Capitolo 30
Continuava a pensare al corridoio del carcere dell'SRF, alla luce che gli lampeggiava negli occhi e alle lettere che si accavallavano una sull'altra, mentre la penna scorreva sui fogli bianchi e la voce di Sergej cercava di confonderlo, di farlo sbagliare. Ma non era più lì, no. E non indossava l'uniforme standard dei detenuti, bensì un completo fresco di bucato – uno di quelli che, probabilmente, Sergej aveva dato ordine di prelevare dai suoi cassetti nell'appartamento dell'URC.
Fermo da ventiquattro ore, relegato in una villa di lusso dove ogni oggetto sembrava appartenere a un nobile, si sentiva chiuso in una gabbia d'oro. E di tanto in tanto deglutiva, rifiutava le offerte di cibo della domestica, perfino l'acqua.
Era disidratato, con la vista appannata e i sensi su di giri. Non aveva chiuso occhio quella notte e l'aveva passata al Dipartimento Medico dell'SRF senza neppure poter avvicinare Daniel.
Ciò che gli era stato detto erano parole vuote, discorsi che stentava a ricordare. Qualcosa simile al riposo, al rimettersi in sesto, al non sforzarsi più del dovuto.
Ma non ne era certo, no. Non con lo sguardo di Sergej addosso e non in quelle mura che sapevano di follia e malignità.
«Per quanto ancora dovremmo attendere l'arrivo di Jenkins?» Chiese con fare scocciato, allungando le gambe e incrociando i piedi in una posa scomposta vicino al tavolino basso di Sergej. Lo guardò con la coda dell'occhio, lo sfidò in silenzio e serrò subito le labbra. Non aggiunse altro, ma attese.
E la risposta non tardò ad arrivare: «La cena, solitamente, si serve all'ora di cena.»
«Ne ho già saltata una» borbottò laconico, evitando di sottolineare quante ne avesse mancate durante l'isolamento. «Jenkins non si è presentato e io ho passato tutta la notte a guardare il caminetto acceso del suo bel salone, Comandante Jackson...» L'ironia nel tono di voce era evidente tanto quanto sul suo viso. «Vuole segregarmi in casa sua, per caso?» Domandò sardonico. «Non le basta più il suo amante?» Lo provocò con un sogghigno tirato, irritato. Parlare di Daniel in quei termini lo irritava profondamente, ma voleva anche vedere fino a che punto Sergej si sarebbe spinto a negare, ad abbassare la voce, a divagare.
«Non è colpa mia se hai preferito guardare anziché mangiare» lo rimbeccò. «Il cibo non era certamente avvelenato...» divagò sul resto, facendo storcere le labbra a Jeremy di conseguenza. Poi, illuminato di profilo dalla luce grigiastra del giorno, accennò un sorriso. «Credo che il Capitano Begum sia appena stato rilasciato dal dipartimento Medico dell'SRF» disse.
«Lei crede?» Ancora ironico, ancora pungente. Lo aveva visto firmare il foglio di rilascio di Daniel con i suoi stessi occhi quella notte, perciò non aveva alcun dubbio in proposito a quei falsi tentennamenti. E quando lo vide annuire, sbuffò. «Beh, se lei crede che sia così... Allora deve essere così.» Ghignò, si portò entrambe le mani dietro la testa e prese una posa ancora più scomposta sotto lo sguardo frustrato di Sergej.
«Stai forse cercando di farmi saltare i nervi, Hunt?»
Questi sollevò un sopracciglio e chiese: «Perché lo crede?»
«Non lo hai ancora notato?» Prese una piccola pausa, fermandosi a scrutarlo dalla testa ai piedi. «Detesto certi atteggiamenti.»
«Che tipo di atteggiamenti?» Il sorriso sghembo di Jeremy si allargò. Sapeva benissimo che Sergej si stesse riferendo alla sua postura e al modo di fare che aveva adottato, ma non volle dargli peso – al contrario: bramava di vederlo esplodere!
«Lo sai» scandì. Non aggiunse altro, lo fulminò e si avvicinò per calciare i piedi accavallati di Jeremy. Quando lo vide deglutire a vuoto, allora, restrinse lo sguardo. «Sei in casa mia adesso, non hai modo di fuggire, né di ritorcere la questione a tuo vantaggio...»
«Mai dire mai» soffiò, posando i gomiti sulle ginocchia. Guardò Sergej negli occhi e si limitò a fare solo questo. Senza più l'ombra di un sorriso, lo provocò in silenzio.
«Hai idea del perché io abbia deciso di condurre qui sia te che Ezekiel Jenkins?» Chiese d'un tratto.
Jeremy scosse il capo, tuttavia negò l'ovvietà: lo sapeva più che bene. «No» disse. E mentì, sì, perché era ovvio che Sergej volesse conoscere il volto della vera spia, la lingua lunga che aveva allontanato Daniel a tal punto da spingerlo a un tradimento.
«No?» Incalzò. Inclinò appena il capo da un lato, poi sospirò e diede le spalle a Jeremy con fare assorto. «Fai il finto tonto quanto vuoi, Hunt: la verità è vicina.»
«E se entrambi avessimo parte della colpa che lei intende addossarci?» Chiese piano, quasi ironico. «Ha mai considerato l'ipotesi che Daniel conoscesse già la verità? Che io non gli abbia detto niente di nuovo e che sia stato solo un barlume di lucidità accennata a farlo scattare?»
«In quel caso sarebbe colpa di Jenkins» bofonchiò.
«E se ambedue avessimo cantato?» Schioccò la lingua, lo provocò solo per vedere il suo sguardo furente, di sfida. «Lei saprebbe leggere la verità negli occhi di una spia dell'SRF? O addosserebbe la colpa soltanto a me?» Storse il naso, incrociando le braccia al petto. «E in ogni caso, Comandante Jackson... La mia dichiarazione mi permette di tornare nell'URC, perciò dovrebbe continuare a temere per il suo rapporto con Daniel.»
«Il mio rapporto con Daniel non è affar tuo» sibilò a denti stretti, frustrato.
E in quell'esatto momento, Jeremy comprese di essere andato a segno, di aver colpito un tasto dolente, di aver bruciato laddove un dardo avvelenato era già penetrato in profondità. Sorrise, conscio che Daniel avesse scansato Sergej una volta per tutte, e trattenne una risatina asciutta. «Capisco» disse soltanto, stringendosi nelle spalle. Allorché si alzò dal divano e sentì Sergej sbottare con un:
«Dove credi di andare?»
«Voglio visitare la sua reggia» fece questi, cinicamente. Gli lanciò un'occhiata di sguincio, avvicinandosi all'uscio della porta del salone. «Sono seduto su quel divano da troppo tempo, iniziano a farmi male le gambe...»
«Non ti lamentavi tanto nella cella d'isolamento» lo schernì Sergej.
«Potevo muovermi in circolo, quantomeno» ironizzò.
«Come un cane» sputò acidamente, dandogli definitivamente le spalle. «Va bene, vai dove diavolo vuoi!» Alzò la voce, lo fece sorridere senza neppure rendersene conto e infine serrò i denti. «A cosa è servito tutto questo?» Si chiese piano, solo nel salone, mentre lasciava che un guanto di pelle carezzasse la fede dorata. «A cosa?»
Prima di allontanarsi del tutto, Jeremy origliò quelle parole e storse le labbra. Non seppe comprendere bene a cosa Sergej si stesse riferendo, perciò fece spallucce e, dopo aver intrapreso la strada per il corridoio, superò la porta che conduceva al seminterrato con un brivido lungo la schiena.
Ricordò a stento le sensazioni di quel giorno lontano: la vodka che bruciava lungo lo stomaco, sul palato, poi le labbra di Daniel, la sua ostinazione e l'inizio del declino. E deglutì, sì, perché non poté far altro che serrare i denti, andare avanti e indurire lo sguardo. Dopo quella volta non era riuscito a toglierselo dalla testa. Volente o nolente, se lo era trovato sempre di fronte e sempre più irritante, più sensuale, più affascinante. Al poligono, negli spogliatoi, nell'edificio dell'URC – ovunque.
Sospirò, osservò le scale per il piano superiore e, spinto da un'innata curiosità, si affrettò a salirle con passo felpato. In un attimo gli parve di essere tornato indietro nel tempo, gli sembrò di non avere alcun contatto con l'SRF e che quello che stava vivendo era solo uno strano, contorto sogno dal quale poter uscire al primo suono d'allarme.
Controllò le stanze, lo fece con cura e minuzia. Una a una. Tutte a rassegna, sì, proprio come un infallibile detective. Ma sapeva di non esserlo e sapeva bene che non avrebbe neppure dovuto aprire i cassetti per curiosarci dentro.
Così, quando si ritrovò con una chiave in mano, ponderò l'idea di lasciarla dov'era – nascosta in un doppiofondo della scrivania. Tuttavia non lo fece, no, e continuò a girarsela tra le dita, a constatare la pesantezza dell'ottone e poi quella del velluto blu che la faceva pendolare a destra e a sinistra. In bilico su un indice, la fece perfino roteare.
Allora, di fronte all'unica porta chiusa del piano, pensò di usarla. Ma quella era la scelta più sbagliata che potesse fare, la sola e unica scelta che Sergej non gli avrebbe perdonato. Lo sapeva, se lo sentiva nelle viscere. Aveva come l'impressione di averlo alle calcagna, dietro le spalle. E quando mandò al diavolo la coscienza, quando reagì d'istinto, quando infilò la chiave nella toppa per sentirla scattare, si guardò indietro con fare colpevole.
Ciononostante non vide nessuno. E sospirò, entrò senza battere ciglio. Con il cuore in gola e il respiro mozzato, percepì i polmoni bruciare.
Lo sguardo era vigile tanto quanto l'udito – forse addirittura paranoico. Ma la gola era secca, sì, terribilmente secca!
Più Jeremy si guardava attorno e più vedeva fotografie, ritratti, gioielli, abiti. Non sapeva a chi appartenessero, ma la risposta sembrava abbastanza chiara: a una donna, una donna molto speciale.
Nelle narici si fece presto vivo l'odore della naftalina, un odore pungente, asfissiante e fastidioso che lo costrinse a restringere lo sguardo e a cercare con più attenzione senza toccare niente.
Così, voltandosi, vide le pesanti tende chiuse e provò l'impulso di tirarle per fare un po' di luce, per scoprire qualcosa di più al riguardo. Quando vi si avvicinò, tuttavia, trasalì. Si voltò verso sinistra e il suo cuore mancò un battito. Socchiuse le labbra, ma da queste non uscì alcun suono. Ciò che vide lo immobilizzò sul posto, con le mani a metà strada tra le tende e il nulla.
«Nessuno ti ha dato il permesso di curiosare tanto in casa mia, Hunt» scandì la voce di Sergej alle sue spalle.
Questi sobbalzò, trattenne un grido in fondo alla gola e sgranò gli occhi. Voltandosi, intravide lo sguardo funereo di Sergej e riuscì a balbettare solo un: «Mi dispiace, non era mia intenzione...»
«Ma lo hai fatto lo stesso.» Lapidario, deciso, quasi impietoso, lo fulminò. Lo quadrò dall'alto in basso, poi arricciò il naso con sdegno e gli si avvicinò a passo svelto per afferrarlo. Sotto le sue dita, la spalla di Jeremy sembrò quasi spezzarsi tant'era arrabbiato. «Ti presento mia moglie, Hunt» disse in un sibilo, vicino al suo collo. «Non la trovi bellissima?»
Jeremy deglutì. Osservò le spoglie ben vestite della figura che Sergej gli stava indicando e represse un conato. La vide immobile, con gli occhi chiusi e le ciglia chiare. I capelli composti, forse anche morbidi. Sembrava che fosse in piedi, immacolata dietro un vetro. Non seppe cosa dire, non subito. «Non avevo idea che fosse sposato, Comandante Jackson» disse semplicemente, cercando di divagare.
«Tecnicamente sono vedovo» rettificò. «Ma lei è bellissima, non posso certo lasciare che si decomponga...» Lo soffiò ancora vicino al suo collo, lo fece rabbrividire e lo sentì divincolarsi con scarso successo.
«Mi sta dicendo che questa è una salma?» Sbottò. Gli occhi sgranati, sconvolti. Guardò Sergej e lo ritrovò a un palmo dal naso. Quando lo vide annuire, deglutì a fatica. «E lei la tiene in questa stanza, la riempie di naftalina, la...» Si trattenne dall'aggiungere altro, facendo vagare lo sguardo in ogni dove perfino sul letto alle sue spalle. Provò un mancamento, pensando che Sergej non fosse poi così distante dai mostri che abitavano in superficie – quelli che la terza Armata si ostinava tanto a cacciare dalla Vecchia Washington.
«Oh, cielo...» Sergej abbandonò la presa sulla spalla di Jeremy solo per portarsi una mano alla bocca e trattenere una risata frustrata. «Non lo farei mai, Hunt.»
«Non capisco» soffiò l'interpellato, sempre più confuso.
«Questa è la stanza dove porto Daniel» spiegò brevemente. «Lui che si è tanto avvicinato all'abisso, lui che sa cantare come Orfeo, forse può far tornare indietro anche la mia bella Euridice...»
Jeremy aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a comprendere il nesso del discorso di Sergej. Ma poi, d'un tratto, gli sentì sputare la verità di sua spontanea volontà:
«Dopotutto è stato lui a farla innamorare ed è stato lui a farla cadere in trappola senza neppure volerlo. Mi sarebbe bastato che fossero divisi, che stessero lontani, che non s'incontrassero mai...» E si fermò, guardò Jeremy negli occhi. «Pensi che questo abbia senso, Hunt?» Chiese. «Chi credi sarà la mia prossima Euridice?»
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