì.
«Bugiardo!»
«Ho solo cercato di riportarti da me...»
Acke sigillò le labbra, restringendo lo sguardo. Sentì un brivido percorrergli la schiena, poi le braccia e infine anche le gambe. Si zittì di colpo, non riuscendo a fare altro che incassare, ascoltare.
«Ho cercato di fare il possibile per riaverti indietro, per fare in modo che fosse tutto come prima.»
«Ma io non voglio che sia tutto come prima, non voglio» si lasciò sfuggire in un soffio, alzando le mani di scatto per tapparsi le orecchie. «Non voglio ascoltarti, Duncan, voglio solo tornare al Dipartimento Medico dell'SRF.»
«Lo sai perché l'ho fatto» continuò noncurante, alzando la voce per farsi sentire. E accostò, sì, si voltò a guardare Acke solo per vedergli scuotere la testa e scoprirlo così, con entrambi i palmi premuti sulle orecchie. «Lo sai» ripeté.
«No» disse. «E non voglio saperlo, non voglio sapere niente.» Allungò una mano per aprire la portiera, venendo subito intercettato da Duncan. Allorché dovette fermarsi e sentì la sua presa sul polso. Deglutì a vuoto, quasi sull'orlo delle lacrime.
«Voglio che tutto sia come prima, Acke, perché ti amo.»
Questi socchiuse le labbra come per replicare, poi se le morse con rabbia e aggrottò le sopracciglia. Scosse ancora la testa, provando a divincolarsi dalla presa di Duncan, e disse: «Non è vero.»
«È vero.»
«Non m'interessa!» Quasi gridò, allontanandolo con uno spintone. Allora sgranò gli occhi, si voltò verso la portiera e l'aprì di scatto per scendere dalla vettura.
Tuttavia Duncan la rimise in moto e, sgommando, fece aderire Acke contro il sedile. «Voglio che tutto sia come prima» fece.
«Basta!» Acke annaspò. «Fammi scendere!»
«Non puoi chiedermelo, non adesso.»
«Fammi scendere» scandì. Le sopracciglia aggrottate, lo sguardo fisso sull'asfalto al di là della portiera chiusa di scatto dalla velocità, disse: «Se non accosti tu, Duncan, sarò costretto a scendere io.» E la voce si ruppe in un singhiozzo, lo fece vacillare. «Perché non voglio che le cose tornino com'erano.»
«Non scenderai» stabilì. «E le cose torneranno com'erano.»
Acke deglutì. «Allora non sono un libro aperto» fece piano. Poi inspirò a fondo, aprì la portiera e, senza pensarci due volte, fece esattamente ciò che Duncan pensava non avrebbe mai fatto: si gettò dall'auto in corsa, rotolò sull'asfalto per qualche metro e cercò di proteggersi la testa, i gomiti, perfino le ginocchia. Ma ogni botta era un sussulto, una sferzata, un colpo al cuore. E non sapeva proprio come definire ciò che stava provando in quel momento, non sapeva neppure a cosa stesse pensando – forse non pensava e basta. La voglia di scappare, di farlo smettere, di tornare al Dipartimento Medico dell'SRF era così tanta da gettare alle ortiche perfino la sua razionalità.
Duncan frenò subito, inchiodò. «Acke!» Lo chiamò forte, scendendo dall'auto e correndo accanto alle scie nere appena lasciate dai pneumatici sull'asfalto. «Acke!»
Questi non rispose, mugolò appena. Cercò perfino di rimettersi in piedi, di alzarsi, ma sembrava che la terra girasse in modo anomalo e che quasi ondeggiasse. Allora socchiuse gli occhi, sentì il sapore del sangue in bocca ed ebbe la certezza di essersi morso la lingua nell'impatto. «Dottor Howard...» soffiò. Sentì la saliva colare dalle proprie labbra in un rivolo ferroso, il respiro mancare. Ed ebbe la certezza di aver sbattuto troppo forte la schiena, la cassa toracica.
«Stupido!» Duncan aveva la voce strozzata, sembrava che un macigno gli si fosse fermato in gola. A stento deglutì, si umettò le labbra e cercò di mettere Acke in posizione supina. «Perché diavolo lo hai fatto?» Sbottò.
«Perché...» iniziò a dire, sentendo una nuova fitta alle costole. Così si fermò tossì e grugnì qualcosa di simile a: «Sarei potuto tornare dal Dottor Howard.»
Duncan si morse le labbra, poi cercò di schiarirsi le idee e di ragionare lucidamente. Controllò il battito cardiaco di Acke, sospirò. Indeciso sul da farsi, infine, optò per aspettare qualche minuto e scortarlo in auto fino al Dipartimento Medico dell'SRF. Lì avrebbe potuto visitarlo, si sarebbe accertato del suo stato di salute e sarebbe stato in grado di curarlo qualora fosse stato necessario un intervento medico. Perché no, non aveva alcuna intenzione di lasciarlo nelle mani del Dottor Howard, di lasciarselo sfuggire, di essere abbandonato ancora una volta. «Ti porterò al Dipartimento Medico dell'SRF» balbettò crucciato. «Contento?»
«Io...» Avrebbe voluto aggiungere altro, magari anche un semplice segno di assenso, ma nel momento stesso in cui provò ad annuire si sentì girare ancora la testa. E i lampioni, più luminosi che mai, lo costrinsero a chiudere gli occhi. «Mi viene da vomitare» biascicò.
«Sei uno stupido, Acke.» Duncan sbuffò, sollevando lo sguardo verso il cielo e continuando a controllare i battiti di Acke. Non lo sentì rispondere e non si stupì affatto della cosa. Tuttavia s'indispettì al solo pensiero di perderlo e dovette inspirare a fondo per ritrovare la calma, per non avventarsi su di lui e trascinarlo via, a casa, lontano da tutto e da tutti. Schioccò la lingua, guardandolo di sguincio. «Non hai pensato che avresti potuto farti seriamente male?» Continuò. Non si aspettava una risposta, tantomeno da una persona in quelle condizioni, ma vederlo così, in quello stato, lo faceva quasi sragionare. Allora gli tastò una spalla per accertarsi che fosse in asse, lo sentì mugolare di fastidio e indurì i muscoli del viso per passare al braccio. «Riesci a muoverti?» Chiese. Il silenzio gli parve fin troppo loquace e lo spinse a grattarsi la testa con frustrazione. «Cazzo! Di questo passo sono davvero costretto a lasciarti in mano sua!»
Lui era un medico, sì, ma era anche assegnato al reparto di diagnostica. E lì, in quel settore, non avevano posti disponibili per la degenza di Acke.
Il pensiero gli fece salire il sangue al cervello, gli fece digrignare i denti e ringhiare un: «E così sono costretto a lasciarti a lui anche questa volta.»
Con aria assente, mentre Acke perdeva definitivamente i sensi, Duncan fu costretto a sollevarlo di peso per caricarlo in auto. Allora mise in moto e si affrettò a condurlo a destinazione il prima possibile. Infine, dopo aver parcheggiato, lo prese in braccio e si affannò verso l'ingresso del Dipartimento Medico dell'SRF. Il suo unico cruccio rimasto era come poter trovare una giustificazione plausibile da dare al Dottor Howard per lo stato in cui si trovava Acke – cosa non da poco, perché la sua testa era completamente vuota.
«Cos'è successo?» Chiese un infermiera all'ingresso.
«È l'assistente del Dottor Howard» disse Duncan, deglutendo a vuoto. «È sceso da un'auto in corsa, è rimasto ferito e ha perso i sensi...» Divagare andava bene con l'infermiera, certo, ma era sicuro che non sarebbe stato altrettanto con il Dottor Howard. Perciò deglutì, lasciò che Acke fosse posto su una barella e che di lui si occupassero gli altri medici addetti al primo soccorso.
«Lei è il Dottor Halldórson?» Fece la stessa infermiera di poco prima.
«Sì, sono io» confermò piano l'interpellato. Ma non la guardò in viso, non subito, perché continuò a osservare Acke sulla barella fin quando i medici non lo allontanarono del tutto dalla hall. «Perché?» Aggiunse in un soffio.
«Era presente nel momento dell'incidente?»
Duncan deglutì a vuoto. Mentire sarebbe stato assurdo, perché aveva già dato una prima versione stringata, e dire la verità a un'infermiera sarebbe stato altrettanto assurdo – se non addirittura paragonabile a un suicidio. «Sì» assentì.
«Può fornirmi i dettagli?»
«Veramente vorrei seguire gli altri medici» fece, tergiversando. «Più tardi stenderò un rapporto di persona, se necessario.»
«Va bene» balbettò dubbiosa l'infermiera, vedendolo correre verso l'ascensore.
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